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Avvio:
sintonizzazione fraterna
Parlerò da esegeta, ossia da amico
mosso dalla preoccupazione del testo e del suo reale impatto sugli
ascoltatori. Come dice la
Dei Verbum, sulla scorta
di San Girolamo, «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». I
testi ispirati, le Sacre Scritture, sono uno strumento spirituale
eccellente, che ci è stato donato per avvicinarci a Cristo e per
conoscerlo così come lui è.
Le nostre meditazioni, per essere
veramente spirituali, devono essere bibliche in senso reale. A volte
bisogna fare anche qualche sacrificio. Quando siamo stanchi e sfiniti,
forse è preferibile lasciare che la nostra mente e il nostro cuore
vagabondino nel silenzio davanti al Signore senza speciali riferimenti
biblici. Quando invece abbiamo ancora forze, anche se siamo un po’
affaticati, è bene che si perseveri nella
lectio divina,
ossia in una preghiera che si fa guidare da un testo biblico concreto.
Nella preghiera non guidata dalle parole bibliche si può correre, non di
rado, il pericolo di raccontare - in fondo a noi stessi --qualche cosa
di troppo soggettivo. Rimaniamo allora nel «quando» di ciò che
conosciamo bene, che forse è causa dei nostri stessi disagi e che in
ogni caso non ci libera. Il testo biblico, invece, che è fuori di noi,
ci costringe a vedere le cose da punti di vista più oggettivi, più
esterni e ci ricorda quanto è veramente gradito al Signore e perfetto (cf
Rm 12,1-2).
Non bisogna mai dimenticare che fra
le poche istruzioni di preghiera date da Gesù, c’è questa norma:
«Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di
venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7). Spesso noi lasciamo che la
nostra mente corra troppo su se stessa, galoppando sul proprio esclusivo
terreno. Il tema che avete scelto dice: «Ascolterò che cosa dice Dio, il
Signore». Non mi racconterò ancora una volta quello che penso «io»,
riandando
ai miei stati d’animo più o meno
lieti; farò, invece, un «esercizio spirituale»: mi aprirò ad un dono che
mi viene «dal Signore».
Adesso cerchiamo di realizzare un
momento di preghiera di questo tipo, ascoltando il Signore tramite uno
dei salmi più famosi, il Salmo 95 (94), usato spesso come salmo all’Invitatorio,
che apre la Liturgia delle
ore. Esso inizia con le parole «Venite, applaudiamo al Signore».
Parte prima: «RUMINATIO»
Entriamo nel testo del Salmo 95/94 e
stiamo in compagnia del testo. La definizione più bella, per indicare un
salmo, è probabilmente quella di
itinerario.
Il salmo propone dei passaggi. «Ascolterò che cosa dice il Signore».
Entriamo all’interno del Salmo, cominciamo a camminare nello spazio che
le sue parole creano e seguiamo le tappe che esso propone nel suo
itinerario.
Andiamo allora «dentro» il salmo. Per
fare veramente questa operazione è necessario dimenti-care almeno tutti
gli attuali stati d’animo. Siete arrivate qui molto diverse: alcune più
liete, altre meno liete, alcune più tristi, altre meno tristi. Questo va
lasciato fuori, perché se no non si ascolta. Facciamo un paragone. Noi
ascoltiamo sempre la gente? Se siamo
nervosi, tristi, offesi, riusciamo ad
ascoltare solo con molta fatica. Se ci lasciamo andare allo stato
d’animo pesante, che ci ha colto, l’ascolto sarà molto superficiale. A
volte, quando mi sento molto preoccupato, faccio l’esperienza che è
necessaria molta disciplina per non rispondere in modo formale.
«Ascolto» vuol dire che interrompo il fiume delle mie sensazioni per
rivolgermi alla persona che mi viene incontro. Se non sospendo il flusso
delle mie preoccupazioni e sensazioni, posso leggere anche cinquanta
testi biblici e non fare vera
lectio divina.
La ruminatio
deve portarci via dal nostro mondo
abituale, per farci entrare in un altro mondo, quello di Dio che parla.
Dobbiamo liberarci dai nostri stati d’animo, per caricarci davvero delle
preoccupazioni di Dio, che il testo, parola ispirata, ci vuole
comunicare.
Dobbiamo allora percorrere con
pazienza le parole del testo del Sal 95/94, perché proprio questo salmo,
che abbiamo scelto per la
lectio, ci regali il suo
mondo come mondo della nostra preghiera.
La struttura del
Salmo 95/94
Quante tappe ha l’itinerario proposto
dal Salmo 95 (94)? Alcuni lettori pensano che siano due, altri invece ne
propongono tre.
Nella
Nuovissima versione della Bibbia
delle Edizioni Paoline, p.
Angelo Lancellotti si pone, di fatto, nel gruppo di esegeti che vedono
nel salmo due parti. Egli cataloga questo salmo come «liturgia della
fedeltà del Signore» e distingue due parti: nella prima vede un «invito
alla solenne celebrazione in veste innica» (vv. 1-7); nella seconda,
invece, un «ammonimento sotto forma di oracolo» (vv. 8-11).
La prima parte del salmo è un invito
solenne a celebrare il Signore ed è in forma di inno. La forma di inno è
molto evidente, soprattutto a causa di alcuni imperativi che invitano a
lodare il Signore (vv. 1-2 e v. 6) e delle motivazioni che suggeriscono
la ragione per cui dobbiamo venire e applaudire (vv. 3-5; poi v. 7).
La seconda parte è, invece, un
ammonimento, espresso in forma d’oracolo. È Dio stesso che ammonisce in
diretta, per mezzo di un profeta (cf v. 8a) che si mette a parlare in
nome di Dio stesso: «Non indurite il vostro cuore…» (vv. 8b-11).
Per gli esegeti che seguono la
divisone in due parti le tappe fondamentali del salmo sono un
«inno/oracolo» e un «invito/ammonimento». Questa divisione dice solo
quali sono i generi letterari fondamentali del Salmo: modulo innico e
modulo oracolare.
Più ricca, anche per la preghiera,
appare la proposta di individuare, nel Salmo 95 (94), tre parti. P.
Tiziano Lorenzin nel volume:
I salmi
delle Edizioni Paoli-ne, vede nel
salmo un’azione liturgica, strutturata da tre imperativi che introducono
tre parti:
- vv.1-5 «Venite»
Invito al tempio
- vv.6-7
«Venite»; oppure, meglio, «Entrate»
Ingresso nel tempio
-
vv.8-11 «Ascoltate»
Ascolto della Parola
I tre imperativi imprimono al salmo
un movimento che propone tre passaggi: invito alla lode, invito all’adorazione,
invito alla
riflessione.
In concreto abbiamo:
1) un invito ad andare verso il
santuario, che comprende partenza della processione, saluto gioioso e
lode;
2) un invito non solo a venire, ma ad
entrare, adorare e confessare il Signore;
3) un invito ad ascoltare, che
comprende richiesta del silenzio, discorso di Dio e ammonimento.
Il salmo, che recitiamo quasi ogni
mattina, propone un itinerario triplice: bisogna
venire,
bisogna entrare
e, infine, bisogna ascoltare. Non
basta stare in ginocchio, ma c’è un crescendo d’impegno:
1) «Venite» subito (quando vi
svegliate);
2) «Entrate» nel luogo più intenso
della sua presenza (probabilmente la cappella);
3) «Ascoltate, oggi, la sua voce» e
ricordate come, molte altre volte, l’ascolto in realtà non sia riuscito.
Un invitatorio non
banale: venite alla roccia
(Sal 95/94,1-2)
Il Sal 95/94 inizia con un
invitatorio,
«venite applaudiamo al Signore», che va verso un titolo centrale di Dio:
«La roccia della nostra salvezza». L’orante non dice «scudo», «fonte»,
«sole», «aurora», ecc. Lasciamoci illuminare dalla specificità
dell’immagine.
Perché mai si parla di «roccia»? Più
sotto si parlerà di Massa e Meriba, ossia i luoghi della tentazione e
contestazione in cui il popolo chiede acqua e Dio la trarrà dalla roccia
(cf v. 8). L’idea sottesa alla scelta di questo titolo può dunque essere
benissimo: Dio è la roccia della nostra salvezza, perché da lui
scaturisce l’acqua che disseta il popolo anche in circostanze dove
abbeverarsi parrebbe impossibile (cf Es 17,1-7; Nm 20,2-13). Il
salmista, inoltre, ha forse in mente una seconda possibile allusione,
che potrebbe irrobustire la prima. Gli oranti sono invitati ad entrare
nel tempio di Gerusalemme, che è costruito sulla roccia dalla quale
Ezechiele promette che scaturirà l’acqua che tutto risana (cf Ez
47,1.12). San Paolo identifica la pietra da cui scaturisce l’acqua nel
deserto con una roccia che seguiva il popolo nei suoi spostamenti:
«tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano, infatti, da una
roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo»
(1Cor 10,4).
Rientrare nella profondità e nella
bellezza di questi orizzonti vasti, quando preghiamo, ci fa certamente
bene. Nell’invitatorio
mattutino, queste
prospettive sono un dono quotidiano che il Signore ci fa per educarci.
Se siamo veramente capaci di attivare questi meccanismi siamo vivi e ci
rinnoviamo, altrimenti si rischia di appassire.
Che cosa si deve fare per an-dare al
Signore? Si deve «applaudire», «acclamare». Si tratta di avere
entusiasmo per chi ci fa il dono di questa giornata. Con l’applauso si
passa dal dono al donante. Di fronte al dono che ho ricevuto mi viene
voglia di lo-dare il donatore. La bellezza del regalo ci spinge ad avere
un’idea della bontà del donatore ed ecco l’applauso che esplode.
L’inizio della giornata è un invito a capire i doni che il Signore ci ha
fatto, ma in forma di lode, andando verso la figura di colui che ci
presenta questi doni. I bambini sono abituati a ringraziare e a
concentrarsi sul dono. La lode che apre la nostra giornata deve invece
essere il risultato del nostro avere compreso la grandezza di colui che
ci fa il dono. Quando il dono è capito, si va verso la persona del
donante; in concreto: verso la roccia da cui scaturisce l’acqua della
nostra salvezza. «Offrire sacrifici di ringraziamento»: non solo
rendergli grazie, ma prendere qualcosa ed offrirla al Signore,
rendendola sacra al Signore. Si tratta di quel sacrificio che neanche il
Sal 51/50 – così sospettoso della ritualità (cfr. il v. 18) – non
rifiuta: «Allora gradirai i sacrifici prescritti, l'olocausto e l'intera
oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare» (v. 21).
Già l’invitatorio
del Sal 95/94 contiene un
grande insegnamento spirituale. Per coglierlo bene occorre attenzione e
ruminatio.
È necessario leggere e rileggere i salmi, forse anche studiarli per
percepire, quando si prega, una ricchezza sempre maggiore. Se
mi si permette un paragone
spregiudicato: un salmo è quasi un palloncino da gonfiare, che spin-ge
il nostro cuore ad allargarsi. Il lavoro di
ruminatio
è gonfiare il palloncino perché
quanto è stato collocato dentro di noi cresca e dilati la nostra
persona. Un salmo, se è veramente cresciuto dentro di noi, spinge verso
le pareti del cuore, dilata le arterie e il sangue torna copioso a
circolare.
La creazione e le
mani di Dio: trascendenza e amorevolezza
(Sal 95/94,3-5)
I motivi per la lode di Dio sono
sostanzialmente due. Anzitutto «grande Dio è il Signore, grande re sopra
tutti gli dei». La sua unicità si mostra nello splendore della corte
divina dove tutti confluiscono. Secondo i capitoli iniziali del Libro di
Giobbe in questa corte celeste penetra persino il satana tentatore (cf
Gb 1,6). Il primo motivo per lodare Dio è la grandezza assoluta della
sua trascendenza.
Il secondo motivo completa il primo:
«nella sua mano sono gli abissi della terra». La trascendenza di Dio non
gli impedisce di essere l’amorevole creatore di tutto l’universo. Con
immaginazione felice, il salmista rappresenta il mondo attraverso
quattro elementi, che corrispondono ai punti cardinali. Egli parte dalla
dimensione verticale e mette in contrasto «gli abissi della terra» con
«le vette dei monti». Passa poi alla linea orizzontale e contrappone «il
mare» fatto da lui e «la terra», addirittura plasmata. Si supera la
prima descrizione genesiaca in cui il mare e la terra sono separati, per
indicare come la terra a sua volta separata sia stata anche
particolarmente curata (almeno secondo il parere del salmista). Tutto è
di Dio, che guarda in verticale e in orizzontale, abbracciando la realtà
del cosmo.
Merita attenzione l’insistenza sulle
mani, che sono ricordate due volte: «Nella sua mano sono gli abissi
della terra» (v. 4) e «le sue mani hanno plasmato la terra» (v. 5). Il
salmista vuol far pensare alla mano di Dio, che rappresenta il suo
«fare» forte e amorevole. L’immagine è impressionante e commovente ad un
tempo. Le cose che sono nella proprietà di Dio fanno apparire la sua
mano come enorme: essa è larga a sufficienza per comprendere gli abissi
della terra e le vette dei monti. Si tratta di una mano quindi che crea,
che plasma come uno scultore le ve-nature dell’universo, che mantiene
nella sussistenza tutto ciò che ha creato.
Adorare Dio che guida
«il popolo della sua mano»
(Sal 95/94,6-7)
Un nuovo invito a lodare e ad
assumere un atteggiamento d’adorazione ricapitola il motivo della
creazione e lo ripete applicandolo al popolo degli oranti. Il nuovo
motivo di lode, che il salmo suggerisce, è la consapevolezza che il
Signore è anche colui che ha creato e formato il popolo: «venite,
prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati»
(v. 6).
La dichiarazione: «Egli è il nostro
Dio, e noi il popolo del suo pascolo» (v. 7) ricupera la formula
dell’alleanza in forza della quale Israele appartiene al Signore e il
Signore ad Israele. Nell’insieme dunque il Salmo loda due creazioni
parallele: quella dell’universo e quella del popolo eletto.
La traduzione «il gregge che egli
conduce» rende in maniera un po’ astratta la locuzione usata nel salmo
che parla invece – molto plasticamente – del
«gregge della sua mano».
Certamente in questa espressione è intesa la guida che Dio dona al suo
popolo, ma è anche dichiarato che il popolo è opera delle sue mani,
nello stesso senso in cui prima si è parlato dell’universo e della
creazione operata dalle
mani di Dio.
«Entrare», «adorare»,
ma soprattutto «ascoltare»
(Sal 95/94,8-11)
L’ultima tappa dell’itinerario,
proposto dal salmo 95/94, conduce dall’ingresso adorante nel tempio alla
necessità di «ascoltare la voce» del Signore (v. 8).
È illusorio pensare che basti entrare
nel «tempio», nel luogo dove Dio ha compiuto i suoi prodigi, per
avvicinarsi veramente al Signore e partecipare allo spazio dei suoi
doni. Il tempio è vera-mente il luogo costruito dalla presenza
dell’amore di Dio. Per questo si deve andare verso il tempio e là
adorare.Tutto questo, però, non basta. Per entrare vera-mente nel
tempio, alla fine è necessario aprirsi e passare all’ascolto. C’è una
dialettica deci-siva tra il «cercare», che conduce la persona nel
tempio, e l’«ascoltare», che ha la funzione di dischiudere il soggetto a
qualcosa di nuovo. Cercando,
l’uomo segue il meglio di ciò che il suo cuore propone; egli, per così
dire, si dilata ma secondo un principio che parte da lui, ossia il
proprio desiderio.
Ascoltando, noi immettiamo
in noi stessi degli elementi che ci spingono a crescere a par-tire da
qualcosa che è donato dall’esterno.
L’insistenza sull’ascolto è formulata
da un salmista/profeta che parla a nome di Dio. L’oracolo, con cui il
salmo si chiude, insiste sulla necessità di ascoltare prendendo una
lezione dalla storia passata del popolo, nel momento del deserto, ossia
al tempo della sua massima vicinanza con Dio liberatore. L’appello è
molto chiaro. Voi che siete entrati oggi in questo tempio, lo spazio che
Dio ha creato, non fate come i vostri padri che «mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere» (v. 9).
Nella tappa decisiva appare dunque
chiara la necessità di raggiungere una maggiore maturità. Non è detto
che basti entrare nello spazio voluto e creato da Dio perché si compia
la comunione con lui. A Meriba e a Massa il po-polo, che viveva
apparentemente il dono dell’esodo, arrivò in realtà a contestare e a
tentare il Signore.
Emerge così ripetutamente la
dimensione del «cuore», come luogo distinto dal semplice camminare nello
spazio di Dio: «non indurite il
cuore»
(v. 8) e «sono un popolo dal
cuore
traviato» (v. 10). Nell’insieme del
salmo c’è un contrasto di simboli, veramente interessante e decisivo:
nel caso di Dio si parla della «mano»; per l’uomo, invece, si parla del
«cuore». La mano
di Dio (il suo agire) è sempre
amorevole. Il cuore dell’uomo (ossia il suo profondo sentire, pensare,
decidere) è, invece, incerto ed esposto al pericolo. Il cuore umano può
essere errante o addirittura «traviato». Il caso dei «padri», che non
attraversarono il deserto lo dimostra chiaramente. Essi camminarono
certamente dietro Mosè, ma il loro cuore non camminava in sintonia vera
con i loro passi.
Il problema dell’uomo è il suo cuore.
È necessario ascoltare, ossia uscire da sé perché, dentro di sé,
potrebbe esserci qualche cosa che non va, anche se i passi all’esterno
appaiono corretti. Si potrebbe camminare nel deserto, obbedendo
«esteriormente» al Signore, ma se non ci si apre all’ascolto non si
entrerà nel luogo del suo riposo.
Le ultime parole dell’oracolo che
sigilla il salmo appaiono terribili. Dio assicura con un giuramento
dichiarato: «Non entreranno
nel luogo del mio riposo»
(v. 11). L’uomo è creato per il riposo con Dio. Si raggiunge il riposo
di Dio soltanto ascoltandolo. Se non ascolto sono irrimediabilmente «nel
mondo» e «del mondo».
L’«oggi», che Dio questa mat-tina mi
dona, è in connessione con «il luogo del riposo», ma c’è il cuore da
trasformare. Ascolterò Dio e, se pregherò ascoltando, riuscirò a vedere
la realtà in maniera non soltanto materiale. Potrò allora non ricadere
nelle mie preoccupazioni solite, che mi avvincono ad una realtà
ripetitiva ed ossessiva. La preghiera è un caso molto serio della nostra
vita soltanto se è fatta bene, ossia se è vissuta da noi come l’esodo
capace di farci uscire dalle nostre prigionie. Se invece è soltanto
ascolto di noi stessi (e non di Dio), essa rischia di restare una
ripetizione ossessiva dei nostri problemi e, allora, credendo di
pregare, noi ci faremmo, in realtà, solo del male. È perciò molto
importante tenere disciplinata la nostra preghiera perché essa sia
ascolto di Dio e non chiacchiera nostra. «Pregando poi, non sprecate
parole come i pagani, i quali credo-no di venire ascoltati a forza di
parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali
cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt
6.7-8).
«Uscite ed ascoltate».
Nella giornata, che abbiamo davanti, dobbiamo entrare nel luogo creato
da Dio, nel tempio che è la storia creata da Lui. Cosa posso fare per
entrare, questa mattina, nelle
giornate mie,
vivendole come dono creato
da Dio? Lo posso fare se
ascolto la sua voce, altrimenti vivo nel mondo che mi circonda
semplicemente essendo di questo mondo. Bisogna riuscire a farci educare
dalla voce del Signore per capire che la realtà non è semplicemente
quello che è percepibile e visibile. La realtà è oggetto dell’amore di
Dio, ed è verso tale amore di Dio, che circonda e attraversa la realtà,
che io voglio muovermi nella mia città. I problemi avranno la durezza di
ieri. Se per caso ne avessi risolto uno oggi, la soluzione di ieri potrà
forse servire a fare spazio ad un altro problema che già viene avanti.
Molto importante è che ogni giorno io abbia una chiave «divina» per
rileggere i problemi. Oggi puoi avere maggiore profondità di ieri; nella
tua lettura ci sono giorni felici e giorni più complicati, ma questo non
dipende da te. Da te dipende invece come reagisci e se veramente hai
deciso di aprirti.
Parte seconda: «MEDITATIO»
La
ruminatio
ci ha fatto entrare ormai con
sicurezza nel mondo creato dalla parola divina contenuta nel salmo.
Scegliamo alcuni punti particolarmente idonei a raccordare la parola
ruminata e la nostra vita. Questa parte della
lectio
ci porta ad illuminare con la parola
meditata alcune situazioni della nostra vita. Al tempo stesso, quanto
riscontriamo nella nostra esistenza ci aiuta a comprendere in modo
ancora più concreto quanto la parola divina afferma.
1) Si entra nel mondo creato da Dio
solo se si ascolta la sua voce, se il mondo non appare nella sua
profanità. Come faccio a vedere la sacralità del mondo? Solo se c’è in
me l’ascolto, altrimenti vedo quello che vedono tutti. Ho le paure e le
angosce che hanno tutti.
2) A fronte della mano di Dio si
trova il cuore dell’uomo. La mano di Dio crea, possiede, pascola. Il
cuore dell’uomo è incerto ed errante. Gesù non direbbe mai: «Va’ dove ti
porta il cuore». Gesù direbbe piuttosto: «Cerca dentro il tuo cuore, fai
discernimento di quello che c’è nel tuo cuore. Stai attento a dove ti
porta il cuore, perché il cuore ha bisogno di essere purificato». In una
pagina decisiva Gesù accusa quanti lavano stoviglie e mani, per essere
puri, e dimenticano il cuore. «Quando entrò in una casa lontano dalla
folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola.
E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che
tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché
non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?».
Dichiarava così mondi tutti gli
alimenti. Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina
l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le
intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie,
malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano
l’uomo» (Mc 7,17-23). Nel Vangelo secondo Luca, Gesù spiega bene che il
seme della parola divina porta frutto non semplicemente nel «cuore»
dell’ascoltatore, ma nel «cuore
buono».
«Il seme caduto sulla terra
buona sono coloro che,
dopo aver ascoltato la parola con
cuore buono e perfetto,
la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza (Lc 8,15).
Tal-volta noi pensiamo e diciamo:
Metti la Parola nel cuore e tutto
funzionerà bene. Questo
però, non è il pensiero di Gesù. L’idea di Gesù è che la parola porta
frutto nel cuore buono e
perfetto. Se non è buono,
proprio il cuore avviluppa con le spine la Parola e la soffoca.
3) La parola sul
riposo di Dio
è quella più difficile del salmo. Non
siamo creati per questo mondo, ma siamo creati per il riposo divino,
ossia perché arriviamo a riposarci con Dio. Dio ha creato il mondo in
sei giorni per riposarsi il settimo giorno. Il settimo giorno è stato
creato anche per l’uomo.
L’uomo è stato creato nel sesto giorno perché nel settimo entri nel
riposo con Dio. Di conseguenza c’è il rischio di non entrare nel riposo.
Per la loro disobbedienza ho giurato nel mio sdegno: «non entreranno nel
luogo del mio riposo». Nel salmo, che stiamo meditando, i quarant’anni
dell’esodo sono rappresentati come una specie di settimana che deve
condurre nella terra promessa, che è il simbolo del riposo in tutta la
vita dell’uomo in cammino verso Dio. Siamo stati creati per il riposo.
Lo raggiungeremo questo riposo di Dio? In che cosa consiste il nostro
impegno per raggiungere il riposo? Consiste nell’ascolto: «Ascoltate
oggi la mia voce» e, allora, arriverete al riposo. Se oggi, invece, non
ascoltate, non entrerete nel riposo del Signore.
4) Nella Prima lettera ai Corinzi
anche S. Paolo lo ha detto bene proprio rievocando il cammino dell’esodo
e le contestazioni di Massa e Meriba. «Non voglio, infatti, che
ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola,
tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rap-porto a
Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo
spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti
da una roccia spirituale
che li accompagnava, e
quella roccia era il Cristo.
Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono
abbattuti nel deserto. [ …] Tutte queste cose però accaddero a loro come
esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali
è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi,
guardi di non cadere […] infatti Dio è fedele e non permetterà che siate
tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via
d’uscita e la forza per sopportarla» (cf 1Cor 10,1-12).
5) Su questa stessa linea si potrebbe
riflettere sul naufragio dei discepoli di Gesù durante la sua esistenza
terrena. Lo seguivano, ma non lo seguivano evidentemente come la
passione ha mostrato in maniera terribile. Al Getsemani fuggirono tutti.
Restarono solo il discepolo amato e la madre. È soprattutto il vangelo
di Marco a sottolineare un camminare dietro Gesù, un discepolato
completamente naufragato (cf soprattutto Mc 14,26-31. 50-52). Funzionerà
solo perché dopo la Pasqua c’è la ripresa del cammino ripartendo dalla
Galilea (cf Mc 16,7). E allora? Il nostro discepolato, la nostra
consacrazione verso che cosa pellegrina? Dove va questo pellegrinaggio?
Si tratta di capire che il riposo è preparato dall’ascolto. Il Nuovo
Testamento non dice che ci si salva a buon mercato. La grazia è proprio
«a caro prezzo». Ha bisogno di una risposta. Non ci sono automatismi.
«Oggi» è il giorno della salvezza, ma «oggi» è il giorno della salvezza
nell’ascolto. Nessun «oggi» è tranquillo, denso di santità, denso di
grazia. Siamo in un tempo di grazia che il Signore ha creato, il Signore
è il nostro pastore, ma il Signore ci dice: «Ascoltate oggi la mia
voce». Forse ci dice: «Adeguate il vostro cuore alle mie mani».
Parte terza: «COLLATIO»
La
collatio
può comprendere un confronto nei
piccoli gruppi e uno scambio in assemblea plenaria.
Punti suggeriti per
il confronto nei piccoli gruppi
*
Consigli per l’invitatorio
- Abbiamo, all’inizio delle nostre
giornate, il senso dell’«oggi»?
- Riusciamo ad attivarlo e come?
- Ci sono esperienze?
* L’apertura all’ascolto nella mia
vita
-
Come avviene di fatto?
- C’è davvero?
- Che cosa incide di più?
*
quello che percepisco di mio?
*
quello che medito e viene da «fuori»?
*
c’è il rischio del ripiegamento: le
troppe parole nostre
- C’è differenza fra essere in
ricerca ed essere in ascolto?
*
Un passaggio necessario
- Ci sono modi per aiutare il
passaggio dall’«oggi
liturgico», che ripropone
l’historia salutis,
all’«oggi esperienziale»,
che s’incentra sulla persona concreta e vuole valorizzarla?
Dallo scambio in
assemblea
Dopo aver ascoltato le sintesi del
confronto nei piccoli gruppi, sono emerse alcune domande.
A)
Quali sono i passaggi cruciali, che
fanno esistere la «lectio» come veramente biblica?
Ci sono state, in questi anni, molte
proposte di scansione della
lectio.
Forse lo schema preferi-bile è in cinque passaggi.
1) LETTURA IN SENSO STRETTO O «RUMINATIO»:
è l’incontro della persona con il testo; in questo incontro il testo
torna ad essere vivo e diventa uno spazio in cui l’orante può entrare e
muoversi. Questo spazio è creato dal dono del testo ispirato e
dall’impegno dell’orante che utilizza tutte le sue possibilità per
intendere bene - anzi al meglio - il testo biblico che ha scelto di
ascoltare.
2) RIFLESSIONE O «MEDITATIO»: dopo
aver ben analizzato il testo, ci si chiede: che cosa della mia
esperienza è illuminato dal testo? E che cosa la mia esperienza permette
di capire che è importante nel testo? È un movimento circolare. In
termini ancora più concreti: che cosa questo testo dice della mia vita?
e che cosa la mia vita fa capire essere importante in questo testo?
3) PREGHIERA/«ORATORIO»: la preghiera
fatta dentro a quello che il testo ha creato, a quello che è emerso.
Questo è un punto assolutamente decisivo perché la
lectio
sia preghiera di ascolto, senza
ricaduta dell’orante nel proprio mondo personale precedente, non ancora
compiutamente illuminato da questa concreta parola del Signore, che è
stata messa come forza dinamica della meditazione in corso.
4) CONTEMPLAZIONE/«CONTEMPLATIO»: non
credo sia opportuno avventurarsi a una descrizione di quello che è il
dono specifico di Dio all’orante. Meglio accogliere con riconoscenza.
5) MESSA IN COMUNE O «COLLATIO»: si
tratta di un confronto comunitario, di una messa in comune («metto
insieme» in latino si può dire
confero).
È uno scam-bio fraterno in cui si possono mettere insieme alcune cose.
Non è obbligatorio perché spesso si può fare – e si fa –
lectio
da soli. Nei casi in cui la
lectio
sia vissuta da più persone, una messa
in comune di qualche frutto è molto utile. Segue poi la vita.
B)
Quale rapporto posso intravedere tra
il mio «oggi» e l’«oggi» di Dio?
Come intendere l’oggi mio in rapporto
con l’oggi di Dio? Certo la realtà è una sola, ma il mio cuore è diviso.
La divaricazione non esiste nella realtà: nella real-tà esiste solo
l’oggi di Dio. Con tutto ciò, arrivare a capire nel nostro oggi l’«oggi
di Dio» non è così semplice. Se non mi metto in ascolto, l’oggi rimane
l’oggi delle mie preoccupazioni, l’oggi dell’orologio. Come facciamo
allora a ridurre all’unità l’«oggi», che rischio, per la debolezza del
mio cuore, di percepire frammentato in due polarità? Come faccio a non
appartenere irrimediabilmente al mio modestissimo «oggi dell’orologio»,
delle mie preoccupazioni, visto che in realtà vivo nell’oggi di Dio, di
fatto spesso senza averne coscienza e senza rendermene conto? Certo io
vivo alla luce del sole, ma per avere una visione teologica del sole –
per esempio per percepire il sole come creatura di Dio, come frutto
della roccia che ci salva – ho bisogno di pensarci. Altrimenti alla luce
del sole forse mi abbronzo, ma mi abbronzo dentro l’oggi dell’orologio.
È qui che ap-pare chiara l’importanza della preghiera per l’apertura
della persona. Non è Dio che ha bisogno di essere pregato: siamo noi che
abbiamo bisogno di pregare. Dio, di per sé, non desidera la nostra
preghiera, ma la nostra comunione con Lui. Desidera amarci ed essere
amato. Ed è amato solo nella misura in cui noi ci rendiamo conto che
egli ci ama. È un’operazione del cuore.
Esiste, quindi, un unico «oggi» ed è
quello di Dio; ma il nostro cuore pone una specie di divisione, perché
esso ha un suo
oggi che non è perfettamente identico
a quello di Dio. La meditazione (o, se volete, il discernimento) porta
ad avvicinare il mio oggi all’oggi di Dio. Certo Dio ha messo nell’oggi
anche le preoccupazioni che mi attraversano, però non c’è solo quello.
Il rischio è che le mie preoccupazioni diventino il tutto di Dio. C’è il
pericolo che io – anche se con nobili sentimenti – mi concentri molto
sui problemi e veda un oggi di Dio deformato. Certo la crescita, le
crisi, le sofferenze, le gioie, i passi indietro miei e di coloro che
amo sono cose che manda Dio dentro al suo oggi. Però, se non sto
attento, c’è il pericolo che noi ci riduciamo a questi elementi più
emozionali e non diamo uno sguardo contemplativo. Il cristianesimo o
sarà contemplativo o non sarà, aveva sostenuto Rahner già mezzo secolo
fa. Egli si rendeva conto molto bene della visione complicata della
realtà di oggi, per cui se un cristiano non diventa contemplativo, le
cose gli scivolano via, dentro questi ingranaggi terribili.
C)
Cosa vuol dire che il cuore vero è
solo il cuore purificato?
Ripetutamente noi dobbiamo riprendere
la navigazione a livelli superiori. Si parte dal postulandato, poi si
arriva ai dieci anni di consacrazione, poi ai venti, ecc. C’è un periodo
formativo e c’è un periodo «ri-formativo». Sotto i colpi della realtà,
talvolta pesanti e pesantissimi, noi capiamo dov’è il nostro cuore. A
volte sentiamo qualcuno che dice: «Sono diventato meno buono!». Spesso
mi capita di consolare: meno male che sei diventato meno buono! Pensaci
bene: prima non eri così buono, come apparivi. Avevi paura di
scontentare, vo-levi fare bella figura, non volevi conflitti antipatici,
eri troppo te-nero … e allora «volentieri» cede-vi. Adesso che sei più
adulto e meno preoccupato di piacere, ti trovi di fronte ad una sfida
più grande: devi essere buono dopo avere capito che, alla fine, tu sei
indipendente dal giudizio degli altri più di quanto credessi. Cuore vero
allora è nel senso di cuore purificato. Non si tratta di tirar via il
cuore falso e tirar fuori il cuore vero. La realtà è che il nostro cuore
ha delle bontà e degli egoismi e allora, attraverso l’uso spirituale
della Bibbia, va bonificato il terreno. Il nostro cuore è un terreno
sassoso. Se volete avere un buon terreno, dovete con pazienza togliere i
sassi e fare i muretti. E così viene fuori il cuore purificato.
D)
Dov’è che sperimento la novità, dov’è
che mi lascio colpire senza essere nella noiosissima ripetitività?
Come ci sono nuovi accadimenti e
nuove azioni nella giornata, ci deve essere anche una novità di lettura
della parola, di celebrazione dell’ascolto. Ognuno di noi ha il problema
fondamentale: come faccio a rinnovarmi? C’è qualche trucco per essere
auto-innovativo. È un problema molto urgente e di cui siamo responsabili
noi. Bisogna attivarsi. In questo senso la Scrittura può dare un aiuto
grandissimo: anche una sottolineatura di mezza parola scritta, che
rimane con noi nella giornata, può dare un buon sapore alla mente ed
energia per ripartire, soprattutto nei momenti di stanchezza e bassa
pressione. È una responsabilità personale di gestione del nostro vissuto
psicologico, che poi si riverbera su tutto il resto.
E)
Puntare così tanto sulla lettura
spirituale della Bibbia non espone all’intellettualismo?
Leggere la Bibbia è di fatto la
ricerca di un mondo di valori molto concreti, che hanno segnato
potentemente vite molto solide. Nella Bibbia noi affrontiamo parole
umane, che sono anche parole divine e che possono muovere il nostro
cuore; parole, che possono essere foriere di novità, di idee ricomprese
e di nuovi punti di vista. Senza la Scrittura, saremmo affidati alla
circolarità di noi stessi, dei nostri problemi. Ecco, invece, che la
Parola scritta, lungi dal portarci in un mondo teorico e astratto,
spezza il nostro orizzonte chiuso. La parola umana accessibilissima,
ricca della forza della parola di Dio, accende qua e là per noi delle
luci. Tu senti allora con commozione che c’è vera-mente l’«oggi di Dio»,
che è più grande dei tuoi problemi. «Ti ascolto e ti seguo». Avete
scelto un buon tema: ti seguo solo se ti ascolto, perché se non ti
ascolto m’illudo di seguirti, faccio l’itinerario scelto da me e dico
che è la tua sequela. È facile cadere in questa trappola. Quando si può
dire veramente che seguiamo il Signore? Lo dobbiamo seguire tra i nostri
fratelli, certo. Il Signore ci parla attraverso i nostri fratelli, la
parola di Dio scritta e la Parola ancora più ampia che è tutta la nostra
vita. La Parola di Dio scritta ci blocca su alcuni punti e ci invita ad
«allargare», altrimenti avremmo molta vita, ma con il pericolo di cadere
nel soggettivismo: io mi faccio la vita che voglio, però ho imparato a
dire che seguo il Signore. In realtà la mia vita (anche da religioso)
finisce per essere un itinerario tutto mio e solo mio.
Ermenegildo Manicardi
Rettore dell’Almo Collegio Capranica
Piazza Capranica, 98 – 00186 Roma
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