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D ire
che la preghiera costituisca la forza motrice della storia è una di
quelle affermazioni paradossali, destinate ad essere smentite facilmente
non appena si ponga mente a qualche riflessione desunta dall’esperienza
e dalla normale osservazione della vita. Il comune buon senso associa
l’idea della preghiera con quella di chi si astrae dalla storia; associa
preghiera e silenzio, e ne fa un’esperienza che pare incompatibile con
la confusione della vita quotidiana, con le sue contraddizioni e la sua
complessità.
E poi: come credere alla forza della
preghiera, quando pensiamo ai popoli che muoiono di fame; a quanti sono
“passati attraverso il camino”, vittime di una storia dalla quale Dio è
parso totalmente assente? Quando pensiamo agli innocenti che ancora oggi
sono vittime della violenza e della guerra? Quando pensiamo ai poveri
che vivono ai margini delle nostre città come rifiuti umani, disprezzati
da tutti e – sembra - dimenticati da Dio?
Dobbiamo pensare che nel mondo c’è
troppa poca preghiera? Oppure che Dio è sordo alle invocazioni che
salgono a lui da tante persone di fede? Dai luoghi della preghiera, dove
giorno e notte non si fa che trasformare il proprio respiro in orazione,
in supplica, in invocazione?
Riflessioni e domande che sembrano
solo concludere al senso della debolezza della preghiera, e non della
sua forza.
D’altra parte, come può un’esperienza
fatta di silenzio, giocata nel cuore, espressione della libertà della
coscienza, influire sui grandi fatti della storia umana? Sui fenomeni
sociali ed economici? Sulle diplomazie? Sulle decisioni che riguardano
una comunità nel suo insieme? O semplicemente su quel dinamismo delle
libertà umane che si intrecciano nelle relazioni tra le persone? O sugli
eventi imprevedibili della vita, che sono total-mente sottratti alle
nostre decisioni?
E ancora: non è la preghiera
un’esperienza personale, che avviene nel cuore della persona, nel
segreto della coscienza di ciascuno, così come il Vangelo raccomanda?
Le domande non fanno che mostrare
quanto provocatoria sia la riflessione che ci è chiesto di fare in
queste pagine. Come essa non sia per nulla scontata. Quante insidie
siano contenute in questa affermazione, con il rischio di scambiarla per
un’iperbole, da ricondurre al comune buon senso; oppure, all’opposto,
con il rischio che essa supponga una fede intesa come un talismano
magico, che pretende di ridurre la libertà di Dio entro i confini dei
nostri desideri, o che pretende di piegarlo alle nostre richieste.
Suggestioni bibliche
Davanti alle domande difficili, la
via maestra è quella che inter-roga la parola di Dio.
La Scrittura è piena di episodi in
cui si narra dell’invocazione dell’uomo verso Dio e della pietà di Dio
per la preghiera dei suoi fedeli; in cui si parla dell’efficacia di chi
ricorre a Dio per affrontare le situazioni della vita o del valore
dell’intercessione.
Giosuè combatte contro gli Amaleciti,
mentre Mosè sta in preghiera, le sue mani alzate verso Dio a invocare il
suo aiuto contro i nemici. Ed è così efficace la preghiera di Mosè, che
non appena egli abbassa le braccia le sorti della battaglia mutano; e si
fanno propizie all’esercito di Israele non appena egli torna ad alzarle
nel gesto della supplica.
Abramo mette in gioco tutta la sua
capacità di mediazione in una preghiera destinata a salvare Sodoma e
Gomorra: La sua preghiera intercede per la città con un’audace
negoziazione, quasi a convincere Dio, a modificare le decisioni che egli
ha già preso.
La regina Ester cerca in Dio il
rifugio e l’aiuto in una situazione che, dal punto di vista umano,
appare impossibile e senza ritorno; e sulla preghiera mette in gioco la
sua stessa vita.
Gli esempi si potrebbero
moltiplicare.
In ciascuna di queste testimonianze,
vi è una fede profonda in un Dio che si è compromesso nella storia
umana, che non le è estraneo e lontano, ma partecipe e solidale. La
preghiera poggia sulla certezza che a Dio sta a cuore la sorte del suo
popolo; sulla convinzione che Dio è attento alle invocazioni dei suoi
figli.
Il Vangelo è tutta una narrazione del
cuore tenero di Dio, nella vita di Gesù che si china su ogni dolore, che
presta ascolto ad ogni invocazione quando è espressione vera di un cuore
da piccoli e da umili. Le risposte di Gesù alle invocazioni di coloro
che gridano a lui superano sempre le attese di coloro che chiedono, come
nel caso del centurione, che ha chiesto una parola e ha ricevuto la
visita di Gesù; o di Bartimeo, che ha chiesto la vista e ha ricevuto un
senso nuovo alla sua esistenza…
Nelle sue parole, Gesù insegna a
pregare chiedendo senza ti-more, fino ad essere importuni come nel caso
della vedova della parabola. L’invito che egli fa ai discepoli è quello
di una preghiera fatta senza stancarsi, ma anche con la piena fiducia di
essere esauditi, soprattutto quando la preghiera è compiuta non in
solitudine, ma “in due o tre”, in comunità, nella fiducia solidale tra
fratelli di fede. Ha insegnato che la preghiera più importante è quella
che si rivolge a Dio chiamandolo Padre, è quella fatta con cuore da
figli, così convinti che il Padre ha a cuore la nostra vita, da non
esitare a pregare: “sia fatta la tua volontà”, tanto grande è la
certezza che questa volontà non può che essere di amore, di benevolenza,
di sollecitudine. Cioè quella di un Padre amorevole e misericordioso.
La preghiera del discepolo è quella
che nasce da una vita vissuta con cuore da figli.
La storia che Gesù ci insegna a
considerare importante non è quella che ha per protagonisti i grandi
della terra con le loro decisioni, ma in primo luogo quella che riguarda
ciascuno di noi: la nostra esistenza, lo scorrere delle nostre giornate,
i fatti, le relazioni…. La preghiera è motore di una storia che ha per
protagonisti le persone comuni, cioè tutti gli umili e i piccoli, che
nella storia dei “grandi” sono nessuno, ma che sono ben presenti al
cuore di Dio.
L’icona di Nazaret
Vorrei soffermarmi su una dimensione
importante della vita di Gesù, la più misteriosa e la più difficile da
raccontare, avvolta com’è dal silenzio: il tempo di Nazaret. Sappiamo
che Gesù ha vissuto trent’anni della sua breve esistenza nella normalità
di una vita comune a tutti i ragazzi e poi i giovani della Palestina del
suo tempo: confuso in mezzo a loro, eppure così diverso da loro. Figlio
di Dio e figlio dell’uomo. Non possiamo pensare che Gesù abbia salvato
il mondo solo nei tre anni in cui ha parlato, ha compiuto miracoli, si è
manifestato nella straordinarietà della sua natura di Messia. Gesù è
stato Messia Salvatore anche negli anni in cui la sua vita non aveva
nulla che potesse essere raccontato: una vita di silenzio, perché troppo
comune, troppo ordinaria, troppo uguale a quella di ciascuno di noi. È
molto difficile dire in che senso la vita di Gesù a Nazaret abbia
contribuito a mandare avanti la storia umana; possiamo solo immaginarlo.
Mi piace pensare che la salvezza per
noi sia passata in quegli anni attraverso il Suo vivere da Figlio;
attraverso il silenzio in cui Gesù ha fatto proprio l’amore del Padre
per l’umanità e la sua decisione di salvarlo; attraverso la preghiera
che alimentava la relazione con il Padre e costituiva il “luogo”
dell’incontro, del cuore a cuore, per rendere sempre più propria la
verità che Egli un giorno rivelò a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare per esso il suo Figlio Unigenito”.
Dunque Nazaret ha fatto da motore
alla storia umana, perché l’ha caricata di mistero e di silenzio, di
amore e di condivisione; ha messo in essa, come germe di vita nuova, la
decisione di una dedizione disposta a farsi sacrificio della vita perché
l’umanità conoscesse quell’amore che è più forte della morte.
L’icona di Nazaret, cioè del tempo in
cui Gesù è stato così simile a noi da essere in tutto confuso con
ciascuno di noi, costituisce il paradigma della nostra vita cristiana
ordinaria e della nostra preghiera.
Dimensioni della
preghiera cristiana
L’ascolto di queste suggestioni
bibliche ci consente di mettere in evidenza alcuni aspetti della
preghiera, per illuminare la nostra riflessione.
La preghiera è l’esperienza della
comunione e della fede: stare in relazione con il Signore Gesù, pregare
con Lui il Padre; sentire su di noi il suo sguardo di amore. Pensiamo
alle notti che, secondo il Vangelo, Gesù passava in silenzio e in
preghiera, cioè nella comunione, nel dialogo, nell’ascolto del cuore del
Padre. Anche la nostra preghiera è soprattutto questo stare in comunione
con il Padre insieme a Gesù, e nel silenzio dell’incontro rendere sempre
più matura la fiducia nell’amore che Egli ha per noi, la certezza della
sua misericordia, la fiducia nella sua promessa di esserci accanto, al
di là di ogni umana evidenza. La preghiera è amore e fiducia, esperienza
della misericordia e abbandono; talvolta sperimentati, più spesso
creduti. Nella certezza dell’Amore, si impara a credere che il modo con
cui Dio ci ama, per quanto a volte incomprensibile, è sorprendente e più
forte di ogni amore umano. Radicati in esso, si può affrontare anche la
stretta del dolore, nella certezza che il Signore Gesù ci è accanto a
soffrire con noi, lui che ha affrontato la prova del Calvario.
Incontrare nella preghiera il cuore
del Padre è credere che l’amore che riceviamo non è solo per ciascuno di
noi, ma è per tutti, per ciascuna persona. Dio si prende cura di tutti i
suoi figli, di quelli che lo conoscono e di quelli che non sanno il suo
nome; di quelli che lo riconoscono e di quelli che lo rifiutano; di
quelli che ne sono consapevoli e di quelli che vivono chiusi nel loro
giorno per giorno.
La preghiera contribuisce a rendere
umano il cuore dell’uomo, cioè ci fa sentire la responsabilità e la
bellezza di vivere secondo la dignità che il Padre ci ha dato, creandoci
a sua immagine e somiglianza.
Vivere con un cuore da figli cambia
la storia, perché consente di vivere come persone che si sanno amate, e
che dunque abitano la vita con quella pace, quella serenità, quel senso
di pienezza che rende liberi, perché appagati nel cuore. Cambia la
storia perché fa recuperare la dimensione di quella fraternità che non
permette più di essere uno contro l’altro, ma ci fa solidali nella
ricerca del bene comune.
Se la preghiera è frequentare Dio,
conduce a poco a poco ad avere sulla storia il suo stesso punto di
vista; anzi, a credere nel disegno misterioso che Egli ha sul mondo e
sulla storia, soprattutto credere che esso è disegno di un amore che
percorre le vie della storia umana, senza violentarla né violarla. Così,
a poco a poco, la preghiera conduce anche a condividere lo stesso amore
di Dio per il mondo, e dunque non estraniarci da esso, a non
disinteressarci di esso. E quando la storia, nell’intreccio dei percorsi
della libertà e degli interessi, si fa umanamente incomprensibile, la
preghiera aiuta a non prendere le distanze, ma a fare come Mosè che
chiede pietà per il popolo confondendosi con esso e con le sue
malefatte, a immagine di ciò che Gesù avrebbe fatto sulla Croce: «Colui
che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro
favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di
Dio» (2Cor 5, 21).
È ciò che hanno fatto i santi che si
sono trovati in snodi cruciali della storia umana: penso a E. Stein, a
P. Kolbe, a M. Teresa di Calcutta e a tanti altri anonimi che
nell’inferno della storia umana non hanno smesso di vivere con dignità e
con amore. Il loro amore rende vivibile la storia, dà la fiducia nella
possibilità di rico-minciare: è l’amore il motore della storia.
La preghiera immerge
in un amore che cambia la storia
Mi pare che sia questa la conclusione
cui ci ha condotto la nostra riflessione: la preghiera è forza motrice
della storia perché essa è esperienza di quell’amore che cambia la
storia umana e la trasforma, dando ad essa un senso e un valore nuovo.
Essa porta nel cuore del mondo
l’amore della Pasqua che si rinnova nella decisione con cui ciascuno,
nel piccolo frammento della propria storia, vive la stessa dedizione con
cui Gesù si è consegnato al Padre per la vita dell’umanità. Essa porta
nel cuore del mondo la speranza di coloro che sanno che il dolore e la
morte non sono l’ultima parola sulla vita, ma che, al di là della
sofferenza e delle contraddizioni del momento presente, si aprirà la
possibilità di un mondo rinnovato: quello in cui i ciechi, gli storpi,
gli zoppi, i deboli, gli sconfitti… vedranno riconosciuta la loro
dignità; essi costituiranno la primizia di un mondo rinnovato.
Dunque possiamo pregare: «Venga il
tuo Regno», quello in cui i piccoli sono accolti, i malati guariti, i
disperati rimessi in cammino… E il mondo ci si manifesterà nell’immagine
bella secondo cui Dio lo ha pensato e voluto.
Paola Bignardi
Via Aldo Moro, 7
26010 Olmeneta (Cremona)
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