n. 9
settembre 2008

 

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La liturgia opera della Trinità
«Signore insegnaci a pregare»

di MANLIO SODI

 

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L'esperienza sinodale delle Chiese d’Europa ha visto un primo coronamento dei lavori nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa [= EiE] che Giovanni Paolo II ha firmato il 28 giugno 2003.

Il documento, importante per la peculiare prospettiva entro cui si muove, è incentrato «su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa», come ben indicato nel titolo. All’interno troviamo due sottolineature che possono offrire la traccia per ogni anno pastorale (in cui anche i religiosi sono coinvolti): riscoprire la liturgia, e celebrare i sacramenti. Due aspetti non nuovi in sé; nuovo può risultare lo spirito che anima l’insieme del documento e che proprio nell’azione liturgica ritrova una squisita sorgente di azione e di vita. Ed è in questa ottica che si può accogliere il pressante invito: «Celebra la salvezza di Cristo: accoglila come dono che ti fa suo sacramento, fa’ della tua vita il vero culto spirituale gradito a Dio»(EiE 69). Da qui la conseguente esortazione: «È urgente che nella Chiesa si ravvivi l’autentico senso della liturgia. Questa [...] è strumento di santificazione; è celebrazione della fede della Chiesa; è mezzo di trasmissione della fede» (EiE 70).

L’attuazione di questo programma anche in contesto di vita religiosa comporta un «vero rinnovamento che [...] consiste nello sviluppare sempre meglio la coscienza del senso del mistero» (EiE 72); e perciò «è necessario un grande sforzo di formazione» (EiE 73). Ecco la grande sfida che si riapre con un’attenta preparazione e un’opportuna programmazione all’inizio di ogni anno liturgico, in quanto ogni anno è lo spazio entro cui il religioso modula e realizza il proprio progressivo immedesimarsi nel mistero di Cristo. L’impegno di formazione ha lo scopo di dare forma a tale sfida perché il religioso giunga ad essere ciò che celebra.

 Come attuare tutto questo? L’insieme di questo fascicolo offre contributi preziosi per un’educazione alla preghiera che conduca ad un’esperienza totalizzante – pur sempre in progress – del mistero. In quella linea il presente studio offre l’orizzonte di riferimento ecclesiale (I), per concentrarsi sulla domenica (II) e sulle modalità celebrative dell’Eucaristia (III); la comune piattaforma è assicurata dall’educazione alla preghiera (IV) come garanzia per vivere in pienezza la liturgia (V) non come attuazione di un rito ma come occasione quotidiana per un ricupero della propria identità di consacrati (VI).

Nel perenne cammino della Chiesa

A nessuno è passato inosservato il gesto compiuto da Giovanni Paolo II quando al termine della liturgia eucaristica della solennità dell’Epifania del 2001 – a conclusione del grande Giubileo – ha firmato sull’altare la Lettera apostolica Novo millennio ineunte [= NMI]. Quella firma, apposta in un contesto “liturgico”, da una parte sigillava la conclusione di un cammino, dall’altra intendeva aprire prospettive per il futuro. Un cammino sempre caratterizzato da una linea “liturgica”, così come era stato quello proposto dalla Lettera apostolica Tertio millennio adveniente [= TMA], firmata da Giovanni Paolo II il 10 novembre 1994.

L’aver impostato, infatti, la preparazione al Giubileo attraverso la riscoperta e l’approfondimento di elementi che ruotano essenzialmente attorno alla liturgia è stata la carta vincente. I tre anni di preparazione hanno impegnato la comunità ecclesiale nella riscoperta della presenza e del ruolo della Trinità all’interno dell’anno liturgico. La lezione che ne è scaturita è stata un invito a valorizzare la pedagogia - oltre che i contenuti - racchiusa in ogni anno liturgico, in modo che ogni anno sia l’anno di Gesù Cristo, dello Spirito, di Dio Padre, dell’Eucaristia, e di Maria SS.ma.

Quella linea giubilare non poteva non essere ripresa e rilanciata, soprattutto allo scopo di rendere ogni anno liturgico un autentico “anno giubilare”, sulla falsariga degli impegni e dei traguardi evidenziati nella TMA. In questa prospettiva è pertanto da non dimenticare la NMI. Tra i numerosi aspetti evidenziati, qui si ricorda quello che riguarda uno dei nuclei portanti di tutto l’impegno ecclesiale: la celebrazione dell’Eucaristia nel giorno del Signore, ma ad alcune condizioni!

La domenica «giorno speciale della fede»

Il 31 maggio 1998 Giovanni Paolo II rilanciava all’intera comunità ecclesiale, attraverso la Lettera apostolica Dies Domini, un articolato impegno circa la santificazione della Domenica: documento strategico che continuerà ad illuminare il cammino di educazione a quel giorno simbolico – il giorno del Signore – in cui il credente è chiamato a ritrovare se stesso e gli altri nell’incontro sacramentale con il Dio della Vita.

Gli elementi essenziali sono stati recuperati dalla NMI. In particolare, due paragrafi la NMI dedica all’Eucaristia domenicale: i nn. 35 e 36. La sottolineatura avviene nel contesto della terza parte, quando si stimola la Chiesa a “ripartire da Cristo”. L’inizio del terzo millennio ha raccolto l’invito ad «un rinnovato slancio nella vita cristiana» non cercando «una formula magica», non inventando «un nuovo programma» che possa soddisfare le «grandi sfide del nostro tempo», ma valorizzando quel «programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace» (NMI 29).

Ed ecco il richiamo programmatico in cui la vita religiosa rimane profondamente coinvolta: «Il più grande e impegnativo orizzonte della pastorale ordinaria» converge nel raggiungimento della santità da additare come vera «urgenza della pastorale» (NMI 30), anzi come «fondamento della programmazione pastorale» (NMI 31).

È quanto mai significativo che in un documento così strategico, mentre si ricorda tutta la complessa attenzione che va rivolta alla progettazione pastorale, venga puntualizzato il vero obiettivo di tutto questo impegno e si sottolinei che la «pedagogia della santità» abbia bisogno di «percorsi… personali» capaci di «adattarsi ai ritmi delle singole persone» (ib.); come pure di un radicamento di tutto questo «nella contemplazione e nella preghiera» (NMI 15); anzi, in un’«educazione alla preghiera» - all’«arte della preghiera» (NMI 32) - presentata come «un punto qualificante di ogni programmazione pastorale» (NMI

34). Al vertice e al cuore di questo cammino la NMI colloca l’Eucaristia. La puntualizzazione di questo sacramento non è prospettata per farne un’ampia trattazione, ma solo per rilanciare all’attenzione dell’intera comunità ecclesiale alcuni elementi che possono, anzi debbono, contribuire ad una partecipazione sempre più piena alla celebrazione memoriale della Pasqua del Signore.

In questa linea, la evidenziazione di alcuni aspetti che qui viene fatta, tiene presenti anche altri contenuti relativi all’ascolto e all’annuncio della Parola (cf NMI 39-40) perché strettamente congiunti con l’Eucaristia domenicale (si pensi al capitolo III della Dies Domini dedicato all’«assemblea eucaristica cuore della domenica», e ai nn. 75 e 81-82 dell’EiE).

Il «modo di celebrare»: sfida e garanzia

Preso atto che la comunità cristiana «molto è cresciuta […] nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l’Eucaristia» (NMI 35) la Lettera richiama l’attenzione sul ruolo della domenica. In questo spazio simbolico e gratuito, infatti, «la Chiesa continuerà ad additare ad ogni generazione ciò che costituisce l’asse portante della storia» (NMI 35).

Ricondurre pertanto l’attenzione delle strategie formative e progettuali a questo “giorno” è riportare l’oggetto dell’attenzione del fedele e degli operatori pastorali al cuore del problema e alla base di una linea di animazione che richiede alcune attenzioni. E questo perché la partecipazione all’Eucaristia «sia veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un impegno irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere a un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente» (NMI 36).

La Lettera apostolica Dies Domini ha già ampiamente illustrato le linee di educazione per comprendere la domenica come il giorno della Trinità, dell’assemblea, della persona; come la festa primordiale rivelatrice del senso del tempo. Il recupero di quegli elementi fornisce materia preziosa per approfondire il senso di un appuntamento settimanale che, nel volgere «dei millenni, rimane come memoriale e simbolo.

Quando però la NMI introduce il discorso sull’Eucaristia dome-nicale, presenta un’affermazione che se da una parte constata un dato di fatto, dall’altra costituisce una sfida e insieme una garanzia: «Il massimo impegno va posto [dunque] nella liturgia»» e in particolare nel «modo di celebrare i sacramenti e soprattutto l’Eucaristia» (NMI 35). L’affermazione, accompagnata dalla classica citazione conciliare culmen et fons (cf SC 10), costituisce una sfida e una garanzia.

La sfida risiede nel fatto che se l’azione liturgica è lo spazio simbolico che permette di unire la realtà e le scelte della vita di ogni giorno con il Dio della Vita, allora bisognerà continuare in un impegno quanto mai strategico per fare in modo che il complesso linguaggio simbolico tipico della liturgia sia compreso e fatto proprio. Ciò comporta conseguenze molto impegnative a livello operativo; tali però che non possono essere disattese, pena lo svuotamento di significato del senso dello stesso giorno del Signore.

Di riflesso, la garanzia di una vita cristiana (e particolarmente quella religiosa) illuminata dalla Parola di Vita è offerta e sorretta dalla partecipazione a quei santi segni propri dell’Eucaristia. L’incontro vivo e reale con il Dio della Vita - nei suoi misteri - garantisce al fedele in cammino tutto quel sostegno di cui ha bisogno per affrontare le più diverse sfide. In questa linea, pertanto, è necessario porsi l’interrogativo: cosa fare perché l’Eucaristia domenicale “garantisca” la risposta a queste attese?

Educarsi per educare alla preghiera

Al di là delle numerose definizioni di preghiera che possono rispecchiare le altrettante forme con cui la persona si rapporta con il soprannaturale, anche nell’ambito della vita religiosa, la preghiera assume connotazioni diverse secondo l'atteggiamento spirituale del fedele, le sue motivazioni, il rapporto tra preghiera e vita, la relazione che intercorre tra preghiera personale e preghiera comunitaria.

Un quadro di riferimento. Il cammino di educazione alla preghiera va visto in un contesto ampio che tenga presenti le tappe che iniziano con il noviziato, per continuare poi, con maggior impegno, negli itinerari successivi. Ciò richiede un atteggiamento di progettuale continuità della proposta educativa e formativa. La continuità ha senso quando si pone all'interno di un quadro o progetto di riferimento cui converge e da cui prende senso lo specifico cammino educativo: l’evangelizzazione e i sacramenti. La prima è la base per le iniziali esperienze di preghiera (educare ad atteggiamenti di lode, ringraziamento, benedizione, supplica; esempi eloquenti si trovano specialmente nei Salmi). La seconda è un'esperienza più raffinata e impegnativa di preghiera cristiana, in quanto il sacramento, l'anno liturgico, la Liturgia delle Ore (senza dimenticare le tante forme di devozione e di pietà popolare) costituiscono ambiti privilegiati di preghiera, che realizzano un contatto più o meno profondo con il Dio dell'alleanza.

 La preghiera cristiana.

In seguito alle prime esperienze il religioso percepisce sempre meglio che la preghiera cristiana è: ascolto di Dio che parla; contemplazione dei segni della sua presenza nei fratelli e nelle più diverse realtà; dialogo con chi per primo si è già mosso per venire incontro; progressiva comunione con il tutt'Altro già presente nell'intimo di ogni persona. Alla precisazione dell'essenza della preghiera cristiana si accompagnano cinque interrogativi: Chi prega? Il religioso che ha realizzato un minimo di conoscenza del Dio di Gesù Cristo. Come pregare? Le modalità sono diversificate; la storia arricchisce l'oggi con una pluralità di forme che rispondono all'ampia gamma di attese spirituali del singolo secondo gli innumerevoli carismi che lo Spirito suscita nella storia. Dove pregare? I luoghi più adatti possono essere in rapporto con situazioni personali o con occasioni comunitarie e ufficiali. Quando pregare? La preghiera cristiana ufficiale ha ritmi, orari, ma il religioso prega sempre quando fa delle scelte ordinarie della propria vita una risposta sincera e totale al Dio dell'alleanza. Perché pregare? La comprensione delle dimensioni della preghiera cristiana (ascolto, contemplazione, dialogo, comunione) offre la risposta più convincente: nella preghiera il religioso accoglie la voce di Dio, trasfigura le realtà quotidiane dando loro il più genuino significato, intesse un rapporto con Dio e con le realtà create contribuendo a realizzare quella comunione che la storia della salvezza esprime e declina attorno alla categoria dell’alleanza.

Alcuni punti fermi.

 Nell'ambito cristiano il culmine e insieme la fonte della preghiera è l’Eucaristia, perché lì la proposta divina e la risposta umana trovano il loro punto d’incontro. Non per nulla la preghiera eucaristica, che racchiude tutti i temi della preghiera cristiana, è chiamata da sempre la preghiera per eccellenza (prex). In secondo luogo, il nutrimento della preghiera è dato principalmente dalla Parola divina sia per l'esperienza esemplare – anche di preghiera – che essa offre, sia perché aiuta a leggere le situazioni della vita riportandole nella prospettiva del progetto originario dato da Dio ed espresso nelle condizioni dell'alleanza. In terzo luogo, va evidenziato il ruolo del silenzio come condizione di incontro, spazio di ascolto, occasione di dialogo e motivo di approfondimento. In tutto questo dinamismo non può essere trascurato l'aiuto offerto dal corpo, dallo spazio, dalle «cose» che stanno intorno, dai tempi e dai ritmi della vita. Nessuna lezione teorica, comunque, potrà mai esaurire tutta la problematica, le attese, i timori, le sconfitte che si incontrano in questo itinerario. Saranno le esperienze più diversificate che porteranno ad una sintesi personale in cui il religioso troverà, pur dopo una non facile ricerca, quel modo tutto personale di rapportare le più diverse dimensioni e situazioni della propria esistenza nella «logica» del Dio Trinità che si è fatto storia perché l’uomo potesse realizzare un cammino di divinizzazione.

Vivere in pienezza la liturgia

Il termine liturgia si trova per la prima volta nel greco classico, dove leitourgía indicava un’attività pubblica, svolta liberamente a servizio dei concittadini. Con il tempo liturgia indicò un qualunque servizio reso alla collettività o alla divinità. Nella Bibbia greca dei LXX liturgia indica sempre un “servizio religioso” reso a JHWH, mentre il NuovoTestamento adotta altri termini per indicare la realtà del nuovo culto «in spirito e verità» (Gv 4,24) inaugurato da Gesù Cristo. Al termine di un’ampia pagina biblico-teologica (cf SC 5-6; ma anche DV e LG), il Vaticano II presenta la liturgia come «l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo» (SC 7). L’azione rituale, con il linguaggio tipico dei segni e dei simboli, è il luogo di annuncio e realizzazione dell'opera santificatrice del Padre, per Cristo, nello Spirito; liturgia pertanto non equivale solo a rito, ma indica una realtà cui il rito stesso rinvia. Per evidenziare meglio questa realtà è stata attuata la riforma liturgica nella Chiesa di rito romano, e si è rinnovata la pastorale e la catechesi. Tanto la ricca documentazione liturgica, quanto la variegata produzione pastorale e catechistica che hanno caratterizzato le chiese locali dal Vaticano II in poi, mostrano quanto sia urgente continuare nell'impegno di comprensione della liturgia in modo da educare ad essa valorizzando i più diversi ambiti della vita, e secondo i ritmi del tempo. Il traguardo ultimo, che dà senso ad ogni espressione cultuale, è costituito dalla liturgia della vita, cioè da quel «culto spirituale» che Paolo evidenzia in Romani 12,1-2.

Comprendere la liturgia. Dal momento in cui è risuonato il comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24) la Chiesa in ogni tempo, luogo e cultura celebra il memoriale della Pasqua del suo Signore non ripetendo dei riti quasi fine a se stessi, ma elevando al Padre, con il loro linguaggio, il culto spirituale: celebrato nei diversi segmenti del quotidiano, attraverso il linguaggio simbolico e rituale, esso è l'unico che permette, in un contesto di fede, una reale comunicazione divino-umana, e viceversa. La mediazione sacerdotale di Cristo continua, nel tempo della storia e nella vita del religioso, ad attuare quella comunione-comunicazione portata a compimento una volta per tutte sulla Croce, perché ogni persona che si apre all'annuncio del Vangelo possa realizzare la più profonda liberazione interiore attraverso l'incontro reale ed efficace con il Dio della vita nella celebrazione sacramentale. I sacramenti, pertanto, attuano questo incontro a condizione che siano realmente simboli di quella volontà di incontro con il fratello, e di quel desiderio di liberazione da ogni forma di male, quali si devono attuare nel tessuto del quotidiano impregnato di Vangelo.

Un itinerario nel tempo.

 L'esperienza di Dio Trinità non può mai essere ridotta ad un momento puntuale; essa si attua e si prolunga nel tempo secondo quei ritmi che la pedagogia liturgica ha condensato nella progressiva strutturazione dell'anno liturgico. La sua articolazione – che non segue lo scorrere dei mesi e delle stagioni – è finalizzata a far vivere al religioso nel tempo l'esperienza misterica della Pasqua di Gesù Cristo. L'alternarsi di «tempi forti» (tempo natalizio e tempo pasquale) e del «tempo ordinario», di solennità, feste e memorie costituisce l'occasione per una conformazione sempre più piena e totalizzante a Cristo, Uomo nuovo e perfetto. Per questo, ciò che dà significato alla dimensione tempo non è la successione dei giorni e delle stagioni, ma la certezza di vivere l'opera della salvezza all'interno di un ciclo naturale, in cui gli elementi «sole» e «luce» sono assunti come segni di Cristo «sole di giustizia» e «luce che non conosce tramonto». Dal momento che l'esperienza del mistero passa attraverso il rito, anche l'anno liturgico (in armonia con i ritmi quotidiani della Liturgia delle Ore) costituisce un’esperienza educativa che permette al religioso di realizzare il proprio itinerario di fede e di vita. Educare ai dinamismi del rito liturgico è pertanto cogliere i contenuti e le metodologie di uno dei linguaggi chiamati ad esprimere e a realizzare quanto racchiuso nel mistero di quel tempo che scorre dall’Incarnazione fino al suo compimento nella Parusía.

Educare alla liturgia della vita.

Il titolo rinvia al ruolo educativo da attuare in ordine alla formazione liturgica. Dal momento in cui il Cristo ha inviato i suoi discepoli con il compito di evangelizzare e celebrare, Parola e Sacramento sono sempre stati accompagnati dall'impegno della comunità ecclesiale nell'educare all’esperienza viva e vivificante della Pasqua di Cristo. Come l'annuncio della Parola si realizza attraverso forme diverse, così la celebrazione del Sacramento richiede il supporto della formazione, della catechesi e dell'animazione. In tal modo Parola e Sacramento possono realizzare quella liturgia della vita o quel culto spirituale che si identifica con la libera accettazione della proposta divina, in attesa di una risposta che il rito è capace di espri-mere in verità quando questa è già stata ritualizzata nella vita. Nella stessa prospettiva è doveroso ricordare che la liturgia nel suo insieme ha la capacità innata di educare a se stessa. Infatti, mentre la Chiesa celebra, l'assemblea celebrante è educata a fare della propria vita un culto. Alla luce della Parola rivelata e annunciata nella liturgia, i testi eucologici diventano una memoria impegnativa e prospettica per chi partecipa all'azione liturgica con le necessarie disposizioni interiori. L'insieme dei linguaggi della liturgia contribuisce, inoltre, a coinvolgere il religioso nella sua totalità: tutti i sensi sono chiamati in azione, secondo il tipo di celebrazione e secondo le situazioni e i tempi liturgici. Linguaggio verbale e non verbale, unitamente alla ministerialità e al livello di fede dell'assemblea che celebra, contribuiscono non solo alla percezione esperienziale del mistero, ma anche alla sua vera e propria immedesimazione, in modo che il mistero celebrato e vissuto diventi una vera e propria mistica. In questo senso la dimensione catechetico-pastorale non può mai mancare in un itinerario educativo ordinato al vertice dell'esperienza religiosa cristiana quale si attua nel sacramento.

Ricupero di una «propria identità»

Il costante confronto con «un profondo intreccio di culture e religioni» impegna il religioso nel mantenimento o nel ricupero di una «propria identità» (NMI 36). La sottolineatura può essere letta come un invito alla valorizzazione di tutto ciò che può contribuire al raggiungimento di una simile identità.

Ma i riflessi di tutto questo chiamano in causa soprattutto «una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto» (NMI 43). In questa linea la spiritualità liturgica non è come un qualcosa che si sovrappone ad altre spiritualità proprie di ogni carisma; al contrario è la sorgente di ogni tipo di spiritualità perché solo nell'azione liturgica ogni religioso ha l'occasione, unica, di sperimentare la presenza e l'azione dello Spirito che agisce tramite l'epiclesi sacramentale. Il discorso della spiritualità - e di conseguenza della mistica (da mistero annunciato, celebrato e vissuto) - diventa pertanto strettamente connaturale con l'azione liturgica.

Questa panoramica permette di constatare quanto sia arduo il cammino da realizzare, e quanti gli elementi e le sfide implicati; ma ricorda anche che la "nuova evangelizzazione" potrà raggiungere i suoi obiettivi se sarà costantemente coniugata con una "nuova (o rinnovata) celebrazione" che, se ben realizzata, può avere un ruolo determinante nell'ambito della crescita della personalità cristiana verso la sua piena maturità in Cristo. «La liturgia della Chiesa non ha come scopo il placare i desideri e le paure dell’uomo, ma nell’ascoltare ed accogliere Gesù il Vivente, che onora e loda il Padre, per lodarlo e onorarlo con lui» (EiE 71). Programma stupendo per ogni scelta di vita religiosa! «Il nostro è tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per fare”. Dobbiamo resistere a questa tentazione, cercando di “essere” prima che di “fare”» (NMI 15). La dialettica fra l’essere e il fare trova la sua ricomposizione più armonica e immediata là dove il cammino della vita riparte in continuazione dal Mistero. Mistero che, iniziato con l’Incarnazione – «cuore pulsante del tempo» (NMI 5) – si prolunga e si attua nel tempo attraverso i segni della nuova e definitiva Alleanza: là dove si incontra «non una formula» che può salvare, «ma una Persona» (NMI 29). È dall’incontro vivo e vivificante con Gesù Cristo che il religioso, nella Chiesa, aperto ad «un futuro di speranza» (NMI 59), prolunga il mysterium lunae (NMI 54) quando continua ad essere «la luce del mondo» (Mt 5,14).

Manlio Sodi
Docente all’Università Pontificia Salesiana
Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 – 00139 Roma

   

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