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L'esperienza
sinodale delle Chiese d’Europa ha visto un primo coronamento dei lavori
nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa [=
EiE] che Giovanni Paolo II ha firmato il 28 giugno 2003.
Il documento, importante per la
peculiare prospettiva entro cui si muove, è incentrato «su Gesù Cristo,
vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa», come ben
indicato nel titolo. All’interno troviamo due sottolineature che possono
offrire la traccia per ogni anno pastorale (in cui anche i religiosi
sono coinvolti): riscoprire la liturgia, e celebrare i sacramenti.
Due aspetti non nuovi in sé; nuovo può risultare lo spirito che anima
l’insieme del documento e che proprio nell’azione liturgica ritrova una
squisita sorgente di azione e di vita. Ed è in questa ottica che si può
accogliere il pressante invito: «Celebra la salvezza di Cristo:
accoglila come dono che ti fa suo sacramento, fa’ della tua vita il vero
culto spirituale gradito a Dio»(EiE 69). Da qui la conseguente
esortazione: «È urgente che nella Chiesa si ravvivi l’autentico senso
della liturgia. Questa [...] è strumento di santificazione; è
celebrazione della fede della Chiesa; è mezzo di trasmissione della
fede» (EiE 70).
L’attuazione di questo programma
anche in contesto di vita religiosa comporta un «vero rinnovamento che
[...] consiste nello sviluppare sempre meglio la coscienza del senso del
mistero» (EiE 72); e perciò «è necessario un grande sforzo di
formazione» (EiE 73). Ecco la grande sfida che si riapre con un’attenta
preparazione e un’opportuna programmazione all’inizio di ogni anno
liturgico, in quanto ogni anno è lo spazio entro cui il religioso modula
e realizza il proprio progressivo immedesimarsi nel mistero di Cristo.
L’impegno di formazione ha lo scopo di dare forma a tale
sfida perché il religioso giunga ad essere ciò che celebra.
Come attuare tutto questo? L’insieme
di questo fascicolo offre contributi preziosi per un’educazione alla
preghiera che conduca ad un’esperienza totalizzante – pur sempre in
progress – del mistero. In quella linea il presente studio offre
l’orizzonte di riferimento ecclesiale (I), per concentrarsi sulla
domenica (II) e sulle modalità celebrative dell’Eucaristia (III); la
comune piattaforma è assicurata dall’educazione alla preghiera (IV) come
garanzia per vivere in pienezza la liturgia (V) non come attuazione di
un rito ma come occasione quotidiana per un ricupero della propria
identità di consacrati (VI).
Nel perenne cammino
della Chiesa
A nessuno è passato inosservato il
gesto compiuto da Giovanni Paolo II quando al termine della liturgia
eucaristica della solennità dell’Epifania del 2001 – a conclusione del
grande Giubileo – ha firmato sull’altare la Lettera apostolica Novo
millennio ineunte [= NMI]. Quella firma, apposta in un contesto
“liturgico”, da una parte sigillava la conclusione di un cammino,
dall’altra intendeva aprire prospettive per il futuro. Un cammino sempre
caratterizzato da una linea “liturgica”, così come era stato quello
proposto dalla Lettera apostolica Tertio millennio adveniente [=
TMA], firmata da Giovanni Paolo II il 10 novembre 1994.
L’aver impostato, infatti, la
preparazione al Giubileo attraverso la riscoperta e l’approfondimento di
elementi che ruotano essenzialmente attorno alla liturgia è stata la
carta vincente. I tre anni di preparazione hanno impegnato la comunità
ecclesiale nella riscoperta della presenza e del ruolo della Trinità
all’interno dell’anno liturgico. La lezione che ne è scaturita è stata
un invito a valorizzare la pedagogia - oltre che i contenuti - racchiusa
in ogni anno liturgico, in modo che ogni anno sia l’anno di Gesù Cristo,
dello Spirito, di Dio Padre, dell’Eucaristia, e di Maria SS.ma.
Quella linea giubilare non poteva non
essere ripresa e rilanciata, soprattutto allo scopo di rendere ogni anno
liturgico un autentico “anno giubilare”, sulla falsariga degli impegni e
dei traguardi evidenziati nella TMA. In questa prospettiva è pertanto da
non dimenticare la NMI. Tra i numerosi aspetti evidenziati, qui si
ricorda quello che riguarda uno dei nuclei portanti di tutto l’impegno
ecclesiale: la celebrazione dell’Eucaristia nel giorno del Signore, ma
ad alcune condizioni!
La domenica «giorno
speciale della fede»
Il 31 maggio 1998 Giovanni Paolo II
rilanciava all’intera comunità ecclesiale, attraverso la Lettera
apostolica Dies Domini, un articolato impegno circa la
santificazione della Domenica: documento strategico che continuerà ad
illuminare il cammino di educazione a quel giorno simbolico – il giorno
del Signore – in cui il credente è chiamato a ritrovare se stesso e gli
altri nell’incontro sacramentale con il Dio della Vita.
Gli elementi essenziali sono stati
recuperati dalla NMI. In particolare, due paragrafi la NMI dedica
all’Eucaristia domenicale: i nn. 35 e 36. La sottolineatura avviene nel
contesto della terza parte, quando si stimola la Chiesa a “ripartire da
Cristo”. L’inizio del terzo millennio ha raccolto l’invito ad «un
rinnovato slancio nella vita cristiana» non cercando «una formula
magica», non inventando «un nuovo programma» che possa soddisfare le
«grandi sfide del nostro tempo», ma valorizzando quel «programma che non
cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della
cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace» (NMI
29).
Ed ecco il richiamo programmatico in
cui la vita religiosa rimane profondamente coinvolta: «Il più grande e
impegnativo orizzonte della pastorale ordinaria» converge nel
raggiungimento della santità da additare come vera «urgenza della
pastorale» (NMI 30), anzi come «fondamento della programmazione
pastorale» (NMI 31).
È quanto mai significativo che in un
documento così strategico, mentre si ricorda tutta la complessa
attenzione che va rivolta alla progettazione pastorale, venga
puntualizzato il vero obiettivo di tutto questo impegno e si sottolinei
che la «pedagogia della santità» abbia bisogno di «percorsi… personali»
capaci di «adattarsi ai ritmi delle singole persone» (ib.); come pure di
un radicamento di tutto questo «nella contemplazione e nella preghiera»
(NMI 15); anzi, in un’«educazione alla preghiera» - all’«arte della
preghiera» (NMI 32) - presentata come «un punto qualificante di ogni
programmazione pastorale» (NMI
34). Al vertice e al cuore di questo
cammino la NMI colloca l’Eucaristia. La puntualizzazione di questo
sacramento non è prospettata per farne un’ampia trattazione, ma solo per
rilanciare all’attenzione dell’intera comunità ecclesiale alcuni
elementi che possono, anzi debbono, contribuire ad una partecipazione
sempre più piena alla celebrazione memoriale della Pasqua del Signore.
In questa linea, la evidenziazione di
alcuni aspetti che qui viene fatta, tiene presenti anche altri contenuti
relativi all’ascolto e all’annuncio della Parola (cf NMI 39-40) perché
strettamente congiunti con l’Eucaristia domenicale (si pensi al capitolo
III della Dies Domini dedicato all’«assemblea eucaristica cuore
della domenica», e ai nn. 75 e 81-82 dell’EiE).
Il «modo di
celebrare»: sfida e garanzia
Preso atto che la comunità cristiana
«molto è cresciuta […] nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto
l’Eucaristia» (NMI 35) la Lettera richiama l’attenzione sul ruolo della
domenica. In questo spazio simbolico e gratuito, infatti, «la Chiesa
continuerà ad additare ad ogni generazione ciò che costituisce l’asse
portante della storia» (NMI 35).
Ricondurre pertanto l’attenzione
delle strategie formative e progettuali a questo “giorno” è riportare
l’oggetto dell’attenzione del fedele e degli operatori pastorali al
cuore del problema e alla base di una linea di animazione che richiede
alcune attenzioni. E questo perché la partecipazione all’Eucaristia «sia
veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un impegno
irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere a un precetto, ma come
bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente» (NMI
36).
La Lettera apostolica Dies Domini
ha già ampiamente illustrato le linee di educazione per comprendere
la domenica come il giorno della Trinità, dell’assemblea, della persona;
come la festa primordiale rivelatrice del senso del tempo. Il recupero
di quegli elementi fornisce materia preziosa per approfondire il senso
di un appuntamento settimanale che, nel volgere «dei millenni, rimane
come memoriale e simbolo.
Quando però la NMI introduce il
discorso sull’Eucaristia dome-nicale, presenta un’affermazione che se da
una parte constata un dato di fatto, dall’altra costituisce una sfida e
insieme una garanzia: «Il massimo impegno va posto [dunque] nella
liturgia»» e in particolare nel «modo di celebrare i sacramenti e
soprattutto l’Eucaristia» (NMI 35). L’affermazione, accompagnata dalla
classica citazione conciliare culmen et fons (cf SC 10),
costituisce una sfida e una garanzia.
La sfida risiede nel fatto che
se l’azione liturgica è lo spazio simbolico che permette di unire la
realtà e le scelte della vita di ogni giorno con il Dio della Vita,
allora bisognerà continuare in un impegno quanto mai strategico per fare
in modo che il complesso linguaggio simbolico tipico della liturgia sia
compreso e fatto proprio. Ciò comporta conseguenze molto impegnative a
livello operativo; tali però che non possono essere disattese, pena lo
svuotamento di significato del senso dello stesso giorno del Signore.
Di riflesso, la garanzia di
una vita cristiana (e particolarmente quella religiosa) illuminata dalla
Parola di Vita è offerta e sorretta dalla partecipazione a quei santi
segni propri dell’Eucaristia. L’incontro vivo e reale con il Dio della
Vita - nei suoi misteri - garantisce al fedele in cammino tutto quel
sostegno di cui ha bisogno per affrontare le più diverse sfide. In
questa linea, pertanto, è necessario porsi l’interrogativo: cosa fare
perché l’Eucaristia domenicale “garantisca” la risposta a queste attese?
Educarsi per educare
alla preghiera
Al di là delle numerose definizioni
di preghiera che possono rispecchiare le altrettante forme con cui la
persona si rapporta con il soprannaturale, anche nell’ambito della vita
religiosa, la preghiera assume connotazioni diverse secondo
l'atteggiamento spirituale del fedele, le sue motivazioni, il rapporto
tra preghiera e vita, la relazione che intercorre tra preghiera
personale e preghiera comunitaria.
Un quadro di riferimento.
Il cammino di educazione alla
preghiera va visto in un contesto ampio che tenga presenti le tappe che
iniziano con il noviziato, per continuare poi, con maggior impegno,
negli itinerari successivi. Ciò richiede un atteggiamento di progettuale
continuità della proposta educativa e formativa. La continuità ha senso
quando si pone all'interno di un quadro o progetto di riferimento
cui converge e da cui prende senso lo specifico cammino educativo:
l’evangelizzazione e i sacramenti. La prima è la base per le iniziali
esperienze di preghiera (educare ad atteggiamenti di lode,
ringraziamento, benedizione, supplica; esempi eloquenti si trovano
specialmente nei Salmi). La seconda è un'esperienza più raffinata e
impegnativa di preghiera cristiana, in quanto il sacramento, l'anno
liturgico, la Liturgia delle Ore (senza dimenticare le tante forme di
devozione e di pietà popolare) costituiscono ambiti privilegiati di
preghiera, che realizzano un contatto più o meno profondo con il Dio
dell'alleanza.
La preghiera
cristiana.
In seguito alle prime esperienze il
religioso percepisce sempre meglio che la preghiera cristiana è:
ascolto di Dio che parla; contemplazione dei segni della sua
presenza nei fratelli e nelle più diverse realtà; dialogo con chi
per primo si è già mosso per venire incontro; progressiva comunione
con il tutt'Altro già presente nell'intimo di ogni persona. Alla
precisazione dell'essenza della preghiera cristiana si accompagnano
cinque interrogativi: Chi prega? Il religioso che ha realizzato
un minimo di conoscenza del Dio di Gesù Cristo. Come pregare? Le
modalità sono diversificate; la storia arricchisce l'oggi con una
pluralità di forme che rispondono all'ampia gamma di attese spirituali
del singolo secondo gli innumerevoli carismi che lo Spirito suscita
nella storia. Dove pregare? I luoghi più adatti possono essere in
rapporto con situazioni personali o con occasioni comunitarie e
ufficiali. Quando pregare? La preghiera cristiana ufficiale ha
ritmi, orari, ma il religioso prega sempre quando fa delle scelte
ordinarie della propria vita una risposta sincera e totale al Dio
dell'alleanza. Perché pregare? La comprensione delle dimensioni
della preghiera cristiana (ascolto, contemplazione, dialogo, comunione)
offre la risposta più convincente: nella preghiera il religioso
accoglie la voce di Dio, trasfigura le realtà quotidiane
dando loro il più genuino significato, intesse un rapporto con
Dio e con le realtà create contribuendo a realizzare quella comunione
che la storia della salvezza esprime e declina attorno alla
categoria dell’alleanza.
Alcuni punti fermi.
Nell'ambito
cristiano il culmine e insieme la fonte della preghiera è
l’Eucaristia, perché lì la proposta divina e la risposta umana
trovano il loro punto d’incontro. Non per nulla la preghiera
eucaristica, che racchiude tutti i temi della preghiera cristiana, è
chiamata da sempre la preghiera per eccellenza (prex). In secondo
luogo, il nutrimento della preghiera è dato principalmente dalla
Parola divina sia per l'esperienza esemplare – anche di preghiera – che
essa offre, sia perché aiuta a leggere le situazioni della vita
riportandole nella prospettiva del progetto originario dato da Dio ed
espresso nelle condizioni dell'alleanza. In terzo luogo, va evidenziato
il ruolo del silenzio come condizione di incontro, spazio di
ascolto, occasione di dialogo e motivo di approfondimento. In tutto
questo dinamismo non può essere trascurato l'aiuto offerto dal corpo,
dallo spazio, dalle «cose» che stanno intorno, dai
tempi e dai ritmi della vita. Nessuna lezione teorica,
comunque, potrà mai esaurire tutta la problematica, le attese, i timori,
le sconfitte che si incontrano in questo itinerario. Saranno le
esperienze più diversificate che porteranno ad una sintesi personale in
cui il religioso troverà, pur dopo una non facile ricerca, quel modo
tutto personale di rapportare le più diverse dimensioni e situazioni
della propria esistenza nella «logica» del Dio Trinità che si è fatto
storia perché l’uomo potesse realizzare un cammino di divinizzazione.
Vivere in pienezza la
liturgia
Il termine liturgia si trova
per la prima volta nel greco classico, dove leitourgía indicava
un’attività pubblica, svolta liberamente a servizio dei concittadini.
Con il tempo liturgia indicò un qualunque servizio reso alla
collettività o alla divinità. Nella Bibbia greca dei LXX liturgia
indica sempre un “servizio religioso” reso a JHWH, mentre il
NuovoTestamento adotta altri termini per indicare la realtà del nuovo
culto «in spirito e verità» (Gv 4,24) inaugurato da Gesù Cristo. Al
termine di un’ampia pagina biblico-teologica (cf SC 5-6; ma anche DV e
LG), il Vaticano II presenta la liturgia come «l'esercizio del
sacerdozio di Gesù Cristo» (SC 7). L’azione rituale, con il linguaggio
tipico dei segni e dei simboli, è il luogo di annuncio e realizzazione
dell'opera santificatrice del Padre, per Cristo, nello Spirito; liturgia
pertanto non equivale solo a rito, ma indica una realtà cui il
rito stesso rinvia. Per evidenziare meglio questa realtà è stata attuata
la riforma liturgica nella Chiesa di rito romano, e si è rinnovata la
pastorale e la catechesi. Tanto la ricca documentazione liturgica,
quanto la variegata produzione pastorale e catechistica che hanno
caratterizzato le chiese locali dal Vaticano II in poi, mostrano quanto
sia urgente continuare nell'impegno di comprensione della liturgia
in modo da educare ad essa valorizzando i più diversi ambiti
della vita, e secondo i ritmi del tempo. Il traguardo ultimo, che dà
senso ad ogni espressione cultuale, è costituito dalla liturgia della
vita, cioè da quel «culto spirituale» che Paolo evidenzia in Romani
12,1-2.
Comprendere la liturgia.
Dal momento in cui è risuonato il
comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24) la Chiesa
in ogni tempo, luogo e cultura celebra il memoriale della Pasqua del suo
Signore non ripetendo dei riti quasi fine a se stessi, ma elevando al
Padre, con il loro linguaggio, il culto spirituale: celebrato nei
diversi segmenti del quotidiano, attraverso il linguaggio simbolico e
rituale, esso è l'unico che permette, in un contesto di fede, una
reale comunicazione divino-umana, e viceversa. La mediazione sacerdotale
di Cristo continua, nel tempo della storia e nella vita del religioso,
ad attuare quella comunione-comunicazione portata a compimento una volta
per tutte sulla Croce, perché ogni persona che si apre all'annuncio del
Vangelo possa realizzare la più profonda liberazione interiore
attraverso l'incontro reale ed efficace con il Dio della vita nella
celebrazione sacramentale. I sacramenti, pertanto, attuano questo
incontro a condizione che siano realmente simboli di quella
volontà di incontro con il fratello, e di quel desiderio di
liberazione da ogni forma di male, quali si devono attuare nel
tessuto del quotidiano impregnato di Vangelo.
Un itinerario nel
tempo.
L'esperienza
di Dio Trinità non può mai essere ridotta ad un momento puntuale; essa
si attua e si prolunga nel tempo secondo quei ritmi che la pedagogia
liturgica ha condensato nella progressiva strutturazione dell'anno
liturgico. La sua articolazione – che non segue lo scorrere dei mesi
e delle stagioni – è finalizzata a far vivere al religioso nel tempo
l'esperienza misterica della Pasqua di Gesù Cristo. L'alternarsi di
«tempi forti» (tempo natalizio e tempo pasquale) e del «tempo
ordinario», di solennità, feste e memorie costituisce l'occasione per
una conformazione sempre più piena e totalizzante a Cristo, Uomo nuovo e
perfetto. Per questo, ciò che dà significato alla dimensione tempo
non è la successione dei giorni e delle stagioni, ma la certezza di
vivere l'opera della salvezza all'interno di un ciclo naturale, in cui
gli elementi «sole» e «luce» sono assunti come segni di Cristo «sole di
giustizia» e «luce che non conosce tramonto». Dal momento che
l'esperienza del mistero passa attraverso il rito, anche l'anno
liturgico (in armonia con i ritmi quotidiani della Liturgia delle Ore)
costituisce un’esperienza educativa che permette al religioso di
realizzare il proprio itinerario di fede e di vita. Educare ai dinamismi
del rito liturgico è pertanto cogliere i contenuti e le metodologie di
uno dei linguaggi chiamati ad esprimere e a realizzare quanto racchiuso
nel mistero di quel tempo che scorre dall’Incarnazione fino al suo
compimento nella Parusía.
Educare alla liturgia della
vita.
Il titolo rinvia al ruolo educativo
da attuare in ordine alla formazione liturgica. Dal momento in cui il
Cristo ha inviato i suoi discepoli con il compito di evangelizzare e
celebrare, Parola e Sacramento sono sempre stati accompagnati
dall'impegno della comunità ecclesiale nell'educare all’esperienza viva
e vivificante della Pasqua di Cristo. Come l'annuncio della Parola si
realizza attraverso forme diverse, così la celebrazione del Sacramento
richiede il supporto della formazione, della catechesi e
dell'animazione. In tal modo Parola e Sacramento possono realizzare
quella liturgia della vita o quel culto spirituale che si
identifica con la libera accettazione della proposta divina, in
attesa di una risposta che il rito è capace di espri-mere in
verità quando questa è già stata ritualizzata nella vita.
Nella stessa prospettiva è doveroso ricordare che la liturgia nel suo
insieme ha la capacità innata di educare a se stessa. Infatti, mentre la
Chiesa celebra, l'assemblea celebrante è educata a fare della propria
vita un culto. Alla luce della Parola rivelata e annunciata nella
liturgia, i testi eucologici diventano una memoria impegnativa e
prospettica per chi partecipa all'azione liturgica con le necessarie
disposizioni interiori. L'insieme dei linguaggi della liturgia
contribuisce, inoltre, a coinvolgere il religioso nella sua totalità:
tutti i sensi sono chiamati in azione, secondo il tipo di celebrazione e
secondo le situazioni e i tempi liturgici. Linguaggio verbale e non
verbale, unitamente alla ministerialità e al livello di fede
dell'assemblea che celebra, contribuiscono non solo alla percezione
esperienziale del mistero, ma anche alla sua vera e propria
immedesimazione, in modo che il mistero celebrato e vissuto diventi una
vera e propria mistica. In questo senso la dimensione
catechetico-pastorale non può mai mancare in un itinerario educativo
ordinato al vertice dell'esperienza religiosa cristiana quale si attua
nel sacramento.
Ricupero di una
«propria identità»
Il costante confronto con «un
profondo intreccio di culture e religioni» impegna il religioso nel
mantenimento o nel ricupero di una «propria identità» (NMI 36). La
sottolineatura può essere letta come un invito alla valorizzazione di
tutto ciò che può contribuire al raggiungimento di una simile identità.
Ma i riflessi di tutto questo
chiamano in causa soprattutto «una spiritualità della comunione,
facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si
plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i
consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e
le comunità. Spiritualità della comunione significa sguardo del cuore
portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va
colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto» (NMI 43). In
questa linea la spiritualità liturgica non è come un qualcosa che si
sovrappone ad altre spiritualità proprie di ogni carisma; al contrario è
la sorgente di ogni tipo di spiritualità perché solo nell'azione
liturgica ogni religioso ha l'occasione, unica, di sperimentare la
presenza e l'azione dello Spirito che agisce tramite l'epiclesi
sacramentale. Il discorso della spiritualità - e di conseguenza della
mistica (da mistero annunciato, celebrato e vissuto) -
diventa pertanto strettamente connaturale con l'azione liturgica.
Questa panoramica permette di
constatare quanto sia arduo il cammino da realizzare, e quanti gli
elementi e le sfide implicati; ma ricorda anche che la "nuova
evangelizzazione" potrà raggiungere i suoi obiettivi se sarà
costantemente coniugata con una "nuova (o rinnovata) celebrazione" che,
se ben realizzata, può avere un ruolo determinante nell'ambito della
crescita della personalità cristiana verso la sua piena maturità in
Cristo. «La liturgia della Chiesa non ha come scopo il placare i
desideri e le paure dell’uomo, ma nell’ascoltare ed accogliere Gesù il
Vivente, che onora e loda il Padre, per lodarlo e onorarlo con lui» (EiE
71). Programma stupendo per ogni scelta di vita religiosa! «Il nostro è
tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col
facile rischio del “fare per fare”. Dobbiamo resistere a questa
tentazione, cercando di “essere” prima che di “fare”» (NMI 15). La
dialettica fra l’essere e il fare trova la sua
ricomposizione più armonica e immediata là dove il cammino della vita
riparte in continuazione dal Mistero. Mistero che, iniziato con
l’Incarnazione – «cuore pulsante del tempo» (NMI 5) – si prolunga e si
attua nel tempo attraverso i segni della nuova e definitiva Alleanza: là
dove si incontra «non una formula» che può salvare, «ma una Persona» (NMI
29). È dall’incontro vivo e vivificante con Gesù Cristo che il
religioso, nella Chiesa, aperto ad «un futuro di speranza» (NMI 59),
prolunga il mysterium lunae (NMI 54) quando continua ad essere
«la luce del mondo» (Mt 5,14).
Manlio Sodi
Docente all’Università Pontificia Salesiana
Piazza dell’Ateneo
Salesiano, 1 – 00139 Roma
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