n. 12
dicembre 2008
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Per una spiritualità
della gioia
di JESÚS CASTELLANO
CERVERA*
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Sono
rimasto sorpreso per l’insistenza con cui ricorre nei vangeli
dell’ultima cena l’invito alla gioia (Gv 15,11; 16,20-21; 22.24; 17,13).
È uno dei temi che più ricorrono nei discorsi di addio dell’ultimo
incontro conviviale di Gesù con i discepoli, quasi una preparazione
psicologica e una pedagogia amorevole per quanto sta per accadere, e
che, tuttavia, non è una fine tragica ma un passaggio doveroso. La
tristezza dei discepoli, assicura Gesù, si muterà in gaudio. Nelle sue
confidenze intime Gesù parla della sua gioia e assicura la nostra. È
promessa e dono, è invito e superamento, un invito alla pienezza. «La
mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».1
Vale la pena lasciarsi istruire da un maestro che parla così di sé, e
promette tanto a noi.
A pensarci bene dobbiamo ammettere che la gioia è una
parola chiave del lessico cristiano. Dall’Antico Testamento, con la
gioia di Dio e dell’uomo nella creazione, all’Apocalisse, con la
promessa della gioia senza ombre, un fiume pieno di letizia percorre
tutta la Bibbia, con momenti di notte e di buio, ma con la vittoria
finale che tutto mette a posto e anticipa le ragioni della speranza in
ogni momento. Tutto è detto nelle pagine della Bibbia. Gioia di Dio per
la sua creazione, a tal punto che, vedendo la bellezza del mondo e
special-mente della creatura umana, la pupilla di Dio, dicono i rabbini,
si è dilatata, fino a far sgorgare una lacrima di estrema gioia divina e
di piacere divino. La gioia quindi è insieme realtà interiore e
manifestazione esteriore.
Dall’inizio alla fine tutto il vangelo di Luca è un
inno alla gioia, come accade nel saluto dell’angelo a Maria (
«Rallegrati»), nel Magnificat, nella buona novella annunziata ai
pastori: «Vi annunzio una grande gioia», nell’annuncio di Gesù alla
sinagoga di Nazaret, nell’esultanza della sua preghiera, mosso dallo
Spirito Santo. Possiamo dire che tutta la vita e la predicazione di Gesù
sono un vero e proprio Evangelion, una gioiosa notizia del Regno.2
Ragioni non mancano per essere felici. Possono essere
settanta o centomila, quante ne vogliamo. Come tante sorgenti, ma con
un’unica acqua. Forse i cristiani non se ne accorgono e non danno
testimonianza di una real-tà così semplice, tanto che spesso i non
credenti li rimproverano per il loro volto triste, come se non fosse
vero che hanno una fede che è sorgente di felicità. In realtà, anche le
ragioni per essere tristi ci sono, ma sono sempre relative e non
definitive, perché la speranza cristiana ha già sconfitto in precedenza
le ragioni di una tristezza definitiva.
I.
GIOIA, FELICITÀ, BEATITUDINE
Oggi si parla della riscoperta della bellezza come
espressione di una necessaria integrazione con la verità e la bontà, le
due colonne o i due trascendentali classici. Io mi batto per introdurre
la quarta colonna, quella della gioia, della felicità, della
beatitudine. La gioia è desiderio intimo della persona, ricerca costante
e mai appagata, promessa di qualcuno che invita ad essere sempre nella
gioia, anche in mezzo a prove e persecuzioni. Alla parola recente della
teologia: «Dio è bellezza», occorre aggiungere: «Dio è gioia». Una
giovane santa carmelitana, la cilena Teresa de los Andes, ha coniato la
frase: «Dio è gioia infinita».
Occorre quindi mettersi alla riscoperta delle
sorgenti e del percorso della gioia di Dio e dell’uomo per un
cristianesimo che porti il timbro di un Dio d’infinita gioia divina
vissuta e comunicata. Del resto, il grande predica-tore Gesù, figlio di
Dio, ha iniziato la propaganda del suo messaggio nuovo nel vangelo di
Matteo con un invito alla felicità, la pagina delle beatitudini, e una
promessa, quella della beatitu-dine. Beati, cioè, felici, gioiosi…
Certo, non a poco prezzo, ma rovesciando i valori della gioia secondo il
mondo, con un invito a coloro che l’ascoltavano, cioè i poveri e gli
infelici del suo tempo e di tutti i tempi.
Il Regno di Dio che Gesù annunzia con divina
pedagogia, porta sempre con sé, come frutto e lievito, l’esperienza e la
promessa di una santa letizia. Gesù ha vissuto una esperienza giubilare,
gioiosa, nella libertà e nella condivisione di tutto. Ha creato la
Chiesa della gioia, dove i primi cristiani mettevano in luce soprattutto
la letizia e la semplicità del cuore; la loro gioia dal cuore fioriva
sul volto.
Molte componenti ha la gioia: la luminosità degli
occhi, la lievità aperta del volto, la forza dell’amore espressa in
parole e sguardi, la dilatazione del sorriso, lo stupore di un
sentimento nuovo e gratificante che fa bene anche alle arterie, illumina
tutta la persona che a sua volta diffonde luce sugli altri.
Riflessione antropologica
Talvolta il sorriso scoppia nella risata, provocata
da un colpo di ingegno, una osservazione acuta, una uscita
imprevedibile, una presa in giro nel senso più esatto della parola, un
rigirare le cose per scoprire un altro lato della realtà, svelare il
senso del ridicolo di certi atteggiamenti, contestare un modo tutto
razionale e serio di vedere le cose, ampliare gli orizzonti del pensiero
e dell’esistenza.
Ecco, il sorriso e la risata fanno buon sangue, si
dice. Gioia, sorriso e umorismo nascono da un cuore buono, mite e
profondamente umano. Sono come una forza creativa che nel nostro intimo
non si rassegna alla tristezza e ai limiti; come uno scoppiettio di
speranza che cerca altre soluzioni e ragioni, seminando allegrezza,
perché è proprio della persona creata ad immagine di Dio comunicare,
donare, condividere. Il sorriso e la risata chiedono verità e
schiettezza, ma anche una certa bontà e bellezza un po’ arlecchina,
simile a quella del clown che, consapevole dei limiti propri ed altrui,
strappa sorrisi a bambini e ad adulti.
Ma attenzione! Il sorriso e la risata non devono
diventare una smorfia infelice e vuota, e l’umore non deve caricare le
tinte per diventare quello che si chiama humour nero, che
incenerisce subito la gioia seppellendola in una tristezza ancor più
profonda. L’humour superficiale o morboso scandalizza, seminando nel
cuore e nella mente tossine di malizia e di cattiveria che sconvolgono
l’equilibrio personale e il rapporto con gli altri. Basterebbe questa
serie di osservazioni per capire quanto siano importanti la gioia, il
sorriso e l’umorismo, quanto essi si addicano alla vocazione umana e
cristiana, quanto siano un dono di Dio ed una invidiabile qualità,
quanto possano contribuire a cambiare il mondo, cominciando a
trasfor-mare volto, cuore, rapporti e incontri delle persone. Tuttavia
quanto fragile è l’equilibrio e sottile la demarcazione fra vera
gioia, piena di bontà e di bellezza, che si colora di umorismo e
trasfigura i volti nel sorriso, e falsa gioia che produce smorfie
e non sorrisi! Humour nero e non bianco, che distilla amarezza e
pessimismo e non bontà ed ottimismo cristiano.
Se poi si guarda a questo nostro mondo dove c’è tanta
tristezza e tanta gioia superficiale, viene da invitare i cristiani,
persone della gioia, del sorriso e del buon umore, a diventare apostoli
di un nuovo ministero umanistico, quello del buon umore e dell’ottimismo
cristiano. La Chiesa ha bisogno di diventare casa e scuola di comunione
nella gioia vera, tanto più umana quanto divina.
Ma quale posto occupano la gioia e l’umorismo in una
sana spiritualità? A dire il vero non è difficile trovare a livello
teorico in libri e dizionari di vita spirituale anche recenti, pagine
belle e suggestive sulla gioia. Si può proporre un vero e proprio
trattato di teologia biblica della gioia, come è stato fatto di recente
in due volumi monografici del Dizionario di spiritualità biblica e
patristica, il n. 26 dedicato alla Bibbia, il n. 27 dedicato ai
Padri della Chiesa di Oriente e di Occidente.3
Invece di tediare con una serie infinita di citazioni bibliche e
patristiche sulla gioia, le sue cause, le sue fonti, si vogliono qui
offrire alcuni spunti che permettono di evidenziare la gioia di Dio e la
gioia umana, quali autentiche esperienze di spiritualità.
L’esperienza liturgica
Di gioia parlano tanti testi liturgici, oltre ai
salmi e ai cantici, che mettono sulle labbra dei fedeli più che parole
sentimenti, che fanno commuovere il cuore nell’esperienza ineffabile del
canto, spesso accompagnato da felici melodie chiamate Jubilus,
come l’Alleluia del gregoriano, un modo di gioire e far gioire,
che si eleva e cade, si rialza e si slancia, quasi con un desiderio
interminabile. «"Luce gioiosa", ("Phos ilaron", cioè "Ilare luce"), luce
che procuri la gioia e il gaudio, che generi il sorriso del cuore e
della labbra»: è l’inizio di uno degli inni rivolto a Cristo tra quelli
più antichi della liturgia bizantina, cantato ancora oggi nel vespro,
quando scende la sera. Occorre ascoltare quell’antica melodia cantata
dai nostri fratelli ortodossi della Grecia, per sperimentare la vera
gioia spirituale dell’invocazione a Cristo, mentre il sole tramonta e il
giorno volge al termine. I canti della chiesa antica e moderna hanno
suscitato tanta gioia nei cuori nelle celebrazioni liturgiche, come
quelli, ad es., ricordati da Agostino nel momento della sua conversione,
o da Paul Claudel, più vicino a noi, nel giorno del suo battesimo a
Notre Dame de Paris.
Gioia del cielo sulla terra, s’intitola uno dei
primi libri di Max Thurian dedicato alla liturgia vissuta con la
semplicità dei cuori puri. Una liturgia, quella attuata dai monaci di
Taizé, che è riuscita ad attirare tanti giovani, dove bellezza, bontà e
gioia si mescolano a gesti, luci, icone e canti.
Ma la gioia vissuta nella liturgia si porta in terra
con l’esperienza della carità, affinché - secondo la bella espressione
di Crisostomo -, «la terra diventi cielo», facendo a Cristo quello che è
fatto al più piccolo. È un messaggio sempre attuale quello di portare la
gioia di Cristo nel mondo, dove c’è tanta tristezza. Per questo la
liturgia, in modo speciale la liturgia della notte santa di Pasqua, è
piena di inviti alla gioia, a cominciare dal Preconio pasquale, l’Exsultet,
che dà il "la" di una tonalità gioiosa e pasquale alla vita
cristiana: «Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste, sia
in festa tutta la Chiesa…».
Dossier
Un’ondata di letizia attraversa i canti liturgici
pasquali di Oriente e di Occidente, come pure il saluto pasquale che i
cristiani durante il tempo di Pasqua si rivolgono: «Cristo è risorto.
Sì, è veramente risorto». Gioia che si rinnova e si prolunga in ogni
domenica. È nota la famosa frase della Didascalia degli apostoli:
«Chi è triste nella domenica commette peccato». La vittoria di Cristo
rimane la ragione definitiva della gioia cristiana. È emblematico per i
cristiani il canto dell’Alleluia, sinonimo di gioia cantata al
Signore. Alleluia è il canto nuovo della Pasqua, il canto dei
pellegrini verso la patria secondo la bella espressione di Agostino:
«Canta e cammina»; pellegrini che condividono la stessa letizia
traboccante di speranza e che si fanno coraggio nella stanchezza
guardando in avanti, prendendosi per mano, cantare camminando e
camminare cantando.4
Davvero quello del cristiano è un cammino gioioso. Un
auto-re cristiano dei primi secoli, Eusebio di Seleucia, ha potuto
scrivere una frase ad effetto che rivela il valore perenne della
spiritualità cristiana, attinta alla gioia della Pasqua: «La
risurrezione di Gesù ha fatto della vita dei cristiani una festa senza
fine».5 Questa frase, letta da un monaco di
Taizé afflitto da cancro e comunicata a Roger Schutz, ha dato origine a
un libro che ha avuto molta risonanza presso i giovani pellegrini della
comunità di Taizé: La tua festa non abbia fine.6
«Festa senza fine», «sacra celebrazione», «giorno senza tramonto» è
stata definita la vita dei cristiani che credono nella Pasqua. Non è
motivo di gioia e di realismo sentirsi dire da Origene che il cristiano
è il luogo della celebrazione e della festa? Egli si deve ritenere
sempre un tempio abitato da Dio, anche se si trova nel teatro, perché è
il santuario di Dio.7
Forse dobbiamo ritornare alla Pasqua come ad un punto
di riferimento essenziale per la gioia cristiana. La certezza della
risurrezione di Gesù è anche certezza della vittoria del bene sul male,
dell’amore sulla morte: certezza della vittoria del Padre che ha
risuscitato Gesù e lo ha costituito Signore. Egli è la garanzia della
vittoria finale, ma anche della presenza tra noi e in noi di una
sorgente di gioia infinita. Un autore spagnolo, J. Martin Descalzo, ha
scritto un succoso libretto dal titolo Le ragioni della gioia. 70
motivi per trovare la serenità.8 Alla
fine del libro sintetizza tutto il suo insegnamento con una
considerazione sul tempo di Pasqua ed una serie di ragioni fondamentali
che partono dalla risurrezione di Cristo come motivi essenziali e
definitivi di letizia. La Pasqua è considerata un «laetissimum spatium»,
uno spazio traboccante di gioia, come afferma Tertulliano, da celebrare
durante cinquanta giorni, e poi ogni settimana.
Gaudete in Domino
Sì, abbiamo anche fra i documenti recenti del
magistero un bel documento sulla gioia cristiana promulgato da Paolo VI.9
L’ha scritto un Papa che aveva piuttosto un volto mesto. Alcuni lo
chiamavano maliziosamente "Paolo mesto", ma forse non avevano mai
fissato gli occhi luminosi di quel Papa e non avevano mai ascoltato
certe parole di fuoco pronunciate in determinati momenti. Ecco cosa ha
detto parlando dello Spirito Santo in una pagina fra le più belle
scritte sul Paraclito: «Egli è animatore e santificatore della Chiesa,
suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore,
sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo
consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio,
suo pegno e preludio di vita beata ed eterna». Un testo che fa gioire
dal più profondo del cuore e dice che non solo la gioia è dono dello
Spirito, ma che lo Spirito è la gioia e la sorgente perenne della
letizia cristiana.
Proprio Paolo VI, celebrando l’anno giubilare, ha
voluto donare alla Chiesa il manifesto della gioia cristiana con
l’Esortazione Apostolica Gaudete in Domino del 9 maggio 1975.
Tutto quello che si può dire a livello biblico e teologico della gioia
cristiana vi si trova scritto in una felice sintesi. Gioia come
espressione caratteristica della natura umana; è, infatti, una delle
"passioni" della persona, cioè di quei sentimenti ricchi di risonanza e
di bellezza che sono il patrimonio antropologico più bello. Gioia non
frenata e non offuscata dalle contraddizioni che la minacciano e la
fanno venire meno, per i mille fenomeni che la mettono in difficoltà.
Paolo VI annunzia le grandi verità della Bibbia, l’esempio dei santi
martiri gioiosi che hanno dato testimonianza di gioia e perfino di
umorismo davanti ai carnefici, come si racconta di san Lorenzo sulla
grati-cola. Cita figure luminose di apologisti, testimoni e dottori
della gioia come Agostino, Francesco, Bernardo, Domenico, Ignazio,
Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Giovanni Bosco, Teresa de Lisieux,
Massimiliano Kolbe. Anche se all’appello mancano Francesco di Sales e
Filippo Neri.
C’è quindi nella Chiesa cattolica una buona teologia
della gioia radicata nella stessa psicologia umana, nelle ragioni più
profonde della fede, della natura e della grazia, nelle certezze che ci
vengono dalla paternità di Dio, dalla presenza di Cristo, dalla nostra
vita destinata alla gloria, dalle mille gioie della vita seminate lungo
le strade della nostra giornata. Gioie che fanno la storia del
quotidiano.
L’esperienza spirituale
Esiste una considerazione particolare della gioia
nell’ambito della spiritualità? Ad essere sistematici nelle nostre
considerazioni dobbiamo dire che non esiste una vita cristiana, che non
sia pure piena di letizia, uno dei frutti dello Spirito. Anche se spesso
gli studiosi della spiritualità dimenticano di inserirla nelle loro
considerazioni sistematiche, i veri autori spirituali la mettono al
centro delle loro testimonianze. Oggi il tema della gioia e della festa
è tornato di moda. Con estrema regolarità, nei periodi in cui il
rigorismo e la freddezza prevalgono nella vita della Chiesa, lo Spirito
Santo suscita una ventata di teologia e di spiritualità della gioia,
un’ondata carismatica. È capitato anche nei decenni passati. Quando il
vento di tramontana della secolarizzazione ha spazzato via tante cose
nella Chiesa, lo Spirito Santo ha soffiato un po’ di scirocco di fervore
e di semplicità per ridare equilibrio alla sua Chiesa. Basti pensare a
quanto è avvenuto nella Chiesa con le espressioni di gioia del
rinnovamento carismatico. Quando i seri teologi inondano con volumi
ponderosi ed interminabili la teologia, ritorna di moda la saggezza
degli apologhi, delle fiabe, dei racconti.
La teologia della gioia risplende nella spiritualità
della liberazione, gioia dei poveri di JHWH che si "abbeverano nel
proprio pozzo": è la saggezza della vita che porta a festeggiare in
letizia la creaturalità, la fede in Dio Padre, la speranza, la
dime-stichezza tutta familiare con la Vergine Maria ed i Santi, come
accade nei popoli del cosiddetto terzo mondo, veri maestri di gioia e di
semplicità cristiana. Certo, la gioia è un dono ed un cammino, una
responsabilità ed un compito. Alcuni potrebbero ricondurre tutto ad una
certa superficialità che metterebbe in pericolo la serietà della croce e
il superamento ontologico del dolore e della morte con la risurrezione
del Signore. Per questo non possiamo dimenticare che la gioia vera sorge
dall’abisso dell’abbandono di Gesù sulla Croce, limite di ogni limite.
La gioia più vera ed autentica nasce da questo abbraccio generoso del
Dio Crocifisso e Risorto.
Ci sono di esempio i santi, uomini e donne di gioia
vera, provata, ma autentica, comunicatori di entusiasmo e di speranza;
uomini e donne delle notti oscure e delle giornate luminose della
quotidiana esperienza cristiana. Se è vero, come afferma il noto
documento del Vaticano II dal titolo Gaudium et spes al n. 1, che
nulla di quanto è umano è alieno al cuore del discepolo di Cristo, come
possiamo togliere la gioia, con i suoi sentimenti più veri e le sue
ragioni più umane, dal vocabolario, dalla teologia e dalla spiritualità
di Colui che ci ha parlato della gioia ed è lui stesso «il nostro
gaudio»?10
Note
* È raro trovare chi sa connettere
gioia e umorismo parlando di spiritualità. Il testo che qui presentiamo
è di Jesús Castellano Cervera, carmelitano scalzo, morto improvvisamente
a Roma (15 giugno 2006), molto conosciuto e stimato. Rimasto inedito, il
testo è stato pubblicato per la prima volta nel trigesimo della morte da
L’Osservatore Romano (luglio 2006). Riteniamo che sia una
proposta ispirativa; lo riportiamo con alcune modifiche e ritocchi.
1. Cf G. FERRARO, La gioia di
Cristo nel quarto Vangelo, nelle lettere giovannee e nell’Apocalisse,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000.
2. Cf J. CASTELLANO CERVERA, «Jubilate»,
in Unità e carismi, 1/2000, 2-4. Tutto il numero della ri-vista è
dedicato alla gioia.
3. DIZIONARIO DI SPIRITUALITÀ BIBLICA
E PATRISTICA, Gioia-Sofferenza-Persecuzione nella Bibbia, n. 26,
Borla, Roma 2000; IDEM, Gioia-Sofferenza-Persecuzione nei Padri della
Chiesa, n. 27, Borla, Roma 2000.
4. Cf AGOSTINO, Discorso 256
1-3, PL 38, 1191-1193.
5. Omelia pasquale, PG 28,
1081.
6. R. SCHUTZ, La tua festa non
abbia fine, Morcelliana, Brescia 1980.
7. Cf C. L. ROSSETTI, «Sei
diventato il tempio di Dio». Il mistero del tempio e dell’abitazione
divina negli scritti di Origene, Gregoriana, Roma 1998, 143-173.
8. J. MARTIN DESCALZO, Le ragioni
della gioia. 70 motivi per trovare la serenità, Gribaudi, Torino
1992.
9. Cf M. MANTOVANI, «Paolo VI,
maestro e testimone della gioia», in Unità e carismi, 1/2000,
23-30.
10. Cf l’udienza del mercoledì 29
novembre 1972, in Insegnamenti di Paolo VI, X, Città del Vaticano
1973, 1210-1211.
Jesús Castellano Cervera
[† Roma, 15 giugno 2006]
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