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Quaresima
2009: come accogliere e vivere questo tempo di grazia? Come può diventare un
itinerario sapienziale verso la Pasqua? Per ognuno di noi è certamente
un’opportunità da valorizzare per disporci a celebrare la Pasqua e a fare così
esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella veglia pasquale,
«sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la
gioia agli afflitti, dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la
concordia e la pace» (Preconio pasquale).
Come suggerisce la tradizione quaresimale, vogliamo
proporre di ripensare e riscoprire in questi quaranta giorni il senso e il ruolo
della sobrietà quale via alla solidarietà. Ci può ben introdurre alla
riflessione il richiamo della prima lettera di san Pietro, là dove l’apostolo
esorta tutti i cristiani alla vigilanza, alla sobrietà unita alla fiducia in
Dio, che sfocia in una dossologia (cf 1Pt 5,8-9). All’interno del brano, nei vv.
8-9, troviamo usati i due verbi del discorso esortativo di san Pietro: essere
sobri e vigilare. L’invito alla sobrietà e alla vigilanza (cf 1Pt 1,13; 4,7) è
qui motivato dalla presenza di un avversario in azione: il diavolo.
La descrizione di questo personaggio risulta molto
accurata: è qualificato come «il vostro avversario» (1Pt 4,8); è paragonato al
«leone» feroce che ruggisce e mangia avidamente, sbrana con i denti, cioè cerca
di distruggere coloro che credono in Cristo. Il verbo usato per descrivere
l’attività di satana, katapino, ha il significato intensivo di «ingoiare,
inghiottire, divorare», utilizzato da san Pietro per esprimere l’azione
demolitrice della fede dei credenti da parte di satana che, come un leone
affamato, percorre il mondo in cerca di prede. L’invito alla vigilanza mette in
guardia il credente da concreto pericolo di allontanarsi da Dio. Perciò, al v.
9, i cristiani sono invitati a resistere alle insidie del male attraverso la
fede e l’accettazione della sofferenza. L’appello alla sobrietà e alla vigilanza
fa parte dei moniti di Gesù in ordine alla parusia: con esse i credenti si
preparano al suo ritorno ultimo (cf Mc 13,33-37; Mt 24,42-44; Lc 12,37). La
prima lettera di Pietro dunque richiama con forza alla sobrietà perché la fine è
prossima e il diavolo si aggira minaccioso.
Alla luce della letteratura monastica antica la
sobrietà è anzitutto una grazia, e, più che meritata, va implorata. Al riguardo
Doroteo di Gaza afferma che prima di tutto occorre supplicare Dio affinché doni
la sobrietà, la quale permette di esercitare un controllo vigilante per evitare
menzogna, rancore, cattiva abitudine.
Perché fare scelte di sobrietà? Oltre alle
motivazioni bibliche, oggi ne emergono altre. «Vari segnali - afferma Francesco
Gesualdi, già allievo di don Milani, fondatore e coordinatore del Centro Nuovo
Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa) - ci indicano che il pianeta è sull’orlo
del tracollo sociale e ambientale. Tuttavia ci sono ancora dei margini di
recupero e questo ci carica di una responsabilità particolare. La chiave della
soluzione è racchiusa nella parola “sobrietà”, che interpella prevalentemente
noi, opulenti del Nord. Solo accettando di produrre e consumare di meno potremo
fermare il saccheggio del Sud del mondo, le guerre per l’accaparramento delle
risorse, il degrado del pianeta e consentire agli impoveriti di costruire il
proprio sviluppo» (testo in apertura del suo libro Sobrietà. Dallo spreco di
pochi ai diritti per tutti (Milano 52007). Questi e simili pensieri ha espresso
Benedetto XVI nell’Omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica del 1°
gennaio 2009.
Parlando dell’attuale crisi economica globale, come
un «banco di prova» e «quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a
cui dare risposte di corto respiro», il Papa pone e motiva un interrogativo che
chiede una riflessione accurata e un’apertura alla conversione: «Siamo disposti
a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per
correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora
che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del
pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono
evidenti in ogni parte del mondo».
Continua Benedetto XVI: «Occorre allora cercare di stabilire un "circolo
virtuoso" tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere". Si apre
qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che
si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti
uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la
solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali. Più in
concreto, non si può combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello
che scrive san Paolo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza",
riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del
necessario. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro
obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della
terra. Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti “con la sua povertà”, san
Paolo offre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma
anche sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé,
ma perché essa è condizione per realizzare la solidarietà. […] Per combattere la
miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da percorrere è quella della
solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostra condizione umana […].
Anche la violenza, anche l’odio e la sfiducia sono forme di povertà - forse le
più tremende - “da combattere”».
Con il card. Tettamanzi possiamo dire che la sobrietà
deve essere una virtù visibile nel concreto delle scelte: sobrietà nelle parole,
sobrietà nell’esibizione di sé, sobrietà nello stile di vita. Pensiamo a quanto
spreco di parole assistiamo ogni giorno; a quanta mostra di sé, grazie alla
complicità dei mezzi di comunicazione. Bisogna esserci, comparire, dichiarare,
in qualsiasi occasione e su qualsiasi argomento. È proprio necessario che la
sobrietà entri in particolare nella vita di tutti i giorni. Si tratta di una
sobrietà personale, ma che si riflette immediatamente sugli altri, nell’ambito
della comunità religiosa come di quella cristiana. Così, meno preoccupati di noi
stessi, e dei nostri beni, saremo più liberi di “vedere” le persone, di
ascoltarle, di capirle, di operare scelte giuste per il bene di tutti. Come si
vede, la sobrietà non ha a che vedere solo con la quantità di beni materiali che
consumiamo o meno, con quanto acquistiamo o non acquistiamo. Non è una questione
solamente economica, ma tocca una sfera molto più ampia del nostro agire e del
nostro stesso essere. La sobrietà soprattutto non può mai essere fine a se
stessa, poiché rischia di trasformarsi in avarizia.
La sobrietà non è un assoluto, non è qualcosa da
perseguire in sé e per sé: essa è per. È per essere liberi dall’assolutizzazione
dei beni e del loro consumo; è per guardare con libertà a chi mi sta vicino; è
per non possedere l’altro come una cosa; è per condividere con chi non ha; è per
non chiudermi nella pretesa della mia intelligenza, del mio sapere… La sobrietà
è la via privilegiata alla solidarietà, non quella fatta per “categorie”, come
se la solidarietà avesse valore per alcuni e non per altri. «Siamo invitati a
mettere in discussione la solidarietà che abbiamo adottato finora. Quella delle
“gare di generosità” e delle “raccolte straordinarie”, quella delle
“sottoscrizioni volontarie” e delle “emergenze umanitarie”, per dirigerci con
convinzione e amore verso una solidarietà intelligente che metta finalmente il
dito sulle cause della miseria e ponga mano ad aggiustare il sistema, di cui la
fame non è che la peggiore delle conseguenze» (A. Sella).
Don Tonino Bello con saggezza evangelica ci ricordava
che «i poveri sono il luogo teologico dove Dio si manifesta e il roveto
inconsumabile da cui egli ci parla». Lasciamo che siano le agenzie delle Nazioni
Unite a fornirci le cifre aride e drammatiche delle condizioni di miseria. A noi
spetta il compito di far rivivere il Vangelo del Risorto lungo le strade della
vita del nostro occidente opulento e del Sud del mondo impoverito. Siamo
chiamati ad assumere nuovi stili di vita se vogliamo testimoniare la solidarietà
e offrire il nostro contributo al mondo nuovo che riteniamo possibile,
necessario e urgente. Il Mahatma Ghandi sosteneva: «Tu devi essere il
cambiamento che vuoi vedere nel mondo». E questo cambiamento lo si costruisce
attraverso le nostre scelte quotidiane, che sono talmente alla portata delle
nostre mani che non occorre fare chilometri o osare atti eroici: i nuovi stili
di vita sono pratiche di giustizia, di liberazione, di uguaglianza e di pace, in
grado di strappare dal sogno l’altro mondo possibile facendolo diventare pane
quotidiano del nostro pianeta.
Amiche lettrici e cari lettori, il numero di
Consacrazione e Servizio
che avete tra mano - il terzo dell’anno 2009 – si apre con la consueta rubrica
«Speciale Anno Paolino», dove mons. Francesco Lambiasi attira la nostra
attenzione sull’interpretazione della «giustizia di Dio» nella Lettera ai
Romani.
Nella rubrica: «L’uomo nascosto in fondo al cuore»,
la prof.ssa Antonietta Augruso si sofferma sull’«amicizia», realtà umana
complessa e profonda: balsamo alle ferite della vita, ma anche spada che
trafigge e lascia cicatrici inguaribili.
Continua la rubrica «Orizzonti», arricchendo il
fascicolo con due contributi. La teologa domenicana Antonietta Potente propone
un dialogo aperto sul documento «Bibbia e morale» della Pontificia Commissione
Biblica circa le radici bibliche dell’agire cristiano, rilevando inquietudini e
domande inedite, nonché le intuizioni più vere che la storia offre, e che
diventano vere e proprie benedizioni; Matteo Armando, assistente ecclesiastico
Nazionale della FUCI, si sofferma brevemente su un tema oggi particolarmente
sentito: la sfida educativa nella scuola e nell’università.
Una parola particolare per il «Dossier». Sotto il
titolo: «Per me vivere è Cristo» - espressione tratta dalla Lettera ai Filippesi
1,21 - sono raccolti quattro studi di biblisti (Ermenegildo Manicardi, Bruno
Secondin) e bibliste (Regina Cesarato, Cristina Caracciolo). Essi saranno
pronunciati l’8 marzo 2009, nell’ambito del «Pomeriggio paolino», ideato e
promosso dalla nostra rivista con lo scopo di offrire un contributo specifico
all’Anno indetto da Benedetto XVI in occasione del bimillenario dell’Apostolo
delle Genti.
Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa
Braccio) e le segnalazioni di libri (Luciagnese Cedrone), la rubrica: «Sorelle
in libreria», affidata alla teologa Cettina Militello, presenta un volume a
prima vista provocatorio: «Sorelle in armi», il cui sottotitolo suona: «2000
anni di storia dell’esercito femminile di Dio». L’Autrice dà una curiosa
motivazione al titolo: nasce dalla constatazione che la pratica dell’ascesi, e
l’autocontrollo, l’obbedienza e il sacrificio sono in senso stretto virtù «di
soldati».
La
ricchezza dei contenuti con la varietà degli articoli, e la grafica accurata del
fascicolo, fanno della rivista uno strumento formativo di piacevole lettura.
L’augurio è allora: buona lettura.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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