n. 2
febbraio 2009

 

Altri articoli disponibili


 



 

«Siate sobri e vigilate…» (1Pietro 5,8)

 

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Quaresima 2009: come accogliere e vivere questo tempo di grazia? Come può diventare un itinerario sapienziale verso la Pasqua? Per ognuno di noi è certamente un’opportunità da valorizzare per disporci a celebrare la Pasqua e a fare così esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella veglia pasquale, «sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti, dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace» (Preconio pasquale).

Come suggerisce la tradizione quaresimale, vogliamo proporre di ripensare e riscoprire in questi quaranta giorni il senso e il ruolo della sobrietà quale via alla solidarietà. Ci può ben introdurre alla riflessione il richiamo della prima lettera di san Pietro, là dove l’apostolo esorta tutti i cristiani alla vigilanza, alla sobrietà unita alla fiducia in Dio, che sfocia in una dossologia (cf 1Pt 5,8-9). All’interno del brano, nei vv. 8-9, troviamo usati i due verbi del discorso esortativo di san Pietro: essere sobri e vigilare. L’invito alla sobrietà e alla vigilanza (cf 1Pt 1,13; 4,7) è qui motivato dalla presenza di un avversario in azione: il diavolo.

La descrizione di questo personaggio risulta molto accurata: è qualificato come «il vostro avversario» (1Pt 4,8); è paragonato al «leone» feroce che ruggisce e mangia avidamente, sbrana con i denti, cioè cerca di distruggere coloro che credono in Cristo. Il verbo usato per descrivere l’attività di satana, katapino, ha il significato intensivo di «ingoiare, inghiottire, divorare», utilizzato da san Pietro per esprimere l’azione demolitrice della fede dei credenti da parte di satana che, come un leone affamato, percorre il mondo in cerca di prede. L’invito alla vigilanza mette in guardia il credente da concreto pericolo di allontanarsi da Dio. Perciò, al v. 9, i cristiani sono invitati a resistere alle insidie del male attraverso la fede e l’accettazione della sofferenza. L’appello alla sobrietà e alla vigilanza fa parte dei moniti di Gesù in ordine alla parusia: con esse i credenti si preparano al suo ritorno ultimo (cf Mc 13,33-37; Mt 24,42-44; Lc 12,37). La prima lettera di Pietro dunque richiama con forza alla sobrietà perché la fine è prossima e il diavolo si aggira minaccioso.

Alla luce della letteratura monastica antica la sobrietà è anzitutto una grazia, e, più che meritata, va implorata. Al riguardo Doroteo di Gaza afferma che prima di tutto occorre supplicare Dio affinché doni la sobrietà, la quale permette di esercitare un controllo vigilante per evitare menzogna, rancore, cattiva abitudine.

Perché fare scelte di sobrietà? Oltre alle motivazioni bibliche, oggi ne emergono altre. «Vari segnali - afferma Francesco Gesualdi, già allievo di don Milani, fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa) - ci indicano che il pianeta è sull’orlo del tracollo sociale e ambientale. Tuttavia ci sono ancora dei margini di recupero e questo ci carica di una responsabilità particolare. La chiave della soluzione è racchiusa nella parola “sobrietà”, che interpella prevalentemente noi, opulenti del Nord. Solo accettando di produrre e consumare di meno potremo fermare il saccheggio del Sud del mondo, le guerre per l’accaparramento delle risorse, il degrado del pianeta e consentire agli impoveriti di costruire il proprio sviluppo» (testo in apertura del suo libro Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti (Milano 52007). Questi e simili pensieri ha espresso Benedetto XVI nell’Omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica del 1° gennaio 2009.

Parlando dell’attuale crisi economica globale, come un «banco di prova» e «quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro», il Papa pone e motiva un interrogativo che chiede una riflessione accurata e un’apertura alla conversione: «Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo».

Continua Benedetto XVI: «Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere". Si apre qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali. Più in concreto, non si può combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Paolo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti “con la sua povertà”, san Paolo offre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anche sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, ma perché essa è condizione per realizzare la solidarietà. […] Per combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da percorrere è quella della solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostra condizione umana […]. Anche la violenza, anche l’odio e la sfiducia sono forme di povertà - forse le più tremende - “da combattere”».

Con il card. Tettamanzi possiamo dire che la sobrietà deve essere una virtù visibile nel concreto delle scelte: sobrietà nelle parole, sobrietà nell’esibizione di sé, sobrietà nello stile di vita. Pensiamo a quanto spreco di parole assistiamo ogni giorno; a quanta mostra di sé, grazie alla complicità dei mezzi di comunicazione. Bisogna esserci, comparire, dichiarare, in qualsiasi occasione e su qualsiasi argomento. È proprio necessario che la sobrietà entri in particolare nella vita di tutti i giorni. Si tratta di una sobrietà personale, ma che si riflette immediatamente sugli altri, nell’ambito della comunità religiosa come di quella cristiana. Così, meno preoccupati di noi stessi, e dei nostri beni, saremo più liberi di “vedere” le persone, di ascoltarle, di capirle, di operare scelte giuste per il bene di tutti. Come si vede, la sobrietà non ha a che vedere solo con la quantità di beni materiali che consumiamo o meno, con quanto acquistiamo o non acquistiamo. Non è una questione solamente economica, ma tocca una sfera molto più ampia del nostro agire e del nostro stesso essere. La  sobrietà soprattutto non può mai essere fine a se stessa, poiché rischia di trasformarsi in avarizia.

La sobrietà non è un assoluto, non è qualcosa da perseguire in sé e per sé: essa è per. È per essere liberi dall’assolutizzazione dei beni e del loro consumo; è per guardare con libertà a chi mi sta vicino; è per non possedere l’altro come una cosa; è per condividere con chi non ha; è per non chiudermi nella pretesa della mia intelligenza, del mio sapere… La sobrietà è la via privilegiata alla solidarietà, non quella fatta per “categorie”, come se la solidarietà avesse valore per alcuni e non per altri. «Siamo invitati a mettere in discussione la solidarietà che abbiamo adottato finora. Quella delle “gare di generosità” e delle “raccolte straordinarie”, quella delle “sottoscrizioni volontarie” e delle “emergenze umanitarie”, per dirigerci con convinzione e amore verso una solidarietà intelligente che metta finalmente il dito sulle cause della miseria e ponga mano ad aggiustare il sistema, di cui la fame non è che la peggiore delle conseguenze» (A. Sella).

Don Tonino Bello con saggezza evangelica ci ricordava che «i poveri sono il luogo teologico dove Dio si manifesta e il roveto inconsumabile da cui egli ci parla». Lasciamo che siano le agenzie delle Nazioni Unite a fornirci le cifre aride e drammatiche delle condizioni di miseria. A noi spetta il compito di far rivivere il Vangelo del Risorto lungo le strade della vita del nostro occidente opulento e del Sud del mondo impoverito. Siamo chiamati ad assumere nuovi stili di vita se vogliamo testimoniare la solidarietà e offrire il nostro contributo al mondo nuovo che riteniamo possibile, necessario e urgente. Il Mahatma Ghandi sosteneva: «Tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». E questo cambiamento lo si costruisce attraverso le nostre scelte quotidiane, che sono talmente alla portata delle nostre mani che non occorre fare chilometri o osare atti eroici: i nuovi stili di vita sono pratiche di giustizia, di liberazione, di uguaglianza e di pace, in grado di strappare dal sogno l’altro mondo possibile facendolo diventare pane quotidiano del nostro pianeta.

Amiche lettrici e cari lettori, il numero di Consacrazione e Servizio che avete tra mano - il terzo dell’anno 2009 – si apre con la consueta rubrica «Speciale Anno Paolino», dove mons. Francesco Lambiasi attira la nostra attenzione sull’interpretazione della «giustizia di Dio» nella Lettera ai Romani.

Nella rubrica: «L’uomo nascosto in fondo al cuore», la prof.ssa Antonietta Augruso si sofferma sull’«amicizia», realtà umana complessa e profonda: balsamo alle ferite della vita, ma anche spada che trafigge e lascia cicatrici inguaribili.

Continua la rubrica «Orizzonti», arricchendo il fascicolo con due contributi. La teologa  domenicana Antonietta Potente propone un dialogo aperto sul documento «Bibbia e morale» della Pontificia Commissione Biblica circa le radici bibliche dell’agire cristiano, rilevando inquietudini e domande inedite, nonché le intuizioni più vere che la storia offre, e che diventano vere e proprie benedizioni; Matteo Armando, assistente ecclesiastico Nazionale della FUCI, si sofferma brevemente su un tema oggi particolarmente sentito: la sfida educativa nella scuola e nell’università.

Una parola particolare per il «Dossier». Sotto il titolo: «Per me vivere è Cristo» - espressione tratta dalla Lettera ai Filippesi 1,21 - sono raccolti quattro studi di biblisti (Ermenegildo Manicardi, Bruno Secondin) e bibliste (Regina Cesarato, Cristina Caracciolo). Essi saranno pronunciati l’8 marzo 2009, nell’ambito del «Pomeriggio paolino», ideato e promosso dalla nostra rivista con lo scopo di offrire un contributo specifico all’Anno indetto da Benedetto XVI in occasione del bimillenario dell’Apostolo delle Genti.

Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Luciagnese Cedrone), la rubrica: «Sorelle in libreria», affidata alla teologa Cettina Militello, presenta un volume a prima vista provocatorio: «Sorelle in armi», il cui sottotitolo suona: «2000 anni di storia dell’esercito femminile di Dio». L’Autrice dà una curiosa motivazione al titolo: nasce dalla constatazione che la pratica dell’ascesi, e l’autocontrollo, l’obbedienza e il sacrificio sono in senso stretto virtù «di soldati».

La ricchezza dei contenuti con la varietà degli articoli, e la grafica accurata del fascicolo, fanno della rivista uno strumento formativo di piacevole lettura.

L’augurio è allora: buona lettura.

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it