Leggere:
un verbo che evoca la ricerca, o
forse la curiosità. Un atto contemplativo e riflessivo, che sta tra il
desiderio di quiete e riposo per poter ascoltare e quello più inquieto
di chi ricerca per poter capire e decantare lentamente il significato
della vita.
Leggere:
un verbo che fa parte dell’evoluzione umana e
culturale dei popoli nel lungo apprendistato etico della responsabilità
storica, tra passato, presente e futuro, tra segni, simboli, narrazioni
e sintesi. Leggere, un imperativo necessario per imparare a vivere,
perché le metamorfosi umane continuino e non si fermino i processi
evolutivi delle epoche e dei tempi.
Leggere,
qualcosa che forse prima è stato
semplicemente suono o gesto, arrivato prima delle parole, arrivato prima
di ogni giudizio e comprensione. Ritmi che giacciono dentro, al centro
di ogni struttura, di ogni atomo, dicono alcuni ricercatori nell’ambito
della fisica moderna.
Leggere:
un verbo legato all’ascolto, ma anche alla
visione; coltivato dall’organo uditivo ma anche da quello visuale. Un
verbo che ci permette di stare nei contesti, seduti, in mezzo a… e non
separati. È per questo che nelle riflessioni che seguono, non vorrei
tanto aumentare notizie o annotare dei dati sulla realtà attuale, ma
evidenziare l’importanza che oggi come oggi ha questa attitudine di
lettura della realtà che ci circonda.
Vorrei dunque frammentare il titolo proposto
e far notare che ciò che sottolineiamo come chiave di lettura
socio-pastorale e spirituale, in realtà non è ciò che noi decidiamo
fare, ma piuttosto riguarda dimensioni della vita, della realtà che noi
dovremmo raccogliere. Dimensioni esistenziali, istituzionali, politiche
o religiose. Per cui leggiamo per riscattare queste dimensioni e leggere
diventa un gesto di ricerca affettuosa verso la storia e verso il
mistero.
La lettura della realtà
Consideriamo reale o realtà, tutto ciò che ha
una sua propria esistenza indipendentemente da noi, dal nostro pensiero
e dalla nostra capacità di osservazione; qualcosa che si dà ed esiste
anche se noi distrattamente non lo vediamo o non lo prendiamo in
considerazione. È per questo che pensiamo che ogni discorso intorno alla
realtà è più simile ad un atteggiamento di avvicinamento al mistero che
un semplice atto di ricerca di dati e certezze. Un gesto mistagogico,
molto più di quanto possiamo pensare; esperienza razionale e
irrazionale, miscelata tra elementi cognitivi e affettivi.
In questa lettura viene coinvolta la nostra
vita, nei suoi più intimi dettagli e nelle sue trame più segrete; tra
mistero ed esperienza, tra evidenza e segreto. Questa lettura che si
svolge non intorno a delle pagine, ma intorno alla realtà: ciò che
abbiamo visto, udito, contemplato e toccato, come direbbe l’adagio della
comunità cristiana giovannea (1Gv 1,1-4).
In questa realtà cerchiamo e ad essa ci
avviciniamo. Realtà che consideriamo complessa, non lineare, non
ordinata, ma piuttosto aleatoria e che porta con sé multiple
possibilità. Una realtà piena di cose e di identità. Multipli sono i
suoi soggetti e dunque i suoi protagonisti, o quelli che vorremmo
fossero protagonisti. Ed è proprio questa paradossale somiglianza tra
realtà e mistero, che ci fa dire che ogni analisi, ogni lettura della
realtà è insufficiente o forse, è un semplice punto di vista, filtrato
dal contesto da cui guardiamo, dalla sensibilità con cui percepiamo e
interpretiamo. Per questo, considero che queste riflessioni, più che
aggiungere dati e contenuti sulla descrizione della realtà, vorrebbero
semplicemente aprire una porta su ciò che significa entrare in contatto
con la realtà, leggerla, studiarla, approfondirla per poter
vedere,
considerando la realtà non semplice e confuso accumulo di cose e
avvenimenti, ma creativo insieme di elementi, tra
evoluzioni, rivoluzioni e rivelazioni,
come direbbe lo scrittore e poeta messicano Octavio Paz, sforzo umano e
cosmico di umanità e contesti.
Il tempo presente
«Credevamo che la conoscenza avesse un punto
di inizio e un termine; oggi penso che la conoscenza è una avventura a
spirale che ha un punto di inizio storico, ma non ha fine, che deve
realizzarsi senza mai fermarsi, come cerchi concentrici...» (Edgar Morin).
Stiamo parlando della realtà attuale, contemporanea. Insieme di
dimensioni, dinamismo e contrazione, creatività non lineare e nemmeno
sempre armonica. Sforzo verso, dimensione interiore, segreta ed
evidente. Parlare, dunque, del nostro tempo è parlare di tutte le
dimensioni interiori, segrete e profonde; il rizoma nascosto nella
storia personale e collettiva,
humus dei più evidenti processi
storici.
Ogni lettura dunque, non è una semplice lista
di avvenimenti e meno ancora di un perentorio giudizio morale su ciò che
caratterizza la nostra epoca, ma solo una visione e uno sforzo per
ascoltare e comprendere; uno sforzo che continuerà ogni giorno, per
tutta la vita.
Considero che oggi, qualsiasi analisi è allo
stesso tempo analisi personale e sociale; è analisi della vita
individuale e politica, cosciente e incosciente, personale e collettiva;
studio minuzioso della quotidianità più semplice e allo stesso tempo
delle istituzioni, prendendosi cura della vita, superando l’antica
dicotomia tra pubblico e privato. Siamo parte di una storia concreta,
siamo contemporanei, siamo figli e figlie di un tempo storico; chiamiamo
questo tempo postmodernità e - come dice lo stesso termine - questo
tempo non nasce dal nulla. Il suo principio, il suo
archè,
anche se non è molto semplice definirlo, si snoda in un tempo che ci ha
preceduto.
Dal punto di vista cronologico è un tempo, ma
anche una estensione, uno spazio. È il nostro tempo e il nostro spazio,
non ne abbiamo un altro e nessuno di noi può far finta di niente, pur
mantenendo le sue aspirazioni escatologiche, o superando i limiti
storici con le proprie e sistematiche ascesi.
La postmodernità comporta effetti di vita
materiale ed esistenziale. Da un lato sviluppo tecnologico e scientifico
e dall’altro la frustrazione di fronte a modelli socioeconomici che
promettevano soluzioni ai problemi sociali e invece sembrano peggiorare
la situazione. Economia neoliberale che riesce a fare del mondo un
mercato globale, permettendo che mani visibili e invisibili usino i
bisogni dei popoli e li sostituiscano con altre urgenze totalmente
false.
Nella postmodernità conosciamo degli estremi
o paradossi; è in questa epoca che scopriamo antiche dignità e
riscattiamo radici profonde. Ancestrali sapienze rivendicate nel
risorgere delle identità: arte ancestrale e misteriosa della vita,
linguaggio mistico e mitico di una vita che non vuole lasciarsi
acchiappare dalle dimensioni borghesi che limitano l’esistenza, anche se
assicurano il benessere economico. Ma nello stesso tempo è nella
postmodernità che ci permettiamo di non riconoscere la nostra storia
mistico-siderale, per rimanere comodi in ciò che la superficialità ci
offre e distrarci con essa. Ma per fortuna la postmodernità non è ancora
“la cultura”, ma piuttosto, nella postmodernità convivono più culture o
- come qualcuno dice - subculture… che corrispondono a diversi gruppi
sociali che come non mai, cioè come in nessun’altra epoca storica, hanno
ripreso il loro spazio e sono tornati a ripercorrere il loro cammino.
Queste categorie non si inseriscono dentro ad un panorama uniforme, ma
piuttosto fanno della postmodernità un ventaglio di differenze, tra
paradossi, armonie e contraddizioni.
Postmodernità: in essa stiamo, esistiamo e ci
muoviamo; un tempo con un forte potere simbolico, quasi lo stesso che
esercitavano sulle persone gli altari dedicati agli dei dell’areopago
greco, dove predicò Paolo (cf At 17,16-34). In questo ambito la fede si
potrebbe presentare come un annuncio alternativo o, invece, restare come
un simbolo in più, dentro questo mondo sempre più eclettico, tra altari
e dei. In questo spazio le nostre opzioni di vita, le nostre scelte,
patiscono la stessa sfida che soffrono le grandi utopie ed ideologie.
Autocritica nel nostro tempo
Il “nostro tempo”, dunque; tempo cronologico
e tempo esistenziale, kronos e kairos; quantità e irruzione, epifania di
significato.Ma mi domando se è proprio vero che, guardando la storia, la
consideriamo davvero come “il nostro tempo”. A volte infatti, sembra che
questo tempo postmoderno non ci appartenga e che l’unica cosa che
possiamo fare, in mezzo al dinamismo di questa realtà contemporanea, è
criticarla e accusarla, come se noi fossimo totalmente estranei.
Allora, forse più che descrivere, si tratta
di dire che, oggi come oggi, stiamo cercando una metodologia di lettura,
che ci permetta di continuare a camminare con la storia e le sue
evoluzioni. È infatti evidente che a volte, sono proprio queste letture
socio-pastorali quelle che ci mettono nella posizione moralista di chi,
quando vede qualcosa o qualcuno, riesce solo a giudicarlo. A volte sono
proprio queste prospettive che noi pensiamo integre, che ci allontanano
dalla realtà, dal dialogo, invece di permetterci un profondo e umile
avvicinamento.
Eppure conosciamo un altro antico adagio
biblico anticotestamentario: una critica profetica allo sguardo troppo
preoccupato dei canoni etici e dottrinali delle simmetrie ufficiali ed
istituzionali, le quali fan sì che alcune visioni appaiano
insignificanti o tremendamente orrende. Visioni che ci fanno gridare
allo scandalo o ci fanno correre ai ripari, mentre la storia segue i
suoi intimi dolori di parto. «Non aveva apparenza né bellezza per
attirare i nostri sguardi… come uno di fronte a cui ci si copre il
viso…» (cf Is 53), dichiara il 4° cantico del servo del Signore, nel
libro di Isaia, eppure «… portava i nostri dolori», i nostri errori, le
nostre distrazioni.
Eppure… Sì forse è solo questo che dobbiamo
evidenziare. Una lettura sociale, pastorale, spirituale della realtà è
una autocritica a noi stessi, ai nostri modi di interpretare la realtà,
alla nostra cecità e ai nostri ritardi nei confronti di una storia che…
proprio ora germoglia, anche se sappiamo che il germoglio non è la
conclusione, non è l’ultima tappa, ma un momento in divenire
nell’ambiguità e nel dolore del suo sforzo.
Allora mentre leggiamo, resta una domanda:
«Che cosa vedi Geremia?» (Ger 1,11-12). Che cosa vediamo? E ciò che
vediamo lo raccogliamo e diventa prezioso, anche se si tratta solo di un
ramo di mandorlo in fiore o di una pentola con qualcosa dentro che
bolle.
Antonietta Potente
Docente all’Università di
Cochabamba e di La Paz
Casilla 5184 - Cochabamba -
Bolivia