n. 2
febbraio 2009

 

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Leggere il mistero nella storia
Da sapienti nel tempo presente

di ANTONIETTA POTENTE

 

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Leggere: un verbo che evoca la ricerca, o forse la curiosità. Un atto contemplativo e riflessivo, che sta tra il desiderio di quiete e riposo per poter ascoltare e quello più inquieto di chi ricerca per poter capire e decantare lentamente il significato della vita.

Leggere: un verbo che fa parte dell’evoluzione umana e culturale dei popoli nel lungo apprendistato etico della responsabilità storica, tra passato, presente e futuro, tra segni, simboli, narrazioni e sintesi. Leggere, un imperativo necessario per imparare a vivere, perché le metamorfosi umane continuino e non si fermino i processi evolutivi delle epoche e dei tempi.

Leggere, qualcosa che forse prima è stato semplicemente suono o gesto, arrivato prima delle parole, arrivato prima di ogni giudizio e comprensione. Ritmi che giacciono dentro, al centro di ogni struttura, di ogni atomo, dicono alcuni ricercatori nell’ambito della fisica moderna.

Leggere: un verbo legato all’ascolto, ma anche alla visione; coltivato dall’organo uditivo ma anche da quello visuale. Un verbo che ci permette di stare nei contesti, seduti, in mezzo a… e non separati. È per questo che nelle riflessioni che seguono, non vorrei tanto aumentare notizie o annotare dei dati sulla realtà attuale, ma evidenziare l’importanza che oggi come oggi ha questa attitudine di lettura della realtà che ci circonda.

Vorrei dunque frammentare il titolo proposto e far notare che ciò che sottolineiamo come chiave di lettura socio-pastorale e spirituale, in realtà non è ciò che noi decidiamo fare, ma piuttosto riguarda dimensioni della vita, della realtà che noi dovremmo raccogliere. Dimensioni esistenziali, istituzionali, politiche o religiose. Per cui leggiamo per riscattare queste dimensioni e leggere diventa un gesto di ricerca affettuosa verso la storia e verso il mistero.

La lettura della realtà

Consideriamo reale o realtà, tutto ciò che ha una sua propria esistenza indipendentemente da noi, dal nostro pensiero e dalla nostra capacità di osservazione; qualcosa che si dà ed esiste anche se noi distrattamente non lo vediamo o non lo prendiamo in considerazione. È per questo che pensiamo che ogni discorso intorno alla realtà è più simile ad un atteggiamento di avvicinamento al mistero che un semplice atto di ricerca di dati e certezze. Un gesto mistagogico, molto più di quanto possiamo pensare; esperienza razionale e irrazionale, miscelata tra elementi cognitivi e affettivi.

In questa lettura viene coinvolta la nostra vita, nei suoi più intimi dettagli e nelle sue trame più segrete; tra mistero ed esperienza, tra evidenza e segreto. Questa lettura che si svolge non intorno a delle pagine, ma intorno alla realtà: ciò che abbiamo visto, udito, contemplato e toccato, come direbbe l’adagio della comunità cristiana giovannea (1Gv 1,1-4).

In questa realtà cerchiamo e ad essa ci avviciniamo. Realtà che consideriamo complessa, non lineare, non ordinata, ma piuttosto aleatoria e che porta con sé multiple possibilità. Una realtà piena di cose e di identità. Multipli sono i suoi soggetti e dunque i suoi protagonisti, o quelli che vorremmo fossero protagonisti. Ed è proprio questa paradossale somiglianza tra realtà e mistero, che ci fa dire che ogni analisi, ogni lettura della realtà è insufficiente o forse, è un semplice punto di vista, filtrato dal contesto da cui guardiamo, dalla sensibilità con cui percepiamo e interpretiamo. Per questo, considero che queste riflessioni, più che aggiungere dati e contenuti sulla descrizione della realtà, vorrebbero semplicemente aprire una porta su ciò che significa entrare in contatto con la realtà, leggerla, studiarla, approfondirla per poter vedere, considerando la realtà non semplice e confuso accumulo di cose e avvenimenti, ma creativo insieme di elementi, tra evoluzioni, rivoluzioni e rivelazioni, come direbbe lo scrittore e poeta messicano Octavio Paz, sforzo umano e cosmico di umanità e contesti.

Il tempo presente

«Credevamo che la conoscenza avesse un punto di inizio e un termine; oggi penso che la conoscenza è una avventura a spirale che ha un punto di inizio storico, ma non ha fine, che deve realizzarsi senza mai fermarsi, come cerchi concentrici...» (Edgar Morin). Stiamo parlando della realtà attuale, contemporanea. Insieme di dimensioni, dinamismo e contrazione, creatività non lineare e nemmeno sempre armonica. Sforzo verso, dimensione interiore, segreta ed evidente. Parlare, dunque, del nostro tempo è parlare di tutte le dimensioni interiori, segrete e profonde; il rizoma nascosto nella storia personale e collettiva, humus dei più evidenti processi storici.

Ogni lettura dunque, non è una semplice lista di avvenimenti e meno ancora di un perentorio giudizio morale su ciò che caratterizza la nostra epoca, ma solo una visione e uno sforzo per ascoltare e comprendere; uno sforzo che continuerà ogni giorno, per tutta la vita.

Considero che oggi, qualsiasi analisi è allo stesso tempo analisi personale e sociale; è analisi della vita individuale e politica, cosciente e incosciente, personale e collettiva; studio minuzioso della quotidianità più semplice e allo stesso tempo delle istituzioni, prendendosi cura della vita, superando l’antica dicotomia tra pubblico e privato. Siamo parte di una storia concreta, siamo contemporanei, siamo figli e figlie di un tempo storico; chiamiamo questo tempo postmodernità e - come dice lo stesso termine - questo tempo non nasce dal nulla. Il suo principio, il suo archè, anche se non è molto semplice definirlo, si snoda in un tempo che ci ha preceduto.

Dal punto di vista cronologico è un tempo, ma anche una estensione, uno spazio. È il nostro tempo e il nostro spazio, non ne abbiamo un altro e nessuno di noi può far finta di niente, pur mantenendo le sue aspirazioni escatologiche, o superando i limiti storici con le proprie e sistematiche ascesi.

La postmodernità comporta effetti di vita materiale ed esistenziale. Da un lato sviluppo tecnologico e scientifico e dall’altro la frustrazione di fronte a modelli socioeconomici che promettevano soluzioni ai problemi sociali e invece sembrano peggiorare la situazione. Economia neoliberale che riesce a fare del mondo un mercato globale, permettendo che mani visibili e invisibili usino i bisogni dei popoli e li sostituiscano con altre urgenze totalmente false.

Nella postmodernità conosciamo degli estremi o paradossi; è in questa epoca che scopriamo antiche dignità e riscattiamo radici profonde. Ancestrali sapienze rivendicate nel risorgere delle identità: arte ancestrale e misteriosa della vita, linguaggio mistico e mitico di una vita che non vuole lasciarsi acchiappare dalle dimensioni borghesi che limitano l’esistenza, anche se assicurano il benessere economico. Ma nello stesso tempo è nella postmodernità che ci permettiamo di non riconoscere la nostra storia mistico-siderale, per rimanere comodi in ciò che la superficialità ci offre e distrarci con essa. Ma per fortuna la postmodernità non è ancora “la cultura”, ma piuttosto, nella postmodernità convivono più culture o - come qualcuno dice - subculture… che corrispondono a diversi gruppi sociali che come non mai, cioè come in nessun’altra epoca storica, hanno ripreso il loro spazio e sono tornati a ripercorrere il loro cammino. Queste categorie non si inseriscono dentro ad un panorama uniforme, ma piuttosto fanno della postmodernità un ventaglio di differenze, tra paradossi, armonie e contraddizioni.

Postmodernità: in essa stiamo, esistiamo e ci muoviamo; un tempo con un forte potere simbolico, quasi lo stesso che esercitavano sulle persone gli altari dedicati agli dei dell’areopago greco, dove predicò Paolo (cf At 17,16-34). In questo ambito la fede si potrebbe presentare come un annuncio alternativo o, invece, restare come un simbolo in più, dentro questo mondo sempre più eclettico, tra altari e dei. In questo spazio le nostre opzioni di vita, le nostre scelte, patiscono la stessa sfida che soffrono le grandi utopie ed ideologie.

Autocritica nel nostro tempo

Il “nostro tempo”, dunque; tempo cronologico e tempo esistenziale, kronos e kairos; quantità e irruzione, epifania di significato.Ma mi domando se è proprio vero che, guardando la storia, la consideriamo davvero come “il nostro tempo”. A volte infatti, sembra che questo tempo postmoderno non ci appartenga e che l’unica cosa che possiamo fare, in mezzo al dinamismo di questa realtà contemporanea, è criticarla e accusarla, come se noi fossimo totalmente estranei.  

Allora, forse più che descrivere, si tratta di dire che, oggi come oggi, stiamo cercando una metodologia di lettura, che ci permetta di continuare a camminare con la storia e le sue evoluzioni. È infatti evidente che a volte, sono proprio queste letture socio-pastorali quelle che ci mettono nella posizione moralista di chi, quando vede qualcosa o qualcuno, riesce solo a giudicarlo. A volte sono proprio queste prospettive che noi pensiamo integre, che ci allontanano dalla realtà, dal dialogo, invece di permetterci un profondo e umile avvicinamento.

Eppure conosciamo un altro antico adagio biblico anticotestamentario: una critica profetica allo sguardo troppo preoccupato dei canoni etici e dottrinali delle simmetrie ufficiali ed istituzionali, le quali fan sì che alcune visioni appaiano insignificanti o tremendamente orrende. Visioni che ci fanno gridare allo scandalo o ci fanno correre ai ripari, mentre la storia segue i suoi intimi dolori di parto. «Non aveva apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi… come uno di fronte a cui ci si copre il viso…» (cf Is 53), dichiara il 4° cantico del servo del Signore, nel libro di Isaia, eppure «… portava i nostri dolori», i nostri errori, le nostre distrazioni.

Eppure… Sì forse è solo questo che dobbiamo evidenziare. Una lettura sociale, pastorale, spirituale della realtà è una autocritica a noi stessi, ai nostri modi di interpretare la realtà, alla nostra cecità e ai nostri ritardi nei confronti di una storia che… proprio ora germoglia, anche se sappiamo che il germoglio non è la conclusione, non è l’ultima tappa, ma un momento in divenire nell’ambiguità e nel dolore del suo sforzo.

Allora mentre leggiamo, resta una domanda: «Che cosa vedi Geremia?» (Ger 1,11-12). Che cosa vediamo? E ciò che vediamo lo raccogliamo e diventa prezioso, anche se si tratta solo di un ramo di mandorlo in fiore o di una pentola con qualcosa dentro che bolle.

Antonietta Potente
Docente all’Università di Cochabamba e di La Paz
Casilla 5184 - Cochabamba - Bolivia

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