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suo ultimo intenso libro, dal tocco profondamente autobiografico,
Il pane di ieri,
il priore di Bose, Enzo Bianchi, racconta il mondo, i colori, i sapori,
lo stile di vivere e di pensare del tempo della sua giovinezza. Il
lettore non può non restare colpito di quanto ampia sia la distanza
culturale
di quel tempo dal tempo che oggi ci è dato
vivere. Eppure non i secoli lo separano da quell’epoca, bensì qualche
manciata di decenni, ma sono – a ben vedere – anni che hanno davvero
rimesso le carte in gioco. Chiunque, infatti, abbia almeno cinquanta
anni ha dovuto già assistere al cambiamento dello scenario sociale,
culturale, economico, almeno tre o quattro volte. E si è trattato di
cambiamenti radicali e rapidi. Al riguardo, ha ragione Aldo Schiavone
quando dice che, da una parte,il futuro è giunto troppo in fretta e,
dall’altra, che mai come nella nostra epoca è stato concesso così poco
tempo all’umanità – e qui per umanità si intende l’uomo della strada –
per adattarsi al nuovo che emerge, ricostruendo un giusto equilibrio tra
desideri/bisogni e risorse/mezzi offerti dall’ambiente circostante (Storia
e destino, Einaudi,Torino 2007).
Una prova di tutto ciò è il turbamento
dell’esercizio della libertà umana. La libertà degli uomini e delle
donne di oggi conosce infatti, da un lato, un’esaltazione e un ventaglio
di possibilità mai conosciuti prima, ma nello stesso tempo registra un
elevato ed impressionante tasso di ansia, di insicurezza, di blocco
psicologico, che non raramente produce “vite bruciate”. Il punto di
partenza, dunque, in questa riflessione sul tema della sfida educativa è
esattamente la presa di consapevolezza che oggi vivere è diventato più
difficile.
Una libertà s-confinata
Vivere è diventato più difficile, perché
abbiamo s-confinato
la nostra libertà. Nel passato, difatti, la
libertà di ciascuno era limitata/confinata sia in ragione della scarsità
delle risorse e delle opportunità sia in ragione di alcuni schemi rigidi
con cui si interpretavano i vari stati della vita (tutti sapevano che
cosa significava “andare a scuola”, “mettere al mondo un figlio”, “fare
una famiglia”). Oggi la nostra libertà ha subìto un processo di
espansione senza precedenti sia grazie ai molti ritrovati che la tecnica
ci dona (pillole, auto, più soldi), sia grazie alla rinuncia a modelli
univoci
di interpretazione dell’umano. Quest’ultimo
aspetto è in fondo il risultato in termini culturali della grande
“sovversione culturale” del ‘68.
I nuovi ritrovati della tecnica e la
sovversione, in parte giustificata, degli stili di vita tradizionali
hanno allargato gli orizzonti della libertà umana, ma a tutto questo non
è seguito un percorso di adattamento/ambientamento da parte delle
persone. E dovrebbe essere cosa nota il fatto che
a chi è offerto di più è anche richiesto di
più.
È in questo orizzonte che a mio avviso si
colloca la sfida educativa, di cui a giusta ragione oggi ci si inizia ad
occupare con grande attenzione.
Se è pur vero che normalmente, nel parlare di
tale argomento, il pensiero si rivolga immediatamente ai giovani, in
verità essa è tema che tocca il delicato e complesso tornante che
l’umanità sta vivendo e che possiamo così definire:
l’alfabeto della libertà
che gli uomini e le donne di oggi hanno
ricevuto dalla tradizione non è più in grado di reggere il passo del
tempo e per questo cresce in loro un’incompetenza generalizzata per quel
che riguarda la difesa e la promozione dell’umano
nell’uomo.
Ogni epoca ha i giovani che si merita
Dovrebbe risultare a questo punto anche ovvio
che coloro i quali di più soffrono di questo stato di cose siano gli
adolescenti e i giovani. Dotati di ogni bene, nel vuoto di regole e di
istruzioni condivise a livello sociale, vuoto suscitato dalla
inadeguatezza/incompetenza dell’alfabeto della libertà degli adulti, si
barcamenano nella loro esistenza secondo il modello dell’esperimento,
spesso abitati da tanta solitudine ed esposti allo spettro del
nichilismo (ove tutto è uguale a niente e quindi è uguale a tutto:
studiare, fare sesso, cercare un lavoro, dar fuoco ad un barbone,
pestare a sangue un compagno straniero…), secondo la nota analisi di U.
Galimberti (L’ospite inquietante.
Il nichilismo e i giovani,
Feltrinelli, Milano 2007).
Tutti siamo consapevoli che non si tratta qui
di emettere sentenze, quanto piuttosto di una nuova dedizione di tutti
verso questi adolescenti/giovani “analfabeti” dell’umano,
iper-affettivi
e permalosi, amanti dell’e-sperimento,
cocciuti ed infine chiusi e depressi.
In questo compito, è ovvio che i diversi
contesti educativi – famiglia, scuola/università, parrocchia, gruppi,
associazioni – debbono declinare processi educativi differenziati e
specifici.
Di seguito si offre una riflessione
soprattutto per quel che riguarda il mondo della scuola e
dell’università.
«Tu mi interessi»
La sfida educativa interpella il mondo della
scuola e quello dell’università senz’altro ad un alto livello. In modo
specifico il corpo docente è sollecitato a rimettere al centro della
propria azione professionale la relazione educativa, ovvero quel
processo che coinvolge la soggettività di colui che deve, anche
attraverso lo studio, faticare per divenire la persona che egli decide
di essere. Il senso della relazione educativa si misura dal modo in cui
l’adolescente e il giovane colgono di trovarsi nell’ambito
dell’inter-esse del docente, della sua cura e premura. Ed è proprio in
questo ambito della relazione educativa che la scuola e l’università,
attraverso le proprie finalità e strumentalità specifiche, potranno
efficacemente contribuire a quella ricostruzione dell’alfabeto della
libertà di cui oggi vi è tanto bisogno. Senza di esso, sarà difficile
avviare un rapporto “umanamente” proficuo tra desideri e mezzi a reale
disposizione del singolo, tra bisogni e desideri, tra desideri e
illusioni. E non ci si dimentichi di come il mercato - con la sua
longa manus
della pubblicità e della stampa - speculi
senza scrupolo sull’incompetenza dei giovani a discernere tra ciò che
offusca e ciò che fa splendere la bellezza della dignità personale di
ciascuno. Davvero ci vuole forza, intelligenza, competenza e passione
per contrastare l’azione che “questi autentici maestri unici” producono
nel cuore delle giovani (ma non solo, forse) generazioni.
Gli esami non finiscono mai
Nello specifico, mi sembra di poter dire che
l’esperienza dello studio, con il suo ritmo progressivo, con il suo
costante ampliamento degli orizzonti, con il quotidiano confronto con
l’estraneo nella triplice declinazione di ciò che non è più, di ciò che
è altrove e di ciò che ancora
non è, con la sua dinamica di prove,
verifiche, recupero e promozione, possa davvero allestire uno speciale
spazio di elaborazione della consapevolezza della grandezza e della
fragilità della libertà umana.
Lo studio è difatti una vera palestra di
realismo: tu sei tu,
non sei un Dio,
ma non sei neppure un nulla. Puoi costruire qualcosa a partire da te,
puoi e devi accoglierti e rispondere a quella parola e promessa che tu
sei a te stesso. Devi accettare il confronto con gli altri e con il
mondo, accettare il sacrificio e l’onere della prova, devi trovare il
suo sentiero, il suo stile. In questo è urgente che si riscopra il
carattere asimmetrico della relazione docente/discente.
Lo studio è, in secondo luogo, una palestra
di “respiro”. La vita non è semplice, non puoi saltarne neppure un
giorno e nessuno ne è mai uscito vivo. Ma tu puoi e devi resistere,
guardare lontano, puoi e devi confidare nel futuro del tempo, puoi e
devi dare “tempo al tempo”, spezzando la tirannia del presente, dei suoi
comandamenti e dei suoi idoli. Solo il suo proiettarsi verso il futuro,
difatti, libera il soggetto umano dall’ansia di un autocompimento, di
per sé impossibile, nell’oggi e gli permette pure di corrispondere
all’autentica essenza dell’essere umano, in quanto essere che sceglie di
essere.
È, infine, una palestra del “pensare
altrimenti”, del “pensare con coraggio”. Senza realismo e senza respiro,
l’esistenza alla fine si lascia dominare dal girotondo dell’ormai:
ormai non c’è più nulla da fare, ormai non posso cambiare il mio
carattere, ormai non posso togliere via da me questo vizio, ormai non
posso realizzare nulla di buono e nulla di bene, ormai non posso più
dimagrire, ormai il mondo è destinato all’autodistruzione violenta,
ormai non vale nulla aiutare gli affamati, gli ammalati, i sofferenti.
In verità nell’uomo ci sono più energie di
quello che si ritiene normalmente. Non dimentichiamoci che ciascuno, con
tutto il suo peso fisico e intellettuale, è venuto fuori dall’unione di
due cellule piccolissime e invisibili all’occhio umano. Che energia sta
dentro l’essere umano!
Questa, infine, è la sfida posta da sempre
alla libertà di ciascuno: potersi
immaginare altrimenti. Nessuno è
costretto a sposare la parte più infelice di sé o del suo destino.
Come a dire: gli esami non finiscono mai.
Matteo Armando
Assistente ecclesiastico nazionale
della FUCI
c/o Casa Assistenti - Via F.
Marchetta Selvaggiani, 22
00165 Roma
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