n. 5
maggio 2009

 

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La via dell'esperienza

   

 

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È necessario ricordare che uno degli obiettivi indicati dal Concilio e dal magistero non è ancora stato raggiunto: mi riferisco all’importanza di una riscoperta positiva degli ebrei e dell’ebraismo, soprattutto in riferimento alla loro testimonianza attuale di fronte alle chiese cristiane». Con queste parole Elena Lea Bartolini – di origini ebraiche da parte materna - termina il suo contributo apparso sul Dossier del mensile Jesus (gennaio 2009) dedicato al «Viaggio nell’ebraismo italiano». Proprio sul percorso dell’esperienza intendiamo polarizzare l’attenzione, quale contributo al nostro Dossier. Fra le molteplici voci di testimoni del dialogo tra ebrei e cristiani, si distinguono ad esempio mons. Clemente Riva (1922-1999), Edith Stein (1891-1942), André Chouraqui (1917-2007)... Noi abbiamo scelto la testimonianza di Mirjam Viterbi Ben Horin (1933- ), quale segno oggi di speranza.

Mirjam Viterbi Ben Horin è nata da una famiglia ebraica padovana. Nel 1943-1944 si è salvata dalla persecuzione nazista ad Assisi. Diplomata in pianoforte nel 1954, laureata in medicina e chirurgia (1960) e specializzata in neurologia e psichiatria (1963) all'Università di Roma, nel 1975 si stabilisce in Israele. Vive a Gerusalemme, con frequenti

soggiorni in Italia. Tra le sue pubblicazioni segnaliamo il volume: Con gli occhi di allora. Una bambina ebrea e le leggi razziali (Morcelliana, Brescia 2008). Questo «piccolo grande libro», così definito da Paolo De Benedetti, è lo straordinario racconto delle vicende di una famiglia che è riuscita a salvarsi dalla tragedia della Shoah.

Gli occhi di allora sono gli occhi di una bambina ebrea, Mirjam, che nel 1938 non ha ancora varcato le soglie della prima elementare, vive in una grande e bella casa di Padova ed è costretta a faticosi esercizi per imparare a suonare il pianoforte. Nulla di straordinario, tutto normale. Tuttavia, il pregio non comune del libro è che ogni evento continua ad essere raccontato con il passo di una quotidianità infantile, anche quando le circostanze diventano sempre più cupe in seguito alle leggi razziali del 1938. La famiglia infatti deve trascorrere l'estate del 1943 a Porretta, per poi rifugiarsi ad Assisi, prima in un albergo, poi in un appartamento. Lì, grazie all'aiuto del vescovo, di alcuni sacerdoti e di altri, si sottrae sotto falsi nomi alla furia antisemita.

Protetta da un precario anonimato reso un briciolo più sicuro da documenti falsi e soprattutto dalla lealtà di chi sa e non svela, scavalca la guerra e i suoi drammi. Una narrazione che mostra un lato poco noto degli eventi tragici di quegli anni: a volte la salvezza viene agli ebrei da uomini e donne che, contro l'ideologia imperante, sanno ascoltare l'umano che è in loro, ritrovandolo negli ebrei in fuga.

«Lo scrivere queste pagine - sottolinea l’autrice - è anche il mio modo, oggi, per dire grazie a tutti coloro che mi hanno fatto sentire che la vita anche nei momenti più oscuri può essere bella, se qualcuno ti è vicino, ti tende una mano o semplicemente, anche con il suo stesso silenzio, è insieme a te: se qualcuno con la sua presenza rompe il guscio della tua solitudine e della paura». In queste parole, come non cogliere l’anelito di ognuno

di noi, soprattutto in questo momento di grande prova dei nostri fratelli e sorelle dell’Abruzzo colpiti dalla tragedia del terremoto?

Nella Premessa l'autrice afferma, non a caso, sia la lenta distillazione di queste pagine giunte ad essere scritte solo dopo lunghe dilazioni, sia la propria avversione nei confronti di stesure romanzate che rivestono d’immaginazione quel che va riportato nella sua originaria asciuttezza. Tuttavia, al presente della scrittura è affidato anche un suo legittimo ruolo che si esplica, prima di ogni altra cosa, nel «grazie» riservato nei confronti di coloro che in circostanze difficili, anzi drammatiche, le fanno avvertire la bellezza del vivere anche nei momenti più oscuri. Il trasferire sulla carta eventi, circostanze, nomi e cognomi riportati con scrupolo è un modo per esprimere un ringraziamento forse, fino ad ora, non sufficientemente esplicitato.

In Con gli occhi di allora la levità della scrittura diviene il sigillo di verità della testimonianza. Il ricordo della notizia di deportazioni di parenti stretti è, quindi, rivissuto attraverso l'immagine della madre muta e smarrita, senza proiettare indietro inattendibili consapevolezze di cui si era allora privi. L'immagine di zio Rodolfo, preso coi suoi figli Roberto e Vittorio, sulle montagne modenesi, condotto a Fossoli e di lì ad Auschwitz, s'identifica, perciò, con il saluto dato alla stazione di Ferrara quando la famiglia si sta trasferendo a Porretta. Com'era d'uso allora, mentre il treno parte, lo zio estrae il fazzoletto e lo sventola fino a che non diviene un puntino bianco: l'ultimo segno di una lontananza mai più ricomposta.

Oltre alla famiglia e alle persone, il libro ha anche un'altra protagonista:la città di Assisi. Non solo i nomi delle strade, degli alberghi, i vicoli e la piazza, ma anche la presenza di Francesco è avvertita nei versi del Cantico sentiti recitare fin dai tavoli dei ristoranti e in varie occasioni. Lo scrivere con esattezza dopo decenni, si è già accennato, diviene, con gli occhi di ora, anche una forma di ringraziamento. Assisi è legata a luoghi e presenze, ma anche a nomi e cognomi precisi. Tre di essi sono riportati nella breve parte iconografica che chiude il testo. Si tratta del vescovo mons. Nicolini, del sacerdote diocesano don Aldo Brunacci e del francescano p. Rufino Nicacci, tutti e tre fregiati, da parte ebraica, del titolo di «Giusti tra le nazioni».

Si tratta dunque della testimonianza di un'anima profondamente ebrea, ma aperta al cristianesimo, che ha conosciuto grazie a letture proprie, alla partecipazione ai Colloqui ebraico-cristiani di Montegiove, attraverso la sua attenzione alle espressioni della tradizione cristiana in Italia. Mirjam Viterbi ci ricorda che anche negli anni più bui, come quelli che la storia del secolo scorso ci ha consegnato, ogni persona può restare persona, perché creata ad immagine di Dio, sia consapevole o no di questa sua straordinaria natura.

Amiche lettrici e cari lettori, il numero di Consacrazione e Servizio che avete tra mano - il quinto dell’anno 2009 – si apre con la consueta rubrica «Speciale Anno Paolino». La biblista Cristina Caracciolo attira la nostra attenzione sul brano della Prima Lettera di Paolo a Timoteo, là dove l’Apostolo ricorda al suo fedele collaboratore che l’annuncio e l’insegnamento della Parola richiedono studio serio, impegno coscienzioso e diligente. In questa stessa rubrica Fernanda Barbiero rievoca l’arricchente pomeriggio paolino svoltosi a Roma l’8 marzo 2009 nella sede nazionale dell’USMI.

Nella rubrica: «L’uomo nascosto in fondo al cuore», la prof.ssa Antonietta Augruso si sofferma su «Memoria e radici». L’impegno del ricordo rimanda a ciò che siamo stati e a chi ci ha fatto conoscere la vita attraverso i suoi occhi e le sue mani. Tanti, tuttavia, forse la maggioranza, preferiscono negarsi l’impegno della memoria perché temono quasi di essere destabilizzati da un rapporto con le proprie radici.

Continua la rubrica «Orizzonti», arricchendo il fascicolo con due contributi. Il primo di Armando Matteo, assistente ecclesiastico della FUCI, richiama l’importanza dell’amore allo studio, impegno che non riguarda solo gli studenti, ma l’intera società civile: chi ama lo studio ama la vita. Il secondo di suor Emma Zordan, delegata USMI della

diocesi di Palestrina, rievoca l’esperienza formativa offerta alle religiose il 15 marzo u.s. su un tema sempre attuale: «Autorità e servizio nella vita fraterna».

Una parola particolare per il «Dossier». Sotto il titolo: «Ebrei e cristiani. Un dialogo alla luce della Parola», sono raccolti sei studi su un argomento di viva attualità. Si delinea il percorso storico degli ultimi cinquant’anni sul rapporto ebrei-cristiani (Giovanni Cereti), s’invita «al ripensamento dell’opportunità di porre al centro del dialogo la coppia

“identitaria” cristiani ed ebrei» (Piero Stefani), s’informa sull’approccio degli ebrei alla Scrittura (Elena Lea Bartolini), si rievocano i modelli antichi del Salterio (Tiziano Lorenzin), si ricordano i tratti fondamentali che accomunano liturgia ebraica e liturgia cristiana (Matteo Ferrari), si riflette sulla sintonia tra vita religiosa e dialogo ebraico cristiano (Agnese Magistretti). Anche le riflessioni del presente Editoriale intendono arricchire la tematica sul vincolo indistruttibile che lega ebrei e cristiani.

Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Luciagnese Cedrone), la rubrica: «Sorelle in libreria», affidata alla teologa Cettina Militello, presenta il volume: «Oltre il nulla» della scrittrice Ausilia Riggi Pignata.

Con i contributi di questo numero Consacrazione e Servizio si augura soprattutto di stimolare e favorire una leale simpatia verso gli ebrei, nostri «fratelli maggiori», come li ha chiamati Giovanni Paolo II nel pellegrinaggio del 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma, la più antica dell’Occidente.

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it