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È
necessario ricordare che uno degli obiettivi indicati
dal Concilio e dal magistero non è ancora stato raggiunto: mi riferisco
all’importanza di una riscoperta positiva degli ebrei e dell’ebraismo,
soprattutto in riferimento alla loro testimonianza attuale di fronte alle chiese
cristiane». Con queste parole Elena Lea Bartolini – di origini ebraiche da parte
materna - termina il suo contributo apparso sul
Dossier
del mensile
Jesus
(gennaio 2009) dedicato al
«Viaggio nell’ebraismo italiano». Proprio sul percorso dell’esperienza
intendiamo polarizzare l’attenzione, quale contributo al nostro
Dossier.
Fra le molteplici voci di testimoni del dialogo tra ebrei e cristiani, si
distinguono ad esempio mons. Clemente Riva (1922-1999), Edith Stein (1891-1942),
André Chouraqui (1917-2007)... Noi abbiamo scelto la testimonianza di Mirjam
Viterbi Ben Horin (1933- ), quale segno oggi di speranza.
Mirjam Viterbi Ben Horin è nata
da una famiglia ebraica padovana. Nel 1943-1944 si è salvata dalla persecuzione
nazista ad Assisi. Diplomata in pianoforte nel 1954, laureata in medicina e
chirurgia (1960) e specializzata in neurologia e psichiatria (1963)
all'Università di Roma, nel 1975 si stabilisce in Israele. Vive a Gerusalemme,
con frequenti
soggiorni in Italia. Tra le sue
pubblicazioni segnaliamo il volume:
Con gli occhi di allora. Una
bambina ebrea e le leggi razziali
(Morcelliana, Brescia 2008).
Questo «piccolo grande libro», così definito da Paolo De Benedetti, è lo
straordinario racconto delle vicende di una famiglia che è riuscita a salvarsi
dalla tragedia della Shoah.
Gli occhi di allora sono gli
occhi di una bambina ebrea, Mirjam, che nel 1938 non ha ancora varcato le soglie
della prima elementare, vive in una grande e bella casa di Padova ed è costretta
a faticosi esercizi per imparare a suonare il pianoforte. Nulla di
straordinario, tutto normale. Tuttavia, il pregio non comune del libro è che
ogni evento continua ad essere raccontato con il passo di una quotidianità
infantile, anche quando le circostanze diventano sempre più cupe in seguito alle
leggi razziali del 1938. La famiglia infatti deve trascorrere l'estate del 1943
a Porretta, per poi rifugiarsi ad Assisi, prima in un albergo, poi in un
appartamento. Lì, grazie all'aiuto del vescovo, di alcuni sacerdoti e di altri,
si sottrae sotto falsi nomi alla furia antisemita.
Protetta da un precario
anonimato reso un briciolo più sicuro da documenti falsi e soprattutto dalla
lealtà di chi sa e non svela, scavalca la guerra e i suoi drammi. Una narrazione
che mostra un lato poco noto degli eventi tragici di quegli anni: a volte la
salvezza viene agli ebrei da uomini e donne che, contro l'ideologia imperante,
sanno ascoltare l'umano che è in loro, ritrovandolo negli ebrei in fuga.
«Lo scrivere queste pagine -
sottolinea l’autrice - è anche il mio modo, oggi, per dire grazie a tutti coloro
che mi hanno fatto sentire che la vita anche nei momenti più oscuri può essere
bella, se qualcuno ti è vicino, ti tende una mano o semplicemente, anche con il
suo stesso silenzio, è insieme a te: se qualcuno con la sua presenza rompe il
guscio della tua solitudine e della paura». In queste parole, come non cogliere
l’anelito di ognuno
di noi, soprattutto in questo
momento di grande prova dei nostri fratelli e sorelle dell’Abruzzo colpiti dalla
tragedia del terremoto?
Nella
Premessa
l'autrice afferma, non a caso,
sia la lenta distillazione di queste pagine giunte ad essere scritte solo dopo
lunghe dilazioni, sia la propria avversione nei confronti di stesure romanzate
che rivestono d’immaginazione quel che va riportato nella sua originaria
asciuttezza. Tuttavia, al presente della scrittura è affidato anche un suo
legittimo ruolo che si esplica, prima di ogni altra cosa, nel «grazie» riservato
nei confronti di coloro che in circostanze difficili, anzi drammatiche, le fanno
avvertire la bellezza del vivere anche nei momenti più oscuri. Il trasferire
sulla carta eventi, circostanze, nomi e cognomi riportati con scrupolo è un modo
per esprimere un ringraziamento forse, fino ad ora, non sufficientemente
esplicitato.
In
Con gli occhi di allora
la levità della scrittura
diviene il sigillo di verità della testimonianza. Il ricordo della notizia di
deportazioni di parenti stretti è, quindi, rivissuto attraverso l'immagine della
madre muta e smarrita, senza proiettare indietro inattendibili consapevolezze di
cui si era allora privi. L'immagine di zio Rodolfo, preso coi suoi figli Roberto
e Vittorio, sulle montagne modenesi, condotto a Fossoli e di lì ad Auschwitz,
s'identifica, perciò, con il saluto dato alla stazione di Ferrara quando la
famiglia si sta trasferendo a Porretta. Com'era d'uso allora, mentre il treno
parte, lo zio estrae il fazzoletto e lo sventola fino a che non diviene un
puntino bianco: l'ultimo segno di una lontananza mai più ricomposta.
Oltre alla famiglia e alle
persone, il libro ha anche un'altra protagonista:la città di Assisi. Non solo i
nomi delle strade, degli alberghi, i vicoli e la piazza, ma anche la presenza di
Francesco è avvertita nei versi del
Cantico
sentiti recitare fin dai tavoli
dei ristoranti e in varie occasioni. Lo scrivere con esattezza dopo decenni, si
è già accennato, diviene, con gli occhi di ora, anche una forma di
ringraziamento. Assisi è legata a luoghi e presenze, ma anche a nomi e cognomi
precisi. Tre di essi sono riportati nella breve parte iconografica che chiude il
testo. Si tratta del vescovo mons. Nicolini, del sacerdote diocesano don Aldo
Brunacci e del francescano p. Rufino Nicacci, tutti e tre fregiati, da parte
ebraica, del titolo di «Giusti tra le nazioni».
Si tratta dunque della
testimonianza di un'anima profondamente ebrea, ma aperta al cristianesimo, che
ha conosciuto grazie a letture proprie, alla partecipazione ai Colloqui
ebraico-cristiani di Montegiove, attraverso la sua attenzione alle espressioni
della tradizione cristiana in Italia. Mirjam Viterbi ci ricorda che anche negli
anni più bui, come quelli che la storia del secolo scorso ci ha consegnato, ogni
persona può restare persona, perché creata ad immagine di Dio, sia consapevole o
no di questa sua straordinaria natura.
Amiche lettrici e cari lettori,
il numero di
Consacrazione e Servizio
che avete tra mano - il quinto
dell’anno 2009 – si apre con la consueta rubrica
«Speciale Anno Paolino».
La biblista Cristina Caracciolo attira
la nostra attenzione
sul brano della Prima Lettera di Paolo a Timoteo,
là dove l’Apostolo
ricorda al suo fedele collaboratore che l’annuncio e l’insegnamento
della Parola
richiedono studio serio, impegno coscienzioso e
diligente. In questa
stessa rubrica Fernanda Barbiero rievoca l’arricchente
pomeriggio paolino
svoltosi a Roma l’8 marzo 2009 nella sede nazionale
dell’USMI.
Nella rubrica:
«L’uomo nascosto in fondo al
cuore», la prof.ssa
Antonietta Augruso si sofferma su «Memoria e radici». L’impegno del ricordo
rimanda a ciò che siamo stati e a chi ci ha fatto conoscere la vita attraverso i
suoi occhi e le sue mani. Tanti, tuttavia, forse la maggioranza, preferiscono
negarsi l’impegno della memoria perché temono quasi di essere destabilizzati da
un rapporto con le proprie radici.
Continua la rubrica
«Orizzonti»,
arricchendo il fascicolo con due contributi. Il primo di Armando Matteo,
assistente ecclesiastico della FUCI, richiama l’importanza dell’amore allo
studio, impegno che non riguarda solo gli studenti, ma l’intera società civile:
chi ama lo studio ama la vita. Il secondo di suor Emma Zordan, delegata USMI
della
diocesi di Palestrina, rievoca
l’esperienza formativa offerta alle religiose il 15 marzo u.s. su un tema sempre
attuale: «Autorità e servizio nella vita fraterna».
Una parola particolare per il
«Dossier».
Sotto il titolo: «Ebrei e cristiani. Un dialogo alla luce della Parola», sono
raccolti sei studi su un argomento di viva attualità. Si delinea il percorso
storico degli ultimi cinquant’anni sul rapporto ebrei-cristiani (Giovanni Cereti),
s’invita «al ripensamento dell’opportunità di porre al centro del dialogo la
coppia
“identitaria” cristiani ed
ebrei» (Piero Stefani), s’informa sull’approccio degli ebrei alla Scrittura
(Elena Lea Bartolini), si rievocano i modelli antichi del Salterio (Tiziano
Lorenzin), si ricordano i tratti fondamentali che accomunano liturgia ebraica e
liturgia cristiana (Matteo Ferrari), si riflette sulla sintonia tra vita
religiosa e dialogo ebraico cristiano (Agnese Magistretti). Anche le riflessioni
del presente
Editoriale intendono
arricchire la tematica sul vincolo indistruttibile che lega ebrei e cristiani.
Oltre alle consuete
esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Luciagnese
Cedrone), la rubrica:
«Sorelle in libreria»,
affidata alla teologa Cettina Militello, presenta il volume: «Oltre il nulla»
della scrittrice Ausilia Riggi Pignata.
Con i contributi di questo
numero Consacrazione
e Servizio si augura
soprattutto di stimolare e favorire una leale simpatia verso gli ebrei, nostri
«fratelli maggiori», come li ha chiamati Giovanni Paolo II nel pellegrinaggio
del 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma, la più antica dell’Occidente.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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