n. 10
ottobre 2009

 

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Oltre le parole

di ANTONIETTA AUGRUSO

 

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 Che importanza avrebbe
che noi fossimo arche di scienza,
se poi non sapessimo
vivere in fraternità con il nostro prossimo?
(MOHANDAS GANDHI)

Raggiungere il massimo delle conoscenze, a tal punto da essere considerato un’arca di scienza, non implica autosufficienza. Penso invece, che il sapere autentico metta in sospensione l’autoreferenzialità. La vita è soggetta al cambiamento, nessun giorno è identico a quello già vissuto. A tale consapevolezza si viene educati.

Il senso degli eventi, a volte indecifrabile, dipende anche da ciò che riteniamo importante o

significativo. Capita che qualcuno attribuisca un’importanza enorme a fatti poco rilevanti. Punti di vista! Succede così anche per il significato che attribuiamo alle parole. La parola vissuta ha una maggiore incisività della semplice parola detta. Cambiano le situazioni, e anche le parole: educazione è una parola forte (E. Morin). Per ognuno, educazione non è solo un termine scritto nel dizionario: è ricordo, dolore, gioia da trasmettere. A volte un’educazione sbagliata lascia segni indelebili, e si riesce con molta fatica a superare e guarire gli errori frutto di superficialità e incuria.

L’etimologia più diffusa, fa derivare la parola educazione dal latino educere (condurre oltre): si tratta di una realtà in progressione. I soggetti dell’educazione sono molteplici, la storia ha tante facce: gli ambienti, i fatti, le persone e poi c’è l’impatto che ogni singola persona, nel suo mondo dove vive, ha con la realtà.

Esperire

«L’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e del ricordo, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso. Ci sono corsi di filosofia ma non corsi di saggezza; la saggezza si raggiunge per mezzo dell’esperienza spirituale»1.

Non avrei mai colto in profondità il significato della morte se questa non mi avesse visitata: l’esperienza educa, quando entra nelle fibre più nascoste del nostro essere. Allora si comprende che la morte si vive, non si esorcizza né si dimentica. È cosi quando si fa esperienza di amore e di dedizione: è molto di più che sentirne parlare o limitarsi a leggere un libro avvincente sull’argomento. L’esperienza non si riduce a ciò che accade; bisogna educare ed educarsi, ad andare oltre e cogliere il senso.

Se consumiamo esperienze, senza metabolizzare (interpretare, riflettere, gustare, tacere, ecc...), alla fine ci siamo semplicemente omologati ad uno stile che non abbiamo scelto e che magari non fa per noi: «Favorire la profondità della consapevolezza, una vera apertura della mente e dei sensi al dato di fatto, è per noi vitale come l’iniziazione all’arte della spiegazione e dell’espressione».2

Molto dipende da come il soggetto si pone dentro la totalità della sua storia e da ciò che lo circonda, dalle sue personali elaborazioni o da ciò che ha potuto costituire un freno o uno stimolo: anche nell’educazione chi ha più risorse potrebbe (non sempre è così) trovarsi in una situazione di vantaggio rispetto a chi si trova con strumenti molto limitati.

Da bambina facevo di tutto perché non apprezzassero la mia buona educazione, perché essa mi appariva una sorta di osservanza rigida delle buone maniere. Mi costringeva a non dire parolacce, a non sporcarmi i vestiti e tante piccole accortezze, che in realtà facevano piacere solo agli adulti. Perciò simpatizzavo per alcuni coetanei che si potevano permettere di essere poco educati, anche se leggevano meno libri di me e non possedevano bambole. Eppure i loro volti erano quelli di bambini liberi e felici, perché meno protetti e forse più esperti nell’affrontare la vita.

Allora pensavo che la strada educa alla libertà, quando si percorre senza troppe difese. Bisogna evitare di cadere nel tranello che una buona educazione sia quella che protegge e nasconde dal rischio. L’educazione non è un percorso a senso unico, e la libertà responsabile dell’educando va salvaguardata con attenzione: «Discernimento, lingua, occhi orecchi e cuore diede loro perché ragionassero. Li riempì di dottrina e intelligenza, e indicò loro il bene e il male» (Sir 17,5-6).

Ricomporre

L’esperienza mette in movimento, è il cuore di quel processo chiamato autoconsapevolezza: è il sentiero da prendere per essere uomini nuovi. È importante ripeterlo: l’esperienza ha tante

dimensioni. C’è il fatto che accade, il movimento della memoria, ci sono le paure, lo stupore, ma anche il dialogo con l’altro che porta ad un’azione e ad un progetto comuni. Fasi non necessariamente ordinate in successione, ma indispensabili oggi, nell’era del globale, per comprendere e affrontare la sfida della complessità.

I discepoli di Emmaus, nella paura avevano forse trascurato la memoria e lo stupore. Vanno via da Gerusalemme, quando si comincia a diffondere la notizia della risurrezione e sono molto presi unicamente dalla propria visione della vicenda che li ha portati alla fuga (Lc 24,14). Gesù cammina in loro compagnia, li aiuta a rimettere insieme le tessere del mosaico. Prima li stimola alla narrazione, non si mostra estraneo, anzi vuole conoscere la loro storia, e la loro personale interpretazione degli eventi: desidera comprendere le esigenze più profonde, capire dove si è inceppato il loro percorso. Cosa mancava? Coraggio, profondità, intuizione profetica?

Nella fase successiva li invita al discernimento lucido e illuminato dalla fede del popolo: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti» (Lc 24,25). Il momento conclusivo dell’incontro è paradigmatico per ogni educatore: Gesù condivide la mensa con i due dopo averli condotti oltre (cioè educati).

Stare a tavola con i propri discepoli significa anche non dimenticare le loro necessità primarie. Capita che gli educatori di professione pensino che la vita del discepolo sia semplicemente quella che vedono nelle situazioni istituzionali: tra i banchi di scuola o in riunioni occasionali. Ne viene fuori una visione molto limitata dell’altro, a volte pure distorta. Stare a tavola vuol dire tentare di sostare nella vita dell’altro senza pensare che la possibile soluzione sia già negli schemi ordinati e ben confezionati.

Finalmente i due discepoli riprendono fiducia e hanno il coraggio di tornare alle proprie radici annunciando che il Maestro è risorto (Lc 24,33-35). La paura dei discepoli di Emmaus si è ridimensionata, ora hanno un contatto più sano con gli eventi. E ciò li conduce ad essere uomini liberi. La vita di ogni persona è un mosaico da ricomporre, l’educatore deve ricordare che l’immagine che ne verrà fuori non dovrà essere la sua. Esiste una reciprocità fatta di rispetto, di vicinanza e di distanza, di ascolto e di attesa. È necessario vigilare sulla tentazione di neutralizzare la differenza che inquieta, senza dar nulla per scontato e fare attenzione alle sfumature, alle frasi dette velocemente, a quelle dette solo con lo sguardo, e poi non cedere al delirio di pensare ad un’educazione perfetta: non esiste, non è un sistema. Il limite è costitutivo dell’essere umano e anch’esso forse più di ogni altra dimensione può essere luogo educativo.

Liberare, amare

Non si è educati per sempre, perché l’educazione è legata anche all’interiorità, che sfugge ad ogni casistica. Possono mutare le tipologie di approccio, le posizioni teoriche, il linguaggio e le tecniche, ma un‘educazione che non si concepisce come processo, rischia di essere un sistema giustapposto.

Nel libro dell’Esodo subito dopo il passaggio del mar Rosso il popolo del Signore è già stanco della sua libertà, preferisce cipolle e tranquillità alla fatica della libertà (Es 16,2-4). Il cibo e l’acqua non mancheranno, il ruolo di Mosè fa riflettere, più volte egli ripete al popolo che le loro mormorazioni sono contro il Signore, il quale però l’acqua e il cibo non li fa mancare, seppur secondo le necessità del momento (Es 16,16). Mosè cerca di aiutare la sua gente a non collocarlo nel posto sbagliato, insiste su questo punto: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?» (Es 17,2).

In realtà comprende la fatica della sua gente e parla col suo Signore: «Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!» (Es 17,4). Bisogna avere la pazienza di mediare: in realtà Mosè si assume la sfiducia e il disorientamento degli Israeliti e li presenta a Colui che è l’autore della loro libertà.

L’educazione chiede di essere strumenti e di agire con flessibilità e autorevolezza; bisogna indicare la strada, camminare insieme e fare memoria dell’oltre e soprattutto amare. Chi ci sta di fronte e attende da discepolo va incoraggiato a non arrendersi, a cercare la liberazione con le fatiche che questo comporta, a mettere in gioco la propria creatività come i Lillipuziani nei viaggi di Gulliver che solidarizzano tra di loro e trovano una via d’uscita: entrare nel bosco anche se si incontrerà il lupo.

C’è poi un’altra dimensione che non bisogna perdere di vista, la relazione educativa non è a senso unico: «Chiunque insegna impara» (Seneca). L’educatore è il saggio, la persona matura che non si arrocca sulla propria esperienza ma sa stupirsi e interrogarsi sempre nuovamente.3

Ci sono elementi e dimensioni che cambiano perché unicamente legati alla cultura di un gruppo o di un popolo, altri che in qualche forma indicano la strada ad ogni essere umano.

Sarà pure un limite, ma credo di non poter comprendere in pieno l’insistenza sulla spendibilità dei saperi: mi sembra un’espressione a senso unico, ci sono saperi che non si possono collocare in un’ottica simile. La sapienza ci suggerisce che c’è un depositum da ereditare da chi ha vissuto nella saggezza, come dice il libro dei Proverbi in apertura: «Per conoscere la sapienza e l’istruzione, per capire i detti intelligenti, per acquistare una saggia educazione, equità, giustizia e rettitudine, per rendere accorti gli inesperti e dare ai giovani conoscenza e riflessione» (Pr 1,3-4).

 

NOTE

1 J. MARITAIN, Per una filosofia dell’educazione, a cura di G. Galeazzi, La Scuola, Brescia 2001, 87.

2 A. J. HESCHEL, Il canto della libertà, Qiqajon, Magnano 1996, 80.

3 Cf AA.VV., Le età della vita. Accelerazione del tempo e identità sfuggente, Glossa, Milano 2009, 42.

 

Antonietta Augruso
Docente di Religione
Via Eurialo, 91 - 00181 Roma

 

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