Èforse
un po’ azzardato tentare di dire qualcosa di sensato (non dico di nuovo)
sull’educazione, alla vigilia di un decennio che sarà totalmente
dedicato al tema ed inoltre a partire da una prospettiva, quella
dell’essere una suora, forse aspetto marginale e trascurabile rispetto
all’evento dell’educare.1
L’educazione è una delle tante cose meritorie che una
suora fa, più o meno bene, come altri. Si può attribuire un valore
aggiunto al di più di passione, dedizione, consacrazione…? Ed è poi effettivamente un più? O, quantomeno, è diverso?
Un tema di questo tipo può essere trattato attraverso
una narrazione della propria esperienza; producendo dati statistici
sull’incidenza dell’apporto della vita religiosa; enucleando degli
ideali, un dover essere, desunto dalla "natura" del proprio essere
"religiose".
Pur essendo un’insegnante, ed un’insegnante contenta
– almeno fino ad ora, ogni nuovo anno scolastico è una scommessa - non
ritengo alcuna esperienza generalizzabile né tantomeno esemplare: è così
arrischiato, particolare e precario il contesto in cui si produce,
nell’atto dell’insegnare, una possibilità realmente educativa, da non
essere riproducibile e spesso nemmeno raccomandabile.
Sull’uso strumentale dei dati statistici siamo abbastanza
consapevoli.
Rischierò pertanto di dire qualcosa sull’ideale,
facendo leva su alcuni aspetti strutturali dell’essere religiose che
potrebbero avere rilevanza educativa oggi, in questa scuola, con questi
soggetti in età evolutiva.
Adulte
È presumibile che una suora che insegna sia un’adulta o sul punto di
diventarlo.
Non un’adulta perfetta. Tuttavia un’adulta che ha
maturato qualche convinzione, che sa tenere una posizione asimmetrica
rispetto all’interlocutore - una alterità senza distanza - che sa porsi
a vantaggio dell’altro, mettendo a disposizione quello che è a favore
della crescita dell’altro come soggetto autonomo.
Un’adulta sicura e certa oppure inquieta e post-moderna?
Dipende da quanto stiamo a bagnomaria nel brodo
culturale contemporaneo; dipende da come la sequela del Signore Gesù ci
fa stare (o esulare) da questa storia. Si può essere adulti che guardano
indietro, a come erano belli i tempi passati, o adulti che si sentono a
casa anche nell’attuale fase di disorientamento culturale e, mentre
trasmettono, attendono di vedere emergere dalle nuove generazioni una
nuova cultura.
Fortemente connotate
Con un abito uniforme o comune, con velo o senza velo
– per stare sul banale che, comunque, a livello comunicativo, non è mai
indifferente -, una suora genera una serie di pregiudizi che sarebbe
interessante stanare. Nel gioco delle aspettative che un’identità
socialmente esibita evoca, non tutte sono pertinenti.
Non tutte sono, inoltre, positive.
Nei miei più giovani anni ho speso molte energie per
combattere contro le aspettative/precompressioni più negative ed odiose,
in un’inesausta battaglia contro i mulini a vento, rammaricandomi di
come risorgessero da capo, intatti.
Oggi (col senno di poi) non ci spenderei più tanto
tempo. La qualità umana ed educativa
può trasparire oltre lo stereotipo; certo ci vuole
tempo e familiarità, ma nella scuola ce n’è di entrambi.2 Può essere interessante
incontrare un adulto che non nasconde le ragioni che lo fanno vivere.
Votate
I voti sono quella cosa che, dichiarata o meno, ha il
suo effetto. E non parlo dei voti scolastici. Senza la pretesa di fare
una teologia dei voti, se ne può accennare la valenza educativa:
1) la castità non è
un modo anaffettivo e distaccato di guardare all’altro, ma la dedizione
all’emergere della sua persona; dichiara che ogni persona è degna di rispetto, perché destinataria della preoccupazione
di Dio;
2)
la povertà è il modo di porgere all’altro senza
supponenza, nella disponibilità anche a ricevere; essa ci colloca in una
condizione che dice assenza di pretesa e attesa come spazio favorevole
di maturazione dell’altro.
3)
l’obbedienza rimanda ad una progettualità che ci supera, alla
fiducia in un disegno più grande rispetto al quale siamo solo strumenti
responsabili (senza esaltazione e senza depressione) poiché noi non
siamo i soli autori delle nostre storie; attesta che la persona è capace
di lasciarsi interpellare, di uscire dalla genericità, di entrare in
alleanza che riconosce e risponde ad un preciso disegno.
Limpidamente vissuti i voti hanno una forte valenza
di personalizzazione:essi ci aiutano a riprendere ogni giorno la fatica
della relazione educativa. Ma anche sono fruttuosi per coloro a cui ci
dirigiamo, in quanto rendono disponibile nella storia - fanno vedere -
un modo di essere umane fortemente esposto all’alterità.
A motivo di Cristo, come Lui
A monte dei voti vi è l’intenzionalità del nostro
agire - a motivo di Cristo e del suo Regno - che non deve farci perdere
di vista il "come Lui".
In questi tempi di riscosse identitarie e di
rinnovate strategie di presenza, forse una riedizione della prassi
storica di Gesù, un ritorno al Vangelo per tentare di assumere la
modalità relazionale dell’Uomo che si faceva accogliere ed accoglieva,
che evocava ovunque soggetti capaci di parola e di decisione… ci darebbe
criteri per discernere (oltre la destra e la sinistra, oltre le pastoie
ideologiche) ciò che giova all’umano, ciò che lo rispetta e lo provoca a
compiersi.
Come Lui, saper porre la questione di Dio fuori dal tempio, nella
quotidianità.
Quanto dobbiamo essere impregnate della Parola per
poter dire di nuovo Dio non solo nell’ora di religione, ma nelle
questioni della vita, nelle domande di senso, nell’apprezzamento dei
processi culturali?
Dire "di nuovo", non tanto "da capo", ma in modo inaudito, vitale.
La cura dell’insieme
Non è da sottovalutare, anche se impalpabile, il
contributo che una comunità religiosa può dare a stabilire un
contesto/clima in un ambiente educativo.
Senza illusioni né retorica. Non è facile né
automatico, ma è indubbio che il lavoro di formazione - di co-formazione
– coi docenti concorre a creare un clima, uno stile che innerva le
pratiche didattiche ed esalta l’efficacia educativa.
L’odore di una scuola rimane attaccato ai suoi alunni
molto più dei contenuti culturali. Un gruppo, anche piccolo, di persone
che vivono in un luogo, conferiscono stabilità e continuità agli apporti
a volte più sporadici e frammentari degli insegnanti laici, costituendo
quel reticolo indispensabile che fa di una scuola non un non-luogo
anonimo ma un ambiente dove si può vivere e tornare.
E questo fa bene a tutti (alunni, insegnanti,
genitori), ritesse e ricompone i legami; genera piccoli e
sufficientemente stabili isolotti, compatti ma non autoreferenziali,
nella liquidità sociale.
In vista di ciò che esiste ancora
Sarebbe un vero peccato che tutta l’enfasi
escatologica che si attribuisce alla vita religiosa non trovasse
un’evidenza simbolica e concreta nelle pratiche educative, soprattutto
di questo tempo.
Qui il rischio è grande e la scelta ineludibile.
Nell’azione educativa ci si è sempre interrogati sul rapporto fra
trasmissione dei dati culturali ed il loro tradimento. In questo
frangente storico in cui una sintesi culturale secolare sta mostrando
segni di cedimento,3 non possiamo esimerci dalla
responsabilità di scegliere cosa trasmettere, cosa tralasciare, quali
strade non ancora percorse indicare, quali competenze e capacità sono
richieste da questa transizione.
Siamo adeguate - non dirò esaustive - nel perseguire
questa strada? Siamo abbastanza spirituali per guardare con leggerezza a
ciò che scompare e indicare ai nuovi ciò che germoglia o, perlomeno,
attrezzarli a coglierlo ed interpretarlo?
La scuola cattolica, e comunque la religiosa nella
scuola, è interpretata spesso dalla parte della custodia del patrimonio,
della tradizione. Noi sappiamo, invece, che oltre ogni sintesi
raggiunta, c’è dell’altro; che nessuna cultura incarna compiutamente il
Vangelo e nemmeno gli è totalmente estranea…
Con un occhio di riguardo agli scartati
Credo che tutte le congregazioni "storiche" sorte per
l’educazione mantengano una nostalgia di poveri oltre che nei libri
fondazionali anche nelle loro pratiche concrete.
Siamo in una situazione in cui è prevedibile un
accentuarsi dell’esclusione in varie forme.4
Immagino proprio della profezia della vita religiosa in un contesto
educativo la cura per chi è in stato di minorità, a rischio di scarto ed
esclusione: non solo come attenzione, ma come prospettiva a partire da
cui guardare il tipo di società prodotta dalle proprie pratiche
educative. La nostra marginalità sociale (ed ecclesiale) se a qualcosa
può servire è una condizione per vedere diversamente, perché "l’uomo
nella prosperità non comprende…".
In questo tempo, carente di prospettive, nemmeno noi
abbiamo una storia del futuro da raccontare: il cristianesimo ci offre
una dimora del tempo, ma non delinea chiaramente il domani (T. Radcliffe).
Abbiamo tuttavia una speranza: non la convinzione che tutto andrà bene,
ma la certezza che qualcosa troverà certamente un senso.
Questa speranza ci autorizza e ci abilita ad educare.
Note
1. Sempre più (ed in modo pertinente)
si lega radicalmente la questione dell’educare alla famiglia e alle cure
parentali, peraltro in un momento in cui la famiglia è piuttosto
disorientata rispetto a questa responsabilità.
2. Per la soluzione del problema
della presentabilità sociale (ed ecclesiale) della vita religiosa
bisogna agire su altri fronti.
3. A. MATTEO, Come forestieri.
Perché il cristianesimo è divenuto estraneo agli uomini e alle donne del
nostro tempo, prefazione di G. Ravasi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli (Catanzaro) 2008.
4. Z. BAUMAN, Vite di scarto,
traduzione di M. Astrologo, Laterza, Bari 2008. La produzione di
"rifiuti umani", di esseri umani scartati, è un risultato inevitabile
della modernizzazione, un ineludibile effetto collaterale della
costruzione di ordine (ogni costruzione di ordine scarta alcune parti
della popolazione esistente come "fuori posto", "inidonee",
"indesiderate") e del progresso economico (che svaluta modi precedenti
di procurarsi da vivere, privando del sostentamento chi li praticava).
Eliana Zanoletti
Insegnante di storia e filosofia
Via San Martino 13b - 25121 Brescia
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