n. 10
ottobre 2009

 

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"Lo educò, ne ebbe cura, lo custodì…" (Dt 32,10)
Dio educatore del suo popolo
   

 

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Mai come oggi i giovani sono chiamati ad affrontare una società incapace di prestar loro l'attenzione e il rispetto, i piccoli segni di affetto e i grandi ideali di cui hanno bisogno. Da anni Paolo Crepet, uno degli psicologi più in vista in Italia, viaggia lungo la penisola incontrando genitori, studenti, insegnanti, educatori, per comprendere i motivi della crisi silenziosa che attraversa la scuola e la famiglia. Dal suo lavoro di ascolto sono nate le riflessioni contenute nel volume La gioia di educare (Einaudi, Torino 2008). Il libro raccoglie tre testi in precedenza pubblicati: "Non siamo capaci di ascoltarli", "Voi, noi", "I figli non crescono più", e qui riuniti in un unico volume come capitoli di una stessa opera che parla di una sola, grande e dimenticata questione:l'emergenza educativa. Tuttavia, in oltre 400 pagine, non esiste la parola "Dio", e due volte si parla di oratori parrocchiali, per dirne che stentano a vivere. Eppure, sarebbe stato arricchente il suo narrare sulla gioia di educare - lo stesso si riscontra in libri e interventi sui mass-media di tanti esperti dell’educazione - se avesse colto la forza che sprigiona il programma educativo espresso nella Bibbia che, al dire del card. C. M. Martini, "può essere a buon diritto considerata come il grande libro educativo dell’umanità" e "Dio il grande educatore del suo popolo".

Diviene allora necessario rapportarsi con la sapienza biblica, e lo faremo assumendo come testo fondamentale il brano del Cantico di Mosè (Dt 32,1-43) che descrive l’azione educativa di Dio educatore del suo popolo e di ciascuno dei suoi figli.

"Mosè pronunziò innanzi a tutta l’assemblea d’Israele le parole di questo canto, fino al loro termine" (Dt 31,30). Così si legge in apertura al cantico. Dei quarantatré versetti di cui si compone, la Liturgia delle Lodi (sabato della 2a settimana) ha preso in considerazione soltanto i primi dodici versetti, che ne costituiscono il preludio. In essi si riconosce un gioioso inno al Signore che protegge e cura con amore il suo popolo in mezzo ai pericoli e alle difficoltà della giornata. L’analisi del cantico rivela che si tratta di un testo antico, posteriore a Mosè, sulle cui labbra è stato posto, per conferirgli un carattere di solennità. Secondo dei due cantici di Mosè - il primo, Esodo 15,1-18, aveva salutato l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso - Deuteronomio 32,1-43 si colloca alle radici stesse della storia del popolo d’Israele. Una volta al mese, per la Chiesa orante questo secondo Cantico di Mosè diventa un esame di coscienza corale perché ai benefici divini risponda finalmente non più il peccato ma la fedeltà.

Nel cantico, insegnamento sapienziale e rimprovero si uniscono all’esortazione profetica e all’inno. Mosè, poeta e interprete della legge divina, invoca cieli e terra per citarli come testimoni nel processo che sta per iniziare. Essi rappresentato l’ordine delle cose violato e sovvertito dal peccato (cf Am 1,2; Os 4,1-3; Is 24,4-6). Quattro paragoni metereologici sottolineano l’importanza che merita il discorso di accusa che il profeta si accinge a pronunziare. Esso stillerà come pioggia, scenderà come rugiada, come scroscio sull’erba, come spruzzo sugli steli di grano. Tali parole vengono dal cielo, hanno la stessa azione emolliente della pioggia sottile. Azione necessaria per convincere gli animi induriti: bisogna ammorbidire i cuori prima di gettarvi il seme della Parola. Fra i molteplici nomi di Jahvè, viene scelto quello di Roccia, un titolo che costella tutto il nostro cantico, un’immagine che esalta la giustizia, la rettitudine e la fedeltà stabile di Dio, ben diversa dall’instabilità e dall’infedeltà del popolo. Si fa quindi ricorso ad una efficace rappresentazione di Dio come padre. Le sue creature tanto amate sono chiamate suoi figli, che purtroppo si sono mostrati "tortuosi e perversi, figli degeneri e corrotti". Per questo la denuncia appassionata: "Così ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?" (Dt 32,6). Quale rimedio alla stabilità di Dio e all’incostanza dell’uomo? Ritrovare costanza e coerenza attraverso la memoria: "Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani" (Dt 32,7). I motivi per farlo non mancano. Innanzitutto quello della gratitudine.

Essere stato preferito a tutti i popoli della terra per divenire la parte di eredità del Signore obbliga alla riconoscenza. La fede biblica è un riscoprire l’azione di Dio disseminata nel fluire del tempo. Il grande peccato d’infedeltà coincide, allora, con la "smemoratezza", che cancella il ricordo della presenza divina in noi e nella storia.

L’evento fondamentale da non dimenticare è quello della traversata del deserto dopo l’uscita dall’Egitto, il tema capitale del Deuteronomio e dell’intero Pentateuco. Si evoca, così, il viaggio terribile e drammatico nel deserto del Sinai. Nonostante l’infedeltà del popolo, Dio si china su di esso con una tenerezza e una dolcezza sorprendenti. Al simbolo paterno s’intreccia allusivamente anche quello materno dell’aquila: "Lo educò, ne ebbe cura, lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali" (Dt 32,10-11). Il cammino nella steppa desertica si trasforma, dunque, in un percorso quieto e sereno, perché c’è il manto protettivo dell’amore divino.

Dio educa il suo popolo partendo dal punto in cui si trova: "Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari" (Dt 32,10). "Terra deserta", "landa", luoghi dove sembra non esserci vita, dove solo gli "ululati" sono di casa. È il luogo peggiore per iniziare un’azione educativa. Può subentrare sconforto, scoraggiamento, forse può emergere la domanda: "ma chi me lo fa fare?", si ha paura di non riuscire. Nonostante questo, Dio inizia da qui la sua azione educativa. Egli è una persona che prova sentimenti, agisce e reagisce, ama e condanna, partecipa alla vita delle sue creature e non è indifferente alle loro opere. Ha cura dell’uomo, lo cerca, lo ama, ridona speranza con la sua presenza: "lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, lo custodì ". Il contesto, pur difficile, non lo paralizza. Non inventa una nuova storia, guarda con estremo realismo senza entrare in facili illusioni. Proprio perché il percorso si svolge all’interno di un cammino, esso si presenta non sempre facile e lineare, ma segnato da resistenza, ribellione, ingratitudine.

La guida del popolo richiede a Dio un’infinita pazienza, una continua ripresa, una riprogettazione instancabile del cammino. "L’educazione di Dio - come afferma il card. Martini nella sua lettera Dio educa il suo popolo - è dunque insieme un’educazione di parole e di fatti, di detti e di azioni, di promesse e di adempimenti, di comandamenti e di correzioni. È un’educazione nella storia" (n.7). In conclusione, dicendo che Dio è l’educatore del suo popolo - continua il card. Martini - "vuol dire che Dio è educatore di ciascuno di noi, di ogni uomo e di ogni donna che vengono in questo mondo, ma sempre nel quadro di un cammino di popolo, di una comunità di credenti: Dio educa un popolo nel suo insieme, con attenzione privilegiata verso il cammino di ciascuno" (n. 5). Il popolo di Dio è educato da Dio, Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo; dal Padre creatore, dal Figlio redentore, dallo Spirito santificatore.

Amiche lettrici e cari lettori, il numero di Consacrazione e Servizio che avete tra mano - il decimo dell’anno 2009 – si apre con la rubrica "Anno Sacerdotale". L’intervista di Paola Bignardi dà la parola a mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno. che per la sua esperienza di formatore per diversi anni presso il Pontificio Seminario Regionale Umbro, fa di lui una persona qualificata a far emergere la dimensione spirituale dell’anno sacerdotale.

Continuano le rubriche: "L’uomo nascosto in fondo al cuore", a cura della prof.ssa Antonietta Augruso e "Orizzonti", che arricchisce il fascicolo con tre contributi. Il primo, di mons. Angelo Amato, presenta un commento alla terza enciclica di Benedetto XVI intitolata Caritas in Veritate, promulgata il 29 giugno 2009, solennità dei santi Pietro e Paolo. Il secondo, del carmelitano Bruno Secondin, si sofferma a presentare il 14° volume della collana Rotem con un titolo e sottotitolo davvero significativi: Quando la Parola prende fuoco. "Lectio divina" per i giorni difficili. Il terzo contributo della salesiana Maria Spolnik delinea gli aspetti caratteristici di un recente e importante convegno dedicato al tema: "Educare alla speranza. Sfide educative e itinerari pedagogici per uno sviluppo integrale della persona".

Una parola particolare per il "Dossier". Sotto il titolo coinvolgente: "Il coraggio di educare", sono raccolti sette studi su un argomento oggi tanto dibattuto, come esplicita il sottotitolo: "Il fascino di una sfida". Affidati a vari specialisti in materia, gli articoli risultano un contributo di formazione e di aggiornamento nel settore educativo. Anche il presente Editoriale intende porsi su questa linea.

Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Luciagnese Cedrone), la rubrica: "Sorelle in libreria", affidata alla teologa Cettina Militello, presenta il volume: "Clausura" della scrittrice Espedita Fisher.

Un numero molto ricco che soprattutto le religiose avranno la gioia e il gusto di leggere e su cui soffermarsi.

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it