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Mai
come oggi i giovani sono chiamati ad affrontare una società incapace di prestar
loro l'attenzione e il rispetto, i piccoli segni di affetto e i grandi ideali di
cui hanno bisogno. Da anni Paolo Crepet, uno degli psicologi più in vista in
Italia, viaggia lungo la penisola incontrando genitori, studenti, insegnanti,
educatori, per comprendere i motivi della crisi silenziosa che attraversa la
scuola e la famiglia. Dal suo lavoro di ascolto sono nate le riflessioni
contenute nel volume La gioia di educare
(Einaudi, Torino 2008). Il libro raccoglie tre testi in
precedenza pubblicati: "Non siamo capaci di ascoltarli", "Voi, noi", "I figli
non crescono più", e qui riuniti in un unico volume come capitoli di una stessa
opera che parla di una sola, grande e dimenticata questione:l'emergenza
educativa. Tuttavia, in oltre 400 pagine, non esiste la parola "Dio", e due
volte si parla di oratori parrocchiali, per dirne che stentano a vivere. Eppure,
sarebbe stato arricchente il suo narrare sulla gioia di educare - lo stesso si
riscontra in libri e interventi sui mass-media di tanti esperti dell’educazione
- se avesse colto la forza che sprigiona il programma educativo espresso nella
Bibbia che, al dire del card. C. M. Martini, "può essere a buon diritto
considerata come il grande libro educativo dell’umanità" e "Dio il grande
educatore del suo popolo".
Diviene allora necessario rapportarsi con la sapienza
biblica, e lo faremo assumendo come testo fondamentale il brano del
Cantico di Mosè (Dt 32,1-43) che descrive l’azione
educativa di Dio educatore del suo popolo e di ciascuno dei suoi figli.
"Mosè pronunziò innanzi a tutta l’assemblea d’Israele le
parole di questo canto, fino al loro termine" (Dt 31,30). Così si legge in
apertura al cantico. Dei quarantatré versetti di cui si compone, la Liturgia
delle Lodi (sabato della 2a settimana) ha preso in considerazione soltanto i
primi dodici versetti, che ne costituiscono il preludio. In essi si riconosce un
gioioso inno al Signore che protegge e cura con amore il suo popolo in mezzo ai
pericoli e alle difficoltà della giornata. L’analisi del cantico rivela che si
tratta di un testo antico, posteriore a Mosè, sulle cui labbra è stato posto,
per conferirgli un carattere di solennità. Secondo dei due cantici di Mosè - il
primo, Esodo 15,1-18, aveva salutato l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar
Rosso - Deuteronomio 32,1-43 si colloca alle radici stesse della storia del
popolo d’Israele. Una volta al mese, per la Chiesa orante questo secondo
Cantico di Mosè diventa un esame di coscienza corale perché ai benefici
divini risponda finalmente non più il peccato ma la fedeltà.
Nel cantico, insegnamento sapienziale e rimprovero si
uniscono all’esortazione profetica e all’inno. Mosè, poeta e interprete della
legge divina, invoca cieli e terra per citarli come testimoni nel processo che
sta per iniziare. Essi rappresentato l’ordine delle cose violato e sovvertito
dal peccato (cf Am 1,2; Os 4,1-3; Is 24,4-6). Quattro paragoni metereologici
sottolineano l’importanza che merita il discorso di accusa che il profeta si
accinge a pronunziare. Esso stillerà come pioggia, scenderà come
rugiada, come scroscio sull’erba, come spruzzo sugli steli di
grano. Tali parole vengono dal cielo, hanno la stessa azione emolliente della
pioggia sottile. Azione necessaria per convincere gli animi induriti: bisogna
ammorbidire i cuori prima di gettarvi il seme della Parola. Fra i molteplici
nomi di Jahvè, viene scelto quello di Roccia, un titolo che costella tutto il
nostro cantico, un’immagine che esalta la giustizia, la rettitudine e la fedeltà
stabile di Dio, ben diversa dall’instabilità e dall’infedeltà del popolo. Si fa
quindi ricorso ad una efficace rappresentazione di Dio come padre. Le sue
creature tanto amate sono chiamate suoi figli, che purtroppo si sono mostrati
"tortuosi e perversi, figli degeneri e corrotti". Per questo la denuncia
appassionata: "Così ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? Non è lui
il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?" (Dt 32,6). Quale
rimedio alla stabilità di Dio e all’incostanza dell’uomo? Ritrovare costanza e
coerenza attraverso la memoria: "Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli
anni lontani" (Dt 32,7). I motivi per farlo non mancano. Innanzitutto quello
della gratitudine.
Essere stato preferito a tutti i popoli della terra per
divenire la parte di eredità del Signore obbliga alla riconoscenza. La fede
biblica è un riscoprire l’azione di Dio disseminata nel fluire del tempo. Il
grande peccato d’infedeltà coincide, allora, con la "smemoratezza", che cancella
il ricordo della presenza divina in noi e nella storia.
L’evento fondamentale da non dimenticare è quello della
traversata del deserto dopo l’uscita dall’Egitto, il tema capitale del
Deuteronomio e dell’intero Pentateuco. Si evoca, così, il viaggio terribile e
drammatico nel deserto del Sinai. Nonostante l’infedeltà del popolo, Dio si
china su di esso con una tenerezza e una dolcezza sorprendenti. Al simbolo
paterno s’intreccia allusivamente anche quello materno dell’aquila: "Lo educò,
ne ebbe cura, lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un’aquila che
veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo
prese, lo sollevò sulle sue ali" (Dt 32,10-11). Il cammino nella steppa
desertica si trasforma, dunque, in un percorso quieto e sereno, perché c’è il
manto protettivo dell’amore divino.
Dio educa il suo popolo partendo dal punto in cui si trova:
"Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari" (Dt
32,10). "Terra deserta", "landa", luoghi dove sembra non esserci vita, dove solo
gli "ululati" sono di casa. È il luogo peggiore per iniziare un’azione
educativa. Può subentrare sconforto, scoraggiamento, forse può emergere la
domanda: "ma chi me lo fa fare?", si ha paura di non riuscire. Nonostante
questo, Dio inizia da qui la sua azione educativa. Egli è una persona che prova
sentimenti, agisce e reagisce, ama e condanna, partecipa alla vita delle sue
creature e non è indifferente alle loro opere. Ha cura dell’uomo, lo cerca, lo
ama, ridona speranza con la sua presenza: "lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, lo
custodì ". Il contesto, pur difficile, non lo paralizza. Non inventa una nuova
storia, guarda con estremo realismo senza entrare in facili illusioni. Proprio
perché il percorso si svolge all’interno di un cammino, esso si presenta non
sempre facile e lineare, ma segnato da resistenza, ribellione, ingratitudine.
La guida del popolo richiede a Dio un’infinita pazienza,
una continua ripresa, una riprogettazione instancabile del
cammino. "L’educazione di Dio - come afferma il card. Martini nella sua lettera
Dio educa il suo popolo - è dunque insieme un’educazione di parole e di
fatti, di detti e di azioni, di promesse e di adempimenti, di comandamenti e di
correzioni. È un’educazione nella storia" (n.7). In conclusione, dicendo che Dio
è l’educatore del suo popolo - continua il card. Martini - "vuol dire che Dio è
educatore di ciascuno di noi, di ogni uomo e di ogni donna che vengono in questo
mondo, ma sempre nel quadro di un cammino di popolo, di una comunità di
credenti: Dio educa un popolo nel suo insieme, con attenzione privilegiata verso
il cammino di ciascuno" (n. 5). Il popolo di Dio è educato da Dio, Santissima
Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo; dal Padre creatore, dal Figlio
redentore, dallo Spirito santificatore.
Amiche lettrici e cari lettori, il numero di
Consacrazione e Servizio che avete tra mano - il decimo dell’anno 2009 – si
apre con la rubrica "Anno Sacerdotale". L’intervista di Paola Bignardi dà
la parola a mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno. che per la sua
esperienza di formatore per diversi anni presso il Pontificio Seminario
Regionale Umbro, fa di lui una persona qualificata a far emergere la dimensione
spirituale dell’anno sacerdotale.
Continuano le rubriche: "L’uomo nascosto in fondo al
cuore", a cura della prof.ssa Antonietta Augruso e "Orizzonti", che
arricchisce il fascicolo con tre contributi. Il primo, di mons. Angelo Amato,
presenta un commento alla terza enciclica di Benedetto XVI intitolata
Caritas in Veritate, promulgata il 29 giugno 2009, solennità dei santi Pietro
e Paolo. Il secondo, del carmelitano Bruno Secondin, si sofferma a presentare il
14° volume della collana Rotem con un titolo e sottotitolo davvero
significativi: Quando la Parola prende fuoco. "Lectio divina" per i giorni
difficili. Il terzo contributo della salesiana Maria Spolnik delinea gli
aspetti caratteristici di un recente e importante convegno dedicato al tema:
"Educare alla speranza. Sfide educative e itinerari pedagogici per uno sviluppo
integrale della persona".
Una parola particolare per il "Dossier". Sotto il
titolo coinvolgente: "Il coraggio di educare", sono raccolti sette studi su un
argomento oggi tanto dibattuto, come esplicita il sottotitolo: "Il fascino di
una sfida". Affidati a vari specialisti in materia, gli articoli risultano un
contributo di formazione e di aggiornamento nel settore educativo. Anche il
presente Editoriale intende porsi su questa linea.
Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e
le segnalazioni di libri (Luciagnese Cedrone), la rubrica: "Sorelle in
libreria", affidata alla teologa Cettina Militello, presenta il volume:
"Clausura" della scrittrice Espedita Fisher.
Un numero molto ricco che soprattutto le religiose avranno la
gioia e il gusto di leggere e su cui soffermarsi.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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