n. 10
ottobre 2009

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Le sfide
dell'educazione
di CARLO NANNI
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Parlare
di "sfide dell’educazione" può significare che l’educazione oggi è
provocata dalle complesse e nuove realtà che le si contrappongono e la
rendono difficile, ma anche che l’educazione costituisce una risposta
coraggiosa ai problemi che abbiamo da affrontare.
Far fronte a tre grandi ondate
Rispetto al passato, oggi l’educazione - la famiglia,
la scuola e in genere tutte le istituzioni e le persone preoccupate di
una sana crescita e di una buona qualità della vita di tutti e
soprattutto della generazione che inizia a camminare nei non facili
sentieri della vita - ha da far fronte a tre "grandi ondate" che negli
ultimi decenni hanno messo e mettono radicalmente in questione
l’esistenza individuale e collettiva.
Alla contestazione sessantottesca contro
l’autoritarismo sociale e familiare e il conservatorismo dell’assetto
sociale esistente, ha fatto seguito una sorta di"rivoluzione
silenziosa". Questa - con una rapidità impressionante e spesso
sconvolgente – ha innescato vasti e profondi processi di mutamento, di
crisi e di innovazione nelle tradizioni culturali e valoriali, nei
vincoli interpersonali e sociali, nelle strutture e nelle procedure
istituzionali e soprattutto negli ethos individuali e comunitari.
Essa ha enfatizzato i diritti soggettivi e l’autorealizzazione
individuale. Ma in tal modo l’istituzionale, l’oggettivo, il noi, il
bene comune, il vero sono diventati valori difficili da concepire, ancor
prima che da attuare.
Con la prepotente innovazione tecnologica
del digitale, dopo la metà degli anni novanta, sono mutati i modi e
le forme della comunicazione interpersonale e sociale. I telefonini,
internet, le reti telematiche hanno dilatato e velocizzato le
possibilità della comunicazione, fin quasi a rompere il muro del tempo e
dello spazio. Ma hanno anche messo in circolo orizzonti "simulativi" e
mondi virtuali che rischiano di far perdere il senso della realtà e del
tempo o di far rimaner chiusi nella solitudine della propria stanza,
oppure al massimo di poter partecipare alla condivisione di amicizie e
comunità "virtuali" molto ristrette e magari senza troppa richiesta di
assunzione di responsabilità concrete, dando luogo a una sorta di
socializzazione solitaria e a una socialità ristretta ai blog o a
facebook. La vita dei giovani e il loro apprendimento avvengono
più nei "non luoghi", cioè negli incontri, negli happening, nella
piazza, nel muretto, allo stadio, navigando su internet, chattando,
inviando sms, che non nei "luoghi" tradizionali della crescita: la
famiglia, la scuola, la parrocchia. I "teen-ager" sono sempre più "tecno-ager".
Gli inizi del secolo XXI ci hanno resi tutti
coscienti di vivere nella complessità di un mondo globalizzato e
le sue ambivalenze. Non sono cambiate solo le strutture
socio-economiche: imprenditoria internazionale e mercato mondializzato,
ma anche i valori sociali di riferimento: efficienza, funzionalità,
utilità, produttività, benessere soggettivo. La vita e la cultura
vengono sempre più dominate e sbilanciate sull’economico, sul pubblico,
sulla sicurezza sociale e sul benestare individuale o di parte, fino
all’ossessione. L’universalizzazione della vita e della cultura indotta
dalla globalizzazione può azzerare le differenze culturali e le
prospettive di verità e di valore umano, provocando la frammentazione
personale, il relativismo culturale, o l’assolutizzazione
fondamentalistico- culturale. Gli sviluppi e le possibilità delle
biotecnologie prospettano non solo interventi tecnico-genetici
migliorativi, ma anche possibilità antropologiche "post-umane" o
"oltre-umane", facendo balenare l’idea di essere capaci di "produrre" o
"clonare" l’uomo. La persona svanisce nella sua consistenza
"ontologica". Il "nichilismo", prima ancora che un’affermazione
filosofica, si sperimenta come senso profondo e
interiore del nulla di sé e del mondo. Come è stato
detto, esso diventa "l’ospite inquietante" dei giovani, ma anche di
tanti adulti, di tante coppie, di tante relazioni familiari e le loro
"passioni tristi"!
Alla fin fine, si re-impone l’antica e radicale
"domanda": chi è l’uomo, cosa significa "umanamente degno"? Ritornano
con tremenda attualità le famose tre domande di Kant: "Cosa possiamo
conoscere, cosa possiamo fare, cosa c’è dato sperare? ". Diventa quindi
indispensabile ripensare e vorrei dire rifondare i concetti e i valori
antropologici di base. Avverte il Papa, nella sua ultima enciclica
Caritas in Veritate: "senza verità si cade in una visione
empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi" (CIV
9).
Per una vita che "profuma di Vangelo"
L’educazione costituisce uno dei punti forza per la
soluzione della questione antropologica odierna. Nel cuore di molti c’è
una profonda "utopia educativa": quella di un’umanità segnata dalla
crescita e dallo sviluppo, da capacità radicali d’interiorità e di
libertà oltre i determinismi naturali; di un’umanità, insieme individuo
e popolo, protesa verso destinazioni individuali e comuni di valore,
frutto delle capacità di costruttività e d’impegno soggettivo e
comunitario; nella prospettiva di quella "civiltà dell’amore ", il cui
seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura, nel profondo del
cuore di ogni uomo (cf CIV 33). L’impegno educativo opera per
promuovere, appunto, persone capaci di un "amore ricco di intelligenza e
di una intelligenza piena d’amore" (CIV 30).
Ma ciò chiede che si creda nell’uomo e nell’umano;
che si passi cioè dall’affermazione dei diritti umani soggettivi ad una
cultura di essi e all’impegno fattivo e responsabile di tutti, dei
singoli e delle nazioni, degli economisti e dei politici, come delle
diverse parti sociali, per la "cura" dell’uomo e per il rispetto e la
promozione delle persone concrete: specie dei più piccoli. Come
educatori, come famiglie, come comunità educative non ci si può
accontentare di essere dei trasmettitori, animatori, esperti, ma in modo
inderogabile e in primo luogo, di essere dei testimoni, cioè capaci di
quell’insegnamento per diretta esemplarità e provocazione di una vita
buona, onesta, fedele, responsabile, aperta e fiduciosa. Nella
Lettera alla diocesi e alla città di Roma del 21 gennaio 2008,
rifacendosi all’enciclica Spe salvi, Benedetto XVI ricorda che
"anima dell'educazione, come dell'intera vita, può essere solo una
speranza affidabile […]. Alla radice della crisi dell'educazione c'è
infatti una crisi di fiducia nella vita". Si comprende qui tutta
l’importanza, anche educativa e non solo civile, di una vita che
"profuma di Vangelo" e crede realmente nelle Beatitudini evangeliche,
essendo persone capaci di un "amore ricco di intelligenza e di una
intelligenza piena d’amore " (CIV 30).
È tempo di volare alto
L’educazione non è tanto azione degli educatori
"sugli" e "per" gli educandi, è funzione della relazione educativa "tra"
educatori ed educandi. Gli educandi non sono né oggetti, né utenti, né
destinatari, ma soggetti attivi e protagonisti responsabili, per quanto
e nelle forme che loro sono date, fin dai primi passi della
socializzazione e della scolarizzazione: a scuola, come in famiglia o in
parrocchia. Per questo sarà importante creare le pre-condizioni
opportune, la "piattaforma" comunicativa, accogliere e farsi accogliere,
saper ascoltare, saper stare al dialogo e alle sue "regole", saper
accompagnare e camminare insieme, avere il senso del limite; senza
pretendere che coloro con cui entriamo in relazione educativa siano -
fin dall’inizio e sempre - "bravini", "educati" o siano "a nostra
immagine e somiglianza"; mediando ma anche provocando, stimolando,
spingendo a prendere posizione a dire "sì" alla vita propria, altrui,
comune.
Nella Lettera a una professoressa, i ragazzi
di Barbiana ricordano che nella loro scuola avevano imparato ad
affrontare i problemi e ad aiutarsi a vicenda a risolverli: "voi coi
vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate solo a
farsi strada ". Baden Powell, da quell’educatore inglese pratico e
pragmatico che era, nel suo testamento invitò ogni scout a "lasciare il
mondo un po’ meglio di come lo si è trovato".
A scuola e in famiglia, ma anche nelle parrocchie e
nei gruppi, e in genere nella formazione, iniziale e permanente, è tempo
di volare alto. Occorre porsi nella prospettiva di:
1) una pedagogia
della risposta ai bisogni di crescita dei ragazzi, ma anche
della proposta valida e significativa;
2)
una pedagogia dello sviluppo personale,
ma meglio di una pedagogia del fine da raggiungere vale a
dire essere persone coscienti, libere, responsabili,
solidali;
3)
una pedagogia del servizio degli educatori per
l’apprendimento dei ragazzi/studenti e
studentesse, ma anche una pedagogia per il
servizio: vale a dire una pedagogia del suscitare, della
vocazione/missione, che stimola a conoscere i talenti propri
e comuni e le risorse dei contesti di riferimento, ma anche
una pedagogia che spinge alla partecipazione e al
servizio, all’aiuto reciproco, alla cooperazione per una
società dal volto umano, per uno sviluppo storicamente
sostenibile per tutti e ognuno. Evangelicamente: per la salvezza
del mondo, camminando verso il Regno di Dio, in cui
abiteranno
definitivamente e completamente giustizia e verità!
Gesù educatore
A ben vedere si può scorgere qui la "bella"
esemplarità educativa di Gesù Maestro. Egli non aspetta che si vada a
Lui, viene incontro a noi, si fa buon samaritano, testimone della
misericordia del Padre. Accoglie le persone con il loro nome e cognome,
nella loro diversa e concreta condizione di vita, non in serie o in
astratto. Dialoga con loro, pone domande, anche con chi ha dei
pregiudizi nei suoi riguardi. Comprende sempre, non condanna, anche se
non giustifica. Spinge verso "un di più" di bene e di valore, secondo le
capacità, le possibilità e i talenti di ognuno, ma anche secondo le
esigenze e le urgenze del Regno: va’ e non peccare più, fa’ questo e
vivrai, vendi tutto, vieni e seguimi, vi farò pescatori di uomini,
pregate il padrone della messe…
Carlo Nanni
Università Pontificia Salesiana
Piazza Ateneo Salesiano, 1 - 00139 Roma
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