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Con
grande saggezza e realismo, Benedetto XVI ha trattato, in occasione
della 43a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, questo tema di
straordinaria importanza:
Nuove
tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di
dialogo, di amicizia
(24
gennaio 2009).
Siamo
dunque sempre nell’orbita dell’emergenza educativa, alla quale occorre
dare una risposta, non solo di buon senso, ma soprattutto con efficacia
scientifica. C’è uno strumento cognitivo, che può dare notevole aiuto a
genitori e ad educatori per affrontare questa emergenza: si tratta degli
studi di Nazareno Taddei sulla comunicazione. Essi individuano nel
linguaggio dei mass media l’aspetto che oggi più influisce sulla
personalità individuale, plasmandola con una mentalità di massa.
Se,
infatti, prendiamo in considerazione quello che,. accanto
all’esperienza, contribuisce a creare il “modo di pensare” e, quindi il
comportamento, ci troviamo, inevitabilmente di fronte al fenomeno della
comunicazione. E oggi, dire comunicazione significa, prima di tutto,
dire comunicazione massmediale.
Ogni
comunicazione è veramente tale quando, tramite un linguaggio, si
riescono a mettere in “comune” le idee. Sono i segni costitutivi di ogni
linguaggio che, quando sono letti correttamente, permettono di arrivare
al significato dei messaggi
Concetti e contorni
Tutto ciò, a prima
vista, sembra non solo logico e scontato, ma
anche semplice da verificare. In realtà però, le cose non sono così
semplici, perché i linguaggi con cui l’uomo può esprimersi sono,
sostanzialmente, due: quelli regolati dalla
convenzione
e
quelli regolati dalla
connaturalità.
Sono
linguaggi differenti nella natura, differenti nel modo di significare e
differenti nell’influire sulla
forma
mentis
e sul
comportamento di chi li usa.
Da un
lato abbiamo i linguaggi
concettuali
(parola e segnaletica simbolica), dall’altro abbiamo i linguaggi
contornuali
(immagini e alcuni tipi di gesto). I primi significano in base a una
convenzione stabilita dagli uomini, i secondi significano in base alla
capacità di riprodurre i contorni di quanto in realtà si può percepire
con i sensi. I linguaggi contornuali sono distinguibili in linguaggi
dell’immagine normale (pittura e scultura) e linguaggi dell’immagine
tecnica (fotografia, cinema, tv, computer).
Il
linguaggio dei media, fondato sull’immagine tecnica, assume un potere
preoccupante, perché il suo effetto, sotto il profilo
psico-comportamentale, può arrivare a una
perdita dell'interiorità,
a causa della superficialità di incontro e della
sostituzione della verità con l'opinione.
Basterebbe questa considerazione per indagare sulla pericolosità di un
certo uso delle immagini e per prevenirne quindi gli effetti negativi. A
prima vista sembrerebbe che un’immagine favorisce una più immediata
percezione del concetto, perché richiama direttamente l’aspetto
esteriore della cosa, ma non è così. O meglio: non è più così da quando
l’uso del linguaggio dell’immagine non si fonda più sul solo disegno o
sulla sola pittura e scultura, ma è costituito in modo massiccio
dall’immagine prodotta dall’uomo attraverso una macchina (fotografia,
cinema, televisione, computer).
L’immagine tecnica
La
pittura, la scultura e gli affreschi esistono fin dall’antichità
(immagine normale), ma il loro effetto sulla mentalità è molto diverso
da quello prodotto dal cinema o dalla televisione (immagine tecnica).
Il
primo tipo d’immagine dipende dall’abilità e volontà del l’uomo di
attenersi a una qualche corrispondenza tra
cosa
reale
(il
soggetto) e
cosa
rappresentata
(la
riproduzione del soggetto), grazie all’immagine mentale elaborata dal
cervello in base alla percezione del mondo reale.
Il
secondo tipo, invece, anche se dipende da volontà e abilità tecnica
dell’uomo, risulta completamente subordinato all’influsso della
tecnologia. Tra
cosa
in sé
(l’oggetto) e
cosa
rappresentata
(l’oggetto riportato su pellicola o card), s’intromette la macchina che
riproduce i contorni reali, dando l’“impressione di realtà”. I risultati
ottenuti mediante la macchina, infatti, fanno dimenticare
all’osservatore che quello che gli pare l’“esatta” copia della realtà, è
invece frutto della scelta e della predisposizione (quindi della
volontà) dell’autore, che si serve della macchina in un dato modo.
Chi
riprende la realtà con la macchina (anche nel caso usi gli automatismi),
non si limita a riprodurre oggetti e persone, bensì esprime, in modo più
o meno riuscito, ciò che vuole dire di quella realtà che ha davanti. In
tal modo egli seleziona una porzione di spazio e riproduce solo
cosa
e
solo
come
la
macchina è in grado di riprendere in virtù del modo in cui è utilizzata.
L’autore, cioè, interpreta sempre.
Comunicazioni menzognere
Le
cosiddette
comunicazioni inavvertite,
responsabili di molteplici travisamenti, nascono proprio in questa fase.
Esse, infatti, ingannano chi non è capace di leggere a fondo l’immagine,
perché consentono all’operatore di mentire sistematicamente, poco o
tanto, sul rapporto con la realtà, cioè con la verità. Possono far
credere che oggetti e persone siano corredati di atmosfere attraenti o,
al contrario, ripugnanti anche quando tali aloni non esistono. Possono
fingere collegamenti inesistenti tra persone e persone o tra persone e
ambienti. Possono, infine, ed è l’aspetto più pericoloso e sfuggente,
costringere lo spettatore a trarre conclusioni morali (positive o
negative) nei confronti di una persona o di un evento, anche quando i
presupposti di tale giudizio sono inesistenti sia per la persona, sia
per l’evento reale.
Come
dire, in parole molto semplici, che si può giustificare e assolvere un
delinquente e, invece, condannare, ridicolizzandolo, un innocente,
convincendo della giustizia di tale atto lo spettatore, senza che questi
si accorga di aderire a un metro di giudizio intrinsecamente errato.
Questa è la strategia che non permette di condannare il male, che viene
mascherato come ammissibile grazie al particolareuso dell’immagine. Si
sovverte, così, la gerarchia di principi e di valori collegati alla
legge naturale e alla dignità umana, perché comportamenti e modi di
pensare discutibili vengono proposti, a livello di opinione comune, come
imitabili e tollerati nella vita quotidiana, in quanto considerati
relativisticamente un diritto di libertà soggettiva. Se si riguardano le
leggi sul divorzio e sull’aborto, nonché, nella prospettiva, quella
sull’eutanasia e altre simili, ci si accorgerà che la natura del
consenso, che le ha imposte o le imporrà, dipende proprio da un modo di
ragionare che ha origine in quanto sopra s’è detto.
Le
comunicazioni inavvertite, quindi, sono “inevitabilmente menzognere”,
perché sono strutturalmente parte del linguaggio dell’immagine. Esse,
dunque, vanno poste in relazione con il non piccolo problema della
testimonianza e del rispetto della verità.
Al
lettore attento, corre dunque l’obbligo di prepararsi per riconoscerle e
per smascherarle, anche là dove esse divengono particolarmente subdole.
A chi fa comunicazione, invece, si pone il problema, oltre che
linguistico, soprattutto morale e di buon uso del proprio libero
arbitrio, per ridurre, al livello più basso possibile, ogni rischio di
comunicazione inavvertita.
Non
confondere libertà con arbitrio
L’autore della comunicazione deve conoscere bene la natura del
linguaggio che adopera. Non può far passare come obiettiva e reale
quella che invece è la sua interpretazione soggettiva, sfruttando
proprio le caratteristiche del linguaggio. Deve essere consapevole del
fatto che, usare in funzione significante un linguaggio comporta un
criterio morale, senza il quale si confonde libertà con arbitrio.
Nel
campo della comunicazione di massa, la violenza contro la dignità e i
diritti della persona comincia, prima ancora che da certi contenuti,
proprio dall’uso, appositamente calcolato, delle peculiarità del
linguaggio dell’immagine in funzione dell’asservimento mentale e della
perdita della libertà individuale. Pertanto, chi maneggia l’arma del
linguaggio dell’immagine deve essere consapevole che, in assenza di
un’etica robusta, si rende complice del progressivo appiattimento
intellettuale del suo pubblico, cioè di un sistematico indebolimento
delle difese della coscienza di fronte alla massificazione globale.
Il
modo di ragionare, che già oggi scaturisce da questo panorama e che,
domani, sarà sempre più diffuso, sarà quello di un
pensiero sequenziale
(come
quello del succedersi delle azioni in un film), destinato ad
accontentarsi dell’aspetto superficiale dei fenomeni solo in forza di
esempi sempre più semplici e infantili, ma non in senso evangelico. Un
modo di ragionare, quindi, che non permette di arrivare al significato
inequivocabile dei fenomeni, ma che si accontenta solo di un
superficiale riferimento ad esempi relativi, con la pretesa, però, di
generalizzarli e renderli legge universale (i cosiddetti “stereotipi”).
Viene
a mancare così la capacità di un pensiero gerarchico, costruito in modo
argomentativo, capace di spiegare cause, effetti, collegamenti e
dipendenze di valori e livelli. C’è già oggi, e ci sarà sempre più
domani, un pensiero unico, narrativo, seriale, sempre più rudimentale,
incapace di suggerire la ricerca del perché e del senso delle cose,
inadeguato a collocare gli aspetti fondanti della cultura e della
società, nonché i valori della religione e della morale, al livello
giusto nell’architettura della vita privata e pubblica.
Distorsione educativa del linguaggio dei media
Basta
guardarsi un poco intorno per ritrovare l’esempio di tutto ciò in tanti
comportamenti di oggi. Esagerazione e superficialità delle conversazioni
a causa dell’uso dei cellulari. Abitudini e comportamenti indotti da
modelli televisivi e da frequentazioni
on-line.
Questa società si frantuma e cozza contro gli scogli di un
individualismo esasperato, unito a un conformismo delle idee.
Individualismo
nella
vocazione egoistica e meschina della tendenza al puro consumo e possesso
materiale;
conformismo
nell’imitazione acritica di modelli di comportamento che includono la
più sfrenata irragionevolezza nel non tenere conto dell’esistenza degli
altri e dei loro diritti anche nella semplice vita quotidiana.
Paradossalmente, quindi, a causa di un lassismo morale dilagante,
tendente ad autogiustificare i propri comportamenti e rivolto a
condannare quelli altrui, si fa strada un’intolleranza diffusa.
Aggressività
e
violenza
sono,
pertanto, scatenate come normali metodi che caratterizzano le comuni
manifestazioni di opinione o le rivendicazioni e le trasformano in
strumenti d’imposizione e ricatto a tutti costi.
I
doveri, al contrario, in tale sistema di rapporti di relazione, non
fanno più parte dell’impegno personale, ma solo di quello preteso dagli
altri.
Nessuno ha il coraggio di affermarlo apertamente, ma una società così,
è, di fatto, un sistema incivile, disgregato ed anarchico e,
potenzialmente, preda di un giustizialismo sommario.
La
causa va, dunque, in gran parte, ricercata in seno ai grandi media, che
contribuiscono a fomentare tale stato con
irresponsabilità
e a
favorire
emotività
e
superficialità
a
scapito di ogni ragionevolezza. Ma, anche il non avere affrontato il
problema del linguaggio dei media, in chiave educativa, ha avuto le sue
conseguenze.
Esse,
però, sarebbero ancora arginabili, se solo si adottassero i giusti
strumenti formativi per fronteggiare quella
cultura della confusione
che,
rapidamente, va imponendosi su quella della chiarezza e del rigore nelle
riflessioni morali.
Luigi
Zaffagnini
Formatore di formatori del Progetto EDACOF
del Ministero Pubblica Istruzione
Membro del Comitato di Direzione edav - CiSCS di Roma
Via
Vicini 48
48024 Massa Lombarda (Ravenna)
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