Cari
amici, qualche giorno fa mi è capitato di leggere un’intervista ad uno
scienziato. Faremo la stessa fine dei dinosauri?, domanda il
giornalista.
Forse sì, ma possiamo stare sereni: se succederà, non
sarà prima di cento milioni di anni. E nel frattempo? Niente panico.
Bastano due misure precauzionali per aumentare le possibilità di una
vita lunga e sana: smettere di fumare e allacciare le cinture di
sicurezza.
Ma una vita lunga e sana non ci basta. Io, tu, tutti
vogliamo una vita felice. Quel giovane ricco di cui parla il vangelo e
che al Signore chiedeva la formuletta per guadagnarsi nientemeno che "la
vita eterna", una felicità intatta e sconfinata, alla fine se ne andò
via triste. Tristezza: è ciò che fa più orrore a voi giovani, tanto che
per evitarla siete disposti a qualsiasi acrobazia. E allora come si fa a
non fare la fine del giovane ricco e infelice?
La felicità è un’illusione?
Il tempo scorre, tutto cambia. Tranne una cosa: costi
quel che costi, da quando è comparso sulla faccia della terra, l’homo
sapiens è abitato da un sogno che non si spegne più. È il sogno
della felicità, e anche quando crediamo che non sia né verosimile né
realizzabile, vogliamo però con tutte le forze che lo sia.
Nell’antichità, la felicità consisteva nella conoscenza di sé, nel
dominio degli istinti, nel fatto di non sentire bisogno di nulla.
Alcuni, come molti di noi anche oggi, la identificavano nel benessere
psicofisico. Ma sono talmente tante le difficoltà per raggiungere la
felicità, che viene da chiedersi se non sia un’illusione o uno stato
d’animo così effimero e fragile da consumarsi inesorabilmente in un
attimo, lasciandoci nella malinconia e in un amaro rimpianto.
L’umanità, però, non si è mai rassegnata all’idea che
la vita sia una cinica, crudele presa in giro, e che il dolore
rappresenti una cieca fatalità a cui sottrarsi è impossibile, e
ribellarsi inutile.
Essere felici si deve
Può un desiderio diventare un diritto? La felicità sì.
La costituzione americana da più di due secoli continua a proclamare tra
i diritti fondamentali dell’individuo anche quello della felicità. Oggi
assistiamo a un fenomeno nuovo: quel diritto è diventato un dovere.
Viviamo nella società del must: essere felici si deve. Non è una
opportunità: è un obbligo.
La felicità è tutta nelle tue mani. E se fai flop, è
colpa tua.
Ma dove abita questa felicità tanto sognata e
agognata? Abita in… via del Successo. La ricetta è in questo spot:
"se sei bravo, avrai successo; se avrai successo, sarai felice". E in
nome del successo si impone a ciascun individuo un obiettivo
praticamente irraggiungibile: il massimo di riuscita in tutti i campi:
vita professionale e familiare, affari e amore. Non è più permesso farne
a meno. I deboli e i fragili, i feriti dalla vita sono solo da
compiangere. La paura più grande è non essere "nessuno", non emergere,
non avere tutto sotto controllo e non poter accedere a tutte le
possibilità che la vita ti offre.
Le domande qui si fanno fitte: ma è proprio vero che
chi è bravo, ha successo? Quanti sono bravi e non hanno successo o hanno
successo e non sono bravi?! Ma è proprio vero che chi ha successo, è
felice? E se poi il miraggio del successo si trasformasse in incubo e si
finisse nello "stress da felicità" o si andasse in depressione? Sulla
strada del successo bisogna correre, competere, combattere: e chi resta
indietro? E chi penserà a consolare i dropout? Visto che sulla
punta della piramide c’è posto per uno solo, qual è il peso sostenibile
per arrivare fin lassù e per rimanerci il più a lungo possibile? I
candidati al successo devono disporre di un minimo di equipaggiamento:
soldi, talento, fortuna. Ma qual è il minimo indispensabile e quale il
massimo necessario per riuscire? E se poi si cade e crolla tutto, senza
possibilità di "ripescaggio"? Davvero conta solo il risultato?
Dimmi a che tipo di felicità pensi
Ma la domanda di fondo è un’altra. Di che cosa stiamo
parlando? Che idea abbiamo di "felicità"? Per tanta gente oggi la
felicità porta un nome magico: emozione.
Qualcuno dice che la nostra è una società… "emocratica",
perché fondata sulle emozioni forti, le sensazioni hard: sport
rischiosi, traversate oceaniche in barche a vela, salti nel vuoto
garantiti da una corda elastica, campi di sopravvivenza… Come se
l’essere umano esistesse solo grazie a ciò che "sente". Forse si
dovrebbe cambiare lo slogan di Cartesio: non più "Penso, dunque sono",
ma "Sento, dunque sono".
L’assuefazione alle emozioni già provate porta a far
alzare la colonnina del nostro barometro emotivo: più droga, e droga
sempre più forte; drink sempre più eccitanti, spettacoli sempre
più spinti… C’è un tetto alla escalation emotiva? L’interrogativo
è a monte: visto che prima o poi nella corsa della vita si va a sbattere
contro la barriera della sofferenza, come la mettiamo con il "dovere
della felicità"? Per quanto non si riconosca alcun diritto di
cittadinanza al dolore, c’è qualche homo sapiens esonerato dal
fare i conti con il peso della vita, con i dispiaceri che
l’accompagnano, con i fallimenti, gli infortuni, gli imprevisti, i
contrattempi, in una parola con la miseria umana? Se la felicità fosse
solo l’assenza di preoccupazioni o di dolore, allora saremmo davvero
degli illusi. Se si limitasse alle vibrazioni dei nostri sensi,
all’appagamento del desiderio, risulteremmo dei condannati a una
frustrazione continua. Torna dunque la domanda: cosa cerchiamo davvero
quando aspiriamo alla felicità? È un approdo possibile anche in mezzo –
e non nonostante – alle difficoltà della vita? E qual è la via da
seguire perché l’albero della felicità metta stabili radici in noi?
Fatto uomo per la nostra felicità
A giudicare dalle numerose volte in cui Gesù, nei
vangeli, allude alla felicità, dovremmo considerare questi libretti
delle autentiche mappe per la caccia al tesoro della felicità. Dalla
prima all’ultima pagina: dal "Rallègrati!" dell’angelo Gabriele alla
Vergine Maria, fino alla "grande gioia" che esplode negli apostoli al
vedere il Risorto.
Dopo aver disegnato tutto il suo insegnamento sulle
note della vera beatitudine, anche alla vigilia della prova più dura,
poco prima del suo arresto, il Maestro non ha dubbi: "Voi sarete nella
tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia". La nostra
felicità sembra addirittura il motivo della sua venuta nel mondo:
"…perché la mia luglio2010.qxd 21062010 14:30 Pagina 23 gioia sia in voi
e la vostra gioia sia piena". Al giovane ricco, in cerca della felicità
eterna, Gesù indica la strada da percorrere. Ma soprattutto gli chiede
di farla insieme a lui: "Vieni e seguimi". Commenta il teologo von
Balthasar: "Solo chi è sicuro di poter rendere felici, può parlare
così".
Che cosa ha, dunque, da dire la fede cristiana sulla
questionefelicità? Un semplicissimo annuncio, che il vescovo don Tonino
Bello riassumeva così: "Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la
nostra vocazione. È l’unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio
ha disegnato per l’uomo".
Esisto, dunque sono… amato
Dio è amante della vita dei suoi figli, se no non li
avrebbe creati.
Ogni uomo è l’amato gratuitamente da Dio.
Gratuitamente: non c’è alcuna dietrologia da decifrare. Non c’è nulla
dietro l’amore di Dio: nessun bisogno in lui che ne determini il
sorgere. Non c’è nulla davanti a Dio: nessun interesse in lui che ne
provochi l’iniziativa, nessun merito nell’uomo che ne solleciti la
risposta. Dio non ti ama perché ha bisogno di te; ma ha bisogno di te
perché ti ama. Insomma siamo amati e basta: prima di ogni nostro
presunto merito, prima di ogni nostra possibile invocazione. Amàti e
basta, perché Dio è solo Amore, che ama a fondo perduto, senza alcun
tornaconto: ama non per avere qualcosa da ricevere, ma per godere la
possibilità di dare tutto quello che è, per provare la gioia di regalare
tutto quello che ha. Basterebbe prendere coscienza fino in fondo di
questo per allontanare per sempre ogni residuo di timore e angoscia.
A questo punto s’impone la domanda: se Dio ci ha amati
così, noi che cosa dobbiamo fare? Verrebbe da dire: dobbiamo riamarlo!
L’evangelista Giovanni invece tira un’altra conclusione: "Se Dio ci ha
amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri". Ma lo stesso
apostolo ci ricorda che, prima ancora di questo e proprio per questo,
dobbiamo "credere all’amore che Dio ha per noi". Prima delle opere della
fede, viene l’opera che è la stessa fede: "questa è l’opera di Dio:
credere in colui che egli ha mandato". Se non si crede di essere
stati già amati da Dio, non è possibile riamare Dio.
Ma noi ci crediamo veramente senza alcuna riserva
mentale che Dio ci ha già amati e ci ama ancora e ci amerà sempre? Se lo
credessimo davvero! È più facile credere in un Dio lontano, da temere e
da tenere a "rispettosa" distanza, anche per poter poi dire: "Ti ho
servito a dovere". Ma davanti all’Amore, chi può dire: "Ti ho amato
abbastanza"? È più facile sforzarsi, o illudersi, di amare che credere
di essere amati e lasciarsi amare da Dio. Eppure il segreto della
felicità è proprio qui. Tutto il resto viene dopo.
La verità rende liberi... e felici
Nel vangelo troviamo la gioia perché troviamo la
libertà. La libertà dalla paura, dalla disperazione, dall’egoismo. La
libertà di farsi dono.
L’illusione egoistica è inesorabile: per essere felici
più degli altri, devo arrivare prima degli altri, ma per arrivare prima,
devo lottare contro gli altri. In realtà più pensiamo a noi stessi, più
siamo tristi; più abbiamo e più vogliamo; più facciamo per noi, più
abbiamo sete di qualcosa di più. Ma non si è felici con qualcosa, ma con
qualcuno.
La felicità non è avere, ma amare e sentirsi amati.
Non è una cosa, è una relazione. Non possiamo dimenticare la
testimonianza di Madre Teresa di Calcutta: "La gioia è amore, la gioia è
preghiera, la gioia è forza. Dio ama chi dona con gioia; se tu dai con
gioia, dai sempre di più. Un cuore allegro è il risultato di un cuore
ardente d’amore, le opere d’amore sono sempre opere di gioia. Non
abbiamo bisogno di cercare la felicità: se possediamo l’amore per gli
altri, ci verrà data. È il dono di Dio".
Resta però la minaccia più potente contro la gioia: il
dolore. Come può il cristianesimo accreditarsi come la religione
della gioia quando al suo centro è piantata una croce? In verità è
proprio la croce la prova del nove che il nostro Dio è "amante della
vita" e "non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne una
più certa e più grande". La croce infatti sta a dire fino a che punto il
Padre di Gesù si è compromesso con il nostro dolore: fino al punto da
darci il suo bene più caro, la vita di suo Figlio. E questo Figlio è
venuto in mezzo a noi non per tenerci un corso di filosofia sulla
sofferenza, ma per fare della sofferenza il percorso dell’amore. Cristo
in croce ci dice che Dio non sempre ci libera dal male, ma ci
libera sempre nel male. E quando non può esaudire i nostri
desideri, non manca mai di realizzare le sue promesse.
Essere felici si può
Una splendida testimonianza di come ciò sia possibile
è quella offerta da Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese che morì ad
Auschwitz nel 1943. In mezzo alla crescente tragedia, non manca di
annotare nel Diario: "Sono una persona felice e lodo questa vita,
la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra".
E ancora: "Trovo bella la vita, e mi sento libera. I
cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli
uomini e oso dirlo senza falso pudore".
Siamo lontanissimi dal credere ai paradisi terrestri
propagandati e costruiti su misura per l’homo tecnologicus del
terzo millennio.
Eppure, anche senza dimenticare la smisurata
differenza qualitativa tra la vita presente e quella futura, siamo
convinti che la gioia, per il cristiano, non si colloca solo oltre il
dolore, oltre questa "valle di lacrime", ma è possibile già quaggiù,
quando tutto, compresa la sofferenza, viene vissuto nella fede e
nell’abbandono all’amore invincibile di Dio e nella condivisione del
dolore di quanti soffrono più di noi.
La speranza cristiana è molto più che desiderare una
immensa felicità, collocata in un "oltre" indefinito. Sperare è
attendere con illimitata fiducia qualcosa che non comprendiamo appieno,
ma che ci viene partecipata da parte di Colui del quale abbiamo
conosciuto l’amore.
Noi cristiani crediamo che soltanto l’oceano divino
sia abbastanza grande da colmare la nostra sete d’amore e da saziarla
ben al di là delle nostre attese e dei nostri sogni.
Il cielo è già iniziato. Se Dio è con noi, la felicità
di Dio è già in mezzo a noi.
Francesco Lambiasi
Vescovo di Rimini
Via IV Novembre 35 – 47921
Rimini