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Quarantatré
giorni di ostensione per quasi due milioni di visitatori. Tutti lì,
nella Cattedrale di Torino, per sostare pochi minuti davanti a un telo
lungo quattro metri e largo poco più di centodieci centimetri. Rapiti da
un volto che, piano piano, mentre lo sguardo si abitua alla dosatissima
illuminazione, emerge e ti si erge davanti, mansueto e maestoso. Da
secoli il sacro lenzuolo fa discutere, anche animosamente, ma questo
non sembra disturbare più di tanto le folle di fedeli che vogliono
pregare dinanzi all’Uomo della Sindone. E ne escono toccate e spesso
commosse.
Più che
ripercorrere in successione la storia, la vicenda ecclesiastica e
scientifica della Sindone, abbiamo scelto di offrire alcuni medaglioni,
vale a dire «letture» elaborate in relazione alla recente ostensione, ma
non solo. Pezzi di una discussione che dura da secoli, perché il
lenzuolo che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso continua a
interrogare, in cerca di risposte.
Lettura
politica
«Ogni
tot
numero di anni, la
periodica ostensione della Sindone è una specie di check-up. Un
termometro messo sotto l’ascella della società italiana, per misurare
la temperatura raggiunta dal clericalismo acritico. Non è una questione
di fede: in realtà la Chiesa si guarda bene dall’affermare che si tratti
dell’autentico sudario di Cristo. Le gerarchie si limitano a offrire
l’oggetto alla venerazione superstiziosa dei fedeli per poi andare
all’incasso. Sono poveri di spirito: che male c’è a lasciarglielo
credere? Ma l’aspetto più interessante, con questi presupposti, è
l’atteggiamento del mondo dell’informazione. Quotidiani e settimanali
sono innanzi tutto preoccupati di non offendere la suscettibilità di
chiunque, per cui si mantengono su posizioni terziste, apparentemente
equidistanti. È il trionfo del cerchiobottismo ».1
Ecco una sintesi
perfetta di lettura «politica» della Sindone. La ostensione della
Sindone periodica altro non sarebbe che una forma di clericalismo
dispotico, un ulteriore sintomo – se ce ne fosse bisogno – di un’Italia
dove la Chiesa conta troppo. Non manca poi il richiamo al vile denaro,
all’incasso, quasi che queste manifestazioni fossero finalizzate a
rimpinguare le casse delle curie, a portare un extragettito in bilanci
oggi sempre più difficili da far quadrare. Una punzecchiatura arriva
anche sul versante della religiosità popolare, assimilata a
superstizione, a rito arcaico di «poveri di spirito» (poveretti, intende
l’articolista) che credono in modo ingenuo e infantile. Che
l’informazione non intervenga con la mano pesante, con giudizi senza
appello contro ogni plausibilità storico-scientifica del sacro Lino,
appare al nostro giornalista cosa del tutto strana e incomprensibile. La
prudenza, o meglio l’astuzia, farebbe sì che si dia un colpo prima al
cerchio e poi alla botte, un modo come un altro per non voler
riconoscere l’evidenza, che cioè è tutta una montatura.
Lettura atea
e credente
Ormai sulla stampa
sono abituali i dibattiti a due voci, anche su tematiche religiose.
«Contro» e «a favore», i due pareri vengono accostati per creare
quell’effetto di stridore che attira l’attenzione e fa pensare a tutti
di essersi spinti, almeno per un po’, nei territori dell’altro.2
Di questo taglio è l’abbinamento di pezzi sullo stesso tema, la
Sindone, dell’ateo Piergiorgio Odifreddi e di mons. Giuseppe Ghiberti.
Parte Odifreddi, infilando uno dopo l’altro tutti i luoghi comuni che
mettono in dubbio, anzi smentiscono appieno, ogni autenticità3
del Lenzuolo di Torino. Intanto - puntualizza il matematico torinese -
va considerato il fatto che di «sindoni» ce ne sono almeno 43 e quando
nella storia una andava distrutta, subito - come già Calvino ironizzava
– veniva rimpiazzata da un facsimile. Senza parlare di papa Clemente VII
che nel 1390, permettendo l’ostensione del sacro Lino, ordinava di «dire
ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione
o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo,
ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del
Sudario».
Decisiva, infine,
la prova al radiocarbonio effettuata nel 1988, per la quale la Sindone è
stata confezionata tra il 1260 e il 1390. Dunque, «il fatto miracoloso
non sussiste» e il caso va dichiarato chiuso. Il credente, in questo
caso monsignor Ghiberti, appare meno dogmatico del
partner
ateo: «La
povertà di certezze è la forza della Sindone - dice - e a me
personalmente la rende anche cara». In ogni caso essa rimane un segno
forte, «qualunque cosa si possa pensare della datazione della sua
origine e della modalità di formazione della sua immagine ». Il mirabile
legame del sacro Lino con i racconti evangelici della passione di Gesù
fa nascere spontaneamente un interesse affettuoso per questo oggetto
carico di mistero e legato a una radicata devozione di popolo. Quel
lenzuolo, indubitabilmente, ha avvolto un uomo che prima è stato
crocifisso, e l’incontro con tanto dolore non può non scuotere e
interrogare.
Lettura
teologica
I torinesi dicono
che la Sindone non fa miracoli, e, se lo dicono loro, non c’è motivo di
dubitarne.4 Perché, qualcuno potrebbe domandarsi,questa
peculiarità è tipica proprio della sacra icona più venerata della
cristianità? Apparentemente non ci sono risposte, perché in genere
reliquie e santuari sono legati a doppio filo al miracolo se non al
miracolismo. Azzardiamo una risposta, che chiamiamo teologica in senso
lato, perché parte dalla constatazione biblica che nei testi evangelici
l’approssimarsi alla croce è caratterizzato dal venir meno dei miracoli.
Tipico, per questo modo di procedere, il Vangelo di Marco, che gli
esperti definiscono come Vangelo del discepolo, leggendo il quale, cioè,
s’impara la vera sequela del Maestro. Lungo questa pista, percorrendola
fino in fondo, si può dire che la croce è l’antimiracolo per eccellenza.
Gesù muore sulla croce, lascia che il dramma si consumi sino alla fine;
se avesse accettato la sfida di scendere dal legno al quale era stato
appeso, avrebbe tradito - appunto con un miracolo - la missione
affidatagli dal Padre e mostrato una diversa immagine del volto di Dio:
potenza senza amore. Mentre la costante biblica è, all’opposto, la
rivelazione di Dio nella debolezza.5
Da quel momento,
nel quale neppure il Figlio di Dio ha voluto evitare la croce, questa
diviene il grande simbolo al quale ogni uomo può guardare specchiando se
stesso. Luogo d’incontro perché per tutti, prima o poi, luogo di
passaggio, tenebroso e incomprensibile.
Lettura
apologetica
Più che
l’apologetica religiosa, in relazione alla Sindone spicca l’apologetica
di carattere scientifico. Eccone un esempio: «Studi probabilistici,
eseguiti indipendentemente da diversi autori, hanno dimostrato che
l’Uomo della Sindone è Gesù di Nazareth con un livello di certezza
praticamente del 100%».6 L’autore, Giulio
Fanti, professore associato di Misure meccaniche e termiche presso il
Dipartimento di ingegneria meccanica dell’Università di Padova, giunge a
questa affermazione perentoria dopo un’analisi serrata del sacro Lino di
oltre 600 pagine e avendo alle spalle un centinaio di lavori
sull’argomento. Senza negare l’acribia e la serietà delle indagini
realizzate, il rischio può essere quello di fare della Sindone una sorta
di «Vangelo scientifico» di fronte al quale l’uomo d’oggi dovrebbe
chinare la testa.
E anche cercare,
come fa qualche studioso più accanito - di area soprattutto
nordamericana -, di «tirare la volata» alla risurrezione a partire dalla
Sindone, è mettere in atto un procedimento che mescola scorrettamente
elementi di fede con ipotesi della scienza.7
Secondo Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di
Sindonologia, vanno evitati gli opposti estremismi che vedono nella
Sindone da una parte un falso medievale o addirittura un dipinto di
Leonardo e dall’altra la prova certa della risurrezione. Sono da
abbandonare – secondo Barberis - le crociate pro o contro l’autenticità
dell’immagine sindonica, e chi si accosta al sacro Telo per ricerche di
carattere scientifico dev’essere avvertito che non può lasciarsi
condizionare da precomprensioni religiose o materialiste.8
Il fondamentalismo, sia ateo che credente, è sempre in agguato.
Lettura laica
Lo scrittore
Antonio Scurati, in un «pensoso» intervento su
La Stampa,9
critica l’atteggiamento degli atei agguerriti e afferma che «la
questione della Sindone ci rivela che la religiosità cristiana è ben
presente nella mentalità occidentale anche dopo la secolarizzazione.
[…]. Accettare, soprattutto da parte di noi laici, neopagani e
miscredenti, che si tratti di un’icona come tante, questa è davvero
l’ipotesi più deludente.
Di icone ne
abbiamo già a bizzeffe. Si forgiano più icone in un qualunque giorno di
mercato che in un sinodo di vescovi. I veri idolatri non sono, infatti,
i cattolici che adorano il telo come orma sacra, siamo noi iconomani
mediatici, noi cultori di idoli vani, noi che non cerchiamo più la vera
immagine (di Cristo o di qualsiasi altra cosa) perché abbiamo eliso ogni
differenza tra immagine e realtà, tra idoli e icone, tra verità e
illusione, noi figli di troppi “dei” minori, noi rassegnati a immagini
che sono il puro simulacro di se stesse, noi per i quali un’immagine non
è mai un avvenimento perché ogni avvenimento è solo immagine, noi che
trascorriamo indifferenti tra un pannolino e un terremoto, noi, le
nonnine ingannate che sferruzzano per i fantasmi, lasciando indecifrato
il senso di ogni cosa, lo lasciano girare a vuoto, smarrendo, alla fine,
pure la distinzione tra la vita e la morte.
Noi, gli adoratori
d’immagini che sappiamo fatte di materia inerte, di tabernacoli che
sappiamo vuoti». Che dire? A parte l’utilizzo improprio del verbo
«adorare», comprensibile per uno che non è del giro (una «icona» si
venera, solo Dio viene adorato), colpisce la preoccupazione per lo
sguardo smarrito dell’uomo contemporaneo, il quale vede solo simulacri,
finzioni, illusioni. Gli occhi sovraffollati di immagini hanno perso la
capacità di vedere, di distinguere, soprattutto la capacità di
raggiungere il reale, l’altro, ciò che è denso e vero. E in questo senso
siamo più poveri, tutti. Abbiamo chiamato lettura laica le riflessioni
di Scurati per il semplice motivo che laicità è - per noi - quello
spazio d’incontro nel quale, deponendo ognuno il proprio pregiudizio e
attivando l’attenzione al vissuto dell’interlocutore, ci si lascia
interrogare dalla sua posizione.
Lettura
storico-culturale
«Il fatto che si
possa discutere sull’autenticità del lenzuolo di Torino -
indipendentemente dall’esito della discussione - sottolinea, in modo
concreto ed evidente, che Gesù è esistito realmente, anche per la
possibilità che quel sudario abbia davvero avvolto il suo corpo
tormentato, ucciso e risorto il terzo giorno. La specificità della
tradizione cristiana viene messa in evidenza in modo inequivocabile
anche così, rendendo appunto difficile l’omologazione del cristianesimo
alle altri religioni».10 Secondo Lucetta
Scaraffia, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di
Roma «La Sapienza», il forte richiamo alla corporeità di Gesù e quindi
al mistero dell’incarnazione che del cristianesimo è uno dei due cardini
(insieme a quello della redenzione: anch’esso prefigurato dal sacro
Lino, almeno per chi ci crede), costituisce uno dei messaggi
fondamentali della Sindone all’uomo contemporaneo.
In una società
secolarizzata e analfabeta a livello religioso, Gesù rischia di essere
visto come figura mitica eastorica, simile a una divinità greca, romana
oppure orientale. Dio«nella carne», scandalosamente, ma in riferimento
alla figura senza alcun dubbio storica di Gesù, è lo specifico
inalterabile della religione cristiana, in questo davvero differente
dalle altre religioni. In secondo luogo, dalla realtà dell’incarnazione,
che la Sindone richiama con forza, viene una particolare conferma allo
statuto della natura umana a immagine di Dio e da Dio scelta come luogo
di manifestazione. Ne derivano conseguenze enormi, si pensi soltanto
alle controverse questioni bioetiche.
Lettura
sociologica
Anche nell’ultima
ostensione pubblica, per vedere i segni della passione impressi sul telo
della Sindone, centinaia di migliaia di persone si sono messe in fila
aspettando con pazienza e trepidazione il proprio turno.
Ma da chi è
composto il popolo della Sindone?11
Certamente dalle schiere di coloro che vivono, muovendosi tra i molti
santuari della Penisola, un’intensa «devozione popolare», il che
significa anche andare alla ricerca di segni concreti e tangibili della
fede. Costoro desiderano vedere e toccare, fare esperienza, dare tratti
più concreti a quel volto di Dio che spesso gli uomini di Chiesa hanno
reso rarefatto e diafano, comunque non facilmente raggiungibile. Sia
chiaro, non si tratta di una religiosità di seconda mano, con il meno
davanti, quanto piuttosto di un modo intenso, bello, totale, quasi
fisico di vivere la fede.
Accanto ai fedeli
più devoti c’è la grande truppa dei «visitatori», credenti più moderni,
ma anche non credenti o persone in ricerca.
Per molti di
costoro la Sindone non è collegabile direttamente alla vicenda di Gesù,
anche se costituisce un reperto raro e singolare, la traccia di un
dolore profondo che richiama al senso della finitezza umana, della
sofferenza che colpisce spesso alla cieca e brutalizza la vita. E così
il sacro Lenzuolo diviene uno specchio nel quale proiettare e cercare di
dare un senso al mistero del proprio dolore. Infine ci sono i turisti e
i curiosi, quelli che vogliono poter dire, tra qualche anno, «c’ero
anch’io». Il richiamo dei media, la particolarità dell’evento e
l’«effetto folla» sono ingredienti che trascinano. Questo non significa
che si tratti di persone maldisposte, anzi spesso l’incontro con l’uomo
dei dolori è una scossa benefica, che emoziona e fa pensare. «Tutti, in
modi diversi - scrive Marina Corradi -, e magari anche quelli che si
dicono solo curiosi o lontani, sono venuti a cercare qualcosa,
trascinati come in una corrente da una tensione il cui nome meno
impreciso potrebbe essere, forse, nostalgia. Nostalgia che abita nel
profondo di noi. Nostalgia di un Dio che ha fondato e impregna le nostre
città d’Occidente, e le sue splendide cattedrali; ma di cui siamo in
tanti dimentichi, di tutt’altro adoratori. Inconsapevoli pagani di
ritorno, così che si attaglia anche a noi quella frase di Paolo
all’Areopago: anche per tanti uomini di oggi Dio è il “dio ignoto” degli
ateniesi. Ricerca, dubbio, o ansia di un’altra vita, premono alle porte
del Duomo di Torino».12
Lettura
epocale
Domenica 2 maggio,
dopo aver sostato a lungo in preghiera davanti al sacro Lino, Benedetto
XVI parla della Sindone nella prospettiva del Sabato santo, di cui -
dice - è Icona.13 Richiama quindi
l’articolo del
Credo
che recita: Gesù
Cristo «fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese
agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte». «Cari fratelli e
sorelle - prosegue - nel nostro tempo, specialmente dopo aver
attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente
sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte
della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale,
quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi
sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è
morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben
vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la
ripetiamo nella
Via Crucis,
forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due
guerre mondiali, i
lager
e i
gulag,
Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre
maggiore un Sabato santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti
coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi
credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità». La Sindone,
che è stata immersa nel buio di un sepolcro, che ha avvolto il corpo di
un uomo crocifisso, per chi viene a venerarla è mistero di tenebra, ma
anche di luce, prefigurazione di risurrezione.
«Nell’ora estrema
della solitudine non saremo mai soli», afferma il pontefice, così come
la storia non può restare pietrificata nell’attesa, anche se carica
della più radicale condivisione (Dio non solo muore, ma resta nella
morte), del Sabato santo. Il Papa si fa capire e mette ognuno - singoli
e collettività - e la storia tutta di fronte al segno
muto ed eloquente di un
messaggio d’amore scritto col sangue.
Lettura pastorale
Il ritornello
ripetuto dalla Chiesa torinese, soprattutto nella figura della sua
guida, il cardinal Severino Poletto, è che l’ostensione va letta
innanzitutto in chiave pastorale-spirituale. Non dunque come momento di
esibizione, evento da record numerico, occasione per incrementare il
turismo o il sensazionalismo religioso. «La nostra fede in Gesù - scrive
il cardinale di Torino nel messaggio alla diocesi in occasione della
Pasqua - non ha bisogno della Sindone bensì del Vangelo, ma la Sindone
rimane comunque un grande aiuto alla nostra fede e alla nostra
preghiera, perché ci invita a meditare sulla Passione del Signore e
sull’amore per noi che quella Passione veicola come messaggio e come
dono». Si tratta di guardare di più e meglio, attraverso la Sindone, al
Vangelo di Gesù Cristo che richiede la conversione della mente e del
cuore.
Passio Christi-Passio hominis
è lo slogan posto
a sintesi dell’evento dell’ostensione, per cui, continua Poletto nel suo
messaggio, «ciascuno di noi è invitato a mettere a confronto le
moltissime croci dell’umanità ed anche le proprie croci personali con la
salvifica croce di Cristo. Solo così è possibile gettare un fascio di
luce sull’oscurità misteriosa di tante nostre sofferenze di fronte alle
quali restiamo muti e disorientati». Un richiamo forte all’interiorità,
a non lasciarsi sedurre dalle coreografie, neppure religiose, per
cogliere l’essenza di un messaggio (quello del dolore-croce) che porta
diritto al Vangelo.
Quel Gesù - di cui
il telo sindonico è specchio e messaggio, e che noi credenti professiamo
nella fede pasquale come veramente risorto e perciò vivo e presente
nella nostra storia - raggiunga il cuore di ogni uomo e donna di buona
volontà per far loro sentire che, in qualunque situazione di vita si
trovino, sono da lui amati in modo infinito e personale: è questo
l’augurio rivolto a ogni pellegrino e che per molti si è realizzato
nella breve sosta davanti alla Sindone e nei frutti spirituali che ne
sono derivati. Con forza e discrezione. Così lavora la grazia.
Lettura scritturistica
Una cosa è certa:
sul lenzuolo sindonico è impressa la passione di un uomo torturato con
ferocia e crocifisso nella forma che i racconti evangelici ci
tramandano, fino alla ferita del costato. La prima parte della
narrazione, che i quattro Vangeli ci forniscono della passione di
Cristo, non solleva quindi particolari problemi di concordanza con la
Sindone, anche se resta misterioso il modo con cui l’immagine si è poi
impressa sul telo di lino. Il discorso cambia quando si considerano le
modalità della sepoltura. «Per i Sinottici si direbbe che è conosciuto o
interessa solo un avvolgimento in una
sindón,
ma Luca (24,12, al sepolcro vuoto), almeno a livello redazionale,
conosce anche la presenza di
othónia,
al plurale, che sono i panni di cui parla Giovanni. Questi, a sua volta,
nella sepoltura nominava solo gli
othónia,
ma durante la visita del sepolcro vuoto parla anche del
soudárion».14
Come si può vedere, la questione è piuttosto complessa, ma in buona
sostanza è possibile affermare che nei Vangeli vi è traccia di una
doppia tradizione: Marco e Matteo da una parte, Giovanni dall’altra con
un punto di incontro in Luca.
Quindi? Per quanto
riguarda la sepoltura, la conclusione non può che essere… modesta. Due
tradizioni, non in contrasto - va detto con tutta chiarezza - presentano
il momento della sepoltura di Gesù in modo un po’ diverso, e una di
queste - il racconto di Giovanni - è interessata a una lettura dei fatti
più simbolica. D’altra parte fissarsi sul lenzuolo, proprio quello
ritrovato nella tomba vuota, non corrisponde all’«oltre» verso il quale
orientano i Vangeli stessi.15 Ai primi
visitatori del sepolcro la mattina di Pasqua, così come allo spettatore
del lenzuolo funerario che si dice abbia avvolto il corpo di Gesù, gli
angeli proclamano le stesse parole: «Perché cercate tra i morti colui
che è vivo? Non è qui, è risorto! » (Lc 24,5-6).
Ugo Sartorio ofmconv
Director of Il Messaggero of Sant’Antonio
Via Orto Botanico, 11 – 35123 Padova
1 R. ALAJMO, «La
Sindone, il cerchio e la botte», in
L’Unità,
19 aprile 2010.
2 Cf P. ODIFREDDI-G.
GHIBERTI, «La Sindone, dialogo tra ateo e cristiano», in
Il Fatto Quotidiano
23 aprile 2010. Il dialogo è
riportato interamente da
MicroMega, 4/2010
(fascicolo monografico dal titolo «L’inganno della Sindone»), 5-14.
3 Concetto spesso
usato in modo equivoco, come mostrano B. BARBERIS-M. BOCCALETTI,
Il «caso Sindone» non è chiuso,
San Paolo, Milano 2010, 11-18. Vanno perciò decodificate affermazioni
del tipo: «Oggi i fari non sono più puntati sull’autenticità del reperto
ma sull’immagine dell’uomo sofferente »: G. PLATONE, «Il sacro
business», in MicroMega,
4/2010, 97.
4 «In epoca recente
viene ricordato un solo episodio, che però in realtà non può ritenersi
un miracolo »: E. MARINELLI-M. MARINELLI,
Alla scoperta della Sindone,
Messaggero, Padova 2010, 104.
5 Cf C. M. MARTINI,
Il Dio nascosto. Meditazione sulla
Sindone, OCD-Centro
Ambrosiano, Roma-Milano 2010.
6 G. FANTI,
La Sindone. Una sfida alla scienza
moderna, Aracne, Roma
2008, 602.
7 Innegabilmente «dal
corpo della Sindone al corpo del Risorto il passo è avvolto nel
mistero»: G. GHIBERTI,
Davanti alla Sindone,
San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, 65.
8 Cf B. BARBERIS,
«Gli enigmi scientifici: ricerca senza cortocircuiti», in
Jesus,
n. 5/2010, 66-68.
9 10 aprile 2010.
10 L. SCARAFFIA,
«Sindone e secolarizzazione», in
L’Osservatore Romano,
31 marzo 2010.
11 Le considerazioni
che seguono prendono spunto da F. GARELLI, «L’uomo che soffre si
specchia nella Sindone», in
La Stampa
11 aprile 2010.
12 M. CORRADI, «In
cammino per incontrare un evento», in
Avvenire
11 aprile 2010.
13 Cf A. TORNO,
«Perché il Papa chiama Icona e non Reliquia la Sindone», in
Corriere della Sera,
3 maggio 2010.
14 Cf G. GHIBERTI,
«Sindone, Vangeli e vita cristiana», in AA.VV.,
Sindone. Vangelo, storia, scienza,
Elledici, Leumann (TO) 2010, 5-30.
15 Cf G. RAVASI,
«Così Gesù venne stretto e avvolto», in
Torino. La Sindone,
inserto de Il Sole 24 Ore,
4 aprile 2010, 1.
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