n. 7-8-9
luglio-agosto-
 settembre 2010

 

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Perché la Sindone fa discutere?
Un volto, dieci letture

di UGO SARTORIO

 

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Quarantatré giorni di ostensione per quasi due milioni di visitatori. Tutti lì, nella Cattedrale di Torino, per sostare pochi minuti davanti a un telo lungo quattro metri e largo poco più di centodieci centimetri. Rapiti da un volto che, piano piano, mentre lo sguardo si abitua alla dosatissima illuminazione, emerge e ti si erge davanti, mansueto e  maestoso. Da secoli il sacro lenzuolo  fa discutere, anche animosamente, ma questo non sembra disturbare più di tanto le folle di fedeli che vogliono pregare dinanzi all’Uomo della Sindone. E ne escono toccate e spesso commosse.

Più che ripercorrere in successione la storia, la vicenda ecclesiastica e scientifica della Sindone, abbiamo scelto di offrire alcuni medaglioni, vale a dire «letture» elaborate in relazione alla recente ostensione, ma non solo. Pezzi di una discussione che dura da secoli, perché il lenzuolo che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso continua a interrogare, in cerca di risposte.

Lettura politica

«Ogni tot numero di anni, la periodica ostensione della Sindone è una specie di check-up. Un termometro messo sotto l’ascella della  società italiana, per misurare la temperatura raggiunta dal clericalismo acritico. Non è una questione di fede: in realtà la Chiesa si guarda bene dall’affermare che si tratti dell’autentico sudario di Cristo.  Le gerarchie si limitano a offrire l’oggetto alla venerazione superstiziosa dei fedeli per poi andare all’incasso. Sono poveri di spirito: che male c’è a lasciarglielo credere? Ma l’aspetto più interessante, con questi presupposti, è l’atteggiamento del mondo dell’informazione. Quotidiani e settimanali sono innanzi tutto preoccupati di non offendere la suscettibilità di chiunque, per cui si mantengono su posizioni terziste, apparentemente equidistanti. È il trionfo del cerchiobottismo ».1

Ecco una sintesi perfetta di lettura «politica» della Sindone. La ostensione della Sindone periodica altro non sarebbe che una forma di clericalismo dispotico, un ulteriore sintomo – se ce ne fosse bisogno – di un’Italia dove la Chiesa conta troppo. Non manca poi il richiamo al vile denaro, all’incasso, quasi che queste manifestazioni fossero finalizzate a rimpinguare le casse delle curie, a portare un extragettito in bilanci oggi sempre più difficili da far quadrare. Una punzecchiatura arriva anche sul versante della religiosità popolare, assimilata a superstizione, a rito arcaico di «poveri di spirito» (poveretti, intende l’articolista) che credono in modo ingenuo e infantile. Che l’informazione non intervenga con la mano pesante, con giudizi senza appello contro ogni plausibilità storico-scientifica del sacro Lino, appare al nostro giornalista cosa del tutto strana e incomprensibile. La prudenza, o meglio l’astuzia, farebbe sì che si dia un colpo prima al cerchio e poi alla botte, un modo come un altro per non voler riconoscere l’evidenza, che cioè è tutta una montatura.

Lettura atea e credente

Ormai sulla stampa sono abituali i dibattiti a due voci, anche su tematiche religiose. «Contro» e «a favore», i due pareri vengono accostati per creare quell’effetto di stridore che attira l’attenzione e fa pensare a tutti di essersi spinti, almeno per un po’, nei territori dell’altro.2  Di questo taglio è l’abbinamento di pezzi sullo stesso tema, la Sindone, dell’ateo Piergiorgio Odifreddi e di mons. Giuseppe Ghiberti. Parte Odifreddi, infilando uno dopo l’altro tutti i luoghi comuni che mettono in dubbio, anzi smentiscono appieno, ogni autenticità3 del Lenzuolo di Torino. Intanto - puntualizza il matematico torinese - va considerato il fatto che di «sindoni» ce ne sono almeno 43 e quando nella storia una andava distrutta, subito - come già Calvino ironizzava – veniva rimpiazzata da un facsimile. Senza parlare di papa Clemente VII che nel 1390, permettendo l’ostensione del sacro Lino, ordinava di «dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario».

Decisiva, infine, la prova al radiocarbonio effettuata nel 1988, per la quale la Sindone è stata confezionata tra il 1260 e il 1390. Dunque, «il fatto miracoloso non sussiste» e il caso va dichiarato chiuso. Il credente, in questo caso monsignor Ghiberti, appare meno dogmatico del partner ateo: «La povertà di certezze è la forza della Sindone - dice - e a me personalmente la rende anche cara». In ogni caso essa rimane un segno forte, «qualunque cosa si possa pensare della datazione della sua origine e della modalità di formazione della sua immagine ». Il mirabile legame del sacro Lino con i racconti evangelici della passione di Gesù fa nascere spontaneamente un interesse affettuoso per questo oggetto carico di mistero e legato a una radicata devozione di popolo. Quel lenzuolo, indubitabilmente, ha avvolto un uomo che prima è stato crocifisso, e l’incontro con tanto dolore non può non scuotere e interrogare.

Lettura teologica

I torinesi dicono che la Sindone non fa miracoli, e, se lo dicono loro, non c’è motivo di dubitarne.4 Perché, qualcuno potrebbe domandarsi,questa peculiarità è tipica proprio della sacra icona più venerata della cristianità? Apparentemente non ci sono risposte, perché in genere reliquie e santuari sono legati a doppio filo al miracolo se non al miracolismo. Azzardiamo una risposta, che chiamiamo teologica in senso lato, perché parte dalla constatazione biblica che nei testi evangelici l’approssimarsi alla croce è caratterizzato dal venir meno dei miracoli. Tipico, per questo modo di procedere, il Vangelo di Marco, che gli esperti definiscono come Vangelo del discepolo, leggendo il quale, cioè, s’impara la vera sequela del Maestro. Lungo questa pista, percorrendola fino in fondo, si può dire che la croce è l’antimiracolo per eccellenza. Gesù muore sulla croce, lascia che il dramma si consumi sino alla fine; se avesse accettato la sfida di scendere dal legno al quale era stato appeso, avrebbe tradito - appunto con un miracolo - la missione affidatagli dal Padre e mostrato una diversa immagine del volto di Dio: potenza senza amore. Mentre la costante biblica è, all’opposto, la rivelazione di Dio nella debolezza.5

Da quel momento, nel quale neppure il Figlio di Dio ha voluto evitare la croce, questa diviene il grande simbolo al quale ogni uomo può guardare specchiando se stesso. Luogo d’incontro perché per tutti, prima o poi, luogo di passaggio, tenebroso e incomprensibile.

Lettura apologetica

Più che l’apologetica religiosa, in relazione alla Sindone spicca l’apologetica di carattere scientifico. Eccone un esempio: «Studi probabilistici, eseguiti indipendentemente da diversi autori, hanno dimostrato che l’Uomo della Sindone è Gesù di Nazareth con un livello di certezza praticamente del 100%».6 L’autore, Giulio Fanti, professore associato di Misure meccaniche e termiche presso il Dipartimento di ingegneria meccanica dell’Università di Padova, giunge a questa affermazione perentoria dopo un’analisi serrata del sacro Lino di oltre 600 pagine e avendo alle spalle un centinaio di lavori sull’argomento. Senza negare l’acribia e la serietà delle indagini realizzate, il rischio può essere quello di fare della Sindone una sorta di «Vangelo scientifico» di fronte al quale l’uomo d’oggi dovrebbe chinare la testa.

E anche cercare, come fa qualche studioso più accanito - di area soprattutto nordamericana -, di «tirare la volata» alla risurrezione a partire dalla Sindone, è mettere in atto un procedimento che mescola scorrettamente elementi di fede con ipotesi della scienza.7 Secondo Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di Sindonologia, vanno evitati gli opposti estremismi che vedono nella Sindone da una parte un falso medievale o addirittura un dipinto di Leonardo e dall’altra la prova certa della risurrezione. Sono da abbandonare – secondo Barberis - le crociate pro o contro l’autenticità dell’immagine sindonica, e chi si accosta al sacro Telo per ricerche di carattere scientifico dev’essere avvertito che non può lasciarsi condizionare da precomprensioni religiose o materialiste.8 Il fondamentalismo, sia ateo che credente, è sempre in agguato.

Lettura laica

Lo scrittore Antonio Scurati, in un «pensoso» intervento su La Stampa,9 critica  l’atteggiamento degli atei agguerriti e afferma che «la questione della Sindone ci rivela che la religiosità cristiana è ben presente nella mentalità occidentale anche dopo la secolarizzazione. […]. Accettare, soprattutto da parte di noi laici, neopagani e miscredenti, che si tratti di un’icona come tante, questa è davvero l’ipotesi più deludente.

Di icone ne abbiamo già a bizzeffe. Si forgiano più icone in un qualunque giorno di mercato che in un sinodo di vescovi. I veri idolatri non sono, infatti, i cattolici che adorano il telo come orma sacra, siamo noi iconomani mediatici, noi cultori di idoli vani, noi che non cerchiamo più la vera immagine (di Cristo o di qualsiasi altra cosa) perché abbiamo eliso ogni differenza tra immagine e realtà, tra idoli e icone, tra verità e illusione, noi figli di troppi “dei” minori, noi rassegnati a immagini che sono il puro simulacro di se stesse, noi per i quali un’immagine non è mai un avvenimento perché ogni avvenimento è solo immagine, noi che trascorriamo indifferenti tra un pannolino e un terremoto, noi, le nonnine ingannate che sferruzzano per i fantasmi, lasciando indecifrato il senso di ogni cosa, lo lasciano girare a vuoto, smarrendo, alla fine, pure la distinzione tra la vita e la morte.

Noi, gli adoratori d’immagini che sappiamo fatte di materia inerte, di tabernacoli che sappiamo vuoti». Che dire? A parte l’utilizzo improprio del verbo «adorare», comprensibile per uno che non è del giro (una «icona» si venera, solo Dio viene adorato), colpisce la preoccupazione per lo sguardo smarrito dell’uomo contemporaneo, il quale vede solo simulacri, finzioni, illusioni. Gli occhi sovraffollati di immagini hanno perso la capacità di vedere, di distinguere, soprattutto la capacità di raggiungere il reale, l’altro, ciò che è denso e vero. E in questo senso siamo più poveri, tutti. Abbiamo chiamato lettura laica le riflessioni di Scurati per il semplice motivo che laicità è - per noi - quello spazio d’incontro nel quale, deponendo ognuno il proprio pregiudizio e attivando l’attenzione al vissuto dell’interlocutore, ci si lascia interrogare dalla sua posizione.

Lettura storico-culturale

«Il fatto che si possa discutere sull’autenticità del lenzuolo di Torino - indipendentemente dall’esito della discussione - sottolinea, in modo concreto ed evidente, che Gesù è esistito realmente, anche per la possibilità che quel sudario abbia davvero avvolto il suo corpo tormentato, ucciso e risorto il terzo giorno. La specificità della tradizione cristiana viene messa in evidenza in modo inequivocabile anche così, rendendo appunto difficile l’omologazione del cristianesimo alle altri religioni».10 Secondo Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», il forte richiamo alla corporeità di Gesù e quindi al mistero dell’incarnazione che del cristianesimo è uno dei due cardini (insieme a quello della redenzione: anch’esso prefigurato dal sacro Lino, almeno per chi ci crede), costituisce uno dei messaggi fondamentali della Sindone all’uomo contemporaneo.

In una società secolarizzata e analfabeta a livello religioso, Gesù rischia di essere visto come figura mitica eastorica, simile a una divinità greca, romana oppure orientale. Dio«nella carne», scandalosamente, ma in riferimento alla figura senza alcun dubbio storica di Gesù, è lo specifico inalterabile della religione cristiana, in questo davvero differente dalle altre religioni. In secondo luogo, dalla realtà dell’incarnazione, che la Sindone richiama con forza, viene una particolare conferma allo statuto della natura umana a immagine di Dio e da Dio scelta come luogo di manifestazione. Ne derivano conseguenze enormi, si pensi soltanto alle controverse questioni bioetiche.

Lettura sociologica

Anche nell’ultima ostensione pubblica, per vedere i segni della passione impressi sul telo della Sindone, centinaia di migliaia di persone si sono messe in fila aspettando con pazienza e trepidazione il proprio turno.

Ma da chi è composto il popolo della Sindone?11 Certamente dalle schiere di coloro che vivono, muovendosi tra i molti santuari della Penisola, un’intensa «devozione popolare», il che significa anche andare alla ricerca di segni concreti e tangibili della fede. Costoro desiderano vedere e toccare, fare esperienza, dare tratti più concreti a quel volto di Dio che spesso gli uomini di Chiesa hanno reso rarefatto e diafano, comunque non facilmente raggiungibile. Sia chiaro, non si tratta di una religiosità di seconda mano, con il meno davanti, quanto piuttosto di un modo intenso, bello, totale, quasi fisico di vivere la fede.

Accanto ai fedeli più devoti c’è la grande truppa dei «visitatori», credenti più moderni, ma anche non credenti o persone in ricerca.

Per molti di costoro la Sindone non è collegabile direttamente alla  vicenda di Gesù, anche se costituisce un reperto raro e singolare, la traccia di un dolore profondo che richiama al senso della finitezza umana, della sofferenza che colpisce spesso alla cieca e brutalizza la vita. E così il sacro Lenzuolo diviene uno specchio nel quale proiettare e cercare di dare un senso al mistero del proprio dolore. Infine ci sono i turisti e i curiosi, quelli che vogliono poter dire, tra qualche anno, «c’ero anch’io». Il richiamo dei media, la particolarità dell’evento e l’«effetto folla» sono ingredienti che trascinano. Questo non significa che si tratti di persone maldisposte, anzi spesso l’incontro con l’uomo dei dolori è una scossa benefica, che emoziona e fa pensare. «Tutti, in modi diversi - scrive Marina Corradi -, e magari anche quelli che si dicono solo curiosi o lontani, sono venuti a cercare qualcosa, trascinati come in una corrente da una tensione il cui nome meno impreciso potrebbe essere, forse, nostalgia. Nostalgia che abita nel profondo di noi. Nostalgia di un Dio che ha fondato e impregna le nostre città d’Occidente, e le sue splendide cattedrali; ma di cui siamo in tanti dimentichi, di tutt’altro adoratori. Inconsapevoli pagani di ritorno, così che si attaglia anche a noi quella frase di Paolo all’Areopago: anche per tanti uomini di oggi Dio è il “dio ignoto” degli ateniesi. Ricerca, dubbio, o ansia di un’altra vita, premono alle porte del Duomo di Torino».12

Lettura epocale

Domenica 2 maggio, dopo aver sostato a lungo in preghiera davanti  al sacro Lino, Benedetto XVI parla della Sindone nella prospettiva del Sabato santo, di cui - dice - è Icona.13 Richiama quindi l’articolo del Credo che recita: Gesù Cristo «fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte». «Cari fratelli e sorelle - prosegue - nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità». La Sindone, che è stata immersa nel buio di un sepolcro, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso, per chi viene a venerarla è mistero di tenebra, ma anche di luce, prefigurazione di risurrezione.

«Nell’ora estrema della solitudine non saremo mai soli», afferma il pontefice, così come la storia non può restare pietrificata nell’attesa, anche se carica della più radicale condivisione (Dio non solo muore, ma resta nella morte), del Sabato santo. Il Papa si fa capire e mette ognuno - singoli e collettività - e la storia tutta di fronte al segno muto ed eloquente di un messaggio d’amore scritto col sangue.

Lettura pastorale

Il ritornello ripetuto dalla Chiesa torinese, soprattutto nella figura della sua guida, il cardinal Severino Poletto, è che l’ostensione va letta innanzitutto in chiave pastorale-spirituale. Non dunque come momento di esibizione, evento da record numerico, occasione per incrementare il turismo o il sensazionalismo religioso. «La nostra fede in Gesù - scrive il cardinale di Torino nel messaggio alla diocesi in occasione della Pasqua - non ha bisogno della Sindone bensì del Vangelo, ma la Sindone rimane comunque un grande aiuto alla nostra fede e alla nostra preghiera, perché ci invita a meditare sulla Passione del Signore e sull’amore per noi che quella Passione veicola come messaggio e come dono». Si tratta di guardare di più e meglio, attraverso la Sindone, al Vangelo di Gesù Cristo che richiede la conversione della mente e del cuore. Passio Christi-Passio hominis è lo slogan posto a sintesi dell’evento dell’ostensione, per cui, continua Poletto nel suo messaggio, «ciascuno di noi è invitato a mettere a confronto le moltissime croci dell’umanità ed anche le proprie croci personali con la salvifica croce di Cristo. Solo così è possibile gettare un fascio di luce sull’oscurità misteriosa di tante nostre sofferenze di fronte alle quali restiamo muti e disorientati». Un richiamo forte all’interiorità, a non lasciarsi sedurre dalle coreografie, neppure religiose, per cogliere l’essenza di un messaggio (quello del dolore-croce) che porta diritto al Vangelo.

Quel Gesù - di cui il telo sindonico è specchio e messaggio, e che noi credenti professiamo nella fede pasquale come veramente risorto e perciò vivo e presente nella nostra storia - raggiunga il cuore di ogni uomo e donna di buona volontà per far loro sentire che, in qualunque situazione di vita si trovino, sono da lui amati in modo infinito e personale: è questo l’augurio rivolto a ogni pellegrino e che per molti si è realizzato nella breve sosta davanti alla Sindone e nei frutti spirituali che ne sono derivati. Con forza e discrezione. Così lavora la grazia.

Lettura scritturistica

Una cosa è certa: sul lenzuolo sindonico è impressa la passione di un uomo torturato con ferocia e crocifisso nella forma che i racconti evangelici ci tramandano, fino alla ferita del costato. La prima parte della narrazione, che i quattro Vangeli ci forniscono della passione di Cristo, non solleva quindi particolari problemi di concordanza con la Sindone, anche se resta misterioso il modo con cui l’immagine si è poi impressa sul telo di lino. Il discorso cambia quando si considerano le modalità della sepoltura. «Per i Sinottici si direbbe che è conosciuto o interessa solo un avvolgimento in una sindón, ma Luca (24,12, al sepolcro vuoto), almeno a livello redazionale, conosce anche la presenza di othónia, al plurale, che sono i panni di cui parla Giovanni. Questi, a sua volta, nella sepoltura nominava solo gli othónia, ma durante la visita del sepolcro vuoto parla anche del soudárion».14 Come si può vedere, la questione è piuttosto complessa, ma in buona sostanza è possibile affermare che nei Vangeli vi è traccia di una doppia tradizione: Marco e Matteo da una parte, Giovanni dall’altra con un punto di incontro in Luca.

Quindi? Per quanto riguarda la sepoltura, la conclusione non può che essere… modesta. Due tradizioni, non in contrasto - va detto con tutta chiarezza - presentano il momento della sepoltura di Gesù in modo un po’ diverso, e una di queste - il racconto di Giovanni - è interessata a una lettura dei fatti più simbolica. D’altra parte fissarsi sul lenzuolo, proprio quello ritrovato nella tomba vuota, non corrisponde all’«oltre» verso il quale orientano i Vangeli stessi.15 Ai primi visitatori del sepolcro la mattina di Pasqua, così come allo spettatore del lenzuolo funerario che si dice abbia avvolto il corpo di Gesù, gli angeli proclamano le stesse parole: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto! » (Lc 24,5-6).

Ugo Sartorio ofmconv
Director of Il Messaggero of Sant’Antonio
Via Orto Botanico, 11 – 35123 Padova

 

1 R. ALAJMO, «La Sindone, il cerchio e la botte», in L’Unità, 19 aprile 2010.

2 Cf P. ODIFREDDI-G. GHIBERTI, «La Sindone, dialogo tra ateo e cristiano», in Il Fatto Quotidiano 23 aprile 2010. Il dialogo è riportato interamente da MicroMega, 4/2010 (fascicolo monografico dal titolo «L’inganno della Sindone»), 5-14.

3 Concetto spesso usato in modo equivoco, come mostrano B. BARBERIS-M. BOCCALETTI, Il «caso Sindone» non è chiuso, San Paolo, Milano 2010, 11-18. Vanno perciò decodificate affermazioni del tipo: «Oggi i fari non sono più puntati sull’autenticità del reperto ma sull’immagine dell’uomo sofferente »: G. PLATONE, «Il sacro business», in MicroMega, 4/2010, 97.

4 «In epoca recente viene ricordato un solo episodio, che però in realtà non può ritenersi un miracolo »: E. MARINELLI-M. MARINELLI, Alla scoperta della Sindone, Messaggero, Padova 2010, 104.

5 Cf C. M. MARTINI, Il Dio nascosto. Meditazione sulla Sindone, OCD-Centro Ambrosiano, Roma-Milano 2010.

6 G. FANTI, La Sindone. Una sfida alla scienza moderna, Aracne, Roma 2008, 602.

7 Innegabilmente «dal corpo della Sindone al corpo del Risorto il passo è avvolto nel mistero»: G. GHIBERTI, Davanti alla Sindone, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, 65.

8 Cf B. BARBERIS, «Gli enigmi scientifici: ricerca senza cortocircuiti», in Jesus, n. 5/2010, 66-68.

9 10 aprile 2010.

10 L. SCARAFFIA, «Sindone e secolarizzazione», in L’Osservatore Romano, 31 marzo 2010.

11 Le considerazioni che seguono prendono spunto da F. GARELLI, «L’uomo che soffre si specchia nella Sindone», in La Stampa 11 aprile 2010.

12 M. CORRADI, «In cammino per incontrare un evento», in Avvenire 11 aprile 2010.

13 Cf A. TORNO, «Perché il Papa chiama Icona e non Reliquia la Sindone», in Corriere della Sera, 3 maggio 2010.

14 Cf G. GHIBERTI, «Sindone, Vangeli e vita cristiana», in AA.VV., Sindone. Vangelo, storia, scienza, Elledici, Leumann (TO) 2010, 5-30.

15 Cf G. RAVASI, «Così Gesù venne stretto e avvolto», in Torino. La Sindone, inserto de Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2010, 1.

 

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