n. 2
febbraio 2012

 

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VERSO IL 50° DELL'USMI
  Testimone di un cammino
 
Comunione

PIER GIORDANO CABRA

 

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Io, parola Comunione, a un certo punto mi sono stancata d’essere stiracchiata e strattonata da tutte le parti e ho detto chiaro e tondo: «Senza la carità non sono nulla» (1Cor 13). Mi hanno usata in tutte le maniere: Comunione contro Gerarchia, la quale ha reagito creando il curioso ossimoro “comunione gerarchica”. Alcuni hanno persino fondato una rivista col mio nome (Communio), per disdire la comunione con un’altra rivista (Concilium) che si rifaceva proprio a quel Concilio che ha rimesso in auge il concetto di comunione.

All’interno della vita consacrata religiosa sono stata utilizzata per rompere il monopolio del comando, e talvolta anche la comunione, dei superiori e delle superiore, a favore di una maggiore distribuzione delle competenze, con risultati variabili. A un certo punto sono stata considerata la categoria ecclesiologica centrale del Vaticano II, in concorrenza e correttivo dell’altra non meno stiracchiata categoria di “Popolo di Dio”. E così si è creduto di poter riassumere il percorso dell’ecclesiologia nell’espressione: «dalla Chiesa come gerarchia a una Chiesa come comunione».

Ho avuto l’impressione d’essere utilizzata nei momenti di crisi, come uscita d’emergenza. In pratica, all’ideale della compattezza, dell’essere formati tutti alla stessa maniera, è subentrato l’ideale della diversità come ricchezza che viene dall’alto, non da reprimere, ma da far convergere. Unità nella differenza: ecco il grande programma. Il che è più facile a dirsi che a farsi.

Non penso tuttavia di non essere stata utile in vari settori della teologia e della prassi ecclesiale. Tutt’altro! Non voglio suicidarmi, né danneggiare gli indubbi progressi fatti in mio nome, ma desidero mettere un po’ di ordine per non essere citata abusivamente od essere causa di un’inflazione che mi toglierebbe l’autorevolezza che meritano le cose non fatue.

Qui mi limito all’ambito della vita consacrata.

Uso ed abuso della parola

Una delle aree dove la vita consacrata ha lavorato di più è stata quella della comunità, dove sono stata utilizzata in misura considerevole, per avallare valori fino ad allora estranei a buona parte della vita consacrata tradizionale: dialogo nell’esercizio dell’autorità, rispetto della persona e sua responsabilità, partecipazione attiva nelle decisioni. Valori che dovevano umanizzare la convivenza.

Mi sono accorta però, e ben presto, che nel mio nome si perseguivano due obiettivi assai diversi: da parte delle “anime belle” si voleva sinceramente la crescita della fraternità, mentre da parte dei “realisti” si voleva in modo subdolo promuovere una maggiore libertà personale. Naturalmente, altri in maniera inconsapevole, mescolavano i due obiettivi, aumentando la confusione.

Qui ho visto che era la presenza o meno della carità quello che distingueva l’uso dall’abuso del mio nome. La comunione senza la carità può essere ridotta a organizzazione, a “ingegneria sociale”, a tecnica delle relazioni umane. Comunione con carità, significa relazione intima con Dio. Egli riversa il suo amore nei cuori dei credenti e rende possibile una comunità nuova, anzi una nuova umanità, dove ci si avvicina all’ideale della fraternità, ideale sempre sognato e poche volte raggiunto. Infatti io, Comunione, sono “figlia della carità”, sono costruita dalla carità, sono tenuta viva dalla carità. «Senza carità non sono nulla».

Comunione e vita fraterna

A volte ero tentata di dire, soprattutto a coloro che nel mio nome promuovevano l’autorealizzazione: «Non nominate il mio nome invano ». Loro programma sembra voler indebolire l’autorità in nome della comunione, per poi dissolverla in nome del rispetto della persona umana, per finire con l’esaltare l’io, e fatta passare per legittima e auspicabile la realizzazione di sé. Altre volte avrei detto la stessa cosa, quando l’autorità usava il mio nome per dire “siate in comunione con me”, cioè obbeditemi senza discutere tanto. Ma non voglio invecchiare brontolando, anche se il momento in cui verrò messa da parte sarà un momento triste, perché rappresenterà un ritorno dell’autoritarismo, giustificato dalla reazione all’anarchia.

Voglio restare giovane parlando di carità e diffondendo la carità come realtà fondamentale. La sola obbedienza non mi costruisce, se non c’è il primato della carità in colui che comanda e in coloro che obbediscono. La carità spinge a uscire da sé, per mettersi a disposizione degli altri. È l’esodo necessario per costruire la fraternità che è il risultato più bello al quale io tendo.

Figlia della carità, produco la fraternità. Il grande Agostino ha compreso meglio degli altri la mia genealogia e la mia discendenza: «Vuoi sapere a che punto sei con il tuo cammino spirituale? Considerati avanzato nella misura in cui preferisci le cose comuni alle tue». La carità ti fa preferire la costruzione della comunione la quale genera la vita fraterna.

E oggi?

Oggi le cose, almeno qui da noi, sono cambiate. Le comunità si riducono, il lavoro si moltiplica, diminuisce il tempo per la vita comune, la fraternità sembra un lusso, la comunione è usata soprattutto per indicare la comunione eucaristica. La quale, in realtà, ha molto a che fare con me.

Eppure, mi vedo riscoperta, almeno come necessità e desiderio, dalle comunità di persone anziane che amerebbero sentire un maggior tepore della fraternità. Ma spesso si raccoglie quel che si ha seminato, almeno collettivamente. Se si è curata la vita fraterna, si può sperare di trovare fraternità. Se si è pensato che essa sia un’utopia, si raccoglie vento e vuoto. Chi ha creduto in me e mi ha coltivato, sarà in grado di dare e di ricevere attenzione, di essere riconosciuto e di sentirsi in un’oasi nel frequente deserto. Chi semina comunione raccoglierà fraternità. Chi semina se stesso, raccoglierà il poco che egli è. Il chicco di grano che muore in nome della carità dà il molto frutto della fraternità. Il chicco di grano che vuole affermarsi invecchia solitario e triste.

Che fatica costruirmi! Che gioia in compenso viene a chi mi ha costruita, gettando la semente del proprio essere, spesso nel pianto, ma sorretto dalla spinta della carità, che crea futuro e rende più luminoso ogni tramonto.

Pier Giordano Cabra csf
Via Piamarta, 6 - 25121 Brescia

 

 

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