Io,
parola
Comunione,
a un certo punto mi sono stancata d’essere stiracchiata e strattonata da
tutte le parti e ho detto chiaro e tondo: «Senza la carità non sono
nulla» (1Cor 13). Mi hanno usata in tutte le maniere: Comunione contro
Gerarchia, la quale ha reagito creando il curioso ossimoro “comunione
gerarchica”. Alcuni hanno persino fondato una rivista col mio nome (Communio),
per disdire la comunione con un’altra rivista (Concilium)
che si rifaceva proprio a quel Concilio che ha rimesso in auge il
concetto di comunione.
All’interno della vita consacrata religiosa sono stata utilizzata per
rompere il monopolio del comando, e talvolta anche la comunione, dei
superiori e delle superiore, a favore di una maggiore distribuzione
delle competenze, con risultati variabili. A un certo punto sono stata
considerata la categoria ecclesiologica centrale del Vaticano II, in
concorrenza e correttivo dell’altra non meno stiracchiata categoria di
“Popolo di Dio”. E così si è creduto di poter riassumere il percorso
dell’ecclesiologia nell’espressione: «dalla Chiesa come gerarchia a una
Chiesa come comunione».
Ho
avuto l’impressione d’essere utilizzata nei momenti di crisi, come
uscita d’emergenza. In pratica, all’ideale della compattezza,
dell’essere formati tutti alla stessa maniera, è subentrato l’ideale
della diversità come ricchezza che viene dall’alto, non da reprimere, ma
da far convergere. Unità nella differenza: ecco il grande programma. Il
che è più facile a dirsi che a farsi.
Non
penso tuttavia di non essere stata utile in vari settori della teologia
e della prassi ecclesiale. Tutt’altro! Non voglio suicidarmi, né
danneggiare gli indubbi progressi fatti in mio nome, ma desidero mettere
un po’ di ordine per non essere citata abusivamente od essere causa di
un’inflazione che mi toglierebbe l’autorevolezza che meritano le cose
non fatue.
Qui
mi limito all’ambito della vita consacrata.
Uso ed abuso della parola
Una
delle aree dove la vita consacrata ha lavorato di più è stata quella
della comunità, dove sono stata utilizzata in misura considerevole, per
avallare valori fino ad allora estranei a buona parte della vita
consacrata tradizionale: dialogo nell’esercizio dell’autorità, rispetto
della persona e sua responsabilità, partecipazione attiva nelle
decisioni. Valori che dovevano umanizzare la convivenza.
Mi
sono accorta però, e ben presto, che nel mio nome si perseguivano due
obiettivi assai diversi: da parte delle “anime belle” si voleva
sinceramente la crescita della fraternità, mentre da parte dei
“realisti” si voleva in modo subdolo promuovere una maggiore libertà
personale. Naturalmente, altri in maniera inconsapevole, mescolavano i
due obiettivi, aumentando la confusione.
Qui
ho visto che era la presenza o meno della carità quello che distingueva
l’uso dall’abuso del mio nome. La comunione senza la carità può essere
ridotta a organizzazione, a “ingegneria sociale”, a tecnica delle
relazioni umane. Comunione con carità, significa relazione intima con
Dio. Egli riversa il suo amore nei cuori dei credenti e rende possibile
una comunità nuova, anzi una nuova umanità, dove ci si avvicina
all’ideale della fraternità, ideale sempre sognato e poche volte
raggiunto. Infatti io,
Comunione,
sono “figlia della carità”, sono costruita dalla carità, sono tenuta
viva dalla carità. «Senza carità non sono nulla».
Comunione e vita fraterna
A
volte ero tentata di dire, soprattutto a coloro che nel mio nome
promuovevano l’autorealizzazione: «Non nominate il mio nome invano ».
Loro programma sembra voler indebolire l’autorità in nome della
comunione, per poi dissolverla in nome del rispetto della persona umana,
per finire con l’esaltare l’io, e fatta passare per legittima e
auspicabile la realizzazione di sé. Altre volte avrei detto la stessa
cosa, quando l’autorità usava il mio nome per dire “siate in comunione
con me”, cioè obbeditemi senza discutere tanto. Ma non voglio
invecchiare brontolando, anche se il momento in cui verrò messa da parte
sarà un momento triste, perché rappresenterà un ritorno
dell’autoritarismo, giustificato dalla reazione all’anarchia.
Voglio restare giovane parlando di carità e diffondendo la carità come
realtà fondamentale. La sola obbedienza non mi costruisce, se non c’è il
primato della carità in colui che comanda e in coloro che obbediscono.
La carità spinge a uscire da sé, per mettersi a disposizione degli
altri. È l’esodo necessario per costruire la fraternità che è il
risultato più bello al quale io tendo.
Figlia della carità, produco la fraternità. Il grande Agostino ha
compreso meglio degli altri la mia genealogia e la mia discendenza:
«Vuoi sapere a che punto sei con il tuo cammino spirituale? Considerati
avanzato nella misura in cui preferisci le cose comuni alle tue». La
carità ti fa preferire la costruzione della comunione la quale genera la
vita fraterna.
E
oggi?
Oggi
le cose, almeno qui da noi, sono cambiate. Le comunità si riducono, il
lavoro si moltiplica, diminuisce il tempo per la vita comune, la
fraternità sembra un lusso, la comunione è usata soprattutto per
indicare la comunione eucaristica. La quale, in realtà, ha molto a che
fare con me.
Eppure, mi vedo riscoperta, almeno come necessità e desiderio, dalle
comunità di persone anziane che amerebbero sentire un maggior tepore
della fraternità. Ma spesso si raccoglie quel che si ha seminato, almeno
collettivamente. Se si è curata la vita fraterna, si può sperare di
trovare fraternità. Se si è pensato che essa sia un’utopia, si raccoglie
vento e vuoto. Chi ha creduto in me e mi ha coltivato, sarà in grado di
dare e di ricevere attenzione, di essere riconosciuto e di sentirsi in
un’oasi nel frequente deserto. Chi semina comunione raccoglierà
fraternità. Chi semina se stesso, raccoglierà il poco che egli è. Il
chicco di grano che muore in nome della carità dà il molto frutto della
fraternità. Il chicco di grano che vuole affermarsi invecchia solitario
e triste.
Che
fatica costruirmi! Che gioia in compenso viene a chi mi ha costruita,
gettando la semente del proprio essere, spesso nel pianto, ma sorretto
dalla spinta della carità, che crea futuro e rende più luminoso ogni
tramonto.
Pier
Giordano Cabra csf
Via Piamarta, 6 - 25121 Brescia