«Scrivo
a voi, giovani, troppo spesso dipinti come
disincantati,
cinici,
delusi,
pragmatici,
ma che, ogni volta che vi incontro - come all'ultima GMG di Madrid - vi
trovo sempre più puliti, più sani, più liberi e più veri di quanto i
media
e un
certo
cliché
degli adulti vorrebbero far credere». Inizia con queste parole la
Lettera Pastorale 2011,
del Vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, che reca il titolo
Giovani, dove sta la felicità?
Si
tratta di una lettera scritta avendo in mente soprattutto i giovani, ma
la cui lettura è pure consigliata a chiunque a diverso titolo si trovi a
lavorare con i giovani. È un testo molto denso e profondo, che trova la
sua sorgente nella ricca umanità e spiritualità del suo autore, a lungo
docente di teologia a Roma, rettore di seminario ad Anagni, assistente
generale dell'Azione Cattolica Italiana e ora, da alcuni anni, Vescovo
della cittadina romagnola.
Una
lettera “pastorale”, dunque, che però è diretta ai giovani, perché una
Chiesa che guarda al proprio impegno nella storia in questo tempo non
può non avere a cuore la dimensione educativa del suo pensare e del suo
agire. Ed è una lettera che mantiene sempre un tono diretto, urgente, il
tono di chi ha da comunicare una notizia che non può tardare ancora di
raggiungere il suo destinatario.
E la
notizia è proprio questa: la felicità non è un'illusione né un miraggio,
e neppure una vana aspirazione immessa nel cuore dell'uomo ma destinata
al fallimento, per cui sarebbe più assennato “sapersi accontentare”. La
felicità è un cammino, è una compagnia, è una vocazione, è un appello.
Vangelo e felicità
Il
testo, dopo una breve introduzione, si divide in 9 capitoletti:
Ma che sta succedendo?, Può un cristiano essere felice?, Vangelo: vedi
alla voce Felicità, L'ansia del futuro, È ora di svegliarsi, Dov'è Dio
quando noi soffriamo?, La felicità della Pasqua, La gioia di essere
cristiani, La felicità c'è.
Il punto di partenza è la registrazione che nella cultura contemporanea
si assiste ad un calo del desiderio, all'imporsi cioè di una sorta di
apatia generalizzata sul senso dell'esistenza, dovuti fondamentalmente
ad una sorte di overdose di “beni”, che minacciano di far scomparire
dalla nostra vita la questione centrale del “bene”. Soprattutto dalla
vita dei giovani.
Che
cosa resta della felicità in tutto ciò? Il discorso pubblico, quello
pubblicitario per intenderci, continua imperterrito e indisturbato a
mettere al primo punto della ricetta della felicità “il successo”, ma
sono tantissime le controindicazioni e gli effetti negativi di questo
suggerimento, e ci si può soltanto meravigliare del fatto che il ceto
adulto non abbia ancora deciso di risvegliarsi dal suo stato di
dismissione permanente dell'impegno educativo e non abbia preso sul
serio come effettivamente “la società dei consumi” alla fine non faccia
altro che consumare per intero la società, a partire dai più giovani e
dai meno vaccinati a tutto questo discorso.
Il
Vescovo Francesco non ci sta a questo gioco. E per questo decide di
comunicare ciò che dà sapore e sapere alla sua esistenza, ciò che la
illumina e la fa risplendere di gioia, di felicità. La sua fede
cristiana.
«Il
cristianesimo - egli scandisce bene - annuncia la felicità». Nulla di
meno. E non al margine dei suoi discorsi e delle sue prediche. No al
cuore della sua stessa verità, al cuore del credo. Riesce così molto
bene all'autore di questa lettera pastorale di ripercorrere i punti
salienti del “credo dei cristiani” - quello che recitiamo la domenica
per intenderci - come “otto capitoli della perfetta letizia”.
Ed
ecco che la felicità è proprio questo venir a sapere dell'amante e
benedicente compagnia divina del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo, che ci pone in una comunità di fratelli e di sorelle, tutti
chiamati a realizzare della loro vita e della vita del mondo una realtà
bella, santa, pulita. Chi crede in ciò non teme dunque il peccato né la
morte: sa che esiste il perdono e che la traiettoria della sua azione
punta oltre la lapide che aspetta ciascuno al cimitero!
I
nemici della felicità cristiana
Non
pensi il lettore che al Vescovo Francesco manchino una buona dose di
realismo e di sano senso delle cose. Per questo dedica parecchie pagine
della sua lettera ad enumerare i principali nemici - esprimiamoci così -
della felicità credente. Ed il primo fra tutti è l'ansia del futuro,
l'affanno, la preoccupazione, la paura, la tentazione di assicurarsi con
i beni il bene della vita e del suo pieno sviluppo umano. Tentazioni
vere, reali. Atteggiamenti però che creano sempre un senso di vuoto, un
rinchiudersi e un rintanarsi su se stessi che portano alla fine ad una
lotta contro la vita per paura del futuro e della morte.
Il
credente è invece colui che sa impegnare la propria esistenza su quel
parametro di misura che Gesù ha tracciato con la sua vita e le sue
parole: chi perde vince, chi dona guadagna, chi si dona risorge e vive.
Ma
non ci sono solo queste inquietudini esterne che minacciano la felicità
di chi crede, ci sono pure forme di male interiore oggi più difficili da
sentire e individuare. Sono ciò che la tradizione spirituale della
Chiesa ha individuato come "vizi capitali": superbia, invidia, ira,
avidità, gola, lussuria, accidia. Le meditazioni che il Vescovo offre
per ciascuno di questi vizi meritano un'attenta riflessione.
Sofferenza e male
Non
poteva a questo punto mancare un confronto serio e pensoso con
l'obiezione forse più acuta possibile contro l'annuncio cristiano di una
possibilità vera della felicità. L'obiezione della sofferenza propria e
altrui, l'obiezione della sofferenza innocente, l'obiezione della
distruzione che spesso viene dalla natura che ci circonda. Con un tocco
delicato, il vescovo-teologo ricorda che all'esperienza cristiana -
all'esperienza di Gesù stesso - non è estranea la realtà del dolore,
della sofferenza e delle lacrime. Il Dio in cui crediamo non è un Dio
incapace di sofferenza: è un Dio che sa soffrire, è un Dio che anche
quando non ci salva
dal
dolore, ci salva
nel
dolore, è un Dio la cui creazione non è già tutta bella e compiuta. È un
Dio che annuncia, nella morte e resurrezione di Gesù, la notizia di un
compimento futuro della storia, ove ogni lacrima sarà asciugata e ciò
che ora appare visibile solo come in una penombra apparirà nella sua
verità.
Per
tutto questo la notizia che più d'ogni altra corrobora la felicità di
chi crede è l'annuncio della Pasqua: la morte si è arresa a Dio! «A
Pasqua cambia tutto: il peccato è perdonato, il dolore non è più
disperato, la morte non è il tunnel che sbocca nello strapiombo del
nulla, ma lo svincolo che immette nella vita per sempre. A Pasqua nasce
la certezza che la vita non è fatta per la morte, ma la morte per la
vita. Che non si vive per soffrire, ma si soffre per vivere».
La
gioia di essere cristiani
E
per finire il Vescovo Francesco ci regala una pagina davvero memorabile,
una pubblica lode della fede cristiana. Egli desidera, infatti, mettere
bene in luce ciò che definisce
come
umile, grata fierezza dell'essere cristiani.
Ascoltiamolo: «Oggi è tornato il momento di testimoniare senza complessi
di superiorità o inferiorità, senza intolleranza e senza vergogna la
gioia di essere cristiani. La gioia di sapersi e di sentirsi figli del
Padre: non orfani né vagabondi, non schiavi né mercenari, ma
figli-figli, amati, pre-scelti e candidati alla vita eterna. La
consolante verità che siamo fratelli di Cristo, suoi seguaci e
testimoni, innestati in lui come tralci in cui fluisce la vita della
vita divina».
Penso sia proprio questo il gesto che i giovani oggi attendono da noi
adulti credenti: la possibilità di sperimentare che l'incontro con
Cristo non sia solo un fatto di tradizione o semplicemente di testa, ma
una verità di cui sono testimoni i nostri occhi, le nostre mani, le
nostre gambe, la nostra intera vita. C'è troppa tristezza in giro (il
calo del desiderio, di cui si è già detto) e forse c'è troppa tristezza
anche nelle nostre comunità ecclesiali: spesso ripetitive negli schemi e
nei ritmi, autoreferenziali nei linguaggi e nelle scelte di fondo,
monotone e prive di colore nelle celebrazioni e negli incontri.
Servono cristiani adulti, educatori,
toccati
da
Dio - come si esprime Benedetto XVI - e per questo capaci di scalfire
l'indifferenza o l'estraneità degli altri rispetto all'annuncio del
Vangelo.
Così
come toccanti sono le testimonianze che chiudono la
Lettera pastorale 2011
indirizzata dal suo Vescovo alla Diocesi di Rimini - testimonianze che
la felicità è ancora possibile. Oggi. Qui. Per tutti. Per i giovani,
soprattutto.
Armando Matteo
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