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n.3
maggio/giugno 2014

 

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Parola di Dio e preghiera
nella comunità religiosa

di BRUNO SECONDIN

 

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“Una delle vie più belle per entrare nella preghiera passa attraverso la Parola di Dio. La lectio divina introduce alla conversazione diretta con il Signore e schiude i tesori della sapienza. L’intima amicizia con Colui che ci ama ci rende capaci di vedere con gli occhi di Dio, di parlare con la sua Parola nel cuore, di conservare la bellezza di questa esperienza e di condividerla con coloro che sono affamati di eternità".
Questa frase di Papa Francesco (al Capitolo generale dei Carmelitani) mette bene in evidenza il legame intrinseco che c'è fra la Parola e la preghiera in una comunità religiosa. E specificamente come a generare una autentica preghiera sia proprio l'esperienza di un ascolto obbediente e dialogico con colui che è il Vivente che abita la Parola. Non si tratta di una relazione di quantità o di analogia di temi, ma di qualcosa di intrinseco alla stessa natura della preghiera.
La comunità cristiana, come già avveniva per la qahal ebraica, è convocata dalla Parola, è propriamente "convocazione" (ekklesia) generata dall'obbedienza alla Parola; e solo nella Parola ascoltata, corrisposta e messa in pratica può trovare il proprio linguaggio per parlare con Dio e a Dio. Di più, la comunità è il luogo in cui la Parola può risuonare con forza ed efficacia, sia nel dialogo con Dio sia nella relazione orizzontale con gli altri. E risuona come Parola di vita e fremito di vita, e non come teoria ideografica o pura informazione su Dio o su eventi sacri.
Per capire questo bisogna andare alla natura specifica della Parola, che è insieme fonte di gioia profonda come cantano i Salmi, ma anche insieme fatica e tormento, come ben testimoniano i profeti, e succo misterioso di vita saggia come interpretano i sapienti. Dobbiamo porci davanti al mistero, come avvertiva C.M. Martini: "Abbiamo la sensazione di non riuscire ad esprimere la straordinaria potenza, ricchezza, vitalità della Parola. Ci sentiamo sempre superati dal mistero di Cristo presente in ogni pagina della Scrittura, dall'amore di Dio che ci avvolge, e che siamo incapaci di comunicare adeguatamente"1.

Pregare "con" la Parola

Mi ha sempre impressionato notare che moltissime persone di vita consacrata non si rendano conto che quando pregano il breviario o partecipano all'eucaristia, stanno in compagnia stretta con la Parola. Che altro sono i testi del breviario, nella quasi totalità di quanto le pagine riportano, se non testi biblici? Si tratta di salmi, cantici e antifone, di letture e responsori, di orazioni e versetti, che quasi in toto sono di origine biblica o per lo meno parafrasi delle parole bibliche.
Avendo ereditato una abitudine di "dir preghiere" - in gran quantità, specialmente in passato - automaticamente passa lo schema che anche il breviario è una "raccolta" di preghiere, da recitare, da mettere bene in fila. E caso mai dopo, nel silenzio e nel tempo stabilito di "meditazione", si rimugina sopra, si riflette su quello che abbiamo recitato, letto e ascoltato. Equivoco estremamente pericoloso: perché insinua che una cosa sia la "recita" cursiva e altra la risposta del cuore riflessivo.
Ma già san Benedetto aveva avvertito che bisogna sintonizzare cuore e bocca: "Mens nostra concordet voci nostrae" (Regola, c. 19). E ancora prima di lui anche Agostino aveva la stessa preoccupazione: "Versetur in corde quod profertur in ore": cioè al movimento della bocca si accompagni il cuore vigilante e sincero, perché non diventi un puro esercizio estetico e suono vuoto di formule "sacre".
Del resto già Isaia s'era accorto della ipocrisia religiosa e dello stile "imparaticcio" degli oranti: "Questo popolo... mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me" (Is 29,13). Anche Gesù ha ripreso questa espressione antica, contro le pratiche formalistiche che erano come un guscio vuoto (cf. Mc 7,6).
Perciò la preghiera fatta con la Parola, deve essere preceduta e seguita dall'ascolto timoroso e fiducioso davanti al Signore, dalla convinzione che restituiamo a Dio quello che lui stesso ha ispirato, fatto proprio e fermentato nella vita e nel cuore dei nostri padri.
Ed essi lo hanno espresso con formule umane, impregnate di linguaggi e simboli contestuati nelle loro vicende e sofferenze, ma ricche anche di slancio intimo del cuore, di sentimenti e ribellioni, gratitudine e supplica. E tutto è ora nelle nostre mani, sulla nostra bocca, perché diventi dialogo del cuore, implorazione e sincera conversione a Dio.
Per questo ogni comunità religiosa dovrebbe preoccuparsi di offrire opportune occasioni a se stessa per una migliore conoscenza, anche esegetica, dei testi che tiene nelle mani con il breviario e con altre celebrazioni (Messa inclusa), in modo da riuscire a capire, gustare i testi - e riconoscersi nei testi - che "recita" all'unisono: così non saranno formule che muovono solo le labbra, ma afferreranno anche il cuore.

Pregare "la" Parola

C'è ancora un passo avanti da fare. Se la comunità è creata e convocata dalla Parola ascoltata, è ecclesia Verbi, sacramentum Verbi, o come direbbe Paolo, "una lettera di Cristo... scritta non con l'inchiostro, con lo Spirito del Dio vivente" (2Cor 3,3), bisogna andar ben oltre il "pregare con la Parola". Bisogna arrivare ad abitare la Parola, a vivere della Parola, a respirare la Parola, come una vera "sorgente pura e perenne di vita spirituale" (DV 21).
"Spiritus tangit animum legentis", ha scritto Gregorio Magno: non è solo incontro con la Scrittura, è incontro col Dio vivente che mi interpella, vuole da me una reazione di vita e non solo un assenso mentale. Come diceva un testo preparatorio del Sinodo sulla Parola (2008): "Non è l'uomo che può penetrare la Parola di Dio, ma solo questa può conquistarlo e convertirlo, facendogli scoprire le sue ricchezze e i suoi segreti e aprendogli orizzonti di senso, proposte di libertà e di piena maturazione umana (cf. Ef 4,13)... Si tratta di abbandonarsi alla lode silenziosa del cuore in un clima di semplicità e di preghiera adorante" (Lineamenta, 59).
A questo scopo deve portare la esperienza della lectio divina che da qualche decina d'anni sta diffondendosi in tante comunità cristiane, e anche nelle comunità religiose sta diventando ormai il tipico approccio familiare con la Parola di Dio. Certamente in questa ripresa dell'esperienza della lectio divina c'è da riconoscere un ressourcement fecondo della prassi monastica che ha impreziosito la teologia e la spiritualità per secoli. Ma c'è anche del nuovo. Non si tratta solo della prassi monastica rivitalizzata, e ben catalogata dalla famosa operetta di Guigo II il certosino (+1188), La scala dei monaci2. Quella sapiente descrizione rimane preziosa certamente ancora oggi, proprio per la sua chiarezza. E molti ad essa si rifanno come a norma suprema: avrei qualche perplessità3.
Ma lo Spirito, che ha ispirato e guidato la redazione della memoria incandescente in pagine e testi che noi chiamiamo Bibbia, continua ad accompagnarne la diffusione e l'incontro della Parola con i credenti, apportando novità significative e non solo conferme. È lo Spirito infatti che ha suscitato e suscita di continuo, oltre lo schema classico della lectio divina, nuove dinamiche di ascolto orante e riflessivo della Parola, soprattutto di tipo comunitario e in mezzo a ogni genere di tipologia ecclesiale. Per questo ha tanta diffusione oggi l'ascolto orante e riflessivo della Parola in comunità, in gruppi spontanei, e specialmente negli ambienti marginali e poveri.
Come diceva già vent'anni fa la Pontificia Commissione Biblica: "È motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di sé"4. Da qui deriva la sfida di leggere la lettera nello Spirito, assieme al popolo più semplice, accettando di andare oltre le grandi tradizioni gloriose e le raffinatezze dell'esegesi, per un cammino di popolo, per una "dossologia" della vita e non solo per formulazioni verbali. Il popolo è capace di questo oggi, sotto la guida dello Spirito, e quando è ben guidato diviene davvero innamorato della Parola, ne ha "sete e fame" nuova che va soddisfatta (cf. Am 8,11).

Preghiera e lectio mundi

C'è ancora un aspetto che vorrei toccare, e spesso non è avvertito. La prima Parola di Dio che siamo chiamati ad accogliere e alla quale obbedire - nel senso etimologico di ob-audire, in greco hypakoè - è la creazione. È quella Parola divina primordiale, verso la quale bisogna avere obbedienza e prestare assenso devoto, custodendo il creato. I padri erano molto coscienti di questa realtà, noi invece abbiamo fatto della realtà creata spesso un mucchio di rovine, a causa della manipolazione e dello sfruttamento.
Il mondo creato narra la gloria di Dio, canta il Salmista (Sa 19,1), e perciò tutto è sua voce, porta il sigillo della sua sapienza (Sir 46,17; Sal 68,34). E l'inno paolino canterà: "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui (Cristo) e in vista di lui... e tutte sussistono in lui" (Col 1,16-17). Questo implica una capacità ecologica contemplativa per il credente, e una lettura "teologica e dossologica" che deve alimentare una prassi conseguente.
La tradizione monastica ha sempre mostrato una particolare abilità nella relazione con l'ambiente, nella trasformazione "estetica" dei luoghi, nella promozione della natura per un habitat non solo migliore, ma anche ispirativo di contemplazione e di fruizione in consonanza con la ricerca di Dio. La stessa santa Teresa di Gesù voleva i suoi monasteri in ambienti belli, con panorami suggestivi: perché anche la natura fosse compagna della ricerca appassionata e innamorata di Dio.
Le nostre comunità riescono oggi a conservare questa sapientia vitae, questo bel rapporto con la natura, questa finezza d'animo, e anche di fede, per diffondere e difendere la luce di Dio che abita la sua creazione? Lo squallore e la sciatteria di certi nostri ambienti, la mancanza di gusto e di stile in tutto ciò che siamo e viviamo, potrebbe mostrare che abbiamo perso questa capacità di vedere Dio che cammina con noi, che dimora fra noi. È un Dio della pura interiorità, o che abita negli spazi siderali lontani?
Andrebbe ripensata la nostra testimonianza e il nostro dialogo con Dio, anche a partire proprio dalla parola eloquente del "creato" di cui ci circondiamo. Spesso purtroppo non annuncia la sua grandezza e la sua bellezza, la sua tenerezza e la sua vita "piena", ma solo la nostra sciatteria e miseria spirituale. Qui c'è una sfida grande e anche una esigenza di conversione per la "preghiera" della comunità.


[1] C.M. MARTINI, Carissimo padre..., in AA.Vv., La Parola edifica la comunità, Qiqajon, Bose 1996, 13.
[2] Si può trovare anche in internet ora: per es. in questo sito: http://www.monasterovirtuale.it/lapatristica/guigo-il-certosino-scala-claustralium.html
[3] Si può vedere altra proposta nel mio libro: Lettura orante della Parola, Messaggero, Padova 2003, 13-47; e anche nel fascicolo illustrativo che accompagna il nostro: Poster. La lectio divina, LDC, Leumann 2008
[4] Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della bibbia nella Chiesa (15-4-1993), IV,C 3: Enchiridion Vaticanum 13, EDB, Bologna 1995, 1724

Bruno Secondin ocarm
Pontificia Università Gregoriana

Convento Sant’Antonio Dottore
Borgo Sant’Angelo, 15 - 00193 Roma
bsecondin@virgilio.it

 

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