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Il secolo che abbiamo
appena salutato è stato dominato da demolizioni e cancellazioni
epocali. Ha visto guerre e olocausti che hanno raso al suolo città e
paesi, eliminato fisicamente milioni di persone, nei lager nazisti e nei
gulag sovietici, nei genocidi cambogiani. Eppure queste stragi erano
nate da ideologie che volevano costruire realtà «migliori». I
risultati sono oggi una memoria storica bagnata di sangue e di
sofferenze immani. Demolire allora può essere pericoloso. Può
provocare delle apocalissi, come la più recente, quella delle due Torri
gemelle di New York e della guerra afghana. Se è un’azione
irrazionale, slegata dagli individui e dalle loro esigenze, dal rispetto
dei loro diritti. Se si identifica con il distruggere in modo
indiscriminato.
Accade anche in
privato. Nei confronti di noi stessi e di chi ci sta accanto. La rabbia,
la violenza che fanno terreno bruciato in noi e attorno a noi.
Ma demolire può anche
assumere un significato totalmente diverso da quello di un nichilismo
che annienta. Il tempo per demolire del «Qohelet» non è il tempo
della violenza assoluta, ma quello della rimozione. Della potatura dei
rami secchi, della pulizia interiore ed esteriore, dell’abbattimento
di barriere e di ostacoli che non permettono di crescere, di costruire.
Un demolire che non perde mai di vista l’importanza centrale e
fondamentale della persona umana, che ha come scopo proprio la salvezza
di quest’ultima.
Mai forse come oggi
abbiamo bisogno di un’azione di demolizione in questo senso. Perché
mai come oggi siamo stati prigionieri dell’inutile, del superfluo, di
idoli e di miti falsi e bugiardi. Oggi, tempo in cui è difficile
scorgere la verità, la giustizia e la legalità sotto la montagna di
situazioni, parole, immagini che ingannano per raggiungere interessi
privati. Anni nei quali le forme esterne, le strutture, le stesse
istituzioni si sono calcificate a tal punto da impedire il libero
movimento dell’individuo, interiore ed esteriore, da renderlo schiavo
di modelli e di abitudini imposte dalla civiltà mediatica e da una
economia globale che impone crudeli regole. Non riusciamo più a pensare
con la nostra testa, a distinguere il vero dal falso, abbagliati da un
plagio quotidiano che ha sostituito le apparenze alla sostanza.
Diventa quindi
indispensabile, per chi voglia rientrare in possesso di se stesso e
delle proprie facoltà di giudizio e di distinzione, demolire questo
apparato esterno che ha reso uomini e donne marionette della società
dello spettacolo e della futilità. Offrirsi umilmente, lo annotava Etty
Hillesum, «come un campo di battaglia» in cui si combattono i problemi
nostri e del nostro tempo, si affrontano le falsità, si respingono i
tradimenti e le finzioni, si cerca di ricuperare l’essenziale contro
il superfluo.
Ci vuole umiltà e
coraggio, perseveranza e tanta preghiera per fare questo. La potenza
delle tenebre e del nemico che si veste con addobbi sfavillanti chiede
una forza interiore che è conquista, sacrificio, eroismo quotidiano. La
sensazione d’impotenza di fronte all’organizzazione della finzione e
della menzogna, della sopraffazione, è una mina vagante che induce alla
resa.
Ma sappiamo che se non
avviene questa liberazione interiore, se non riusciamo a sottrarci alla
rigidità e agli abusi di un quadro esistenziale che si manifesta nei
rapporti di tutti i giorni, nel lavoro e nella vita pubblica e sociale,
nella famiglia e nelle comunità, nelle istituzioni laiche e spesso
anche in quelle religiose, non potremo mai entrare nel tempo del
costruire.
Ancora Etty Hillesum,
la ragazza ebrea morta ad Auschwitz e che sta diventando con il suo «Diario»
la guida spirituale di migliaia di persone, scriveva nei tempi bui
dell’olocausto: «Non so che cosa pensare. Con tutto il dolore che ho
intorno, comincio a vergognarmi di prendere sul serio i miei umori.
Eppure devi continuare a prenderti sul serio, devi rimanere il centro, e
in qualche modo devi venire a capo dei fatti di questo mondo; in nessuna
situazione puoi chiudere gli occhi, devi “confrontarti” con questi
tempi orribili e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e
di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai una risposta non
solo per te, ma anche per gli altri».
Trovare risposte per
costruire un progetto di vita, per fare scelte limpide e coerenti,
dignitose, rispettose delle meraviglie del creato. Cercare nella
profondità nuda e spoglia del nostro io, divenuta capace di parlare con
Dio e di ascoltare la sua voce nel silenzio della nostra anima ripulita
del superfluo e dell’inutile, significa costruire anche per gli altri
un mondo migliore.
Dare
un aiuto non soltanto a se stessi, ma all’umanità tutta. Vuol dire
diventare leggeri e puri, capaci di volare sulle ali di una speranza che
diventa contagiosa, compie miracoli di cambiamenti interiori e di
trasformazioni positive. Prepara un futuro in grado di contrapporre i
valori dell’anima e del cuore, dei sentimenti e delle emozioni, della
fantasia e dell’amore al regno del male e delle tenebre. Anche se
queste ultime assumono il volto di un progresso scientifico e
tecnologico che non rispetta più nessun limite e la piovra della totale
mercificazione tenta di trasformare l’umanità in un esercito di
automi.
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