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1.
Conversione e santità
All’inizio di
maggio è stata pubblicata la lettera apostolica di Giovanni Paolo II,
Misericordia Dei, su alcuni aspetti della celebrazione del sacramento
della Penitenza1.
Il documento è stato firmato dal Santo Padre il 7 aprile 2002, domenica
nell’ottava di Pasqua, chiamata anche Domenica della Divina
Misericordia. Come indica il titolo, si tratta di accogliere il meno
indegnamente possibile il dono della misericordia del Signore nei nostri
confronti.
Prima di riassumere
le indicazioni pratiche di questo documento, premettiamo, nei primi tre
paragrafi della nostra presentazione, alcune linee fondamentali per la
comprensione del nostro vissuto penitenziale di riconciliazione
sacramentale.
Oggi come ieri, per
tutti i battezzati, ma in modo speciale per i consacrati, risuona in
modo sempre più convincente l’invito del Signore Gesù all’inizio
della sua predicazione: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15).
Se è vero che l’eucaristia fa la chiesa e la chiesa fa
l’eucaristia, è altrettanto vero che la conversione fa il consacrato
e il consacrato vive in continua conversione. Da sempre la conversione
appartiene, come l’eucaristia, all’identità della sequela Christi,
costituendo un evento privilegiato di educazione alla fede, alla
speranza, alla carità.
La conversione è
la risposta quotidiana all’appello biblico alla santità della vita:
«Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lv
19,2); «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt
5,48); «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc
6,36); «Ad immagine del Santo vi ha chiamati, diventate santi anche voi
in tutta la vostra condotta» (1Pt 1,15). L’esistenza consacrata è
l’invito a compiere questo pellegrinaggio di conversione alla
misericordia e alla santità.
Recentemente, il
Santo Padre ha dato lui stesso un esempio concreto di questa continua
conversione ecclesiale, quando, il 12 marzo 2000, durante la
celebrazione dell’Eucaristia, abbracciando il Crocifisso ha chiesto
perdono al Signore per i peccati passati e presenti dei figli della
Chiesa:
«Come Successore
di Pietro, chiedo che in questo anno di misericordia la Chiesa, forte
della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio
ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli.
Tutti hanno peccato e nessuno può dirsi giusto dinanzi a Dio (cf 1Re 8,
46). Si ripeta senza timore: “Abbiamo peccato” (Ger 3, 25), ma sia
mantenuta viva la certezza che “laddove ha abbondato il peccato ha
sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20)».
Come il popolo di
Dio confessò il peccato del vitello d’oro, come la Chiesa nascente
confessò e ricordò il rinnegamento di Pietro, così la Chiesa confessa
oggi i peccati passati e presenti dei suoi figli. Questo per poter
vivere nella professio laudis e poter operare nella testimonianza della
santità.
2.
Le molteplici vie della conversione
Con semplicità,
allora ci si può chiedere come possiamo migliorare nel nostro impegno
di conversione e come sfruttare al meglio i mezzi ordinari che la
tradizione ecclesiale ci mette a disposizione; quali precauzioni o
miglioramenti possiamo apportare alla nostra vita ascetica, per non
smarrirci di fronte al dovere della nostra chiamata alla santità, che
qualche volta ci appare come un’utopia irrealizzabile.
La vita della
chiesa ci indica vari itinerari di conversione, che portano tutti tra le
braccia misericordiose del Padre, che accoglie e perdona. Parliamo di
itinerari perchè si tratta di eventi dinamici, che comportano più
conversioni o ritorni, spesso faticosi. La conversione cristiana,
infatti, non si esaurisce in un’esperienza puntuale, non è un evento
che si raggiunge una volta per sempre, ma è un laborioso pellegrinaggio
esistenziale in continua evoluzione. Essa è un ritorno integrale e
continuo al rispetto dei comandamenti del Signore, delle leggi della
chiesa, dei nostri impegni di consacrazione, dei nostri doveri
apostolici e professionali. È un ritorno alla bontà e rettitudine di
una vita vissuta nello Spirito del Signore risorto.
Il venir meno a
questi impegni con i nostri peccati, le nostre mancanze e le nostre
omissioni esige pronta riconciliazione con Dio e col prossimo attraverso
una pluralità di mezzi a nostra disposizione: esercizio delle opere di
misericordia corporale e spirituale, perseveranza nelle virtù teologali
e cardinali, fedeltà alla preghiera, impegno nella mortificazione,
gioia nella penitenza.
Sappiamo, però,
che l’itinerario ordinario e oggettivamente efficace della nostra
conversione e rigenerazione spirituale è dato dal sacramento della
riconciliazione o penitenza, la cui storia è così ricca e umana,
proprio perchè è iscritta nella debolezza della carne, nella fatica
dei consacrati a corrispondere a quell’impegnativo «Siate perfetti»
e nella misteriosa presenza della misericordia del Signore, che si
diffonde con straordinaria efficacia nei nostri cuori di pietra per
trasformarli in cuori di carne.
3.
Uno sguardo più profondo al sacramento della riconciliazione
Nella prassi
penitenziale, ormai collaudata da millenni, noi ci presentiamo al
confessionale, al sacerdote giudice e medico delle anime, che, dopo aver
ascoltato l’elenco delle nostre mancanze e dei nostri peccati, ci dà
la sentenza di assoluzione, con l’imposizione di una penitenza, che in
genere è una preghiera più o meno lunga. Si tratta di un «iudicium
salutare», un giudizio che non mira a punire il trasgressore, ma a
salvarlo, rimettendo completamente la colpa al peccatore pentito.
Sull’esempio di Gesù, il sacerdote si comporta da giudice buono e
misericordioso. E la sua parola di assoluzione è efficace nella
remissione dei peccati.
Questa prassi
penitenziale ha generato e genera santi, ha educato e educa i cristiani
alla carità, al servizio, alla perseveranza, alla gioia, all’impegno
apostolico e missionario. Con la frequenza periodica a questo
sacramento, i religiosi e i sacerdoti sono stati educati a una grande
sensibilità spirituale nei confronti non solo del peccato grave, ma
anche di quello veniale. Di qui la pratica consigliabile della
confessione di devozione.
Il sacramento della
penitenza è stato per gli educatori cristiani uno dei fondamenti della
loro azione pedagogica, che raggiunge la sua piena efficacia quando il
penitente collabora con il suo impegno penitenziale (mediante la
“soddisfazione”) a ricomporre gli abiti virtuosi distrutti o
indeboliti dal peccato o dall’abitutine ad esso. Mentre il peccato
ferisce il nostro organismo spirituale, il sacramento della
riconciliazione diventa un avvenimento di grazia e di guarigione
spirituale.
Da una parte, il
sacerdote, come medico delle anime, assolve e guarisce il peccatore
contrito. Dall’altra, il penitente, collabora alla sua guarigione e
santificazione ponendo atti virtuosi contrapposti ai peccati confessati,
secondo una precisa legge ascetica: «contraria contrariis curantur» (i
vizi si curano con le virtù opposte). Si tratta di una impegnativa
terapia d’urto contro il peccato.
Diceva al riguardo
il patriarca di Costantinopoli Geremia II (fine del secolo XVI):
«Trovandosi di
fronte alle passioni [il penitente] curerà la malattia dell’anima con
una condotta di vita necessariamente più faticosa: e cioè la
vanagloria con il rafforzamento dell’esercizio dell’umiltà, il
sonno esagerato con veglie di preghiera, l’indolenza nel lavoro con la
fatica, il cibo esagerato con il digiuno e così via»2.
Per questo, i padri
spirituali orientali parlano di medicine amare. Si tratta, però di
prestazioni e comportamenti indispensabili per una guarigione la più
duratura e stabile possibile. Non potendo noi pretendere un’esperienza
di conversione istantanea e duratura, come fu, ad esempio, quella di san
Paolo sulla via di Damasco, questa dovrebbe essere la nostra via
ordinaria di santificazione.
È utile ricordare
quanto scrive Nicodemo l’Agiorita, il più grande scrittore
greco-ortodosso dei tempi moderni e autore dell’Esomologitario ancora
in uso tra gli ortodossi greci. Questo santo monaco del monte Athos
paragona i penitenti appena perdonati dal sacerdote ai convalescenti da
malattie fisiche:
«Questi (e cioè i
convalescenti fisici), sebbene in realtà non siano più ammalati, sono
tuttavia ancora pallidi, brutti: mangiano, ma senza appetito; dormono,
ma senza riposare; ridono, ma senza gioia; passeggiano, ma sembra che si
trascinino, più che camminare; per dirla in breve, in tutto ciò che
fanno provano una grande difficoltà e debolezza; così anche quei
peccatori, che hanno da poco lasciato il peccato, se riescono a fare
qualche buona azione, non la fanno con quel desiderio, e con quella cura
che è conveniente; ma la fanno con grande peso e con grande debolezza e
difficoltà: infatti le reliquie e le radici del peccato sono ancora nei
loro cuori e non sono state completamente guarite»3.
Sono osservazioni
di grande saggezza spirituale e psicologica. Il perdono sacramentale va
accompagnato da una cura ricostituente, fatta di rafforzamento delle
virtù contrarie ai peccati e ai vizi.
Del resto, questa
dottrina è presente sia nel codice di diritto canonico della Chiesa
latina (1983) sia in quello delle Chiese orientali cattoliche (1990). Il
primo, nel canone 978§1, dice: «Ricordi il sacerdote che
nell’ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice
e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro
contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da
provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime» (cf. anche
il canone 981). Il secondo, nel canone 732§1, dice: «Secondo la qualità,
la gravità e il numero dei peccati, tenendo conto della condizione del
penitente e della sua disposizione alla conversione, il confessore
somministri la medicina conveniente alla malattia, imponendo le opere di
penitenza opportune».#
4.
Il perdono, dono pasquale del Signore risorto
Questa introduzione
può aiutare a comprendere meglio gli orientamenti del documento
Misericordia Dei, che inizia ricordando che la nostra salvezza è
innanzitutto redenzione dal peccato e liberazione dallo stato di
schiavitù nel quale si trova l’uomo, che ha ceduto alla tentazione
del Maligno e ha perso la libertà dei figli di Dio (Introduzione). Dopo
aver riaffermato che il potere di riconciliare con Dio e con la Chiesa i
peccatori pentiti è il dono pasquale offerto da Gesù agli apostoli, il
giorno stesso della sua risurrezione (cf Gv 20,22-23), viene richiamata
la struttura fondamentale del sacramento della penitenza: da una parte
c’è l’assoluzione del ministro, che può essere “soltanto un
Vescovo o presbitero, che giudica e assolve, cura e guarisce nel nome di
Cristo” (ib.); dall’altra, ci sono gli atti del penitente: “la
contrizione, la confessione e la soddisfazione” (ib.).
Riferendosi
all’esperienza confortante del Grande Giubileo dell’Anno 2000,
caratterizzato dal ricorso fruttuoso dei fedeli, anche giovani, alla
Penitenza sacramentale, si invitano i Pastori ad avere maggior fiducia,
creatività e perseveranza nel presentare e nel valorizzare tale
sacramento.
Esortando, poi, a
una celebrazione sempre più fedele di questo dono di grazia, il
documento denuncia un grave abuso: “si osserva in alcune regioni la
tendenza all’abbandono della confessione personale insieme ad un
ricorso abusivo all’«assoluzione generale» o «collettiva»”
(ib.).
Si tratta, cioè,
di una prassi indebita che allarga arbitrariamente il requisito di
“grave necessità”, facendo perdere di vista “la fedeltà alla
configurazione divina del Sacramento, e concretamente la necessità
della confessione individuale, con gravi danni per la vita spirituale
dei fedeli e per la santità della Chiesa” (ib.).
5.
Precisazioni pastorali sulla celebrazione del sacramento della Penitenza
Per questo il Santo
Padre, riconfermando quanto viene proposto nella catechesi ufficiale
della Chiesa4,
riassume in nove punti gli elementi essenziali di questo sacramento.
1. Il primo riguarda la legge universale della confessione individuale e
integra e dell’assoluzione come unico modo ordinario con cui il
fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la
Chiesa.
2. I pastori sono, poi, invitati a verificare che di fatto esistano le
massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli. In
particolare, si raccomanda la presenza visibile dei confessori nei
luoghi di culto durante gli orari previsti e l’adeguamento di questi
orari alla situazione reale dei penitenti. In questo contesto, si
riafferma una prassi un po’ disattesa in alcuni posti, e cioè “la
speciale disponibilità per confessare prima delle Messe e anche per
venire incontro alla necessità dei fedeli durante la celebrazione delle
SS. Messe, se sono disponibili altri sacerdoti”. È pertanto legittima
e pastoralmente fruttuosa la confessione dei fedeli durante la
celebrazione della Santa Messa.
3. I fedeli sono tenuti a confessare tutti i peccati gravi, non solo alcuni
di essi. Si raccomanda di confessare anche quelli veniali. Questo
richiamo tiene conto della prassi ecclesiale della confessione di
devozione, che molto ha contribuito alla santificazione personale dei
consacrati, mediante l’aumento della grazia sacramentale.
4. Il quarto punto ha un’ampia trattazione. Si tratta di comprendere e
applicare rettamente la concessione dell’assoluzione a più penitenti
senza la previa confessione individuale. Si tratta di un evento
eccezionale, che può essere attuato quando vi sia imminente pericolo di
morte e ai ministri non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei
singoli penitenti e quando vi sia grave necessità. La grave necessità
viene determinata da due fattori, che devono essere compresenti: il
primo riguarda l’impossibilità di confessare i singoli penitenti
entro un tempo conveniente (territori isolati di missione, condizioni
belliche e meteorologiche avverse) e il secondo riguarda il fatto che
altrimenti i penitenti sarebbero costretti, senza loro colpa, a rimanere
a lungo privi della grazia sacramentale. La sceltà dell’assoluzione
in modo generale non dipende quindi dall’opzione dei fedeli. Inoltre,
“la sola grande affluenza di penitenti, non costituisce sufficiente
necessità, non soltanto in occasione di una festa solenne o di un
pellegrinaggio, ma neppure per turismo”.
5. In ogni modo non spetta né al confessore né tanto meno al fedele, ma
solo al Vescovo diocesano determinare in concreto i casi di tale grave
necessità.
6. Si invitano quindi i vescovi e le conferenze episcopali a informare la
Santa Sede sulla determinazione concreta dei casi di grave necessità,
in modo che la prassi comune favorisca una più intensa comunione.
7.
Viene ulteriormente precisato che, anche in caso di assoluzione
sacramentale impartita simultaneamente a più persone, il penitente deve
porre un atto di contrizione e quindi resta invalida l’assoluzione di
chi vive in stato abituale di peccato grave e non intende cambiare la
sua situazione.
8.
Si conclude questa ampia esposizione sull’assoluzione generale,
richiamando i fedeli all’obbligo di accostarsi quanto prima, dandosi
l’occasione, alla confessione individuale, che resta l’unico mezzo
ordinario di riconciliazione nella Chiesa.
9.
Circa il luogo o la sede per la celebrazione del sacramento, si invita a
tener presente che il luogo proprio è la chiesa o l’oratorio; e che
la sede più appropriata è un luogo visibile, provvisto di grata fissa,
così da consentire ai fedeli e agli stessi confessori che lo desiderano
di potersene liberamente servire. Anche questo richiamo, di indole
tradizionale, costituisce una salvaguardia della libertà dei penitenti
e della riservatezza dovuta a tale azione sacramentale.
Dopo quanto abbiamo
premesso nei tre paragrafi di introduzione, nessuno può dubitare della
saggezza di queste indicazioni. Per i consacrati - ma anche per tutti i
fedeli cristiani - il sacramento della riconciliazione è una vera e
propria scuola di santificazione personale, di ricostruzione continua
delle virtù quotidianamente indebolite dalle mancanze, dalle omissioni,
dai peccati.
Essendo il
sacramento un incontro interpersonale con il Signore che perdona,
guarisce e cura mediante il ministero della Chiesa, non può ridursi a
una prassi di confessione generica e di assoluzione generale.
Normalmente, il medico del corpo non dà le stesse medicine per guarire
diverse malattie, ma adatta il rimedio alle varie infermità e alla
singola personalità dell’ammalato. Così il confessore, autentico
medico delle anime, deve avere la possibilità di adeguare la penitenza
sacramentale alla situazione spirituale dei fedeli. Si tratta di
rispettare non solo il significato e il valore del sacramento, ma anche
l’originalità del singolo penitente, la sua peculiare situazione
spirituale, i suoi ritmi di crescita e di maturazione virtuosa.
6.
La virtù della misericordia
Concludiamo,
ricordando che il sacramento della Penitenza - così, con questa
terminologia classica, viene chiamata in questo documento la
riconciliazione sacramentale - comprende l’annuncio della parola di
conversione, l’esperienza del perdono sacramentale nel salutare
iudicium della confessione, e il potenziamento delle virtù personali,
nell’impegnata e guidata applicazione delle medicine adatte a
contrastare le nostre inclinazioni al peccato e al male.
Il fine di questo
processo è la vita nella grazia, la vita nello Spirito del Cristo
risorto. Più concretamente il fine della riconciliazione sacramentale,
come culmine della conversione, non è solo negativamente la remissione
dei peccati, ma positivamente il raggiungimento e la pratica della virtù
della misericordia in corrispondenza all’appello del Signore: «Siate
misericordiosi». La misericordia del Signore esige l’acquisizione e
la a pratica della “nostra” misericordia.
Il già citato
Patriarca di Costantinopoli, Geremia II, sottolinea l’importanza della
virtù della misericordia, come vera sintesi di carità e di santità
cristiana senza frontiere:
«Cibo
senza sale,
parole senza verità,
opere senza fede,
principio senza fine,
e virtù senza misericordia,
son tutte cose morte.
Come nessun vivente cammina con un piede solo,
e nessun uccello vola con una sola ala,
e nessuna nave naviga con una sola fiancata
e nessuna casa è coperta da un solo muro,
così nessuno degli eletti si salva,
se non unisce alle altre virtù la misericordia.
Questa infatti è tale che punisce per la sua mancanza
e se viene messa in pratica salva per la sua presenza.
Come infatti se uno ha per amico Dio,
avrà tutti gli altri come amici e di conseguenza anche i santi,
così chi ha la misericordia, ha di conseguenza tutte le altre virtù.
Non però il contrario»5.
E la fonte di
questa divina misericordia è la riconciliazione sacramentale.
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