n. 6 giugno 2002

 

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"Misericordia Dei"
Una rilettura per i consacrati

di Angelo Amato
 

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1. Conversione e santità

All’inizio di maggio è stata pubblicata la lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Misericordia Dei, su alcuni aspetti della celebrazione del sacramento della Penitenza1. Il documento è stato firmato dal Santo Padre il 7 aprile 2002, domenica nell’ottava di Pasqua, chiamata anche Domenica della Divina Misericordia. Come indica il titolo, si tratta di accogliere il meno indegnamente possibile il dono della misericordia del Signore nei nostri confronti.

Prima di riassumere le indicazioni pratiche di questo documento, premettiamo, nei primi tre paragrafi della nostra presentazione, alcune linee fondamentali per la comprensione del nostro vissuto penitenziale di riconciliazione sacramentale.

Oggi come ieri, per tutti i battezzati, ma in modo speciale per i consacrati, risuona in modo sempre più convincente l’invito del Signore Gesù all’inizio della sua predicazione: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Se è vero che l’eucaristia fa la chiesa e la chiesa fa l’eucaristia, è altrettanto vero che la conversione fa il consacrato e il consacrato vive in continua conversione. Da sempre la conversione appartiene, come l’eucaristia, all’identità della sequela Christi, costituendo un evento privilegiato di educazione alla fede, alla speranza, alla carità.

La conversione è la risposta quotidiana all’appello biblico alla santità della vita: «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2); «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48); «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36); «Ad immagine del Santo vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta» (1Pt 1,15). L’esistenza consacrata è l’invito a compiere questo pellegrinaggio di conversione alla misericordia e alla santità.

Recentemente, il Santo Padre ha dato lui stesso un esempio concreto di questa continua conversione ecclesiale, quando, il 12 marzo 2000, durante la celebrazione dell’Eucaristia, abbracciando il Crocifisso ha chiesto perdono al Signore per i peccati passati e presenti dei figli della Chiesa:

«Come Successore di Pietro, chiedo che in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli. Tutti hanno peccato e nessuno può dirsi giusto dinanzi a Dio (cf 1Re 8, 46). Si ripeta senza timore: “Abbiamo peccato” (Ger 3, 25), ma sia mantenuta viva la certezza che “laddove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20)».

Come il popolo di Dio confessò il peccato del vitello d’oro, come la Chiesa nascente confessò e ricordò il rinnegamento di Pietro, così la Chiesa confessa oggi i peccati passati e presenti dei suoi figli. Questo per poter vivere nella professio laudis e poter operare nella testimonianza della santità.

 

2. Le molteplici vie della conversione

Con semplicità, allora ci si può chiedere come possiamo migliorare nel nostro impegno di conversione e come sfruttare al meglio i mezzi ordinari che la tradizione ecclesiale ci mette a disposizione; quali precauzioni o miglioramenti possiamo apportare alla nostra vita ascetica, per non smarrirci di fronte al dovere della nostra chiamata alla santità, che qualche volta ci appare come un’utopia irrealizzabile.

La vita della chiesa ci indica vari itinerari di conversione, che portano tutti tra le braccia misericordiose del Padre, che accoglie e perdona. Parliamo di itinerari perchè si tratta di eventi dinamici, che comportano più conversioni o ritorni, spesso faticosi. La conversione cristiana, infatti, non si esaurisce in un’esperienza puntuale, non è un evento che si raggiunge una volta per sempre, ma è un laborioso pellegrinaggio esistenziale in continua evoluzione. Essa è un ritorno integrale e continuo al rispetto dei comandamenti del Signore, delle leggi della chiesa, dei nostri impegni di consacrazione, dei nostri doveri apostolici e professionali. È un ritorno alla bontà e rettitudine di una vita vissuta nello Spirito del Signore risorto.

Il venir meno a questi impegni con i nostri peccati, le nostre mancanze e le nostre omissioni esige pronta riconciliazione con Dio e col prossimo attraverso una pluralità di mezzi a nostra disposizione: esercizio delle opere di misericordia corporale e spirituale, perseveranza nelle virtù teologali e cardinali, fedeltà alla preghiera, impegno nella mortificazione, gioia nella penitenza.

Sappiamo, però, che l’itinerario ordinario e oggettivamente efficace della nostra conversione e rigenerazione spirituale è dato dal sacramento della riconciliazione o penitenza, la cui storia è così ricca e umana, proprio perchè è iscritta nella debolezza della carne, nella fatica dei consacrati a corrispondere a quell’impegnativo «Siate perfetti» e nella misteriosa presenza della misericordia del Signore, che si diffonde con straordinaria efficacia nei nostri cuori di pietra per trasformarli in cuori di carne.

3. Uno sguardo più profondo al sacramento della riconciliazione

Nella prassi penitenziale, ormai collaudata da millenni, noi ci presentiamo al confessionale, al sacerdote giudice e medico delle anime, che, dopo aver ascoltato l’elenco delle nostre mancanze e dei nostri peccati, ci dà la sentenza di assoluzione, con l’imposizione di una penitenza, che in genere è una preghiera più o meno lunga. Si tratta di un «iudicium salutare», un giudizio che non mira a punire il trasgressore, ma a salvarlo, rimettendo completamente la colpa al peccatore pentito. Sull’esempio di Gesù, il sacerdote si comporta da giudice buono e misericordioso. E la sua parola di assoluzione è efficace nella remissione dei peccati.

Questa prassi penitenziale ha generato e genera santi, ha educato e educa i cristiani alla carità, al servizio, alla perseveranza, alla gioia, all’impegno apostolico e missionario. Con la frequenza periodica a questo sacramento, i religiosi e i sacerdoti sono stati educati a una grande sensibilità spirituale nei confronti non solo del peccato grave, ma anche di quello veniale. Di qui la pratica consigliabile della confessione di devozione.

Il sacramento della penitenza è stato per gli educatori cristiani uno dei fondamenti della loro azione pedagogica, che raggiunge la sua piena efficacia quando il penitente collabora con il suo impegno penitenziale (mediante la “soddisfazione”) a ricomporre gli abiti virtuosi distrutti o indeboliti dal peccato o dall’abitutine ad esso. Mentre il peccato ferisce il nostro organismo spirituale, il sacramento della riconciliazione diventa un avvenimento di grazia e di guarigione spirituale.

Da una parte, il sacerdote, come medico delle anime, assolve e guarisce il peccatore contrito. Dall’altra, il penitente, collabora alla sua guarigione e santificazione ponendo atti virtuosi contrapposti ai peccati confessati, secondo una precisa legge ascetica: «contraria contrariis curantur» (i vizi si curano con le virtù opposte). Si tratta di una impegnativa terapia d’urto contro il peccato.

Diceva al riguardo il patriarca di Costantinopoli Geremia II (fine del secolo XVI):

«Trovandosi di fronte alle passioni [il penitente] curerà la malattia dell’anima con una condotta di vita necessariamente più faticosa: e cioè la vanagloria con il rafforzamento dell’esercizio dell’umiltà, il sonno esagerato con veglie di preghiera, l’indolenza nel lavoro con la fatica, il cibo esagerato con il digiuno e così via»2.

Per questo, i padri spirituali orientali parlano di medicine amare. Si tratta, però di prestazioni e comportamenti indispensabili per una guarigione la più duratura e stabile possibile. Non potendo noi pretendere un’esperienza di conversione istantanea e duratura, come fu, ad esempio, quella di san Paolo sulla via di Damasco, questa dovrebbe essere la nostra via ordinaria di santificazione.

È utile ricordare quanto scrive Nicodemo l’Agiorita, il più grande scrittore greco-ortodosso dei tempi moderni e autore dell’Esomologitario ancora in uso tra gli ortodossi greci. Questo santo monaco del monte Athos paragona i penitenti appena perdonati dal sacerdote ai convalescenti da malattie fisiche:

«Questi (e cioè i convalescenti fisici), sebbene in realtà non siano più ammalati, sono tuttavia ancora pallidi, brutti: mangiano, ma senza appetito; dormono, ma senza riposare; ridono, ma senza gioia; passeggiano, ma sembra che si trascinino, più che camminare; per dirla in breve, in tutto ciò che fanno provano una grande difficoltà e debolezza; così anche quei peccatori, che hanno da poco lasciato il peccato, se riescono a fare qualche buona azione, non la fanno con quel desiderio, e con quella cura che è conveniente; ma la fanno con grande peso e con grande debolezza e difficoltà: infatti le reliquie e le radici del peccato sono ancora nei loro cuori e non sono state completamente guarite»3.

Sono osservazioni di grande saggezza spirituale e psicologica. Il perdono sacramentale va accompagnato da una cura ricostituente, fatta di rafforzamento delle virtù contrarie ai peccati e ai vizi.

Del resto, questa dottrina è presente sia nel codice di diritto canonico della Chiesa latina (1983) sia in quello delle Chiese orientali cattoliche (1990). Il primo, nel canone 978§1, dice: «Ricordi il sacerdote che nell’ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime» (cf. anche il canone 981). Il secondo, nel canone 732§1, dice: «Secondo la qualità, la gravità e il numero dei peccati, tenendo conto della condizione del penitente e della sua disposizione alla conversione, il confessore somministri la medicina conveniente alla malattia, imponendo le opere di penitenza opportune».#

 

4. Il perdono, dono pasquale del Signore risorto

 

Questa introduzione può aiutare a comprendere meglio gli orientamenti del documento Misericordia Dei, che inizia ricordando che la nostra salvezza è innanzitutto redenzione dal peccato e liberazione dallo stato di schiavitù nel quale si trova l’uomo, che ha ceduto alla tentazione del Maligno e ha perso la libertà dei figli di Dio (Introduzione). Dopo aver riaffermato che il potere di riconciliare con Dio e con la Chiesa i peccatori pentiti è il dono pasquale offerto da Gesù agli apostoli, il giorno stesso della sua risurrezione (cf Gv 20,22-23), viene richiamata la struttura fondamentale del sacramento della penitenza: da una parte c’è l’assoluzione del ministro, che può essere “soltanto un Vescovo o presbitero, che giudica e assolve, cura e guarisce nel nome di Cristo” (ib.); dall’altra, ci sono gli atti del penitente: “la contrizione, la confessione e la soddisfazione” (ib.).

Riferendosi all’esperienza confortante del Grande Giubileo dell’Anno 2000, caratterizzato dal ricorso fruttuoso dei fedeli, anche giovani, alla Penitenza sacramentale, si invitano i Pastori ad avere maggior fiducia, creatività e perseveranza nel presentare e nel valorizzare tale sacramento.

Esortando, poi, a una celebrazione sempre più fedele di questo dono di grazia, il documento denuncia un grave abuso: “si osserva in alcune regioni la tendenza all’abbandono della confessione personale insieme ad un ricorso abusivo all’«assoluzione generale» o «collettiva»” (ib.).

Si tratta, cioè, di una prassi indebita che allarga arbitrariamente il requisito di “grave necessità”, facendo perdere di vista “la fedeltà alla configurazione divina del Sacramento, e concretamente la necessità della confessione individuale, con gravi danni per la vita spirituale dei fedeli e per la santità della Chiesa” (ib.).

 

5. Precisazioni pastorali sulla celebrazione del sacramento della Penitenza

Per questo il Santo Padre, riconfermando quanto viene proposto nella catechesi ufficiale della Chiesa4, riassume in nove punti gli elementi essenziali di questo sacramento.

1. Il primo riguarda la legge universale della confessione individuale e integra e dell’assoluzione come unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa.

2. I pastori sono, poi, invitati a verificare che di fatto esistano le massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli. In particolare, si raccomanda la presenza visibile dei confessori nei luoghi di culto durante gli orari previsti e l’adeguamento di questi orari alla situazione reale dei penitenti. In questo contesto, si riafferma una prassi un po’ disattesa in alcuni posti, e cioè “la speciale disponibilità per confessare prima delle Messe e anche per venire incontro alla necessità dei fedeli durante la celebrazione delle SS. Messe, se sono disponibili altri sacerdoti”. È pertanto legittima e pastoralmente fruttuosa la confessione dei fedeli durante la celebrazione della Santa Messa.

3. I fedeli sono tenuti a confessare tutti i peccati gravi, non solo alcuni di essi. Si raccomanda di confessare anche quelli veniali. Questo richiamo tiene conto della prassi ecclesiale della confessione di devozione, che molto ha contribuito alla santificazione personale dei consacrati, mediante l’aumento della grazia sacramentale.

4. Il quarto punto ha un’ampia trattazione. Si tratta di comprendere e applicare rettamente la concessione dell’assoluzione a più penitenti senza la previa confessione individuale. Si tratta di un evento eccezionale, che può essere attuato quando vi sia imminente pericolo di morte e ai ministri non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti e quando vi sia grave necessità. La grave necessità viene determinata da due fattori, che devono essere compresenti: il primo riguarda l’impossibilità di confessare i singoli penitenti entro un tempo conveniente (territori isolati di missione, condizioni belliche e meteorologiche avverse) e il secondo riguarda il fatto che altrimenti i penitenti sarebbero costretti, senza loro colpa, a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale. La sceltà dell’assoluzione in modo generale non dipende quindi dall’opzione dei fedeli. Inoltre, “la sola grande affluenza di penitenti, non costituisce sufficiente necessità, non soltanto in occasione di una festa solenne o di un pellegrinaggio, ma neppure per turismo”.

5. In ogni modo non spetta né al confessore né tanto meno al fedele, ma solo al Vescovo diocesano determinare in concreto i casi di tale grave necessità.

6. Si invitano quindi i vescovi e le conferenze episcopali a informare la Santa Sede sulla determinazione concreta dei casi di grave necessità, in modo che la prassi comune favorisca una più intensa comunione.

7. Viene ulteriormente precisato che, anche in caso di assoluzione sacramentale impartita simultaneamente a più persone, il penitente deve porre un atto di contrizione e quindi resta invalida l’assoluzione di chi vive in stato abituale di peccato grave e non intende cambiare la sua situazione.

8. Si conclude questa ampia esposizione sull’assoluzione generale, richiamando i fedeli all’obbligo di accostarsi quanto prima, dandosi l’occasione, alla confessione individuale, che resta l’unico mezzo ordinario di riconciliazione nella Chiesa.

9. Circa il luogo o la sede per la celebrazione del sacramento, si invita a tener presente che il luogo proprio è la chiesa o l’oratorio; e che la sede più appropriata è un luogo visibile, provvisto di grata fissa, così da consentire ai fedeli e agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire. Anche questo richiamo, di indole tradizionale, costituisce una salvaguardia della libertà dei penitenti e della riservatezza dovuta a tale azione sacramentale.

Dopo quanto abbiamo premesso nei tre paragrafi di introduzione, nessuno può dubitare della saggezza di queste indicazioni. Per i consacrati - ma anche per tutti i fedeli cristiani - il sacramento della riconciliazione è una vera e propria scuola di santificazione personale, di ricostruzione continua delle virtù quotidianamente indebolite dalle mancanze, dalle omissioni, dai peccati.

Essendo il sacramento un incontro interpersonale con il Signore che perdona, guarisce e cura mediante il ministero della Chiesa, non può ridursi a una prassi di confessione generica e di assoluzione generale. Normalmente, il medico del corpo non dà le stesse medicine per guarire diverse malattie, ma adatta il rimedio alle varie infermità e alla singola personalità dell’ammalato. Così il confessore, autentico medico delle anime, deve avere la possibilità di adeguare la penitenza sacramentale alla situazione spirituale dei fedeli. Si tratta di rispettare non solo il significato e il valore del sacramento, ma anche l’originalità del singolo penitente, la sua peculiare situazione spirituale, i suoi ritmi di crescita e di maturazione virtuosa.

6. La virtù della misericordia

Concludiamo, ricordando che il sacramento della Penitenza - così, con questa terminologia classica, viene chiamata in questo documento la riconciliazione sacramentale - comprende l’annuncio della parola di conversione, l’esperienza del perdono sacramentale nel salutare iudicium della confessione, e il potenziamento delle virtù personali, nell’impegnata e guidata applicazione delle medicine adatte a contrastare le nostre inclinazioni al peccato e al male.

Il fine di questo processo è la vita nella grazia, la vita nello Spirito del Cristo risorto. Più concretamente il fine della riconciliazione sacramentale, come culmine della conversione, non è solo negativamente la remissione dei peccati, ma positivamente il raggiungimento e la pratica della virtù della misericordia in corrispondenza all’appello del Signore: «Siate misericordiosi». La misericordia del Signore esige l’acquisizione e la a pratica della “nostra” misericordia.

Il già citato Patriarca di Costantinopoli, Geremia II, sottolinea l’importanza della virtù della misericordia, come vera sintesi di carità e di santità cristiana senza frontiere:

«Cibo senza sale,
parole senza verità,
opere senza fede,
principio senza fine,
e virtù senza misericordia,
son tutte cose morte.
Come nessun vivente cammina con un piede solo,
e nessun uccello vola con una sola ala,
e nessuna nave naviga con una sola fiancata
e nessuna casa è coperta da un solo muro,
così nessuno degli eletti si salva,
se non unisce alle altre virtù la misericordia.
Questa infatti è tale che punisce per la sua mancanza
e se viene messa in pratica salva per la sua presenza.
Come infatti se uno ha per amico Dio,
avrà tutti gli altri come amici e di conseguenza anche i santi,
così chi ha la misericordia, ha di conseguenza tutte le altre virtù.
Non però il contrario»5
.

E la fonte di questa divina misericordia è la riconciliazione sacramentale.

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