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n. 12 dicembre 2005

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Dio a favore dell'uomo
Una breve riflessione sulla Provvidenza divina

di Lloyd Baugh, sj
 

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«Lux in tenebris lucet»1 è la garanzia neotestamentaria che in Gesù Cristo, la Parola di Dio incarnata, l’uomo, perso nelle tenebre del mondo e della sua esperienza, può avere speranza, può trovare luce provvidenziale in lui. Anche nell’Antico Testamento, la luce come metafora della provvidenza di Dio a favore dell’uomo bisognoso è una tematica costante. Infatti, l’intera tradizione giudaico-cristiana proclama Dio come luce a favore dell’uomo, che nella sua condizione postlapsariana si trova spesso nel buio, «nell’ombra della morte» (Lc 1,79), cioè, alle prese con l’esperienza di ambiguità, di debolezza, di paralisi davanti alla necessità di agire nel modo giusto, di prendere decisioni giuste per il benessere proprio e della comunità umana.

 

La provvidenza nel Catechismo

Il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce la divina Provvidenza come «le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso... [la] perfezione». Non fa riferimento diretto al peccato originale, ma riconosce la situazione incompiuta della creazione, dicendo che essa è «“in stato di via” verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta». La creazione è in via, e anche l’uomo, l’apice della creazione, al quale Dio ha conferito la responsabilità di gestire la creazione, è in via, facendo fatica a portare avanti la sua esistenza e il progetto conferitogli da Dio. Ma l’uomo non rimane solo in questa missione. Infatti, insiste il Catechismo, la maggior responsabilità è di Dio, che «conserva e governa con la sua Provvidenza tutto ciò che ha creato».

Al dubbio che la presenza e azione di Dio a favore dell’uomo sia una realtà piuttosto generale e astratta, il Catechismo risponde che «la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia». Dio si impegna a favore delle sue creature in ogni loro bisogno, individuale e sociale, e sempre in maniera concreta e specifica. Citando il libro della Sapienza, il Catechismo asserisce che la cura provvidenziale di Dio «si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa». Dio è forte, è buono e agisce decisivamente nella creazione a favore dell’uomo, vegliando su tutto, anche, dice il Catechismo, «quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature». Ciò che il Catechismo insegna con chiarezza sulla provvidenza di Dio, lo fonda sulla Sacra Scrittura, dicendo che la «testimonianza della Scrittura è unanime» e poi insistendo che «i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti... sulla storia e sul mondo».

 

La provvidenza nella Bibbia

L’Antico Testamento è molto chiaro nell’insistere che Dio esercita sovranità sulla creazione e sull’uomo. Egli risponde con fermezza alla disobbedienza di Adamo ed Eva; chiama con forza i Re e i Profeti e chiede la fedeltà dell’uomo: «Ora vedete che io, io lo sono e nessun altro dio è accanto a me» (Dt 32, 39), ed esprime la sua potenza nei grandi miracoli, quali la creazione, il diluvio, le pesti inflitte sull’Egitto e la divisione del Mar Rosso. Davanti ai progetti effimeri dell’uomo, quello di Dio è sovrano: «Molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo» (Pr 19,21).

Allo stesso tempo, l’Antico Testamento è altrettanto chiaro sulla provvidenza di Dio, raccontando che proprio dall’inizio della creazione Dio risponde all’impotenza, alla solitudine e alla paura dell’uomo con il suo amore provvidenziale: Dio crea la donna affinché l’uomo non sia solo (Gn 2,18) e pone un segno sul peccatore Caino per proteggerlo dai suoi nemici (Gn 4,15). Dio promette la sua compagnia provvidenziale a Mosè, a Giosué e ai Profeti, perfino a Giob-be (Gb 42,10-17), e assicura al salmista che «la sua fedeltà sarà scudo e corazza» (Sl 91,5). Senza dubbio, il più drammatico impegno provvidenziale di Dio verso l’uomo, nel-l’Antico Testamento, è narrato nel libro dell’Esodo, nella litania dei gesti eccezionali di Dio per la liberazione del suo popolo dalla schiavitù in Egitto: la vocazione di Mosè, la peste e le varie calamità, la liberazione del popolo d’Israele, il dono del Decalogo, la colonna di fuoco e la manna nel deserto.

Dopo Mosè, sono i salmisti che meglio apprezzano l’amore provvidenziale di Dio per l’uomo, e i salmi adoperano una grande varietà d’immagini per riconoscere e descrivere il grande arco della provvidenza. Dio è pastore che nutre, guida e protegge (Sl 23); Dio è luce e salvezza (Sl 27), risponde all’angoscia dell’uomo (Sl 120), e ha una particolare sollecitudine per il povero, l’indigente, (Sl 113) e gli umili (Sl 116). Dio è roccia e fortezza per l’uomo (Sl 18) e gli offre consiglio e rifugio (Sl 16). È eternamente misericordioso e fedele (Sl 100), dà all’uomo autorità sulla sua creazione (Sl 8) e quando questi si dimostra debole, incapace, Dio viene in suo aiuto: «il Signore completerà per me l’opera sua» (Sl 138,8).

Il narratore del salmo 139 è particolarmente drammatico nel suo immaginare la Provvidenza divina. Parla dell’onniscienza di Dio non come una qualità distante, disinteressata ma piuttosto come un impegno a favore dell’uomo, anche quando questi gli resiste: «Mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra» (v. 10). Qualifica Dio come il creatore, non solo del vasto universo, ma anche di ogni essere umano nella sua individualità, sul quale, anche prima della sua nascita, Dio veglia con amore e cura.

Il salmo 91 sottolinea la provvidenza protettrice di Dio che è «scudo e corazza» (v. 5) per l’uomo. Egli lo libera, lo consola, gli è fedele; poi aggiunge due elementi interessanti, ossia la presenza di angeli, simboli provvidenziali per eccellenza, per custodire l’uomo in pericolo, e la voce di Dio che risponde all’uomo nel contesto di un rapporto intimo che questi ha liberamente stabilito con Dio, «perché a me si è affidato... perché ha conosciuto il mio nome» (v. 14), e proclama: «Lo salverò... lo renderò glorioso» (v. 15).

Nel Nuovo Testamento, la provvidenza di Dio si manifesta, soprattutto, nella persona e nel ministero di Gesù il Cristo, il quale è l’incarnazione di Dio e, perciò, della provvidenza di Dio a favore dell’uomo. Egli è la pienezza o il compimento dei vari personaggi e atti provvidenziali che l’hanno preceduto nell’Antico Testamento. Ma i testimoni della Provvidenza divina precedono e seguono Gesù. Nell’episodio dell’annunciazione a Maria, per esempio, l’angelo Gabriele non solo annuncia l’Incarnazione, ma mitiga la paura della turbata Maria con la sicurezza provvidenziale del Signore, di Dio, dell’Altissimo (Lc 1,28-35). Maria stessa diventa, poi, una figura provvidenziale per la cugina Elisabetta, e nel suo Magnificat proclama le «grandi cose» che Dio ha fatto e che farà ancora per l’uomo (Lc 1,46-56). Anche nel suo Benedictus, Zaccaria, usando metafore di luce, loda l’impegno provvidenziale di Dio, manifestatosi nel Battista e in Gesù, il Sole provvidenziale che sorgerà per la salvezza dell’umanità (Lc 1,68-79). Nelle lettere apostoliche, Paolo, Pietro e Giovanni proclamano ripetutamente la buona notizia dell’amore di Dio a favore dell’uomo, manifestatosi in Gesù Cristo, e lo fanno usando, di solito, metafore di luce: Cristo è «luce per coloro che sono nelle tenebre» (Rm 2,19), guida l’uomo «dalle tenebre alla sua ammirabile luce (1Pt 2,9); «Dio è luce, in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5).

Ma è soprattutto in Gesù che la provvidenza di Dio si rivela. Nei suoi insegnamenti egli esorta, ripetutamente, i suoi discepoli a non esitare, a non avere paura, perché «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), perché «sono la luce del mondo» (Gv 9,5). Nelle parabole, come vedremo più avanti, egli invita i suoi seguaci a riconoscere e sperimentare l’amore provvidenziale di Dio.

Tutti i miracoli di Gesù sono gesti e segni dell’amore provvidenziale di Dio per l’uomo. Due delle guarigioni spiccano sulle altre: quella del paralitico, sotto il portico del tempio, malato da trentotto anni, che non ha nessuno che lo può aiutare (Gv 5,1-10); e quella del lebbroso, che quasi con timidezza chiede di essere guarito: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi» (Mt 8,2). Nei due casi, Gesù agisce con tanta tenerezza, come se fosse profondamente toccato e incapace di negare misericordia.

Due sono anche i grandi miracoli di risurrezione dalla morte: quello del figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-16) e quello di Lazzaro (Gv 11,38-44). Anche questi miracoli hanno un evidente slancio misericordioso-provvidenziale. In ambedue i casi, Gesù si commuove in modo particolare, sia davanti alla vedova che aveva perso il suo unico figlio, quando «il Signore n’ebbe compassione e le disse: “Non piangere”», sia davanti al pianto di Maria, quando Gesù «si commosse profondamente [e]... scoppiò in pianto». Prima di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù si preoccupa di come nutrire la folla che ha fame (Gv 6,1-13), e compie il miracolo della tempesta sedata (Mt 8,23-27) come risposta provvidenziale alla paura e alla disperazione dei discepoli.

Ancora due sono gli incontri che dimostrano bene come Gesù si schieri a favore dell’uomo e come questi sia libero di rispondervi o meno. Primo, quando Gesù chiede a Zaccheo di scendere dal sicomoro, e gli offre la possibilità di un rapporto con lui. Zaccheo accetta, liberamente e con entusiasmo, e la salvezza si manifesta nella sua vita (Lc 19,1-10). Il secondo, è l’incontro provvidenziale tra Gesù e il giovane ricco (Lc 18,18-25), avvenuto per iniziativa del ra-gazzo. Questo incontro potrebbe diventare l’opportunità di salvezza per lui, ma il giovane sceglie liberamente di rifiutare l’invito provvidenziale e se ne va «assai triste». Sembra aver capito ciò che sta perdendo.

Anche il più grande miracolo di Gesù, quello dell’Ultima Cena/Eucaristia, ha chiaramente uno scopo provvidenziale, e cioè il nutrimento spirituale, la salvezza dell’uomo. Ricorda i miracoli provvidenziali di Dio a favore del popolo di Israele nell’Antico Testamento: l’Esodo, la manna nel deserto, la Pasqua e anticipa il miracolo provvidenziale della passione e risurrezione di Gesù.

 

La provvidenza nella liturgia

La nozione della Provvidenza divina – e la salda convinzione che non siamo soli, che Dio è con noi, ci protegge e ci guida, – si percepisce chiaramente in varie dimensioni della nostra vita liturgica cristiana. La provvidenza, per esempio, è un leitmotiv della struttura e del contenuto della liturgia delle ore. Il salmo invitatorio inserisce l’intera ora nel contesto della provvidenza del Signore: «Egli è il nostro Dio e noi... il gregge che egli conduce» (Sl 95,7) e i salmi cantati, di solito, muovono chi prega ad approfondire i vari aspetti dell’esperienza della provvidenza. La mattina, il cantico di Zaccaria (Lc 1,68-79) rivela la «bontà misericordiosa del nostro Dio», che s’impegna provvidenzialmente a favore dell’uomo e, adoperando la metafora della luce, definisce quest’impegno come «un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace…». La sera, il cantico di Maria (Lc 1,46-55) esprime la sua fiducia assoluta in un Dio, che si impegna a favore del suo popolo: «Ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati... Ha soccorso Israele, suo servo».

La liturgia eucaristica celebra la nuova Pasqua, l’atto provvidenziale per eccellenza di Dio-in-Gesù a favore dell’uomo; la morte e risurrezione di Cristo è l’adempimento della prima Pasqua, anch’essa espressione dell’impegno provvidenziale di Dio per il suo popolo, e il pane eucaristico, che richiama un altro gesto provvidenziale di Dio, la manna nel deserto, è il pane della vita, il nutrimento provvidenziale che Gesù ha lasciato all’uomo per la sua salvezza.

Nel sacramento della riconciliazione si vive il perdono provvidenziale di Dio e il risanamento del rapporto con Lui, che ci offre speranza e vita. Nella cresima si celebra il dono dello Spirito di Dio, che ci dà la forza e l’energia di vivere la fede e affrontare le sue sfide, da adulti. Nel sacramento dei malati, l’unzione degli infermi, la provvidenza di Dio si esprime, ancora una volta, come garanzia della presenza salvifica di Dio nel buio della sofferenza e nel momento tenebroso della morte.

Le liturgie dell’Avvento e del Natale rilevano in modo particolare la provvidenza di Dio manifestata in modo assoluto nell’avvento di Gesù, la piena realizzazione delle promesse e degli atti provvidenziali di Dio, nei secoli della storia d’Israele. La straordinaria bellezza delle letture di Isaia proclama lo slancio provvidenziale della festa: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse...» (Is 9,1) e i titoli conferiti al neonato bambino – «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5) – hanno tutti una forza prettamente provvidenziale.

La singola liturgia che meglio esprime l’impegno provvidenziale di Dio a favore dell’uomo è quella della veglia pasquale. Il diffuso simbolismo di fuoco e acqua richiama l’esperienza della provvidenza, come lo fa la drammatica processione con il cero pasquale e la litania Lumen Christi... Deo gratias. La grande proclamazione dell’Exultet – «Gesù Cristo... con il sangue innocente cancellò l’obbligazione contratta con l’antico peccato... O meravigliosa condiscendenza della tua misericordia verso di noi!»2 – associa la liberazione del popolo di Israele, grazie all’amore provvidenziale di Dio, alla liberazione del popolo cristiano nella risurrezione di Cristo. Come la co-lonna di fuoco dell’Antico Testamento richiama la fiamma del cero pasquale e la luce di Cristo. Le letture dall’Antico Testamento concretizzano la gioiosa poesia dell’“Exultet”, ricordando le varie tappe dell’impegno provvidenziale di Dio, mentre le letture dal Nuovo Testamento annunciano la garanzia definitiva della provvidenza di Dio, nella risurrezione di Gesù il Cristo.

 

Il paradosso dell’ambiguità e della kenosi

In Gesù Cristo, la pienezza della provvidenza di Dio si riconosce in larga gamma nelle manifestazioni del suo potere a favore dell’uomo: da una parte c’è la luce e la trasparenza dei grandi miracoli, la trasfigurazione, la risurrezione, tutte espressioni della provvidenza di Dio per la salvezza dell’uomo; dall’altra parte c’è la scura opacità della sua passione e morte, il terribile paradosso dell’assenza di Dio e della sua Provvidenza.

Nell’esperienza umana c’è la tentazione di resistere a questo paradosso, di credere che la Provvidenza divina sia un rimedio universale, un’esperienza che risolve tutto, subito e magari per sempre. La lunga tradizione biblica non sopporta una tale presunzione, fin troppo idealista, da fantasia spirituale. Il fatto è che l’esperienza umana include necessariamente dei momenti bui, delle zone di ambiguità, e il dono della grazia di Dio, della sua presenza provvidenziale, non dispensa l’uomo da questa esperienza universale. Dopo il suo peccato, Caino ha la garanzia della protezione di Dio, ma non viene esonerato dalla fatica. Mosè, il grande profeta di Dio, muore prima di entrare nella terra promessa. Il salmista si lamenta: «Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio» (Sl 90,9); e Gesù, l’incarnazione della provvidenza di Dio, vive il fallimento della sua missione, la morte in croce e l’esperienza di essere abbandonato da Dio. È così per ogni uomo: mentre la provvidenza di Dio offre una speranza fondamentale, le normali ambiguità della vita si devono accettare, vivere e integrare in quella speranza.

Connesso a questa nozione della provvidenza vi è il paradossale ma essenziale fatto che la figura provvidenziale si deve sottoporre all’esperienza della kenosi, quel radicale svuotamento al quale si è sottoposto il Logos di Dio nell’Incarnazione e nell’esperienza della croce. Gesù, infatti, è consapevole di questo destino: parla apertamente e con serenità del tradimento di cui sarà vittima e della propria morte (Mt 17,22-23); proclama la radicale povertà, «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20) e libertà, «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli...» (Mt 12,49) della sua vita e richiede la stessa kenosi liberatoria dai suoi discepoli (Mt 10,10). Con i suoi seguaci, Gesù insiste sulle conseguenze che derivano dall’essere suo discepolo, associando il loro destino a quello dei profeti (Mt 5,11-12). Sia Pietro che Paolo imparano bene la lezione. È proprio nel riconoscere il proprio stato kenotico, infatti, che Pietro trova la possibilità di compiere il miracolo provvidenziale alla porta “Bella” del tempio: «Non possiedo né argento né oro...» (At 3,6) e Paolo proclama con grande libertà il paradosso: «Mi compiaccio nelle mie infermità... nelle persecuzioni... quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10).

 

Qualche caveat riguardante la provvidenza

Nella coscienza popolare, la provvidenza di Dio, di solito, è una grazia che l’uomo si può guadagnare tramite qualche azione propria. Per esempio, le candele benedette, accese durante un temporale, garantiscono l’incolumità della casa; il santino del Sacro Cuore o, più popolare, forse, padre Pio sul cruscotto della macchina, protegge da incidenti; il segno della croce di un passeggero, prima dell’atterraggio di un aereo, per evitare una sciagura. Il problema si rivela drammatico se pensiamo, ad esempio, a un giocatore della Lazio che bacia la sua medaglia miracolosa prima della partita cruciale, per garantire la vittoria alla sua squadra, e un giocatore del Milan che compie lo stesso gesto: per quale squadra tifa Dio e su quale squadra arriverà la benedizione provvidenziale della vittoria? Non vorrei negare il valore di ogni atto devozionale, però queste posizioni piuttosto fondamentaliste e (forse) infantili su-scitano una serie di questioni antropologico-teologiche, che sono importanti in sé e anche critiche per la discussione sulla provvidenza nel cinema, che si svolgerà nel ca-pitolo seguente.

Riguardo a Dio bisogna rispettare la sua assoluta autonomia, l’integrità della creazione e del rapporto di Dio con essa. Non è affatto accettabile l’idea di provvidenza che fa di Dio una sorta di riparatore di soccorso, sempre pronto e disposto a interferire nella creazione, o un Dio “113” che subito risponde a ogni sollecitazione, anche infantile, dell’uomo. Bisogna anche salvaguardare e rispettare la libertà di Dio di decidere, di scegliere, di muoversi o no davanti alle preghiere dell’uomo.

Riguardo all’uomo bisogna insistere su una nozione del-la provvidenza che rispetti sia la libertà dell’uomo che la sua responsabilità. Bisogna prendere sul serio la missione che Dio conferisce all’uomo nella Genesi (Gn 1,26; 2,19-20) di gestire bene la creazione e di accettare le conseguenze, quando liberamente gestisce male se stesso e il mondo in cui vive. È inaccettabile una nozione della provvidenza come un potere magico, a disposizione dell’uomo – delle sue preghiere, delle formule magiche – per riparare i danni dei quali, in fin dei conti, egli soltanto è responsabile.

Partendo dalla sintesi biblica discussa sopra, bisogna inserire ogni discussione della provvidenza nel contesto di un rapporto di amore, di rispetto, di libertà, tra Dio e l’uomo, sua creatura. Presumendo la libertà e l’amore di Dio, e anche il suo desiderio di schierarsi a favore dell’uomo, di essere con lui, si può parlare della provvidenza come della risposta di Dio a un uomo che ama. Solo quando l’uomo è disposto ad amare, quando riesce ad amare, Dio “può” agire in lui. L’amore dell’uomo in un certo qual modo “libera” Dio a muoversi nella sua esperienza; il Dio che ama, agisce in sintonia con l’uomo che ama, per il suo benessere e per quello del mondo.

 

Le parabole della provvidenza

Come abbiamo già detto, Gesù è, nella sua persona, l’incarnazione dell’amore provvidenziale di Dio, ed egli incarna, concretizza questa provvidenza nei suoi gesti profetici e taumaturgici e nella sua predicazione proposizionale: «Prega il Padre tuo... e il Padre tuo... ti ricompenserà» (Mt 6,6) e «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete» (Mt 7,7). Inoltre, e forse anche più spesso, Gesù rivela la provvidenza di Dio usando un linguaggio metaforico e raccontando delle parabole. Parla di se stesso come del pane della vita e come luce del mondo e, nel Padre nostro, parla di Dio come un padre, un abba provvidente che nutre, perdona, protegge e libera nelle difficoltà. Inoltre, Gesù utilizza un largo repertorio di parabole per rivelare il suo impegno provvidenziale, e quello di Dio, a favore dell’uomo; per esempio le parabole del buon pastore (Gv 10,1-16) e quella della pecorella smarrita (Mt 18,12-14). Nella parabola degli operai nella vigna, poi, Gesù rivela la generosità provvidenziale di Dio (Mt 20,1-16), mentre nella parabola del fariseo e del pubblicano egli fa risaltare la grande misericordia di Dio (Lc 18,9-14) e in quella della vite e dei tralci, proclama l’intimità feconda che Dio offre all’uomo (Gv 15,1-8).

Se la maggior parte delle parabole rappresentano una via provvidenziale unidirezionale – l’amore di Dio che serve all’uomo – alcune di esse sembrano indicare una suggestiva reciprocità, vale a dire, in un certo qual modo, che l’impegno provvidenziale di Dio verso l’uomo serve anche a Dio. Nella parabola della vite e dei tralci, Gesù aggiunge che la fecondità dei tralci, cioè dell’uomo, serve alla gloria del Padre (Gv 15,8); e nella versione lucana della parabola della pecora smarrita, egli parla della grande «gioia in cielo» (Lc 15,7). Ma è soprattutto nella grande parabola del padre ge-neroso o del figliuol prodigo (Lc 15,11-24) che Gesù suggerisce la reciprocità del rapporto provvidenziale tra Dio e l’uomo. In quella splendida narrazione, dietro la dinamica provvidenziale principale dell’amore del padre che serve da evento salvifico per il figlio, si intravede la dinamica parallela e reciproca del ritorno del figlio, che restituisce al padre la sua identità e il suo ruolo. Il padre salva il figlio e questi, pentito, dà speranza e integrità al padre, e anche grande gioia: «Mangiamo e facciamo festa».

* * *

Guardando verso il successivo saggio di questa raccolta, se Gesù crea narrazioni, rappresentazioni fittizie, per comunicare la buona notizia dell’amore provvidenziale di Dio per l’uomo – una tecnica adoperata anche da scrittori e artisti nella plurimillenaria tradizione cristiana, – ne consegue che sia più che valido rappresentare metaforicamente questa stessa provvidenza di Dio in opere della settima arte, il cinema. È proprio verso questa possibilità che si orienta il prossimo capitolo.

Note

1. Gv 1,5.

2. Cfr. testo dell’Exultet, consultato sul sito Internet: www.exultet.it/rotoli.html (5agosto 2005).


 
 

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