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«Lux in
tenebris lucet»1
è la garanzia
neotestamentaria che in Gesù Cristo, la Parola di Dio incarnata, l’uomo,
perso nelle tenebre del mondo e della sua esperienza, può avere
speranza, può trovare luce provvidenziale in lui. Anche nell’Antico
Testamento, la luce come metafora della provvidenza di Dio a favore
dell’uomo bisognoso è una tematica costante. Infatti, l’intera
tradizione giudaico-cristiana proclama Dio come luce a favore dell’uomo,
che nella sua condizione postlapsariana si trova spesso nel buio,
«nell’ombra della morte» (Lc 1,79), cioè, alle prese con l’esperienza di
ambiguità, di debolezza, di paralisi davanti alla necessità di agire nel
modo giusto, di prendere decisioni giuste per il benessere proprio e
della comunità umana.
La provvidenza nel
Catechismo
Il Catechismo della
Chiesa Cattolica definisce la divina Provvidenza come «le
disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso...
[la] perfezione». Non fa riferimento diretto al peccato originale, ma
riconosce la situazione incompiuta della creazione, dicendo che essa è
«“in stato di via” verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha
destinata, ma che ancora deve essere raggiunta». La creazione è in via,
e anche l’uomo, l’apice della creazione, al quale Dio ha conferito la
responsabilità di gestire la creazione, è in via, facendo fatica a
portare avanti la sua esistenza e il progetto conferitogli da Dio. Ma
l’uomo non rimane solo in questa missione. Infatti, insiste il
Catechismo, la maggior responsabilità è di Dio, che «conserva e governa
con la sua Provvidenza tutto ciò che ha creato».
Al dubbio che la
presenza e azione di Dio a favore dell’uomo sia una realtà piuttosto
generale e astratta, il Catechismo risponde che «la sollecitudine della
divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto,
dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia».
Dio si impegna a favore delle sue creature in ogni loro bisogno,
individuale e sociale, e sempre in maniera concreta e specifica. Citando
il libro della Sapienza, il Catechismo asserisce che la cura
provvidenziale di Dio «si estende da un confine all’altro con forza,
governa con bontà eccellente ogni cosa». Dio è forte, è buono e agisce
decisivamente nella creazione a favore dell’uomo, vegliando su tutto,
anche, dice il Catechismo, «quello che sarà fatto dalla libera azione
delle creature». Ciò che il Catechismo insegna con chiarezza sulla
provvidenza di Dio, lo fonda sulla Sacra Scrittura, dicendo che la
«testimonianza della Scrittura è unanime» e poi insistendo che «i Libri
Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli
avvenimenti... sulla storia e sul mondo».
La provvidenza nella
Bibbia
L’Antico Testamento è
molto chiaro nell’insistere che Dio esercita sovranità sulla creazione e
sull’uomo. Egli risponde con fermezza alla disobbedienza di Adamo ed
Eva; chiama con forza i Re e i Profeti e chiede la fedeltà dell’uomo:
«Ora vedete che io, io lo sono e nessun altro dio è accanto a me» (Dt
32, 39), ed esprime la sua potenza nei grandi miracoli, quali la
creazione, il diluvio, le pesti inflitte sull’Egitto e la divisione del
Mar Rosso. Davanti ai progetti effimeri dell’uomo, quello di Dio è
sovrano: «Molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno
del Signore resta saldo» (Pr 19,21).
Allo stesso tempo,
l’Antico Testamento è altrettanto chiaro sulla provvidenza di Dio,
raccontando che proprio dall’inizio della creazione Dio risponde
all’impotenza, alla solitudine e alla paura dell’uomo con il suo amore
provvidenziale: Dio crea la donna affinché l’uomo non sia solo (Gn 2,18)
e pone un segno sul peccatore Caino per proteggerlo dai suoi nemici (Gn
4,15). Dio promette la sua compagnia provvidenziale a Mosè, a Giosué e
ai Profeti, perfino a Giob-be (Gb 42,10-17), e assicura al salmista che
«la sua fedeltà sarà scudo e corazza» (Sl 91,5). Senza dubbio, il più
drammatico impegno provvidenziale di Dio verso l’uomo, nel-l’Antico
Testamento, è narrato nel libro dell’Esodo, nella litania dei gesti
eccezionali di Dio per la liberazione del suo popolo dalla schiavitù in
Egitto: la vocazione di Mosè, la peste e le varie calamità, la
liberazione del popolo d’Israele, il dono del Decalogo, la colonna di
fuoco e la manna nel deserto.
Dopo Mosè, sono i
salmisti che meglio apprezzano l’amore provvidenziale di Dio per l’uomo,
e i salmi adoperano una grande varietà d’immagini per riconoscere e
descrivere il grande arco della provvidenza. Dio è pastore che nutre,
guida e protegge (Sl 23); Dio è luce e salvezza (Sl 27), risponde
all’angoscia dell’uomo (Sl 120), e ha una particolare sollecitudine per
il povero, l’indigente, (Sl 113) e gli umili (Sl 116). Dio è roccia e
fortezza per l’uomo (Sl 18) e gli offre consiglio e rifugio (Sl 16). È
eternamente misericordioso e fedele (Sl 100), dà all’uomo autorità sulla
sua creazione (Sl 8) e quando questi si dimostra debole, incapace, Dio
viene in suo aiuto: «il Signore completerà per me l’opera sua» (Sl
138,8).
Il narratore del salmo
139 è particolarmente drammatico nel suo immaginare la Provvidenza
divina. Parla dell’onniscienza di Dio non come una qualità distante,
disinteressata ma piuttosto come un impegno a favore dell’uomo, anche
quando questi gli resiste: «Mi guida la tua mano e mi afferra la tua
destra» (v. 10). Qualifica Dio come il creatore, non solo del vasto
universo, ma anche di ogni essere umano nella sua individualità, sul
quale, anche prima della sua nascita, Dio veglia con amore e cura.
Il salmo 91 sottolinea
la provvidenza protettrice di Dio che è «scudo e corazza» (v. 5) per
l’uomo. Egli lo libera, lo consola, gli è fedele; poi aggiunge due
elementi interessanti, ossia la presenza di angeli, simboli
provvidenziali per eccellenza, per custodire l’uomo in pericolo, e la
voce di Dio che risponde all’uomo nel contesto di un rapporto intimo che
questi ha liberamente stabilito con Dio, «perché a me si è affidato...
perché ha conosciuto il mio nome» (v. 14), e proclama: «Lo salverò... lo
renderò glorioso» (v. 15).
Nel Nuovo Testamento,
la provvidenza di Dio si manifesta, soprattutto, nella persona e nel
ministero di Gesù il Cristo, il quale è l’incarnazione di Dio e, perciò,
della provvidenza di Dio a favore dell’uomo. Egli è la pienezza o il
compimento dei vari personaggi e atti provvidenziali che l’hanno
preceduto nell’Antico Testamento. Ma i testimoni della Provvidenza
divina precedono e seguono Gesù. Nell’episodio dell’annunciazione a
Maria, per esempio, l’angelo Gabriele non solo annuncia l’Incarnazione,
ma mitiga la paura della turbata Maria con la sicurezza
provvidenziale del Signore, di Dio, dell’Altissimo (Lc 1,28-35). Maria
stessa diventa, poi, una figura provvidenziale per la cugina Elisabetta,
e nel suo Magnificat proclama le «grandi cose» che Dio ha fatto e
che farà ancora per l’uomo (Lc 1,46-56). Anche nel suo Benedictus,
Zaccaria, usando metafore di luce, loda l’impegno provvidenziale di Dio,
manifestatosi nel Battista e in Gesù, il Sole provvidenziale che sorgerà
per la salvezza dell’umanità (Lc 1,68-79). Nelle lettere apostoliche,
Paolo, Pietro e Giovanni proclamano ripetutamente la buona notizia
dell’amore di Dio a favore dell’uomo, manifestatosi in Gesù Cristo, e lo
fanno usando, di solito, metafore di luce: Cristo è «luce per coloro che
sono nelle tenebre» (Rm 2,19), guida l’uomo «dalle tenebre alla sua
ammirabile luce (1Pt 2,9); «Dio è luce, in lui non ci sono tenebre» (1Gv
1,5).
Ma è soprattutto in
Gesù che la provvidenza di Dio si rivela. Nei suoi insegnamenti egli
esorta, ripetutamente, i suoi discepoli a non esitare, a non avere
paura, perché «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
(Mt 28,20), perché «sono la luce del mondo» (Gv 9,5). Nelle parabole,
come vedremo più avanti, egli invita i suoi seguaci a riconoscere e
sperimentare l’amore provvidenziale di Dio.
Tutti i miracoli di
Gesù sono gesti e segni dell’amore provvidenziale di Dio per l’uomo. Due
delle guarigioni spiccano sulle altre: quella del paralitico, sotto il
portico del tempio, malato da trentotto anni, che non ha nessuno che lo
può aiutare (Gv 5,1-10); e quella del lebbroso, che quasi con timidezza
chiede di essere guarito: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi» (Mt 8,2).
Nei due casi, Gesù agisce con tanta tenerezza, come se fosse
profondamente toccato e incapace di negare misericordia.
Due sono anche i grandi
miracoli di risurrezione dalla morte: quello del figlio della vedova di
Nain (Lc 7,11-16) e quello di Lazzaro (Gv 11,38-44). Anche questi
miracoli hanno un evidente slancio misericordioso-provvidenziale. In
ambedue i casi, Gesù si commuove in modo particolare, sia davanti alla
vedova che aveva perso il suo unico figlio, quando «il Signore n’ebbe
compassione e le disse: “Non piangere”», sia davanti al pianto di Maria,
quando Gesù «si commosse profondamente [e]... scoppiò in pianto». Prima
di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù
si preoccupa di come nutrire la folla che ha fame (Gv 6,1-13), e compie
il miracolo della tempesta sedata (Mt 8,23-27) come risposta
provvidenziale alla paura e alla disperazione dei discepoli.
Ancora due sono gli
incontri che dimostrano bene come Gesù si schieri a favore dell’uomo e
come questi sia libero di rispondervi o meno. Primo, quando Gesù chiede
a Zaccheo di scendere dal sicomoro, e gli offre la possibilità di un
rapporto con lui. Zaccheo accetta, liberamente e con entusiasmo, e la
salvezza si manifesta nella sua vita (Lc 19,1-10). Il secondo, è
l’incontro provvidenziale tra Gesù e il giovane ricco (Lc 18,18-25),
avvenuto per iniziativa del ra-gazzo. Questo incontro potrebbe diventare
l’opportunità di salvezza per lui, ma il giovane sceglie liberamente di
rifiutare l’invito provvidenziale e se ne va «assai triste». Sembra aver
capito ciò che sta perdendo.
Anche il più grande
miracolo di Gesù, quello dell’Ultima Cena/Eucaristia, ha chiaramente uno
scopo provvidenziale, e cioè il nutrimento spirituale, la salvezza
dell’uomo. Ricorda i miracoli provvidenziali di Dio a favore del popolo
di Israele nell’Antico Testamento: l’Esodo, la manna nel deserto, la
Pasqua e anticipa il miracolo provvidenziale della passione e
risurrezione di Gesù.
La provvidenza nella
liturgia
La nozione della
Provvidenza divina – e la salda convinzione che non siamo soli, che Dio
è con noi, ci protegge e ci guida, – si percepisce chiaramente in varie
dimensioni della nostra vita liturgica cristiana. La provvidenza, per
esempio, è un leitmotiv della struttura e del contenuto della
liturgia delle ore. Il salmo invitatorio inserisce l’intera ora nel
contesto della provvidenza del Signore: «Egli è il nostro Dio e noi...
il gregge che egli conduce» (Sl 95,7) e i salmi cantati, di solito,
muovono chi prega ad approfondire i vari aspetti dell’esperienza della
provvidenza. La mattina, il cantico di Zaccaria (Lc 1,68-79) rivela la
«bontà misericordiosa del nostro Dio», che s’impegna provvidenzialmente
a favore dell’uomo e, adoperando la metafora della luce, definisce
quest’impegno come «un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno
nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla
via della pace…». La sera, il cantico di Maria (Lc 1,46-55) esprime la
sua fiducia assoluta in un Dio, che si impegna a favore del suo popolo:
«Ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati... Ha
soccorso Israele, suo servo».
La liturgia eucaristica
celebra la nuova Pasqua, l’atto provvidenziale per eccellenza di
Dio-in-Gesù a favore dell’uomo; la morte e risurrezione di Cristo è
l’adempimento della prima Pasqua, anch’essa espressione dell’impegno
provvidenziale di Dio per il suo popolo, e il pane eucaristico, che
richiama un altro gesto provvidenziale di Dio, la manna nel deserto, è
il pane della vita, il nutrimento provvidenziale che Gesù ha lasciato
all’uomo per la sua salvezza.
Nel sacramento della
riconciliazione si vive il perdono provvidenziale di Dio e il
risanamento del rapporto con Lui, che ci offre speranza e vita. Nella
cresima si celebra il dono dello Spirito di Dio, che ci dà la forza e
l’energia di vivere la fede e affrontare le sue sfide, da adulti. Nel
sacramento dei malati, l’unzione degli infermi, la provvidenza di Dio si
esprime, ancora una volta, come garanzia della presenza salvifica di Dio
nel buio della sofferenza e nel momento tenebroso della morte.
Le liturgie
dell’Avvento e del Natale rilevano in modo particolare la provvidenza di
Dio manifestata in modo assoluto nell’avvento di Gesù, la piena
realizzazione delle promesse e degli atti provvidenziali di Dio, nei
secoli della storia d’Israele. La straordinaria bellezza delle letture
di Isaia proclama lo slancio provvidenziale della festa: «Il popolo che
camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in
terra tenebrosa una luce rifulse...» (Is 9,1) e i titoli conferiti al
neonato bambino – «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace» (Is 9,5) – hanno tutti una forza
prettamente provvidenziale.
La singola liturgia che
meglio esprime l’impegno provvidenziale di Dio a favore dell’uomo è
quella della veglia pasquale. Il diffuso simbolismo di fuoco e acqua
richiama l’esperienza della provvidenza, come lo fa la drammatica
processione con il cero pasquale e la litania Lumen Christi... Deo
gratias. La grande proclamazione dell’Exultet – «Gesù
Cristo... con il sangue innocente cancellò l’obbligazione contratta con
l’antico peccato... O meravigliosa condiscendenza della tua misericordia
verso di noi!»2 – associa la liberazione del
popolo di Israele, grazie all’amore provvidenziale di Dio, alla
liberazione del popolo cristiano nella risurrezione di Cristo. Come la
co-lonna di fuoco dell’Antico Testamento richiama la fiamma del cero
pasquale e la luce di Cristo. Le letture dall’Antico Testamento
concretizzano la gioiosa poesia dell’“Exultet”, ricordando le
varie tappe dell’impegno provvidenziale di Dio, mentre le letture dal
Nuovo Testamento annunciano la garanzia definitiva della provvidenza di
Dio, nella risurrezione di Gesù il Cristo.
Il paradosso
dell’ambiguità e della kenosi
In Gesù Cristo, la
pienezza della provvidenza di Dio si riconosce in larga gamma nelle
manifestazioni del suo potere a favore dell’uomo: da una parte c’è la
luce e la trasparenza dei grandi miracoli, la trasfigurazione, la
risurrezione, tutte espressioni della provvidenza di Dio per la salvezza
dell’uomo; dall’altra parte c’è la scura opacità della sua passione e
morte, il terribile paradosso dell’assenza di Dio e della sua
Provvidenza.
Nell’esperienza umana
c’è la tentazione di resistere a questo paradosso, di credere che la
Provvidenza divina sia un rimedio universale, un’esperienza che risolve
tutto, subito e magari per sempre. La lunga tradizione biblica non
sopporta una tale presunzione, fin troppo idealista, da fantasia
spirituale. Il fatto è che l’esperienza umana include necessariamente
dei momenti bui, delle zone di ambiguità, e il dono della grazia di Dio,
della sua presenza provvidenziale, non dispensa l’uomo da questa
esperienza universale. Dopo il suo peccato, Caino ha la garanzia della
protezione di Dio, ma non viene esonerato dalla fatica. Mosè, il grande
profeta di Dio, muore prima di entrare nella terra promessa. Il salmista
si lamenta: «Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i
nostri anni come un soffio» (Sl 90,9); e Gesù, l’incarnazione della
provvidenza di Dio, vive il fallimento della sua missione, la morte in
croce e l’esperienza di essere abbandonato da Dio. È così per ogni uomo:
mentre la provvidenza di Dio offre una speranza fondamentale, le normali
ambiguità della vita si devono accettare, vivere e integrare in quella
speranza.
Connesso a questa
nozione della provvidenza vi è il paradossale ma essenziale fatto che la
figura provvidenziale si deve sottoporre all’esperienza della kenosi,
quel radicale svuotamento al quale si è sottoposto il Logos di Dio
nell’Incarnazione e nell’esperienza della croce. Gesù, infatti, è
consapevole di questo destino: parla apertamente e con serenità del
tradimento di cui sarà vittima e della propria morte (Mt 17,22-23);
proclama la radicale povertà, «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il
capo» (Mt 8,20) e libertà, «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli...» (Mt
12,49) della sua vita e richiede la stessa kenosi liberatoria dai suoi
discepoli (Mt 10,10). Con i suoi seguaci, Gesù insiste sulle conseguenze
che derivano dall’essere suo discepolo, associando il loro destino a
quello dei profeti (Mt 5,11-12). Sia Pietro che Paolo imparano bene la
lezione. È proprio nel riconoscere il proprio stato kenotico, infatti,
che Pietro trova la possibilità di compiere il miracolo provvidenziale
alla porta “Bella” del tempio: «Non possiedo né argento né oro...» (At
3,6) e Paolo proclama con grande libertà il paradosso: «Mi compiaccio
nelle mie infermità... nelle persecuzioni... quando sono debole, è
allora che sono forte» (2Cor 12,10).
Qualche caveat
riguardante la provvidenza
Nella coscienza
popolare, la provvidenza di Dio, di solito, è una grazia che l’uomo si
può guadagnare tramite qualche azione propria. Per esempio, le candele
benedette, accese durante un temporale, garantiscono l’incolumità della
casa; il santino del Sacro Cuore o, più popolare, forse, padre Pio sul
cruscotto della macchina, protegge da incidenti; il segno della croce di
un passeggero, prima dell’atterraggio di un aereo, per evitare una
sciagura. Il problema si rivela drammatico se pensiamo, ad esempio, a un
giocatore della Lazio che bacia la sua medaglia miracolosa prima della
partita cruciale, per garantire la vittoria alla sua squadra, e un
giocatore del Milan che compie lo stesso gesto: per quale squadra tifa
Dio e su quale squadra arriverà la benedizione provvidenziale della
vittoria? Non vorrei negare il valore di ogni atto devozionale, però
queste posizioni piuttosto fondamentaliste e (forse) infantili
su-scitano una serie di questioni antropologico-teologiche, che sono
importanti in sé e anche critiche per la discussione sulla provvidenza
nel cinema, che si svolgerà nel ca-pitolo seguente.
Riguardo a Dio bisogna
rispettare la sua assoluta autonomia, l’integrità della creazione e del
rapporto di Dio con essa. Non è affatto accettabile l’idea di
provvidenza che fa di Dio una sorta di riparatore di soccorso, sempre
pronto e disposto a interferire nella creazione, o un Dio “113” che
subito risponde a ogni sollecitazione, anche infantile, dell’uomo.
Bisogna anche salvaguardare e rispettare la libertà di Dio di decidere,
di scegliere, di muoversi o no davanti alle preghiere dell’uomo.
Riguardo all’uomo
bisogna insistere su una nozione del-la provvidenza che rispetti sia la
libertà dell’uomo che la sua responsabilità. Bisogna prendere sul serio
la missione che Dio conferisce all’uomo nella Genesi (Gn 1,26; 2,19-20)
di gestire bene la creazione e di accettare le conseguenze, quando
liberamente gestisce male se stesso e il mondo in cui vive. È
inaccettabile una nozione della provvidenza come un potere magico, a
disposizione dell’uomo – delle sue preghiere, delle formule magiche –
per riparare i danni dei quali, in fin dei conti, egli soltanto è
responsabile.
Partendo dalla sintesi
biblica discussa sopra, bisogna inserire ogni discussione della
provvidenza nel contesto di un rapporto di amore, di rispetto, di
libertà, tra Dio e l’uomo, sua creatura. Presumendo la libertà e l’amore
di Dio, e anche il suo desiderio di schierarsi a favore dell’uomo, di
essere con lui, si può parlare della provvidenza come della risposta di
Dio a un uomo che ama. Solo quando l’uomo è disposto ad amare, quando
riesce ad amare, Dio “può” agire in lui. L’amore dell’uomo in un certo
qual modo “libera” Dio a muoversi nella sua esperienza; il Dio che ama,
agisce in sintonia con l’uomo che ama, per il suo benessere e per quello
del mondo.
Le parabole della
provvidenza
Come abbiamo già detto,
Gesù è, nella sua persona, l’incarnazione dell’amore provvidenziale di
Dio, ed egli incarna, concretizza questa provvidenza nei suoi gesti
profetici e taumaturgici e nella sua predicazione proposizionale: «Prega
il Padre tuo... e il Padre tuo... ti ricompenserà» (Mt 6,6) e «Chiedete
e vi sarà dato; cercate e troverete» (Mt 7,7). Inoltre, e forse anche
più spesso, Gesù rivela la provvidenza di Dio usando un linguaggio
metaforico e raccontando delle parabole. Parla di se stesso come del
pane della vita e come luce del mondo e, nel Padre nostro, parla di Dio
come un padre, un abba provvidente che nutre, perdona, protegge e
libera nelle difficoltà. Inoltre, Gesù utilizza un largo repertorio di
parabole per rivelare il suo impegno provvidenziale, e quello di Dio, a
favore dell’uomo; per esempio le parabole del buon pastore (Gv 10,1-16)
e quella della pecorella smarrita (Mt 18,12-14). Nella parabola degli
operai nella vigna, poi, Gesù rivela la generosità provvidenziale di Dio
(Mt 20,1-16), mentre nella parabola del fariseo e del pubblicano egli fa
risaltare la grande misericordia di Dio (Lc 18,9-14) e in quella della
vite e dei tralci, proclama l’intimità feconda che Dio offre all’uomo (Gv
15,1-8).
Se la maggior parte
delle parabole rappresentano una via provvidenziale unidirezionale –
l’amore di Dio che serve all’uomo – alcune di esse sembrano indicare una
suggestiva reciprocità, vale a dire, in un certo qual modo, che
l’impegno provvidenziale di Dio verso l’uomo serve anche a Dio. Nella
parabola della vite e dei tralci, Gesù aggiunge che la fecondità dei
tralci, cioè dell’uomo, serve alla gloria del Padre (Gv 15,8); e nella
versione lucana della parabola della pecora smarrita, egli parla della
grande «gioia in cielo» (Lc 15,7). Ma è soprattutto nella grande
parabola del padre ge-neroso o del figliuol prodigo (Lc 15,11-24) che
Gesù suggerisce la reciprocità del rapporto provvidenziale tra Dio e
l’uomo. In quella splendida narrazione, dietro la dinamica
provvidenziale principale dell’amore del padre che serve da evento
salvifico per il figlio, si intravede la dinamica parallela e reciproca
del ritorno del figlio, che restituisce al padre la sua identità e il
suo ruolo. Il padre salva il figlio e questi, pentito, dà speranza e
integrità al padre, e anche grande gioia: «Mangiamo e facciamo festa».
* * *
Guardando verso il
successivo saggio di questa raccolta, se Gesù crea narrazioni,
rappresentazioni fittizie, per comunicare la buona notizia dell’amore
provvidenziale di Dio per l’uomo – una tecnica adoperata anche da
scrittori e artisti nella plurimillenaria tradizione cristiana, – ne
consegue che sia più che valido rappresentare metaforicamente questa
stessa provvidenza di Dio in opere della settima arte, il cinema. È
proprio verso questa possibilità che si orienta il prossimo capitolo.
Note
1. Gv 1,5.
2. Cfr. testo dell’Exultet, consultato sul sito
Internet:
www.exultet.it/rotoli.html (5agosto 2005).
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