 |
 |
 |
 |
"Hai forse rigettato completamente Giuda,
oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpito, e non c’è rimedio per
noi?… Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità… Ma per il tuo nome non
abbandonarci”. Sono alcune frasi della pericope, tratta dal libro del profeta
Geremia, su cui si è soffermato Giovanni Paolo II l’11 dicembre del 2002 e che
egli ha commentato, attualizzandole, durante la sua catechesi settimanale
nell’aula Paolo VI. Il papa ha detto: “Oltre la spada e la fame, infatti, c’è
una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio, che non si rivela più e
sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire
dell’umanità”. Parole dure queste di Giovanni Paolo II. Le parole della
Scrittura si richiamavano al profeta Geremia, il quale lamentava la fame e
l’angoscia del popolo d’Israele. Il grido angoscioso del papa era l’esternazione
di una trepidazione per una guerra che sembrava imminente e per altre
sconcertanti situazioni presenti sul nostro globo: fame, sfruttamenti insani,
devastazioni, follie terroristiche. Proprio questo grido ha suscitato reazioni
diverse. Quasi tutti i più diffusi quotidiani del giorno dopo ne hanno scritto
con commenti ora più critici, altri più consenzienti; ora più immediati, altri
più ragionati. C’è stato chi ha ammesso che era stata “come una frustrata
lacerante l’immaginazione di quanti lo ascoltavano”. C’è chi ha scritto che il
papa ha parlato questa volta con accenti molto più drammatici di quelli di altre
volte. C’è stato chi non ha condiviso perché lo ha trovato come un ritorno al
passato, al Vecchio Testamento…
Noi le accogliamo come parole di un
anziano pontefice che ha la coscienza certa delle proprie responsabilità di
successore di Pietro, che ama smisuratamente l’uomo e ama il mondo; che deve
annunciare a ogni uomo e a ogni donna la buona notizia della salvezza offerta a
tutti. Una salvezza che non è imposta, ma che deve essere accolta come dono e
come opportunità. Parla “opportune et importune” scriveva Paolo a Timoteo.
Con altre parole, in altri termini, meno
duri e meno tormentati, forse, lo stesso sentimento di angoscia e di dubbio, a
volte spunta sulle labbra di molte religiose. Spunta sulle labbra perché è
presente nel pensiero e nel cuore. Sembra quasi che esista, in alcune comunità,
una certa usura, una certa stanchezza, un certo logorio. Si è usurata la vita di
relazione, che comporta dialogo, condivisione di gioie e fatiche, di beni e
bisogni, che richiede servizio e dono di sé, spesso senza la pur minima
gratificazione. A volte è messo in discussione il proprio servizio apostolico o
le modalità e lo stile con cui esso si compie. Sembra quasi che spunti qua e là
un desiderio di evadere, di orientarsi ad altro, di rinchiudersi nel proprio
limitato spazio, nei personali orizzonti; non si sfugge alla tentazione di
tirare i remi in barca e ancorarsi sulla spiaggia.
Alcuni valori fondanti, anziché emergere
con maggior forza, sembrano essere passati in penombra; sembra siano andati
anch’essi soggetti alla legge del logoramento, come un progressivo cedimento
della primitiva integrità.
Si è usurato l’entusiasmo degli anni più
giovani. Si è usurata la spinta vocazionale. Si è smorzata la passione di altri
tempi. E’ calato l’ardore e ci si accontenta facilmente di una vita
addomesticata.
Le motivazioni possono essere
molteplici. Certo, anche il passare degli anni può incidere. Ma il passare degli
anni non dovrebbe caricare di una forza nuova, diversa, più ponderata e matura,
ma non meno significativa? Certo, la diversità generazionale, perché pochi anni
oggi, soprattutto avendo a disposizione e a portata di mano mezzi coinvolgenti
come internet, possono significare decenni dei tempi andati. A questo si può
aggiungere un certo soggettivismo e relativismo, per cui le interpretazioni sono
maggiormente personalizzate e meno confrontate e condivise. Del resto conquiste
e fallimenti sono alla portata di tutti.
Eppure no! La celebrazione della
giornata della vita consacrata – 2 febbraio – potrebbe costituire un momento di
ripensamento? Una opportunità per lanciarci al largo anziché rimanere sedentari
sulla spiaggia? Uno dei relatori al Convegno su Internet: nuovo forum per
comunicare il vangelo, organizzato a Roma dall’Ufficio delle Comunicazioni
Sociali e dal Centro Studi dell’USMI nazionale, ha ripetuto più volte che, in un
mondo in cui la vita di relazione è sfumata pur sentendosene una estrema
esigenza, in cui molti valori hanno perso la loro significanza, chi ancora può
dire qualcosa di significativo e capace di scuotere le coscienze e le
intelligenze sono proprio le persone consacrate, le suore innanzitutto. “La vita
religiosa, ha detto, è il paradigma che salverà l’umanità”. Non è giusto
lasciarsi sfuggire una opportunità: questo nostro mondo, questi uomini e queste
donne del nostro tempo, siano essi giovani o adulti, bimbi o anziani, ci
chiedono un servizio di autenticità, donne e uomini dalla spiccata vita
evangelica, perché autenticamente carica di senso dell’uomo.
Il profeta Isaia scriveva: “Il mio servo
che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio… non spezzerà una canna
incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta”. Se la partenza non
era opera nostra, ma di colui che ci ha scelto, il rinnovamento, la
rifondazione, come ama chiamarla qualcuno, non è meno opera di lui. S. Ippolito
scriveva: “Vi prego, prestatemi molta attenzione: voglio ritornare alla fonte
della vita e contemplare la sorgente di ogni rimedio”.
L’offerta fatta da Maria e Giuseppe, di
quel Bimbo che è il Verbo fatto carne, esistente fin dal principio presso Dio,
egli stesso Dio, rimanda a tutte le offerte di vita che oggi si rinnovano nel
mondo. Lo conferma san Paolo quando scrive la sua Seconda Lettera a Timoteo:
“Dio ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base
alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è
stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con
l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha
fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo”.
 |