n. 3
marzo 2003

 

Altri articoli disponibili

Il rapporto liturgia e pietà popolare
interpella le comunità religiose - II

di Corrado Maggioni

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Educarsi/educare alla pietà popolare

 Come la risposta a che cos’è la pietà popolare si chiarisce alla luce della liturgia, così l’educazione alla pietà popolare si declina sull’educazione alla liturgia. E’ difficile ipotizzare un percorso che divida i due ambiti, pena condannare la vita spirituale in una dicotomia.

Nel dire che la pietà popolare serve a disporre alla celebrazione liturgica e a prolungarla, bisogna anche domandarsi: quale pietà popolare?, evitando di fare di ogni erba un fascio. Non qualsiasi forma di pietà aiuta a prepararsi e a interiorizzare quanto liturgicamente celebrato in un dato giorno o tempo: ad esempio, la Via Crucis «è un esercizio di pietà particolarmente adatto al tempo di Quaresima»1, come la Via Matris2; invece la Via Lucis3 è congruente con il tempo pasquale e la domenica.

Da qui il compito di accordare la pietà popolare con la liturgia, evitando di percorrere due direzioni che non possono armonizzarsi nella vita spirituale perché proposte in disarmonia tra di loro.

 

Tra passato e presente

 Se nell’antichità la preghiera liturgica (specie monastica) contemplava tempi e luoghi per l’orazione silenziosa, tale spazio si è progressivamente organizzato in un momento di preghiera comune (ne è esempio la colletta salmica, a conclusione dei Salmi dell’Ufficio divino), fino a trovare quindi una “propria” espressione, fioritura e organizzazione al di fuori della stessa liturgia.

Conosciamo come e perché nel Medioevo sorgano preghiere sostitutive, alternative, parallele, alle celebrazioni liturgiche: la gente si sente a suo agio pregando e cantando in lingua volgare, secondo modalità più vicine e facili da seguire, derivate in qualche modo dalle liturgie officiate in latino dal clero. Tali forme di pietà non nascono con l’idea di sostituire la celebrazione liturgica, anche se ciò è accaduto di fatto: la fede, la preghiera, la carità della gente trovano espressione piuttosto attraverso la pietà popolare che la liturgia, peraltro mai disertata: è di precetto assistere alla Messa domenicale.

Occorre fare attenzione nell’evitare semplificazioni consistenti, ieri come oggi, nell’apprezzare una parte per svalutare l’altra4. Nel dire che nel Medioevo la liturgia era tutta negativa, mentre la pietà popolare tutta positiva, si asseconda una concezione che vede la liturgia come esteriorità e la pietà popolare come interiorità. Il rischio del materialismo e del ritualismo intaccava e intacca la preghiera liturgica come la pietà popolare. L’oggetto dell’autentica educazione resta, in ogni epoca, aiutare i cristiani a comprendere anzitutto che cosa significa pregare, prima del come fare.

 L’istanza avvertita oggi – qui deve misurarsi l’opera educativa - è trovare sapientemente la strada per sciogliere i nodi che, nel corso dei secoli, si sono aggrovigliati attorno alla tradizione della preghiera cristiana. Due forme parallele di culto? O piuttosto invece, due modi distinti e legittimi di culto, l’uno prioritario e l’altro subordinato? l’uno autorevolmente normato e l’altro lasciato a maggiore creatività?

Esemplifichiamo. Ci sono forme di pietà popolare come il pellegrinaggio a un santuario che non suscitano in genere contrapposizioni con la liturgia: gesti e preghiere di devozione dispongono e fanno eco alle celebrazioni liturgiche - l’Eucaristia, la Penitenza, - che sono avvertite come il centro dell'esperienza spirituale dei pellegrini.

Ci sono forme che, invece, creano imbarazzo: come conciliare la novena (mese) di san Giuseppe col tempo quaresimale? e il mese di maggio col tempo pasquale? Pratiche sorte in tempi in cui la liturgia non era partecipata appieno si scontrano oggi con la priorità della celebrazione liturgica; in effetti, si muovono su piani di non immediato incontro oggettivo. Risolvere la tensione escludendo una delle due istanze non giova. Risolvere il problema “mescolando” le cose è soltanto una falsa via di uscita. Qui sta la sfida che l’educazione deve raccogliere. Rimuovere la questione dicendo che l’importante è che la gente “preghi” è una possibilità: ma certo non è educare secondo Sacrosanctum Concilium 13, esplicitato nel Direttorio.

 Ancora, ci sono esercizi di pietà sorti come alternativi, per i laici, all’Ufficio divino riservato al clero e ai monaci: ad esempio la recita di 150 Padre nostro o Ave Maria (Rosario) al posto dei 150 Salmi; conosciamo che cosa ha significato il Rosario per generazioni di cristiani, per la tradizione spirituale di Istituti religiosi e di movimenti laicali (ancora oggi)5. Riscoprire la Liturgia delle Ore vuol dire allora abbandonare pratiche sorte in sostituzione di quella? Adottata la preghiera del Vespro in una comunità religiosa non obbligata ad essa, ha ancora senso un pio esercizio ereditato da tempi in cui “pregare comunitariamente” corrispondeva a compiere le pie preghiere indicate dal Fondatore/Fondatrice e le pratiche prescritte dalla Regola? E se ha ancora valore, dato che non è più inteso come sostitutivo di ciò che ormai si fa, qual è allora il senso?

La problematica si può riassumere nella domanda: chi partecipa alla liturgia (Eucaristia, Sacramenti, Liturgia delle Ore ecc.) ha ancora bisogno di altre forme di preghiera, pii esercizi, devozioni? Ossia, basta la sola azione liturgica a sostenere una vita spirituale, oppure la pietà popolare ha la sua parte da svolgere? Come nutrire la fede oltre la Messa della domenica?

 

Ecco quanto osserva il Direttorio:

 «Nel nostro tempo il tema del rapporto tra liturgia e pietà popolare va guardato soprattutto alla luce delle direttive impartite dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, le quali sono ordinate alla ricerca di un rapporto armonico tra ambedue le espressioni di pietà, in cui tuttavia la seconda sia oggettivamente subordinata e finalizzata alla prima. Ciò significa che bisogna anzitutto evitare di porre la questione del rapporto tra liturgia e pietà popolare in termini di opposizione, come pure di equiparazione o di sostituzione. Infatti la coscienza dell’importanza primordiale della liturgia e la ricerca delle sue più genuine espressioni non devono condurre a trascurare la realtà della pietà popolare e tanto meno a disprezzarla o a ritenerla superflua o addirittura dannosa per la vita cultuale della Chiesa» (n. 50).

 

 La preghiera non si esaurisce nella celebrazione liturgica

 Nel contesto dei nn. 10-13 di Sacrosanctum Concilium (vedi sopra), l’educazione alla pietà popolare ha la funzione di formare a coltivare quella “vita spirituale” che permette di farsi coinvolgere con frutto nell’effusione dello Spirito di Cristo operante nella celebrazione liturgica. Quale culmen, alla liturgia occorre disporsi e giungervi con le necessarie disposizioni interiori. Quale fons, la celebrazione liturgica domanda a chi vi partecipa un prosieguo nel custodire e interiorizzare i misteri celebrati, affinché possano trasfondersi nella vita.

In questo movimento di accesso alla celebrazione liturgica e di congedo da essa in vista del prossimo accesso, trova il “suo” posto la pietà popolare (preghiera privata o comunitaria, pii esercizi, devozioni, pratiche ascetiche, silenzio, raccoglimento, orazione meditativa, ecc.).

 Del resto, i temi cari alla pietà popolare (devozione all’infanzia e passione di Gesù, alla Vergine Maria, agli Angeli e ai Santi, i suffragi per i defunti) hanno il loro originale alveo dentro la celebrazione liturgica: la radice da cui sono fioriti e si sono ramificati gesti e pratiche devozionali è, al fine, la celebrazione liturgica. Questa è il punto insopprimibile di partenza e di approdo. La riprova sta nel trovare il massimo di concentrazione di forme di pietà popolare attorno alle festività liturgiche della Pasqua e del Natale.

 Riscoprire e promuovere la liturgia porta a eliminare la pietà popolare? Una certa pietà popolare sì, quando è positivamente contrapposta o in concorrenza con la liturgia6. Certo, il verbo “eliminare” è esclusivista e non rende ragione della complessità del concreto7: orientare, ridimensionare, possono risultare verbi più consoni, nella linea segnalata dallo stesso Direttorio: «I movimenti di rinnovamento liturgico e l’accrescimento del senso liturgico nei fedeli danno luogo ad un ridimensionamento della pietà popolare nei confronti della liturgia. Ciò si deve ritenere un fatto positivo, conforme all’orientamento più profondo della pietà cristiana» (n. 49).

Si deve tuttavia considerare anche la negatività di una promozione “forzata” della liturgia, a discapito di altre forme tradizionali di preghiera: proporre la Messa in ogni occasione di tridui e novene, tradizionalmente legate a forme di pietà popolare, è davvero indice di riscoperta della centralità della preghiera liturgica? Bisogna dire di no. Il rischio del “solo Messa”, come spesso avviene, non giova né alla liturgia né alla pietà popolare. L’educazione alla preghiera passa anche attraverso proposte diversificate e diverse dalla liturgia.

Tra i Vespri dei giorni di Avvento o la novena dell’Immaco-lata, oggettivamente la precedenza è da accordare alla preghiera liturgica. Tuttavia non può sfuggire la “storicità” di chi conviene a pregare: potrebbe darsi che, in una data comunità, la pratica della tradizionale novena aiuti meglio dei Vespri a toccare i cuori. Dico questo per evitare le generalizzazioni che, alla fine, risultano diseducative. Quando si tratta di riunione di preghiera (nel pregare individualmente si capisce che la questione è un po’ diversa) la strada è quella di ridurre, appunto con la catechesi e la formazione, la tensione dell’aut aut8.

Non di meno occorre notare che educare significa anche lasciar perdere qualcosa: ciò che è di fatto incompatibile, fuorviante, così parziale da non portare mai al cuore dell’esperienza cultuale della Chiesa, che è la liturgia. Se una devozione o un pio esercizio non conducono alla celebrazione del mistero di Cristo, anzi lo scosta da questa, ritenendo sufficiente quella, è evidentemente da auspicarne la scomparsa… Penso a quanti, in occasione di feste patronali, ripetono scrupolosamente pratiche di pietà ereditate da secoli, le quali segnano per essi l’inizio e anche la fine di una “pietà cristiana” che fa a meno della partecipazione ai Sacramenti.

La giusta riscoperta della Liturgia delle Ore non può coincidere con l’unico indirizzo educativo, per tutti, di pregare mattino e sera le Lodi e i Vespri. Ciò è facile in una comunità religiosa, in un seminario, per i fedeli che hanno disponibilità di recarsi in chiesa e dimestichezza con il libro della Liturgia delle Ore. Ma per chi non rientra in queste categorie, ha orari e impegni da rispettare, non c’è altro da raccomandare in fatto di preghiera quotidiana? Ecco il posto di momenti di preghiera (la visita al Santissimo, una parte del Rosario, la meditazione di un passo del Vangelo, il pio esercizio della Via Crucis il venerdì, ecc.), che non sono un’alternativa paritetica alla preghiera liturgica, ma un reale e facile aiuto a coltivare una vita spiritualmente significativa. Una delle carte vincenti della diffusione della pietà popolare è senza dubbio la facilità dei modi: si pensi alle formule ripetute a memoria, senza necessità di ricorrere a uno o più libri per pregare.

L’ottica autenticamente educativa vede le cose per quel che sono, tiene i piedi per terra, punta all’armonia della vita spirituale. L’educazione alla liturgia non esclude l’educazione alla pietà popolare; anzi, la richiede. In questa linea è da segnalare il n. 59 del Direttorio, titolato appunto l’importanza della formazione:

 «Alla luce di quanto richiamato, la via per risolvere motivi di squilibrio o di tensione tra liturgia e pietà popolare è quella della formazione, sia del clero che dei laici. Insieme alla necessaria formazione liturgica, opera di lungo respiro, sempre da riscoprire e approfondire, a complemento di essa e in vista di una spiritualità armonica e ricca, si impone anche la formazione alla pietà popolare.

Infatti, poiché “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC 12), il limitarsi esclusivamente all’educazione liturgica non soddisfa ogni ambito di accompagnamento e di crescita spirituale. Del resto, l’azione liturgica, specie la partecipazione all’Eucaristia, non può permeare un vissuto dal quale è assente la preghiera individuale e sono carenti i valori veicolati dalle tradizionali forme di devozione del popolo cristiano. Il rivolgersi odierno a pratiche “religiose” di provenienza orientale, variamente rielaborate, è indice di una ricerca di spiritualità dell’esistere, del soffrire, del condividere. Le generazioni post-conciliari – a seconda dei paesi – non hanno l’esperienza delle forme di devozione che avevano le generazioni precedenti: ecco perché, la catechesi e l’azione educativa non possono trascurare, nella proposta di una spiritualità vissuta, il riferimento al patrimonio rappresentato dalla pietà popolare, in modo speciale dai pii esercizi raccomandati dal Magistero».

  

Educare la pietà popolare

 Non solamente le persone sono destinatarie di accompagnamento educativo, ma anche lo stesso “deposito” della pietà popolare, rappresentato da formule, preghiere, pratiche, sussidi, devozioni, canti, gesti, immagini, ecc. Non pochi esercizi di pietà sono sorti con un motivo particolare e specifiche modalità, il mutamento dei quali – altro contesto, luogo, tempo – li ha rivestiti di un diverso spessore9. Spesso sono proprio le “formule”, il loro vocabolario, i modi e i tempi, che favoriscono od ostacolano l’armonia con la liturgia.

  

Valorizzazione e rinnovamento

 Sappiamo come sovente sia un “tipo” di sussidio per la Via Crucis, il Rosario, una data devozione, ad avere concretamente influsso sulla loro pratica. Sussidi che ripropongono testi e preghiere – raccolta di ogni “genere” di orazioni, devozioni, novene – come se con il rinnovamento liturgico non fosse avvenuto nulla nel popolo cristiano, come se la Sacra Scrittura non esistesse, come se l’anno liturgico fosse un optional e non una guida per la vita spirituale di tutti e ciascuno nella Chiesa… lasciano perplessi e invocano un’azione educativa che è probabilmente trascurata10. Compito degli Istituti religiosi è certo quello di favorire la revisione e l’aggiornamento di devozioni e pratiche di pietà che hanno esplicito riferimento alla spiritualità da essi vissuta e proposta: sforzi in tale senso ne sono stati fatti in questi anni e di significativi, anche se non mancano ritardi o resistenze.

Si ha l’impressione che nella catechesi – nelle sue varie fasi – abbiano praticamente ancora scarso rilievo le tradizionali forme di pietà popolare11, lasciate comunemente alla trasmissione da un fedele all’altro, alla frequentazione di associazioni, confraternite12, gruppi. Questi sono “luoghi” per educare sapientemente alla pietà popolare. Uno degli intenti del Direttorio è certamente di educare a “pregare” mediante la pietà popolare: sono numerose le precisazioni e i suggerimenti disseminati nella parte II del Direttorio, a proposito dell’armonizzazione con la liturgia dell’una o l’altra espressione di pietà e devozione.

Educare la pietà popolare significa aiutarla ad esprimere e custodire i preziosi e innumerevoli valori che possiede13, tenendo presente nel contempo anche i suoi limiti, che sono di duplice segno. Ci sono dei limiti “positivi”, ossia lo stile semplice, il dire per accenti il mistero cristiano senza pretesa di interezza, ecc., che sono da conservare nella pietà popolare, pena la trasformazione in ciò che non è, la confusione di funzioni, lo snaturamento di essa. Ci sono poi dei limiti “negativi”, che invece è chiamata a superare, quali lo scarso riferimento alla Scrittura, l’impercettibilità della fede cattolica, l’esaurirsi in se stessa senza disporre alla liturgia, l’autonormarsi senza armonizzarsi con la preghiera liturgica.

Alla luce della riforma conciliare della liturgia, il rinnovamento della pietà popolare matura nel recepire l’afflato biblico, liturgico, ecumenico, antropologico14. Poiché il rinnovamento si vede dal “visibile” e dall’”udibile”, la sua presenza si riflette nei testi e nelle formule di devozione15, nei canti16, nelle immagini impiegate17. A livello di contenuti, il rinnovamento implica di rafforzare il riferimento al Dio di Gesù Cristo, alla Trinità, all’azione dello Spirito, al sentire con la Chiesa, alla Rivelazione custodita nella Sacra Scrittura, all’armonia con la liturgia e il suo primato, al rispetto e risalto dei valori, autenticamente tradizionali e culturali di un dato popolo18.

Di conseguenza, l’evangelizzazione e la purificazione della pietà popolare, sono reciprocamente implicate. Evangelizzare la pietà popolare significa porla in esplicito contatto con il Vangelo, favorendone l’accoglimento visibile, udibile, testimoniato. Nella misura in cui è accolta, la “novità” evangelica opera inevitabilmente la purificazione da ambiguità ereditate da credenze pre-cristiane, religiosità cosmico-naturalistica, concezione pscicologica e ritualità utilitaristica nel rapporto con Dio19.

 

Alla luce della liturgia

 I tre verbi indicati da Sacrosanctum Concilium 13 per i pii esercizi: – siano in armonia con la liturgia, derivino in qualche modo da essa, conducano ad essa – tracciano delle linee anche per educare l’espressione e la visibilità della pietà popolare, i suoi contenuti, formulazioni, modi e tempi di svolgimento. Eloquente è la scelta del Direttorio di aver primariamente adottato l’Anno liturgico come criterio per menzionare le più diffuse forme di pietà del popolo cristiano: una scelta dovuta al fatto che esse sono sorte attorno a giorni e tempi “liturgici”.

La volontà del Concilio di aprire ai fedeli con maggior abbondanza i tesori della Sacra Scrittura (cf SC 35), stimola e guida nell’educare in tal senso anche la pietà popolare. «Essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica»20, la pietà popolare dev’essere educata a sostenersi respirando l’ossigeno della Rivelazione. Alcuni pii esercizi di collaudata tradizione e diffusione sono sostanzialmente radicati nelle pagine del Vangelo (Angelus Domini, Rosario, Via Crucis). Non si tratta di sottrarre semplicità e facilità alla pietà popolare, infarcendola di lunghi testi biblici, quanto di promuovere la consapevolezza che il contesto necessario della preghiera cristiana è offerto dalla Sacra Scrittura21. Non si tratta di trasformare in celebrazioni della Parola i pii esercizi, quanto di ispirarsi al modello della liturgia, consapevoli che «poiché alle espressioni della pietà popolare si riconosce una legittima varietà di disegno e di articolazione, non è certo necessario che in esse la disposizione delle pericopi bibliche ricalchi in tutto le strutture rituali con cui la liturgia proclama la Parola di Dio»22. Un esempio per intenderci: un testo di Via Crucis in cui sono i passi evangelici del Passione del Signore a suscitare la meditazione e la preghiera, è preferibile rispetto ad uno in cui sono i sentimenti umani a fare da motore.

 Lo spirito che ha rinnovato la liturgia deve informare, analogamente, la pietà popolare. La partecipazione piena, consapevole e attiva desiderata per le celebrazioni liturgiche (cf SC 14) è di per sé connaturale alle forme di devozione popolare, dove gesti, parole e canto esprimono l’anima di un popolo. Tuttavia, è un rischio concreto quello di vedere una manifestazione di pietà popolare, una volta coinvolgente tutti in prima persona, trasformarsi oggi in una sorta di spettacolo folkloristico che la gente si appaga di ammirare, meritandosi il medesimo rimprovero di “muti spettatori” che Pio X muoveva circa l’assistenza passiva alla liturgia.

Come la partecipazione attiva alle celebrazioni liturgiche è favorita da acclamazioni, ritornelli, canto di salmi e cantici, spazi di silenzio, gesti e atteggiamenti del corpo (cf SC 30), così anche la pietà popolare non dovrebbe mai smarrire il coinvolgimento diretto che la caratterizza originalmente: è da valorizzare ad esempio la predilezione della gente per la ripetizione corale di espressioni di lode o di supplica (formule litaniche derivate da modelli liturgici), evitando però di scadere nell’abitudine, nella ripetizione meccanica e nell’esagerazione.

 

All’incrocio tra liturgia e pietà popolare si trovano le Benedizioni. Il Benedizionale23 contiene una ricca proposta celebrativa che aiuta a disegnare, ispirandosi a sequenze derivate dal modello liturgico, momenti di preghiera che vitalizzino consuetudini e devozioni popolari (benedizione al mare, a un fiume, a una sorgente, al pane, al vino, all’olio, ecc.), situazioni di malattia, di dolore, di ringraziamento personale, familiare e sociale; sono presenti anche riti di benedizione per immagini sacre, corone del Rosario, oggetti di pietà.

Educare la pietà popolare ad armonizzarsi alla liturgia, derivare da essa e ad essa condurre, non significa però commistione né confusione con la celebrazione liturgica. Così il Direttorio:

 «Da una parte, si deve evitare la sovrapposizione, poiché il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Similmente, è da superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche: va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici. Dall’altra parte, si eviti di apportare modalità di “celebrazione liturgica” ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità, il proprio linguaggio»24.

 In tale ottica, educare la pietà popolare sospinge a non mutarle i connotati, ma a rispettarli custodendone la natura, i valori, la funzione, la carismaticità, la semplicità, la spontaneità…

 

 Conclusione

 Da quanto esposto finora, si comprende quale sia il compito di religiosi e religiose al fine di far maturare, nelle loro comunità prima e quindi nel popolo di Dio, il sapiente rapporto tra liturgia e pietà popolare. La revisione post-conciliare di Regole e Costituzioni si è dovuta confrontare, in vario modo, con questa realtà. La preghiera liturgica sta certo al cuore della vita consacrata al servizio di Dio e dei fratelli: «Mezzo fondamentale per alimentare efficacemente la comunione col Signore è senza dubbio la santa liturgia, in modo speciale la Celebrazione eucaristica e la Liturgia delle Ore» (Vita consecrata 95); ma ciò non significa trascurare o disprezzare il ruolo di esercizi e pratiche di pietà ereditate dal passato o fiorite nel presente.

L’invito è di promuovere il sapiente rinnovamento di queste pratiche armonizzandole con la liturgia, lasciando perdere gli elementi caduchi o soggetti all’usura del tempo, così da valorizzare gli elementi perenni che recano in sé. Già Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Marialis cultus, al n. 24, sottolineando il rinnovamento - talora la necessaria revisione di forme di pietà mariana - chiamava in causa anche gli Istituti religiosi: «Ciò dimostra la necessità che le Conferenze episcopali, le Chiese locali, le famiglie religiose e le comunità dei fedeli favoriscano una genuina attività creatrice e procedano, nel medesimo tempo, ad una diligente revisione degli esercizi di pietà verso la Vergine; revisione che auspichiamo rispettosa della sana tradizione e aperta ad accogliere le legittime istanze degli uomini del nostro tempo».

 I religiosi non possono esimersi dalla vocazione di presentarsi ancora oggi come modelli di orazione cristiana (cf VC 38-39). Parlando di tempi, ritmi e modi di preghiera, sant’Agostino additava gli eremiti come esempio di incessante preghiera:

«Sappiamo che gli eremiti d’Egitto fanno preghiere frequenti, ma tutte brevissime. Esse sono come rapidi messaggi che partono all’indirizzo di Dio. Così l’attenzione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessiva dell’orazione… Lungi dunque dalla preghiera ogni verbosità, ma non si tralasci la supplica insistente, se perdura il fervore e l’attenzione. Il servirsi di molte parole nella preghiera, equivale a trattare una cosa necessaria con parole superflue. Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore. Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime, che con i discorsi» (Liturgia delle Ore, Ufficio delle letture, lunedì della XXIX settimana).

 

Torna indietro