Un giorno un certo Rabbi passò davanti alla sinagoga. I suoi
discepoli osservarono che, contrariamente a quello che era solito fare,
non vi entrò. Gliene chiesero il motivo. Egli disse:
- Non vedete quanto è ingombra?
- Ma no! – replicarono – Sono usciti
solo poco fa gli ultimi devoti.
- Il Rabbi rispose:
- Sì, hanno detto parole su parole. Ma
poiché la loro preghiera non era maturata nel silenzio e non veniva dal
cuore, le parole non andavano oltre il soffitto. E così sono tutte lì, a
ingombrare la sinagoga. Io non ci posso entrare.
In effetti, se le parole sono solamente
un articolare suoni della voce, non c’è preghiera. E il cuore di Dio non
è raggiunto.
Urge ritrovare il silenzio
Nel diventare Chiesa: umanità che ha
trovato come dialogare con Dio e coi fratelli, bisogna dunque asserire
la necessità del silenzio. Non certo un silenzio che è sostanzialmente
mutismo: un tacere apatico, segno del fuoriuscire dalla vita e dalla
storia. Tanto meno un silenzio “armato”: dove si congetturano pensieri
negativi e si sta sulle difensive, prendendo le distanze dal prossimo
col chiudersi nell’arsenale della propria mente giudicante e diffidente.
Nel suo recente documento: “Comunicare
il Vangelo in un mondo che cambia”, il magistero della Chiesa italiana
ha affermato: “La Chiesa è casa, edificio, dimora ospitale che va
costruita mediante l’educazione a una spiritualità di comunione. Ciò
significa far spazio costantemente al fratello, portando ‘i pesi gli uni
degli altri’ (Gal 6,2). Ma ciò è possibile solo se, consapevoli di
essere peccatori perdonati, guardiamo a tutta la comunità come alla
comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno”1.
Nel documento ecclesiale che fortemente
ha segnato il magistero di Giovanni Paolo II, leggiamo: “Spiritualità
della comunione significa anzitutto sguardo del cuore portato sulla
Trinità che abita in noi e la cui luce va colta anche sul volto dei
fratelli che ci stanno accanto” (NMI 43).
Ecco: è su questo tipo di
argomentazioni, che s’innesca il rapporto serio, oggi più che mai
urgente, tra indispensabilità di silenzio e vera comunione.
Senza
capacità di silenzio: la follia
Qualche mese fa uno psichiatra
scriveva: “Senza capacità di silenzio l’uomo è un folle che si agita per
le strade senza sapere dove va e perché si muove” (Vittorio Andreoli).
Nella sua lunga dissertazione, questo
pensatore e scienziato denuncia il nostro tipo di società che si perde
su strade di confusione sempre più “globale” perché va uccidendo
dappertutto il silenzio, perfino – dice – nei monasteri.
Rendersi consapevoli che ciò purtroppo
è vero, non significa deprimersi o, per reazione opposta, abbandonarsi
alla corsa di un attivismo sfrenato che ci prende nel vortice del “fare”
e delle “parole” a svantaggio dell’“essere” e del “comunicare”.
Attenzione! Oggi si parla molto di
comunicazione, dell’urgenza e dell’utilità del comunicare. Ma senza
contenuti fortemente impregnati di un Amore nato da quella
contemplazione che chiede di diventare in noi vita di carità, che cosa
comunichiamo? Forse anche a causa di sempre più prestigiosi mezzi
tecnologici, la comunicazione avviene, ma spesso a base di uno
scintillio a volte quasi psichedelico d’idee aberranti o fredde o
comunque incapaci di penetrare nel cuore, di ravvivarlo, di sospingerlo
sulle strade della Vita che è Cristo Signore.
C’è
un nesso segreto tra silenzio e parole vere
Il silenzio alimentato dalla Parola di
Dio è fucina di idee e comunicazione di ciò che è vivificato al fuoco
dello Spirito, dentro una vita guidata dallo Spirito. “Non ci facciamo
illusioni: – scrive Giovanni Paolo II nel documento già citato – senza
un vero cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti
esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere
di comunione più che sue vie di espressione e di crescita” (NMI 3).
E dove si radica un vero cammino
spirituale se non, anzitutto, nel silenzio? Scrive il Cardinal Carlo
Maria Martini: “Se in principio c’era la Parola e dalla Parola di Dio,
venuta tra noi, è cominciata la nostra redenzione, è chiaro che, da
parte nostra, all’inizio della nostra storia personale di salvezza, ci
deve essere il silenzio”2.
E’ nel silenzio, silenzio colmo di
attenzione reciproca, che avviene l’incontro tra due che si amano. Non è
al mercato che, gli occhi negli occhi, due amanti si cercano. Non è nel
chiasso che avviene l’intesa profonda. Così è nel nostro intimo rapporto
con Dio. Senza interiorità, senza dimorare con Lui in silenzio, non c’è
unione.
In principio di tutto è dunque il
silenzio. E se il silenzio è vero, cioè vivo del nostro contemplante
sguardo su Colui che ci ama e da cui siamo amati, tutto il resto viene
come necessaria conseguenza.
Coltivare il silenzio per
essere comunità
L’intesa di una comunità, il dialogo
tra sorelle e lo sforzo di crescere nonostante il ritrovarsi spesso
diverse nelle idee e nella sensibilità, ha assolutamente bisogno di un
fiume sotterraneo: il silenzio contemplativo del cuore di ciascuna e di
tutte. Questo è stato sempre vero e la lunga tradizione degli scrittori
spirituali ce lo conferma. Oggi però, per il moltiplicarsi dei mezzi
d’informazione e di comunicazione e per il prevalere della vita
esteriore su quella interiore, c’è una grande inflazione di parole che
soppianta il silenzio.
Il 2 marzo 1966, nel suo diario, Thomas
Merton denunciava questa “nostra epoca soffocata dalle parole, da
dibattiti insensati e inconcludenti in cui, in ultima analisi, nessuno
ascolta nulla se non quello che si accorda con i propri pregiudizi.
Eccessiva questa dichiarazione?
Comunque è importante fare chiarezza. Spesso il malessere che si vive in
certi ambienti comunitari ha questa causa prioritaria: ognuna gira come
una trottola dentro il proprio gran “da fare”, ma non è se stessa. Anzi,
non sapendo come diventare se stessa o provando sofferenza per gli
inutili sforzi su strade non “assolate” da Cristo-Amore, finisce per
cercare lo stordimento di quello che, sulle prime, sembra realizzazione
di sé: pseudo apostolato, assistenza sociale, interessi vari.
Naturalmente, dentro questi meccanismi
psicologici, ciò che sembra valvola di sicurezza è il girare alla larga
dalle sorelle. Cercare comodi sentierini d’individualismo dove, se mai,
l’incontro con chi sta fuori della comunità può, sulle prime,
gratificare. Il guaio è che la vita sempre più è all’insegna
dell’esteriorità e il cuore profondo, il vero “sé” viene esiliato,
soffocato.
Etty Hillesum, stupenda giovane ebrea,
i cui scritti dal campo di concentramento nazista stanno illuminando
molti, scrive: “La nascita di un’autentica autonomia interiore è la
presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto o appoggio o
rifugio presso gli altri, mai: che gli altri sono altrettanto insicuri,
deboli, indifesi. E ancora: “Quando hai una vita interiore, poco importa
da quale lato del cancello di un campo di concentramento ti trovi”. Una
“vita bella e ricca di significato anche e soprattutto nella nostra
epoca (così Etty si esprime) è possibile solo se la persona sta
maturando nella propria vita interiore”. Ed è a causa della sua vita
interiore che questa giovane è una grande comunicatrice di pace a tutti.
Che cos’è questo maturare per noi se
non scoprire gli itinerari del Cantico dei Cantici nel nostro cuore
sposato a Dio? E ciò non può avvenire senza spazi di silenzio!
La Parola di Dio, contattata a mo’ di
Lectio Divina ogni mattino, non solo orienta su questi percorsi, ma dice
– giorno dietro giorno – quello che va approfondito o sfrondato nella
propria vita: non appoggiata agli altri, ma a servizio degli altri.
“Abbiate sale in voi e pace tra voi” (Mc
9,50). Il monito di Gesù è un’indicazione precisa per i nostri percorsi
comunitari.
Sale come sapore di
vangelo
“Sale” è sapore sapienziale alle
nostre giornate, viene dal saperci aprire a tutto il messaggio di Gesù,
accettando la sfida rivoluzionaria del discorso della montagna. Se lo
Sposo è con noi perché gli facciamo spazio negl’indispensabili tempi di
silenzio lungo la giornata (almeno al mattino e alla sera), come non
avvertiremo che “se amiamo solo quelli che ci amano, siamo come i
pagani?”.
Se la Parola dello Sposo, durante la
partecipazione all’Eucarestia, viene “assorbita” e poi ruminata nelle
“zone rubate” all’invadenza del chiasso durante il giorno, come a poco a
poco non percorreremo le vie della vita? Accetteremo allora con gioia di
“perdere la nostra falsa vita” gonfia di risentimenti e suscettibilità,
di pretese competitive, di attaccamenti indebiti a realtà caduche, per
trovare la nostra vita autentica: la profondità del cuore abitato dallo
Sposo, illuminato e guidato dallo Spirito Santo e dalla sua pace?
Pace tra noi: atmosfera di
comunione
“E abbiate pace tra voi” dice Gesù.
Ecco la chiave segreta per entrare in un ambito di comunione. Se la rosa
apre i suoi petali al sole, è se stessa. E profuma. Quando tu apri
fiduciosa il cuore allo Sposo, sei te stessa. E la sua pace ti abita. Il
suo profumo si comunica intorno a te. Proprio di cuori abitati
personalmente dalla pace di Dio è fatta la pace tra sorelle che,
insieme, cercano il Signore su percorsi di Vangelo, anzi di Beatitudini
del Regno.
Non sono le affinità elitarie, il
cercarsi per realizzare cose anche buone insieme, schiacciando il pedale
della simpatia, del sintonizzare solamente su parametri umani ciò che fa
delle nostre comunità degli ambienti di comunione. E’ piuttosto il
sedere insieme, nella gioia, al convito del “vino nuovo”, accettando che
tutto diventi “nuovo” in me e tra noi: dentro gli “otri nuovi” che sono
parametri, mentalità, logiche di Vangelo, senza annacquamento (e
avvelenamenti!) del cedere alla mentalità di questo mondo.
Sale di sapienza evangelica dunque è
ciò che fruttifica pace in noi e attorno a noi. Il silenzio è la radice
che le acque del pregare la Parola fortificano e fanno sprofondare nella
terra del nostro incontro sponsale con Gesù. E il “sale” è ciò che detta
al nostro agire anche le potature del caso. Se la mente si educa a un
pensare positivo, la calma ci abita e le parole sono quelle che devono
essere: pacate e non eccitate, aggressive. Non spilli di provocazioni
sottili, non lance di spade di difesa e offesa, non zavorra di inutili
notizie perdigiorno.
Le nostre parole saranno di benevolenza
di mitezza di comprensione di sintonia con quello che l’altra sta
provando, dentro la sua pena o la sua gioia. Parole e atteggiamenti da
beati i puri di cuore, beati i miti, beati i misericordiosi, beati
quelli che preferiscono essere a volte perseguitati ma non perseguitare;
beati, beati! Noi felici già in terra, perché percependoci amate da Te,
Signore, non avremo proprio più nulla da chiedere, tanto meno da esigere
dagli altri, ma verseremo anzitutto in comunità l’essenza profonda della
nostra femminilità: un limpido amore di tenerezza.
Concludendo
Mai da forzate parole, ma proprio dal
silenzio fluisce la comunione nelle comunità di quante sono davvero
consacrate al Signore. Quando il silenzio è “grembo” della Parola
ascoltata e pregata, Gesù nasce dalla persona che, come Maria, ha
imparato a custodirlo a lungo nel suo cuore.
E se siamo configurate a Gesù, nel
silenzioso ascolto della sua Parola si realizza attraverso i nostri
silenzi e le nostre parole, quello che Egli ha invocato: Ti prego, o
Padre, perché essi siano in comunione: una cosa sola tra loro come io e
Te siamo uno (cf Gv 17,11).
1.
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 65
2.
La dimensione contemplativa della vita II,1
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