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Giuseppe
Schillaci, nel suo articolo «Testimoni di fronte all’indifferenza», pone alcuni
interrogativi sulla cultura postmoderna che non possono lasciare indifferenti le
persone consacrate. Egli afferma che:
«… L’era del vuoto si delinea come il tempo in cui non è più necessario pensare,
per cui non occorre più chiedersi il senso della vita, della realtà in generale.
Ora, perché si ritrovi il senso e lo si accolga come un dono è necessario
tornare a pensare. Pensare vuol dire desiderare, domandare, ricercare. E
tuttavia, cosa desiderare nell’epoca della crisi? Cosa domandare? Cosa
ricercare? L’uomo oggi non avverte più tale esigenza. Oggi, se una domanda viene
posta, questa è: perché in fondo cercare? Ma perché ogni uomo si chiede e
ricerca il senso delle cose, della vita. D’accordo! Ma il senso cos’è? E poi c’è
un senso? In ultima analisi, perché tormentarsi tanto a chiedersi il perché?»1.
Forse è vero che l’uomo
contemporaneo non pensa più, lasciandosi trascinare dell’effimero, dalla
chiacchiera vuota e dal nichilismo, perché l’avere ha avuto la preminenza
sull’essere e la ricerca spasmodica di sesso, dominio, ricchezza e
successo ha obnubilato la mente e il cuore, facendogli smarrire la bussola che
lo orientava sul vero senso della vita e della propria esistenza. Siamo nell’era
dell’individualismo, dove ciascuno cerca la soddisfazione dei propri bisogni,
rifugiandosi nel privato e cercando di difendersi da ogni attacco esterno:
avvenimenti, fatti, persone, cose… ma poi? Si è davvero più contenti e più
felici? Ci si sente davvero più realizzati, oppure alla vita tanto agognata e
sognata manca l’essenza, la cosa principale, l’anima?
Risolvere in parte i nostri
affanni quotidiani non sempre ci aiuta veramente a essere di più, a crescere in
umanità, a dare senso a ciò che siamo e a ciò che facciamo, almeno credo… Come
mai, infatti, nella società odierna serpeggia tanta apatia, tanta diffidenza,
tanta paura e tanta indifferenza? Eppure sembrerebbe che la tecnica, il
progresso, abbia migliorato di molto la nostra esistenza, liberandoci, o
cercando di liberarci, da tanti problemi veri o presunti: la ragione si è
emancipata, la legge del più forte domina, purtroppo, sul più debole, la
famiglia che non vuole figli può pianificare le nascite… e, purtroppo, a volte
si ricorre persino all’aborto… Se i vecchi diventano “pesanti” e problematici,
c’è sempre la casa di riposo, per non parlare dell’eutanasia… e così per la
sofferenza, l’handicap, ecc. E, più vicino a noi, se un membro della comunità
crea problemi e difficoltà ci viene la “tentazione” di farlo trasferire in
un’altra comunità…, ma ovviamente trasferiamo soltanto il “problema” da una casa
all’altra, perché dovunque andiamo portiamo noi stesse e il nostro bagaglio
esistenziale… Sono, queste, tutte soluzioni parziali e, a volte, molto negative,
che non riescono a dare un senso alla nostra vita, lasciando tutti e
tutte sempre più scontenti/e e insoddisfatti/e.
Di fronte all’indifferenza
dell’uomo contemporaneo, di fronte ai mille problemi che affliggono l’umanità,
forse può aver senso soltanto la testimonianza di un amore adulto, un amore che
si incarna nelle pieghe più nascoste della nostra società per annunciare a tutti
che Cristo è la nostra vera e unica Salvezza, la nostra Speranza e il nostro
Futuro. In Lui siamo già salvati, anche se non ancora in pienezza. Solo Lui ci
può dare la forza di amare tutti e tutto, al di là di ogni reciprocità e
interesse personale. Egli ci ha insegnato e ci rende capaci, se lo vogliamo, di
amare il prossimo come noi stessi, come Lui ci ha amati e ha dato la Sua vita
per noi. Solo sul Suo esempio possiamo amare tutti con un amore gratuito, vale a
dire prendersi cura dell’altro/a, cercare il suo vero bene, non la nostra
comodità, non il nostro tornaconto, non la nostra tranquillità stagnante…
Forse è tempo di ricominciare a
pensare seriamente alla testimonianza che diamo al mondo e allo scopo
ultimo della nostra esistenza. È tempo di riproporci le domande fondamentali:
chi sono, da dove vengo, dove vado? Qual è il fine della mia esistenza? Perché
sono nata/o, perché vivo? Perché mi arrabatto quotidianamente… Perché ho seguito
questa mia vocazione? Come testimonio ai miei contemporanei che io sono di
Cristo e vivo per Lui?
Siamo venute/i nel mondo,
viviamo un tot di anni, poi scompariamo nuovamente… Se vogliamo che il
nostro permanere nel mondo abbia un significato pregnante, dovremmo lasciare una
traccia profonda del nostro passaggio: traccia nella società in cui viviamo,
traccia nel cuore e nella vita delle persone che ci circondano, traccia nella
Chiesa, traccia nell’Istituto in cui siamo inserite, traccia nella comunità alla
quale apparteniamo. E’ veramente così? Sentiamo che le persone che ci hanno
lasciato (trasferite o defunte) ci mancano? Che hanno lasciato un solco nel
nostro cuore? Sentiamo che la loro presenza ha reso il mondo più bello? Sentiamo
e crediamo realmente che la presenza di una sorella (qualsiasi sorella) in
comunità ci arricchisce interiormente e che la sua assenza ci impoverisce? Se
crediamo realmente nella comunione dei santi, il bene o il male di una sorella
diventa realmente il mio bene e il mio male; il suo impegno o disimpegno, il suo
malessere o il suo benessere diventano anche i miei. Sono convinta che la stessa
cosa accade per ciò che io sono e faccio? Mi rendo conto che io
condiziono la vita degli altri e gli altri condizionano la mia vita, nel bene e
nel male? Qual è il nostro impegno per vivere e testimoniare questa realtà? Ci
riflettiamo, ne parliamo, ne discutiamo insieme?
«Non potete servire a Dio e a
Mammona», ci ricorda Gesù. Io, chi servo realmente, chi voglio servire? Dov’è il
mio cuore? Che cosa ha davvero importanza per me e per la mia esistenza?
Che cosa conta affannarci da
mattino a sera, se poi rischiamo di trascurare i veri sentimenti, se non curiamo
i rapporti umani, se siamo quasi estranee le une alle altre, gli uni agli altri,
se ci lasciamo trascinare alla mormorazione, al gossip? Non possiamo
essere sempre scontente, come non possiamo aver sempre da ridire su tutto e
tutti! Non è questo che cerchiamo, non è questo che può appagare il nostro
cuore, non siamo noi la misura delle persone e delle cose… Domandiamoci, allora,
che cosa conta realmente nella nostra vita, nella nostra comunità: la carità o
l’efficienza? Che cosa cerchiamo? Il nostro sfogo o il bene vero dell’altra/o?
La calma piatta o il confronto costruttivo? Il decidere insieme l’andamento
comunitario o la tranquillante decisione che scende “dall’alto”? Che cosa è più
importante per me, per noi, l’osservanza, il quieto vivere, l’essere
irreprensibile, il sentirmi “a posto”, oppure il farmi prossimo (prendermi cura)
di chi mi sta accanto, il rischiare per far crescere nella vera libertà le
sorelle con cui vivo?
Se ci riflettiamo bene è
possibile curare entrambe le cose: essere osservanti e caritatevoli, stabilire
veri rapporti umani ed essere fedeli agli impegni presi… favorire i rapporti
umani e la vita comunitaria… forse, basterebbe soltanto pensare un po’ di
più prima di agire: pensare a quello che si deve fare, pensare a ciò che si sta
facendo, pensare a ciò che si è fatto… Pensare singolarmente e comunitariamente.
Forse, tutto cambierebbe con un po’ di consapevolezza in più, con la cura di
rapporti umani più autentici, con una vita comunitaria più ricca di stimoli e
più propositiva, con una più profonda vita interiore, una preghiera più
autentica e vitale, un lasciar vivere in me Cristo come ha fatto Maria, come
hanno fatto i santi e le sante di Dio.
La vita non sarebbe più bella e
interessante se fosse vissuta in pienezza, come l’ha vissuta Cristo?
Aiutiamoci in questo,
aiutiamoci ad essere, aiutiamoci a vivere l’essenziale e a lasciar
cadere tutto ciò che ci allontana dal nostro ideale, tutto ciò che disturba il
nostro impegno di seguire Gesù Via e Verità e Vita. Aiutiamoci con l’esempio e
la preghiera, con l’essere e il fare, perché:
Se il Signore non costruisce la
casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
(Sl 127,1-2)
1. Giuseppe
Schillaci, Testimoni di fronte all’indifferenza, in Horeb, n. 38,
p. 6.
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