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Introduzione
“È
un Gesù molto simpatico ... Questo Gesù è amico di tutti... È bello
vedere un Gesù che sa ridere e scherzare ... Mi piace, perché è così
diverso dal Gesù proposto dalla chiesa”. Sono tutti commenti raccolti
dopo la proiezione del film Jesus1
con gruppi di ragazzi in due parrocchie di Roma, e in una parrocchia di
Toronto. Davanti a un film su Gesù, che ha suscitato delle reazioni così
positive, è doveroso riconoscere i meriti del film. Anzitutto, occorre
dire che Young è abbastanza rispettoso della figura di Gesù: non cade
in nessuno degli eccessi psicologizzanti di alcuni dei film della
tradizione. Per la persona di cultura religiosa limitata, o che non
conosce nulla della persona di Gesù, il film può servire come
introduzione alla storia dell’uomo che per noi cristiani è il Figlio
di Dio. La popolarità del film è ben attestata dall’altissimo indice
d’ascolto di RAI-UNO le due sere della prima trasmissione del film.
Se
Jesus è piaciuto ai telespettatori, a un pubblico più scelto,
invece, non è piaciuto affatto. Un gruppo di quaranta studenti di
teologia dell’Università Gregoriana, nel contesto di un corso che
offro sull’immagine di Gesù nel cinema, hanno visionato il film e,
quasi all’unanimità, la loro reazione è stata negativa. In questo
articolo, vorrei indicare anch’io i miei dubbi riguardo a questo film.
L’approccio sarà scientifico-critico, prenderà in considerazione sia
il contenuto del film che il suo stile; l’analisi si farà sullo
sfondo di alcuni altri film della lunga tradizione del film su Gesù.
Una
struttura da teleromanzo
Una
delle prime cose che colpisce quando si visiona Jesus
è quanto sia facile seguire lo sviluppo della narrazione. Il problema
è che questa trama ben strutturata e liscia è in forte contrasto, anzi
in contraddizione, con la struttura dei quattro vangeli. I vangeli non
sono romanzi, non sono drammi teatrali e non sono nemmeno delle
narrazioni in senso stretto. Queste testimonianze di fede hanno una
struttura tutta loro, caratterizzata soprattutto da ellissi: mancano i
dettagli che collegano un episodio all’altro, il tempo è condensato,
l’enfasi cade in genere sulle parole dette da Gesù, e spesso le
circostanze concrete della sua predicazione e dei suoi miracoli non
vengono descritte.
Tutto
ciò evidentemente non si adatta facilmente al mezzo filmico. Nei più
di cento anni di vitae Christi filmiche, un solo regista ha avuto il coraggio di rispettare
sia il testo che lo stile del Vangelo: Pier Paolo Pasolini nel suo Vangelo
secondo Matteo (1964). Il regista di Jesus,
Roger Young opera invece un adattamento molto libero del testo del
Vangelo nello stile del tipico filmato televisivo e del teleromanzo.
Perciò, la struttura di Jesus è caratterizzata da brevi blocchi
narrativi, ognuno con un suo piccolo conflitto drammatico che viene
risolto nel breve tempo del blocco stesso e nessuno dei quali dura più
di tre o quattro minuti. C’è un notevole equilibrio tra l’azione e
i dialoghi e spesso la musica extradiegetica serve come punteggiatura
sia all’interno di un blocco che tra i vari blocchi.
Young
fa uno sforzo notevole per togliere dalla trama la minima stonatura
narrativa, la minima ellisse. Crea ponti narrativi lisci tra episodi.
Spiega e giustifica eventi che nel Vangelo rimangono senza spiegazione:
per esempio, Gesù è amico di Lazzaro e Marta e Maria perché prima di
intraprendere la sua vita pubblica lavora da loro come falegname; Gesù
va alle nozze di Cana perché lo sposo è il suo cugino Beniamino.
Un’altra
tecnica adoperata da Young per rendere più appetibile il testo biblico
è di aggiungere alla trama principale del film una serie di trame
secondarie, pesanti di materiale fittizio, che con il loro contento
drammatico - meglio, melodrammatico - appoggiano la trama principale.
Young include più episodi della guerra terroristica portata avanti
dagli zeloti, per sviluppare i personaggi di Barabba e Giuda; elabora a
lungo la vicenda di Maria Maddalena e la sua conversione, inclusa la
stonatura della sua presentazione a Gesù per raccomandazione di sua
madre Maria. Young dedica molto tempo ai problemi domestici del debole
Erode e ai problemi politici del freddo e duro Pilato e sviluppa il
lungo e melodrammatico episodio dell’interesse romantico di Maria di
Betania per Gesù.2
In
un ulteriore parallelo al teleromanzo, spesso gli eventi rappresentati
in Jesus vengono sviluppati più per il loro carico emozionale che per
la loro corrispondenza al racconto biblico. L’esempio più clamoroso
di ciò è la rappresentazione delle tentazioni di Gesù ripetuta ben
tre volte, tentazioni tutta azione e dramma, ma che poi sono lontane
anni luce dal significato delle tentazioni di Gesù nel Vangelo.
Inoltre, il sottotesto di potere, conflitto e violenza che domina i
rapporti Pilato, Erode e Caifa proprio dall’inizio del film, è una
disastrosa distrazione da ciò che dovrebbe essere la considerazione
principale del film, la storia di Gesù.
Queste
manipolazioni del testo biblico, altro che “contributo poetico”3
di Young, hanno l’effetto di addomesticare fatalmente il testo
evangelico. Alla fine, la trama della vita
Christi creata da Roger Young offre poco più di un filmato
qualsiasi che si vede ogni giorno in televisione: buoni sentimenti,
vicende romantiche, conflitti, emozioni, qualche violenza ed effetto
speciale digitale: la forza trascendentale della vita di Gesù e
dell’evento Cristo non c’è più.
Le bizzarie
Pochi
sono i film nella tradizione della vita
Christi che non includono qualche scena inventata dal regista nella
ricerca di novità o varietà che, egli spera, piacerà al pubblico.
Inevitabilmente questi elementi stonano con il testo e lo spirito del
racconto evangelico, e il desiderio del regista di essere originale
risulta in bizzarie che si estendono da semplice cattivo gusto fino a
vere e proprie eresie. Ne La più
grande storia mai raccontata (1965) per esempio, Giuda Iscariota non
si impicca, ma si butta in una immensa fornace aperta nel cortile del
Tempio; in Re dei re (1961),
la tavola dell’Ultima Cena ha la forma di una “Y” cosicché, dice
il regista, il Signore possa distribuire la comunione ad ogni discepolo
personalmente. Nell’Ultima
tentazione di Cristo (1988), Scorsese include un episodio da puro grand
guignol, nel quale, grazie ad
effetti speciali, Gesù tira fuori il cuore dal suo petto e lo offre ai
discepoli: è l’omaggio di Scorsese all’immagine del Sacro Cuore nel
salotto della nonna a Brooklyn.
Il
regista di Jesus non resiste
alla tentazione di creare qualche sua bizzaria. Come si è già detto,
Young sottopone il suo Gesù a ben tre episodi di tentazione: in
apertura, l’incubo che anticipa la classica scena delle tentazioni;
poi quella scena, più bizzarra che classica: Young rappresenta Satana
come una donna seduttrice che poi si trasforma, grazie ad effetti
speciali digitali, in uomo, e finalmente, un’ultima tentazione
nell’orto degli ulivi. Il giorno dopo il Sermone sulla Montagna,
evento rappresentato in stile talk-show
nella stessa spettacolare scenografia della montagna con un bellissimo
lago sullo sfondo, Young rappresenta la chiamata dei dodici apostoli
come se fosse la selezione dei concorrenti per un quiz
show in televisione. Gesù, sul palcoscenico dell’anfiteatro
creato dalla collina, chiama giù gli apostoli uno per uno. Alla
chiamata, ciascuno si alza, riceve gli applausi dei vicini e scende giù;
quando l’ultimo apostolo viene chiamato, il gruppo sul palcoscenico fa
pensare a una squadra di football vincente con l’allenatore. Nella
prima parte del film, Gesù obbliga Giuda a dare ai poveri i soldi che
ha raccolto. Si tratta di trenta monete d’argento, che poi Giuda getta
verso un gruppo di poveri, gridando, “Ecco un regalo dal Messia”.
Evidentemente, Young vuole così chiarire la motivazione di Giuda per il
susseguente tradimento di Gesù per trenta monete d’argento. Ma
l’episodio è del tutto artificioso, spicciolo ed inutile.
Anche
alla tentazione di usare effetti speciali digitali il regista di Jesus
non resiste: il risultato, almeno in un’istanza, è una bizzaria alla
quale perfino i ragazzi a cui è molto piaciuto il film hanno reagito
con derisione. Nella conclusione dell’episodio del battesimo di Gesù,
che Young estende per ben due giorni, e al momento dell’epifania di
Dio, il sole si stacca dal cielo, scende in zig-zag, come una
spettacolare stella a più punti, verso Gesù, si ferma drammaticamente
davanti a lui ed entra nel suo petto. L’effetto speciale, tanto
spicciolo e volgare quanto inspiegabile e superfluo, stona
terribilmente.
Chi
è questo Livio?
Senz’altro
l’invenzione più clamorosa di Roger Young è il personaggio di Livio.
Cittadino romano del tutto fittizio, Livio appare ben tredici volte nel
film, in qualche occasione alla presenza di Gesù ma soprattutto alla
presenza di Ponzio Pilato, Erode e Caifa. Il regista rappresenta Livio
come “storico di Cesare ... la sua spia:” l’uomo conosce meglio di
Pilato la situazione politico-religiosa in Palestina e gli serve da
consigliere. Per di più, Livio domina Erode e manipola Caifa. Questa
ingegnosa associazione di una figura del tutto fittizia con tre figure
storico-bibliche è un’operazione insidiosa perché nella mente del
tipico telespettatore Livio così diventa una figura evangelica.
Il ruolo di Livio
diventa cruciale è durante la Passione. Quando Gesù è davanti a
Erode, è Livio che accusa: “Minaccia il paese, incoraggia la
ribellione... proclama di essere re”. Quando Gesù è presentato alla
folla da Pilato, è Livio che incita tutti a gridare per la liberazione
di Barabba e sul Calvario, quando Gesù prega, “Padre perdonali perché
non sanno quello che fanno”, Livio risponde con una battuta tanto
violenta e crudele quanto volgare: “Sappiamo esattamente quello che
facciamo, Messia, ti stiamo uccidendo.”
È
chiarissimo che Young crea il personaggio fittizio di Livio per togliere
la responsabilità della morte di Gesù dalle storiche autorità
religiose ebraiche. C’è un precedente per questa particolare
operazione di fiction, cioè Gesù
di Nazareth (1977). Nel film di Zeffirelli, il responsabile per la
morte di Gesù è il personaggio fittizio, Zerah, un ebreo associato
all’assemblea dei sacerdoti; in Jesus,
nel fare di Livio un romano, per di più apertamente anti-semitico,
Young effettua una decisamente più larga distanziazione tra la colpa
per la crocifissione e le autorità ebraiche, e quindi una maggiore
falsificazione del testo evangelico.
Gli “omaggi” ad
altri film su Gesù
Nell’arte
cinematografica è più che lecito che un regista faccia riferimento ad
altre opere cinematografiche che rappresentano tematiche parallele a
quelle del suo film. L’omaggio è un breve riferimento, una singola
ripresa; è trasparente e ha due scopi: vuole sottolineare la
corrispondenza tematica tra i due film e vuole riconoscere
l’importanza del film citato.
Si
potrebbe immaginare che in un film recente su Gesù, l’autore voglia
rendere omaggio ad uno o più dei tanti film nella lunga tradizione di
questo genre. E infatti, Roger
Young più volte fa riferimento ad altri film su Gesù però non sono
brevi citazioni ma elementi estesi nel suo film, il design dei quali viene da altri film. Questa procedura, che risulta
in una specie di collage, un pastiche tipico dello stile postmoderno, è
problematica soprattutto perché gli elementi che Young imita vengono
dai film più limitati della tradizione e sono scelti non perché sono
elementi cruciali di un autentico ritratto del Gesù del Vangelo, ma per
una varietà di altri motivi a dir poco discutibili in un film su Gesù.
Nell’apertura
del suo film, per esempio, Young si ispira a due film della tradizione.
Il primo film spettacolare su Gesù, Il Re dei re (1927), girato dal
grande showman-impresario Cecil B. DeMille, inizia con una sequenza del
tutto fittizia: Maria Maddalena, cortigiana e fidanzata a Giuda
Iscariota lascia una festa mondana nella sua lussuosa villa per portare
via il suo fidanzato dall’influsso negativo di quel giovane
predicatore da Nazaret; quando la Maddalena arriva da Gesù,
spontaneamente la lasciano sette demoni e si converte drammaticamente.
DeMille, non avendo molta fiducia nel testo evangelico, intende
garantire l’attenzione del pubblico con questa sequenza drammatica e
sexy. Nicolas Ray, regista di Re
dei re (1961) inizia il suo film con un prologo, che pretende di
rappresentare la prestoria della vita di Gesù e il bisogno del popolo
ebraico di un Messia; infatti la sequenza, una serie di violentissimi
massacri di ebrei zeloti da parte di soldati romani, ha lo stesso scopo
“panem et circenses” della sequenza soft-porn di Il Re dei re.
Anche
Roger Young sceglie l’approccio di fiction e “sesso e violenza”
per aprire il suo film. I primi trenta minuti di Jesus
sono un montaggio di brevi scene che mescolano qualche elemento
vagamente evangelico con elementi di violenza politico-militare:
l’arrivo di Pilato con l’esercito romano, i primi scontri tra Pilato,
Erode e Caifa, e perfino un attacco violento da parte di soldati romani
alla casa di Giuseppe e Maria, dove cercano le dovute tasse; poi
aggiunge qualche elemento sentimentale: Maria, sorella di Lazzaro, si
innamora di Gesù e poi Giuseppe muore nelle braccia di Gesù. Young non
ha grande fiducia nel testo biblico e come i suoi predecessori,
inserisce questo melodrammatico materiale extrabiblico per captare e
tenere bene l’attenzione del pubblico.
Al
film scandalo del 1988, L’ultima tentazione di Cristo, Jesus
si riferisce in più elementi. Il violento incubo di Gesù col quale
Young apre il suo film, viene dall’Ultima
tentazione. Poi c’è la questione delle donne. Dopo Jesus
Christ Superstar (1973), che include donne nella sequela di Gesù,
Scorsese ne L’ultima Tentazione
elabora notevolmente la fiction conferendo a donne un ruolo dominante
nel suo film: nelle tentazioni, nella vita sentimentale squilibrata di
Gesù, all’Ultima Cena, e nella famigerata sequenza dell’ultima
tentazione. Anche se il regista di Jesus
toglie dalle donne il minimo profumo di scandalo - giusto e doveroso in
un film che aspiri a una distribuzione televisiva mondiale - tuttavia
egli dà loro un ruolo dominante: una delle identità del Satana
tentatore è femminile; Maria la madre, le sorelle di Lazzaro e poi
Maria Maddalena accompagnano Gesù dappertutto. Però, fatto curioso, in
un momento di rara e inspiegabile ortodossia evangelica, ma di
inconsistenza narrativa, Young non ammette le donne all’Ultima Cena.
Se poi Scorsese
interrompe l’agonia di Cristo in croce con la lunga sequenza
dell’ultima tentazione, Young fa la stessa cosa durante la sua agonia
nell’orto degli ulivi, inserendoci l’anti-evangelico episodio
dell’ultima visita del tentatore; l’episodio, che propone in Gesù
la paura di morire invano, contraddice il fatto biblico: nel Vangelo,
Gesù ha paura della morte ma capisce e accetta fino il fondo in senso
salvifico-redentivo della sua morte.
Al
recente film I giardini
dell’Eden (1997) di Alessandro D’Alatri, Jesus
deve la dimensione di attualità che caratterizza i suoi vari episodi
delle tentazioni: un Gesù a cui vengono mostrati i problemi sociali ed
economici del mondo in vari periodi della storia futura, frutto della
violenza visitata dall’uomo su altri uomini a nome di Dio. Al film
colossal, Re dei re, Jesus deve la
strana ed anti-evangelica rappresentazione di Maria, la madre di Gesù,
come sapientona: lei sa più di Gesù e della sua missione che non Gesù
stesso e funziona da direttrice spirituale per lui, ma anche per i
discepoli e per Maria Maddalena. Questo film ha ispirato Young anche
nella sua strana versione del Sermone sulla Montagna: nei due film, Gesù
cammina in mezzo alla folla svolgendo una specie di catechesi leggera
tramite un dialogo fin troppo informale con gli
ascoltatori-partecipanti: nella versione “aggiornata” di Jesus,
con le sue battute spiritose, si ha l’impressione di partecipare a un
talk-show televisivo.
Uno
dei film su Gesù al quale il regista Young non fa riferimento è Il Vangelo
secondo Matteo di Pasolini, e si capisce subito perché. Il film di
Pasolini è duro, in un difficile ed esigente stile anti-spettacolare e
anti-hollywoodiano, un film impegnativo, e il suo Gesù è forte,
eloquente ed esigente, del tutto coerente e senza compromessi nella sua
chiamata alla conversione e alla vita retta, nelle sue critiche
dell’establishment religioso del suo tempo, e nel suo messaggio
dell’amore di Dio e della salvezza che Egli offre all’umanità. È
sintomatico della malaise che afflige il film di Young il fatto che egli
evita a tutti i costi il minimo avvicinamento o riferimento al Vangelo
di Pasolini.
L’altro
film al quale Young evita di fare riferimento è Il
Messia (1975) di Roberto Rossellini, fatto reso ironico dal
ripetuto, anzi esagerato uso del termine “Messia” nel suo film. Il
film di Rossellini è in un sobrio stile didattico, e proprio
dall’inizio il suo Gesù è il Maestro buono, che guida e insegna con
forza morale, convinzione ed efficacia. Roger Young nel suo Jesus,
invece, non vuole insegnare, e certo non vuole un Gesù che insegna. Il
suo è un film soprattutto di intrattenimento leggero, confezionato
apposta per il pubblico televisivo, che solo pretende di essere una vita
Christi seria che vorrebbe edificare.
Questo
Gesù è il Messia?
La
vita Christi di Roger Young soffre delle tante manipolazioni del
testo evangelico operato dal regista, che hanno l’effetto di creare
una narrazione da teleromanzo, molto popolare con il pubblico televisivo
ma svuotata di autentica corrispondenza al testo e allo spirito del
Vangelo. Il film soffre, forse anche di più, del ritratto di Gesù che
Young dipinge, che ne fa un personaggio che non è altro che un’ombra
pallida dell’autentico Gesù del Vangelo.
Il
Gesù del Vangelo è il Messia, e nel suo film, Young fa pronunciare la
parola “Messia” tante volte e da tante persone, però è proprio
l’uso esagerato della parola ad essere un problema, uso esagerato ma
anche troppo informale e spesso scherzoso. Quando i primi due discepoli
insistono che Gesù è il Messia, egli ride dicendo, “Ne siete proprio
sicuri?”. Quando poi Simone, seguendo le istruzioni di Gesù, prepara
la barca per la pesca miracolosa, egli prende in giro Gesù dicendo,
“Sali a bordo, Messia,” e riferendosi al miracolo appena compiuto a
Cana, chiede con ironia se Gesù intende trasformare l’acqua del lago
in vino. A questa battuta, tutti, perfino Gesù, ridono.
Nonostante
la parola “Messia” venga usata spesso in Jesus,
l’unico significato specifico che ha è quello dato dagli zeloti,
“Messia” come leader
militare-politico che dovrebbe liberare il popolo ebraico dalla
dominazione dei romani, il che, stranamente, è anche il modello di
Messia al quale sembrano aderire Maria e Giuseppe. Anche se Gesù
qualche volta nega questo ruolo militare-politico, non propone mai in
modo specifico quale sia il suo ruolo, quale tipo di Messia egli intende
essere. Dice solo di dover “andare per la mia strada,” che la sua
vita “non mi appartiene,” e parla vagamente di portare “la libertà.”
La predicazione limitata
di Gesù
Oltre
a queste banalità vagamente New
Age, e in chiaro contrasto con il Gesù del Vangelo, il protagonista
di Young non parla mai dei grandi profeti dell’Antico Testamento che
hanno profetizzato e prefigurato il Messia. Non parla né di Mosè né
di Giovanni Battista e evidentemente non si identifica con loro; non
parla come profeta e non dà il minimo senso di dover morire come
profeta. Clamorosamente assente dal film è il brano dal Vangelo di Luca
nel quale Gesù legge da Isaia nella sinagoga - “Lo Spirito del
Signore è su di me ...” (Is 61,1-2) - e poi annuncia che “Oggi è
adempiuta questa scrittura ...” (Lc 4,21)
Il
Gesù di Jesus non parla della legge di Mosè, della nuova legge e di se
stesso come il compimento della legge. Nemmeno una volta fa una domanda
radicale sugli ascoltatori e sui discepoli. Non entra in conflitto con i
dottori della legge riguardo al suo modo di vivere il sabato o al loro
modo ipocrita di imporre pesi impossibili sulla gente, e non condanna i
farisei. In fin dei conti, la presenza ed attività pubblica di questo
Gesù è così innocua che alla fine non si capisce affatto perché le
autorità lo fanno fuori alla fine del film.
Sorprendentemente
e in forte contrasto con Il
Vangelo di Pasolini e Il
Messia di Rossellini, la predicazione del Gesù di Young è limitata
ad alcuni brani delle beatitudini - certo non quelle più dure -
pronunciati in un dialogo scherzoso con la folla, e alla prima battuta
di una parabola, “Il regno dei cieli è come un tesoro nascosto
....”. Gesù non parla della preghiera e non propone nessun
insegnamento morale; non viene interpellato dal giovane ricco e non
pronuncia parole dure sul destino dei ricchi.
Questo
Gesù dice la parola “peccato” una sola volta. Non indica il peccato
come condizione universale dell’uomo, dalla quale deve essere salvato.
Non parla della giustizia di Dio, non chiama nessuno alla responsabilità
e alla conversione, e senz’altro non dà il minimo segno di avere la
missione di salvare gli uomini dai loro peccati. Tra i suoi pochi
miracoli, non ne compie nemmeno uno nel quale la guarigione fisica viene
abbinata al perdono dei peccati.
I miracoli segni del
Regno?
In
Jesus, Young rappresenta quattro miracoli di Gesù direttamente, ma
riesce ad offuscare la forza spirituale di questi gesti meravigliosi che
nel Vangelo dimostrano l’amore e la misericordia di Dio, e sono segni
del Regno di Dio già presente in Gesù. Alle nozze di Cana, per
esempio, Gesù resiste a lungo davanti all’aggressiva insistenza di
sua madre e finalmente trasforma l’acqua in vino, ma non tanto come un
gesto di misericordia verso gli sposi quanto per convincere i primi due
discepoli che egli è il Messia. Poi, la forza della pesca miracolosa,
come si è già detto, viene diminuita dall’atmosfera di scherzi che
la circonda. La guarigione delle gambe di un ragazzo, accompagnata da
gesti magici - Gesù copre le gambe con un tessuto - e dalle
incomprensibili grida del soggetto, sa più di circo che non dell’atto
taumaturgico di un Dio misericordioso.
Il
grande miracolo della risurrezione di Lazzaro viene diminuito in
significato da tanti elementi che distraggono lo spettatore dal profondo
significato teologico di questo gesto di Gesù: la messinscena da
grand’opera, in imitazione de La più grande storia mai raccontata, la
dinamica psicologico-affettiva tra Gesù e le due sorelle; i ridicoli
colpi di tamburo sulla colonna sonora - che accompagnano tutti i
miracoli - che suggeriscono gli spettacoli del circo; e lo sguardo
pavido di Gesù dopo il miracolo, che richiama il Gesù squilibrato di
Scorsese. Young accenna altri tre miracoli - l’esorcismo di una
bambina indemoniata compiuto a distanza da Gesù, la moltiplicazione dei
pani e dei pesci, e la guarigione di lebbrosi - ma il fatto che non
vengano rappresentati direttamente, e che gli ultimi due miracoli siano
riportati da Livio e da Erode, diminuisce notevolmente la loro forza e
il loro significato spirituale.
La vita interiore di Gesù
e il suo rapporto col Padre
Il
Gesù di Young non manifesta il minimo segno di aver una vita interiore.
Le poche riflessioni che fa su se stesso, limitate al periodo iniziale
della sua vita pubblica, prendono la forma di lamentele patetiche a sua
madre e di scherzi di cattivo gusto sull’idea di essere il Messia.
Questo Gesù non va mai in disparte a riflettere e non prega mai: i Gesù
di Pasolini e di D’Alatri ne I
giardini dell’Eden, sono gli unici nella tradizione di vita
Christi filmiche che pregano.
Nel
Gesù del Vangelo, la dimensione cruciale che contraddistingue
drammaticamente la sua vita interiore e missionaria proprio
dall’inizio è il rapporto che ha con il suo Padre divino. Nel
protagonista di Jesus, questo
rapporto con Dio come Padre non esiste. In tutto il film, che dura tre
ore, Gesù fa riferimento al Padre poche volte e sono riferimenti
formali, come se stesse leggendo un copione. Il suo rapporto col Padre
non è una cosa vissuta, sentita; non è la profonda realtà
esistenziale che dà forma, specificità e significato alla sua vita.
Questo è particolarmente evidente quando Maria sua madre dice a Gesù,
“Tuo padre sarebbe molto fiero di te,” e Gesù, con un sorriso
ironico, risponde, “Quale dei due?” Maria dice “Entrambi.” Il
rapporto di Gesù con Dio viene ridotto ad uno scherzo, una leggerezza.
Se
il Gesù di Young non dimostra nessun autentico rapporto con Dio come
Padre, non dimostra nemmeno l’esperienza di essere autenticamente
Figlio di questo Padre. Questo Gesù parla una volta della “buona
novella,” ma non identifica mai se stesso come questa “buona
novella.” Per di più, quando fa riferimento alla sua missione, ne
parla in termini generali ed universali. Dice al Tentatore, per esempio,
che Dio lo ha mandato per nutrire “l’umanità ... di libertà.”
Il
regista non permette al suo protagonista di rivelare Dio come Padre di
tutti. Non gli fa predicare l’amore del Padre, la giustizia del Padre,
la misericordia del Padre. Non gli fa raccontare la parabola del Figlio
Prodigo, né altre parabole che rappresentano il rapporto Dio Padre-Gesù
e Dio Padre-uomo. Non annuncia il regno di Dio e, forse l’omissione più
clamorosa del film, Young non permette al suo Gesù di insegnare il
“Padre Nostro.”
La Passione senza passione
Stranamente
per un film che spesso scivola in sentimentalismi, in Jesus
si parla molto poco di amore. Gesù non propone il comandamento di amore
come il compimento della legge e dei profeti, e non dimostra né nella
sua predicazione rudimentale né nel suo comportamento come questo
comandamento va vissuto. Alla fine della sua vita, Young non permette al
suo Gesù la minima consapevolezza che l’esperienza che sta per vivere
è una conseguenza diretta del suo impegno di amore salvifico per
l’umanità. In questo film, Gesù non fa una consapevole svolta verso
Gerusalemme; non c’è la predicazione più decisiva che si verifica
nel Vangelo, e Gesù non va liberamente incontro alla morte come un atto
di amore redentore verso l’uomo, per il perdono dei peccati e per la
sua salvezza.
Se
nei vangeli l’episodio dell’Ultima Cena è l’apice della vita e
della missione di Gesù, un momento che egli vive con piena
consapevolezza e totale impegno, l’Ultima Cena rappresentata da Young
è svuotata di ogni significato autentico. Inspiegabilmente ridotta alle
parole di istituzione, più un accenno al tradimento e un indifferente
commento di Gesù sulla risurrezione, non è un rito sacro ebraico,4
non include né una preghiera sacerdotale di Gesù al Padre (come in
Giovanni), né un atto
didattico (come la lavanda dei piedi in Giovanni).
Young
sembra anche intento a dare poco significato, poi, a ciò che segue
l’Ultima Cena. L’intensità della preghiera di Gesù nell’orto
degli ulivi viene bruscamente interrotta dall’ultima tentazione ad
effetti speciale digitali, e la via crucis, da un violento litigio per
strada tra Pietro e Giuda. Infine la forza spirituale della
crocifissione viene viziata dall’inspiegabile e bizzarra scelta di
scenografia per l’episodio: il Calvario non è una collina ma una
vallata tra due montagne, e dietro la croce di Gesù, è raffigurato un
immenso acquedotto che attraversa la vallata e che domina assolutamente
la scena. Quando Gesù pronuncia le doverose parole, “Padre, nelle tue
mani metto il mio spirito,” la spanna centrale dell’acquedotto
esplode, ancora grazie ad effetti digitali, e una spettacolare cascata
d’acqua cade giù.
La Risurrezione
Nella
lunga tradizione di film su Gesù, l’episodio della Risurrezione
risulta forse la più problematica. In Jesus
Christ Superstar, la Risurrezione non c’è; ne L’ultima
tentazione di Cristo, è suggerita da un strano effetto fotografico
extradiegetico; nei film spettacolari americani degli anni ‘60, la
Risurrezione viene rappresentata in modo spettacolare, ma poco
soddisfacente. L’eccezione alla regola è Il Vangelo secondo Matteo
nel quale la Risurrezione ha una grande forza drammatica e spirituale.
Invece, il regista di Jesus
opta per l’approccio popolare: un breve incontro sentimentale tra Gesù
e Maria Maddalena nel giardino, un’interminabile discussione nel
cenacolo tra il sempre scettico Tommaso e i discepoli. Gesù appare e
conferisce la missione universale a tutti: “Ora andate in tutto il
mondo e predicate quanto avete ascoltato. Annunciate la buona
novella.”
Nel
Vangelo, la missione universale è forte: in Matteo, Gesù proclama
l’autorità che gli è stata data e manda i discepoli ad ammaestrare
le nazioni, «battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo», (Mt 28,16-20); in Marco, egli associa il battesimo con
la salvezza, dicendo «chi non crederà sarà condannato,» e promette
poteri eccezionali a chi crede (Mc 16,15-18); in Luca, Gesù, citando
Mosè, i Profeti e i Salmi, spiega il significato salvifico-redentore
della sua morte e risurrezione e promette lo Spirito Santo (Lc
24,44-49); e in Giovanni, Gesù conferisce lo Spirito Santo e dà ai
discepoli la missione di perdonare i peccati (Gv 20,19-24). Paragonati a
questi, il discorsetto soft di Gesù risorto in Jesus è terribilmente
superficiale e privo di autentico significato evangelico.
Anche
per la conclusione del film, Roger Young sceglie l’approccio popolare.
Volendo suggerire un Gesù risorto universale rilevante soprattutto per
i giovani di oggi, Young sostituisce l’Ascensione con la discesa di
Gesù - ancora effetti digitali - sul molo del porto di La Valletta,
Malta, oggi, dove, vestito di jeans e camicia sportiva, incontra un
gruppo di ragazzi di varie età ed etnie,5
e pieni di gioia, camminano lungo il molo, mentre sulla colonna sonora
si sente una canzone di amore sentimental-popolare dall’americana
LeAnn Rimes, “I believe in you.”
È una happy end che piace ad alcuni, ma nell’optare per una rilevanza
universale sentimental-popolare, il regista perde assolutamente
l’autentica rilevanza del Gesù risorto per il mondo di oggi, cha ha
tanto bisogno di sentire proposta con forza spirituale e anche artistica
l’autentica “buona novella” del Vangelo.
Conclusione
Potrebbe
sembrare inopportuno, se non ingiusto, criticare così fortemente un
film su Gesù. Invece, mi è sembrato doveroso farlo proprio perché
questo Jesus è così
popolare, perché è stato visto e sarà ancora visto da tante persone.
Volevo indicare con chiarezza le debolezze del film, perché quando
viene visto dal pubblico televisivo oppure presentato in parrocchia da
catechisti e capigruppo a volte senza occhio critico davanti a un
prodotto filmico così ben confezionato e pubblicizzato, questo film
rischia di far accettare un Gesù Cristo sbagliato e falso, così
deviando l’attenzione e l’impegno degli spettatori dall’autentico
Gesù Cristo, uomo, Messia, Figlio di Dio e infinitamente più
interessante, stimolante e attraente del bel Gesù, simpatico e
scherzoso, ma in fin dei conti, banale, scialbo e vuoto di questo film.
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