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L'ultima risposta è infallibile
“Alcuni nomi io non li avevo sul mio taccuino”. Così
una giovane religiosa parlava di persone che si erano rese presenti in un
momento di particolare sofferenza. Da allora le sue relazioni con queste
persone, e di esse con lei, hanno imboccato una corsia diversa. Non più
indifferenza; non più anonimato; non più nebulosità; non più soltanto
rispetto; non più soltanto un saluto formale o di convenienza. Ma vicinanza,
solidarietà, relazione amicale, piacevolezza d’incontro, partecipazione,
fraternità, condivisione. Chi prima era lontano, o almeno era considerato come
tale, nei pensieri e nel sentire, ora era diventato una presenza, e, quel che più
conta, una presenza gradita.
Paolo al capitolo 4, versetto 17
della Lettera agli Efesini ha una
formula introduttiva al suo discorso esortativo che presenta una tonalità
solenne e insistente.
Scrive: «Ora dunque vi dico e vi scongiuro nel Signore:
non comportatevi più come…». Concretamente invita i suoi lettori, che molto
probabilmente non erano soltanto i cristiani residenti ad Efeso, a cambiare
vita. A “mutare” pensiero innanzitutto. Gli efesini non dovevano più
comportarsi “come i Gentili con i loro folli pensieri, ottenebrati come sono
nell’intelletto, estranei alla vita di Dio, a causa della loro ignoranza e
dell’indurimento del loro cuore”. Più avanti invita i lettori a
“spogliarsi dell’uomo vecchio, quello del precedente comportamento”, a
“rinnovarsi nello spirito della mente”, a rivestirsi “dell’uomo nuovo,
creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità”.
E’ quella trasformazione profonda che parte dalle radici
dell’essere, dall’intimità più vera, e coinvolge tutto: pensieri,
sentimenti, decisioni, orientamenti, perché, come afferma Gesù, è da lì che
partono le azioni malvagie. E quindi è lì, nell’intimità, che deve avvenire
il capovolgimento, l’inversione di marcia.
Nella stessa Lettera, dopo aver invitato a mutare pensiero,
Paolo continua enumerando le “opere buone” che ne devono seguire:
“ciascuno dica la verità al suo prossimo”, “se vi adirate, non peccate;
il sole non tramonti sulla vostra ira; chi era solito rubare, non rubi più,
piuttosto si preoccupi di produrre con le sue mani ciò che è buono e così
soccorrere chi è in necessità”. E’ quel capovolgimento di vita, è
quell’inversione di rotta, è quell’imboccatura di una corsia diversa, che
Zaccheo impone a se stesso: “io do ai poveri la metà dei miei beni e se ho
rubato a qualcuno gli restituisco il quadruplo”.
Paolo continua: “estirpate in mezzo a voi ogni asprezza,
animosità, collera, maldicenza, clamore, ogni cattiveria”. Non sfugge nulla
all’apostolo. Urge defilarsi da ogni cattiveria, nelle sue molteplici
espressioni. Non sarebbe corretto cambiare strada e poi tornare a raccogliere
fiori sui sentieri abbandonati. Certo, non sarebbe corretto, ma… la fragilità
è tanta che il Signore, pur ordinando all’adultera: “va’ e d’ora in poi
non peccare più”, sa che l’uomo ha bisogno di perdonare e di essere
perdonato da Dio e dai fratelli e dalle sorelle “settanta volte sette”.
Per questo si parla e si scrive di conversione continua. Di
vigilanza costante, assidua. Di autocontrollo continuativo. Si tratta per
esempio di:
-
ammettere le proprie fragilità per riorientare
l’esistenza ai valori alti;
-
cambiare
la violenza o la voglia di vendetta, che può stabilire la sua residenza nel
cuore di tutti, in volontà pacifica; in gesti concreti di riconciliazione;
-
mutare l’ansia del possesso di cose o persone in
distacco e spoliazione;
-
superare la logica della rivalsa con quella del perdono;
-
scoprire le necessità fittizie, i desideri inutili ed
essere
-
veri con se stessi per esserlo con Dio e con il prossimo;
-
sostituire
le gelosie e le rivalità, le chiusure, l’isolamento, con godimento
sincero, partecipazione vera: “piangete con chi piange; godete con chi
gode” avverte ancora Paolo.
Giovanni Paolo II al n. 43 della Novo millennio ineunte parla della necessità di respingere “le
tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione,
carrierismo, diffidenza”.
Ma convertirsi nella verità è
anche affidarsi all’amore misericordioso del Padre e lasciarsi condurre da
lui, per le vie che soltanto lui conosce e perciò soltanto lui può rivelare.
Egli è il Padre buono, che non vuole la morte del peccatore, ma fa di tutto
perchè questi si “converta e viva”. E’ un Dio compassionevole, che non si
stupisce per le fragilità umane, non giudica, ma salva; non condanna ma
guarisce.
E’, come direbbe san Paolo,
“camminare nel Signore, radicati e fondati in lui”. E’ non lasciarsi
ingannare con la filosofia, con il solo ragionare umano e non secondo Cristo.
E’ essere sepolti e rinascere a vita nuova, sino a raggiungere la pienezza in
Cristo. E’ rompere i legami, utilizzando una espressione di san Leone Magno,
con il passato. In uno dei suoi discorsi, rifacendosi a Paolo diceva:
“Deponiamo dunque ‘l’uomo vecchio con la condotta di prima’ e poiché
siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne.
Riconosci, cristiano, la tua dignità, e, reso partecipe della natura divina,
non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna”. E ne
dà le ragioni: “Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro.
Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella
luce del Regno di Dio”.
E’ un impegno; ma è
innanzitutto e soprattutto un dono. Se accolto e corrisposto ha come fine ultimo
il raggiungimento della piena maturità in Cristo; o l’essere assorbiti da
lui, ma è la stessa cosa, sino ad aver assorbito il suo pensare, il suo volere,
la sua capacità d’amore e di dono, di servizio e di dedizione. Null’altro
può più interessare o meglio tutto interessa, ma in una visione e con modalità
diverse.
Poco a poco si supera lo
sbarramento dell’io e si stagliano gli orizzonti di Dio. Si supera il piccolo
cabotaggio personale e si assume l’illimitatezza dell’Amore di Dio.
Perchè una conversione ad ampio spettro porta ad assumere
uno sguardo diverso, anche verso la creazione, giacché il futuro di essa esige
rispetto del presente.
Il buon ladrone sulla croce,
acchiappato all’ultimo momento direttamente da Gesù, va con lui in Paradiso:
riconosce e ammette il dramma, in cui si è volontariamente catapultato, a
motivo della propria meschinità, ma accoglie l’offerta di vita e di salvezza
che gli giunge impellente da Colui che è salvezza e redenzione; si lascia
redimere e va dritto alla letizia eterna: “Ricordati di me, quando sarai nel
tuo regno” è la sua invocazione. “Oggi sarai con me in Paradiso” è la
risposta infallibile.
A una conversione radicale
corrisponde una certezza assoluta.
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