In occasione della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù,
Benedetto XVI ha inviato ai giovani un Messaggio intitolato:
«Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete
testimoni» (At 1,8). È un’opportunità per una riflessione spirituale sul
brano degli Atti degli Apostoli che contiene questa frase (At 1,6-8).
Il testo biblico
«Così, venutosi a
trovare insieme, gli domandarono: “Signore è questo il tempo, in cui
ricostruirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi
conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta,
ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete
testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli
estremi confini della terra”»
(At 1,6-8).
Siamo nel prologo del libro degli Atti degli Apostoli, dove
Luca mette in relazione il suo secondo libro con il primo. Nel periodo
dei quaranta giorni tra la Pasqua e la Pentecoste, il Risorto appare
frequentemente e si intrattiene convivialmente con gli apostoli,
parlando loro del Regno di Dio. Il che li induce a porre la domanda:
“Signore è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?”.
Domanda che mostra come la comprensione dei discepoli circa il Regno di
Dio fosse piuttosto confusa o, quanto meno, bisognosa di maturare. Essi
attendono ancora la restaurazione del regno glorioso di Davide, dando un
contenuto nazionalistico al Regno di Dio.
Il Risorto non chiarisce l’equivoco, lasciando allo Spirito
questa ulteriore chiarificazione. Ma neppure risponde al “quando”,
limitandosi a non soddisfare la curiosità relativa al tempo del
compimento finale. Il senso è chiaro: bisogna aver fiducia in Dio che
guida con sapienza le cose, intervenendo al momento più opportuno per la
realizzazione del suo piano di salvezza.
Probabilmente nelle comunità cristiane serpeggiava una
certa impazienza escatologica e Luca vuol dissipare sin da principio
ogni dubbio: il tempo che attende gli apostoli è il tempo della Chiesa,
quello della missione, non della fine imminente. È il tempo della
missione mossa dallo Spirito, che sarà dato ai discepoli perché possano
essere testimoni. Grazie alla “discesa dello Spirito” gli apostoli
saranno in grado di dare testimonianza, in ogni luogo a partire da
Gerusalemme.
Se la città santa nella prima opera di Luca era il punto di
arrivo, nella seconda opera diventa il punto di irradiazione. Se prima
il grande viaggio di Gesù era iniziato dalla Galilea per arrivare a
Gerusalemme, ora il viaggio del Vangelo parte da Gerusalemme per
arrivare agli “estremi confini della terra”. Il libro degli Atti
presenta questa marcia tribolata, irta di ostacoli, di persecuzione e di
sofferenze, ma irresistibile verso Roma, la città che era al centro di
un mondo unificato da leggi comuni e da strade efficienti, dalla quale
era facile giungere ai confini del mondo abitato.
L’universalismo di Roma si presta bene per Luca per
diffondere il messaggio dell’universalismo cristiano. Il viaggio da Roma
a Gerusalemme rappresenta il cammino da una religione “particolare” (il
regno di Israele) a una religione “universale” (il regno di Dio).
Gli apostoli riceveranno lo Spirito come un dono (cf At
2,38). La forza che lo Spirito elargisce è l’equipaggiamento dei
testimoni (Lc 24,46-48). Lo Spirito di Dio scende sugli apostoli per
renderli idonei alla loro attività, come Gesù all’inizio del suo tempo
era stato abilitato alla sua dallo Spirito Santo (Lc 3,22; 4,1.14).
Gli apostoli saranno testimoni di quel Cristo che “doveva”
soffrire ed essere risuscitato secondo le Scritture (Lc 24, 48s); della
sua vicenda terrena e della conversione; della remissione dei peccati
concessa nel suo nome a tutti, giudei e pagani.
In queste righe c’è tutto il programma del libro degli Atti
degli Apostoli e di ogni apostolo per ogni tempo e luogo.
«Avrete forza dallo
Spirito»
Lo Spirito negli Atti è dynamis: forza, potenza,
dinamismo per la missione. La missione è opera di Dio e non può essere
condotta senza la forza di Dio. La missione va al di là delle
possibilità umane, anche se Dio vuol coinvolgere l’uomo come
collaboratore. Il protagonista, infatti, è Lui, lo Spirito Santo, che ha
già programmato il cammino della missione da Gerusalemme fino a Roma,
per giungere agli estremi confini della terra.
A quel gruppetto di persone, inesperte di viaggi,
sprovviste di preparazione culturale, non particolarmente coraggiose, il
Risorto presenta un programma sorprendente, aprendo prospettive sul
vasto mondo sconosciuto, evoluto, potente economicamente e
culturalmente, nel complesso temibile. Un programma ambizioso e
sconcertante, ma per il quale il Risorto promette lo Spirito Santo.
Forza vuol dire innanzitutto coraggio nell’affrontare situazioni che
sembrano paralizzare le proprie forze, per un supplemento di energia
interiore. Ma forza vuol dire anche possibilità di superare ostacoli
oggettivamente bloccanti. Il libro degli Atti presenta una rassegna di
risultati imprevedibili e umanamente inspiegabili come la conversione di
cinquemila persone il giorno di Pentecoste a seguito del discorso di
Pietro, non certamente a causa della particolare eloquenza di Pietro o
dei suoi argomenti.
Sembra che il Signore dica: non preoccupatevi del futuro,
non abbiate paura e neppure programmate troppo, perché la missione
appartiene a Dio che ha già previsto tutto. Voi accogliete la forza e la
direzione dello Spirito e lasciatevi portare dal suo vento che soffia
dove vuole. Voi sarete testimoni di una salvezza che non è vostra perché
voi non potete salvare neppure voi stessi. Lasciatevi guidare dallo
Spirito lungo le sue vie, anche se misteriose, lo Spirito non è una
forza oscura e cieca, ma conosce le vie, ora diritte, ora tortuose, mai
asfaltate, che portano alla salvezza.
Il primo atteggiamento è la ricettività e la docilità alla
sua azione.
Per questo prega e purifica il tuo cuore. Lo Spirito è dato
in dono a chi lo chiede “con perseveranza”.
«Sarete miei
testimoni»
C’è una testimonianza che solo gli apostoli possono dare:
garantire l’identità tra il Gesù che camminava sulle strade della
Palestina e il Risorto, tra il Gesù con il quale hanno condiviso le
vicende a partire dal Battesimo di Giovanni e il Gesù che ha “mangiato e
bevuto con loro” dopo la morte e la risurrezione. E’ la testimonianza
tipicamente apostolica, riservata ai Dodici, sulla quale è fondata la
fede della Chiesa. La Chiesa è apostolica perché vive della
testimonianza dei Dodici. La prima preoccupazione di Pietro dopo
l’Ascensione è stata proprio quella di ripristinare il numero degli
apostoli, eleggendo al posto di Giuda uno che doveva essere stato un
compagno di Gesù durante il suo ministero terreno e doveva aver vissuto
l’esperienza delle apparizioni pasquali.
L’Israele escatologico, quello definitivo, doveva basarsi
sul “fondamento degli apostoli”, sulla testimonianza dei Dodici circa
identità del Risorto, oltre che sulla realtà della risurrezione. Questa
testimonianza apostolica spiega molte cose anche oggi. La fede e la
tradizione apostolica sono state il criterio in base al quale la Chiesa
ha scelto tra libri “canonici” e libri “extracanonici”. Canonico è stato
considerato quello scritto che rispettava la fede trasmessa dagli
Apostoli, in una tradizione viva. Chi parla di manipolazione da parte
della Chiesa nei confronti delle fonti cristiane, non sa come fosse cara
alle prime generazioni la testimonianza degli apostoli, a partire dalla
quale erano disposti anche a dare la vita.
Per questo motivo a Paolo non viene da Luca riconosciuto il
titolo di “apostolo” in senso “tecnico”, perché non aveva vissuto con il
Signore prima della sua morte e risurrezione. Poteva infatti essere
confuso o accusato d’essere un “visionario” perché non era un “testimone
oculare”. Sappiamo quanto Paolo ne abbia sofferto.
Con Paolo la testimonianza assume un'altra accezione: dalla
funzione storica fondatrice, tipica dei Dodici, si passa alla duplice
funzione: in primo luogo di testimonianza personale di un cambiamento
totale di vita per “essere stati afferrati” da Cristo e in secondo luogo
anche nell’accezione di “predicare la parola del Signore” o
“evangelizzare”.
Paolo definisce Stefano “testimone del Signore” (At 22,20)
e, parlando di sé dice che “rende testimonianza al Vangelo della
grazia”(At 20,24). Testimone è colui che annuncia la buona novella, che
proclama il Cristo, la Parola, il Regno di Dio. In questo senso sono
testimoni Filippo, Paolo e Barnaba, ma anche ogni credente di tutti i
tempi
Anche tu sei testimone quando ti senti di giocare la tua
vita come Stefano, come Paolo, come Barnaba, come Filippo: una vita
dedita alla causa del Regno.
«Con grande forza gli
apostoli rendevano testimonianza»
Siamo al capitolo quarto degli Atti (4, 33) dove viene
presentato il secondo sommario del miracolo della vita fraterna operato
dallo Spirito. Il frutto più sorprendente della vita fraterna, (“un cuor
solo e un’anima sola” e “ogni cosa era fra loro in comune”), non è tanto
il benessere degli interessati, ma qualcosa che ha a che fare con la
missione: è un particolare coraggio ed una grande efficacia nel rendere
testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù.
Il punto più arduo dell’annuncio oggi sembra proprio la
proclamazione della Signoria del Risorto. Come presentarlo, con quali
mezzi fare breccia nella corazza di scetticismo o di indifferenza? Come
rendere plausibile la “qualità diversa” dell’annuncio cristiano, proprio
per l’unicità del fatto della risurrezione?
Il suggerimento che viene da Atti 4, 32-37, è proprio
quello di curare la vita fraterna.
L’impegno a costruire isole di fraternità è il primo segno,
il più formidabile punto di appoggio alla testimonianza cristiana. La
vita fraterna riceve una particolare benedizione per testimoniare il
Signore risorto, perché tocca il cuore dell’annunciatore e del
destinatario. Solo lo Spirito sa toccare i cuori, “aprire una porta”
rendere evidente e dare forza di persuasione alla testimonianza del
cristiano.
Lo Spirito infatti conduce alla missione e la missione
conduce a costruire comunità fraterne nelle quali abita lo Spirito che
dà uno splendore efficace di fronte al mondo, anche quello meno disposto
a lasciarsi condurre sulle vie del Signore.
C’è da chiedersi, come ipotesi di lavoro, se i risultati
non sempre brillanti della missione non siano da mettersi in
collegamento con lo scarso impegno per la vita fraterna.
«Fino agli estremi
confini della terra»
Luca sta scrivendo le imprese dello Spirito, lo Spirito incarnato in
gente comune, che ha avuto la forza di superare le sue paure. Quando c’è
lo Spirito non si ha paura della secolarizzazione, della diminuzione dei
cristiani, del tramonto di alcune forme di vita religiosa. I confini
della terra non sono solo quelli geografici, ma anche quelli culturali,
anche le situazioni limite, anche certe situazioni chiaramente senza
speranza dei nostri giorni. Vi sono sempre state situazioni critiche e
“disperate” per i testimoni, persino quando il mondo era in pace e
sicuro. La speranza del discepolo non si può confondere con quella delle
ottimistiche previsioni di un futuro migliore: la nostra speranza è
posta nelle mani di un Dio amorevole e provvidente. E questa speranza
sostiene nella perseveranza anche in ambienti dove la testimonianza
sembra inutile e sprecata.
Perfino legato in catene, Paolo continuava a testimoniare “senza
impedimento” (At 28,31).
Luca terminando il suo secondo libro ci ricorda che malgrado le
persecuzioni ed il rifiuto, i ritardi e la pigrizia, la proclamazione
del Vangelo continua fino alle estremità della terra, per grazia di Dio,
senza impedimento insuperabile.
Il messaggio del libro degli Atti degli Apostoli è un messaggio di
speranza, prima di essere un invito all’impegno e alla testimonianza.
Speranza che viene non dalle nostre forze, ma dallo Spirito, dato a chi
prega con Maria la Madre del Signore e con l’intera comunità dei
credenti (At 1,12-14).
Pier Giordano Cabra
Via Piamarta, 6 - 25100 Brescia
|