|
|
|
|
La crisi vocazionale è anche crisi di comunicazione e di
linguaggi, di simboli e gesti, di parole e di parabole. Abbiamo ritenuto
per troppo tempo che l’appello vocazionale viaggi quasi automaticamente
per mediazioni casuali o si trasmetta per vie misteriose ma che giungono
sempre a destinazione, ovvero che non sia così importante l’azione
dell’educatore e animatore vocazionale (dai genitori agl’insegnanti, dai
vari educatori all’animatore vocazionale ufficiale…), come se a tutto
bastasse la voce del Dio-che-chiama, irresistibile e vincente.
Peccato che i fatti non confermino questa allegra
presunzione, e che ci ritroviamo, invece, a fare proposte vocazionali
sempre più disertate e snobbate dai giovani, o a programmare
progetti di pastorale vocazionale che suscitano interesse,
nel migliore dei casi, ma non adesione. Come mai?
Credo che il problema sia duplice: di contenuto e di
metodo. E in tale doppio senso lo vorrei affrontare in questa breve
riflessione.
Ricerca di senso
Credo che pochi termini abbiano bisogno oggi d’un salutare
processo di … ripulitura, per recuperare il loro significato originario,
come il termine «vocazione». Il quale suscita immediatamente
nell’immaginario collettivo di chi si sente fare un certo tipo di
proposta, un’idea ben precisa ed esclusiva, che ha a che vedere con
seminari e dintorni, preti o suore, con una scelta dura e anche un po’
strana…
È un po’ il peccato originale di certa animazione
vocazionale, quello d’aver favorito in qualche modo tale restringimento
interpretativo, finendo per rendere meno proponibile il messaggio
vocazionale e scoraggiare in concreto l’adesione giovanile.
Abbiamo tutto l’interesse a tornare al senso autentico del
concetto, poiché ad esso è collegato anche un bisogno originario della
persona, del giovane in particolare, e il senso stesso della vita.
Il Dio chi-amante e l’uomo chi-amato
Vocazione vuol dire chiamata- infatti, e rimanda –
su un piano psicologico - al significato della propria identità e al
percorso che ogni essere umano deve fare per giungere ad avere una
percezione sostanzialmente positiva e stabile di sé. L’identità è
infatti costituita da un io attuale, ovvero da quello che un
individuo è già dal momento della nascita, con le sue doti e i suoi
limiti, e da un io ideale, o da quello che uno è chiamato
a essere, che ancora non è, ma che percepisce come il proprio
progetto ideale da realizzare.
Come si vede, dunque, il concetto di vocazione entra subito
a qualificare il senso dell’io, come suo elemento costitutivo, un io che
non esiste nella sua integrità né può cogliere la propria positività se
non all’interno d’una relazione, con qualcuno (Qualcuno) che lo chiama.
D’altronde esattamente questo significa il fatto d’esser chiamati: se
qualcuno ti chiama vuol dire che sei importante per qualcuno, sei
prezioso ai suoi occhi, c’è qualcuno che si prende cura di te, ti ha
preferito alla non esistenza e ora si preoccupa del tuo futuro, ti fa
una proposta pensata apposta per te e che ti realizza al massimo grado…
Insomma, vocazione vuol dire questo messaggio di positività e dignità, è
buona novella che riconcilia con la vita e con te stesso, e prim’ancora
fa scoprire la presenza d’un Altro, che ha scritto il tuo nome sul palmo
delle sue mani.
Come dire: l’evento della vocazione fa scoprire il volto di
Dio come colui che è l’Eterno chiamante (o chi-amante, poiché chiama
perché ama), e l’uomo come il chi-amato da Dio da tutta l’eternità (o il
prediletto, l’amato da prima), chiamato alla vita e a realizzare un
progetto pensato da Dio per lui.
Chiaro che un discorso così va rivolto a tutti,
senza discriminazioni: è la verità d’ogni creatura, d’ogni giovane che
s’affaccia alla vita. Ma come realizzare tale progetto?
Grammatica vocazionale della vita
Il dono riflette il donatore, così il dono della vita da
parte del Dio chiamante “parla” dello stesso Dio, ne esprime la natura
amante, ne manifesta lo stile. Se Dio è amore, allora, la vita donata
all’uomo è un bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene
donato. Questo è il senso della vita (ma anche della morte, in
quanto compimento estremo del dono della vita), e in ogni caso ci sta a
dire che la vita ha un suo significato che le viene direttamente dal
progetto amante del Creatore, come una regola inscritta profondamente in
ogni esistenza umana, una grammatica che ogni vivente ritrova scolpita
nel suo spirito e nelle sue membra: la grammatica della vita.
Come un processo naturale che non ha bisogno di dimostrazione, perché è
del tutto logico che il dono ricevuto conservi integra la sua identità
di dono e dunque tutta la propria carica altruista, che lo porta per
natura sua a divenire bene donato. Non c’è nessuna forzatura, di alcun
tipo, né moralistica né perfezionista, in questo passaggio dal bene
ricevuto al bene donato; è una tensione naturale. Essa segna il
passaggio dalla prima fase dell’esistenza, quale stagione del bene
ricevuto (dalla nascita all’adolescenza), alla seconda fase esistenziale
(dalla giovinezza alla vecchiaia), in cui la vita diventa un bene
donato, senza che nessuno si senta un eroe. Al contrario, è logico che
vi sia questa connessione tra bene ricevuto e bene donato, non potrebbe
che esser così.
Ma allora, se le cose stanno in questo modo, è evidente il
senso fondamentalmente vocazionale della vita umana. Se la vita è
questo bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato,
allora la vita stessa è vissuta bene quando la persona sceglie
liberamente e responsabilmente di attuare questo passaggio. La vocazione
è precisamente questa scelta, dettata dalla natura e assieme decisa
dall’individuo. Questi dovrà capire che è libero di fare la scelta che
crede per la sua vita futura, ma non è libero di uscire da questa logica
vocazionale, dalla logica del dono, perché se ne uscisse, sceglierebbe
il proprio male, sarebbe come un mostro, vorrebbe la propria infelicità
e sarebbe per sempre infelice.
Ancora una volta, tale proposta del senso vocazionale
della vita sarebbe una proposta “universale”, rivolta a tutti,
non semplicemente a qualcuno o a un gruppo ristretto o a quelli che
sembrano più buoni e disponibili. Al contrario, tale messaggio
vocazionale dovrebbe essere parte d’una catechesi essenziale sul senso
elementare dell’esistenza umana, qualcosa che non consenta a nessuno di
dirsi non interessato o già diversamente orientato. Allo stesso modo, se
questo è il senso vocazionale della vita o se la vita è essenzialmente
accoglienza d’un dono che tende per natura sua a divenire bene donato,
la vocazione non è più qualcosa che si ha o non si ha: tutti hanno la
vocazione per il semplice fatto d’esser viventi e d’esser dunque
chiamati a viver il dono fino in fondo!
Ricerca di consenso
Affrontiamo ora il problema del metodo, del come giungere a
suscitare nel giovane un interesse per la propria ricerca vocazionale,
che si concretizzi poi in una decisione esistenziale.
Alcune attenzioni le abbiamo già indicate, ma molto resta
da dire su un argomento che oggi appare sempre più problematico e
dall’esito così incerto da scoraggiare chi ci dovrebbe lavorare. Vediamo
allora di proporre qualche suggerimento tra i più importanti.
Le convinzioni dell’animatore vocazionale
Anzitutto è fondamentale l’atteggiamento
dell’animatore/animatrice vocazionale e la chiarezza con cui interpreta
il suo ruolo, che non è certo, essenzialmente, quello di portare
vocazioni al suo istituto, bensì quello di aiutare il giovane a
scoprire il progetto che Dio ha sulla sua vita. Finalità
dell’animazione vocazionale non sono i nostri istituti d’appartenenza,
per esser chiari, ma le persone che stanno cercando cosa fare
della loro vita. Sarebbe un’animazione vocazionale mercantile
quella che mira solo o soprattutto a interessi di parte, con esiti di
solito perdenti. È logico che tutti oggi siamo preoccupati per la vita e
le opere delle nostre Congregazioni, ma proprio per questo occorre agire
con intelligenza e rettitudine, senza prendere scorciatoie o fare
gl’interessi propri, ma piuttosto lavorando per la crescita generale
della coscienza vocazionale universale. Se nella chiesa aumenta tale
coscienza e tutti saranno aiutati a scoprire la propria vocazione,
possiamo esser certi che vi sarà anche una crescita delle vocazioni di
speciale consacrazione.
Se da un lato, comunque, diciamo no all’animatore
vocazionale mercantile, dall’altro diciamo no anche all’animatore
vocazionale pauroso e timido, incerto e …fin troppo educato, che si
ritira non appena coglie che l’altro non è abbastanza interessato alla
sua proposta. Chi lavora nella pastorale vocazionale deve credere …non
solo in Dio, ma anche nei giovani, dev’esser animato da questa grande
convinzione: che per tutti e ognuno c’è un piano di Dio e che tutti son
chiamati a far dono del dono ricevuto, nessuno escluso. Lui -
l’animatore - è lì apposta per questo, per promuovere questa coscienza e
far sì che diventi scelta di vita, senza arrendersi ingenuamente dinanzi
al primo apparente segnale negativo. Altrimenti lasci perdere, perché
finirebbe per fare il disanimatore vocazionale.
D’altro canto i dati delle ricerche ci parlano d’un
interesse forte in tal senso. Secondo l’inchiesta di Garelli non è
affatto in crisi la vocazione di speciale consacrazione, visto che l’11%
dei giovani confessa d’averci pensato (e 11 giovani italiani su 100 vuol
dire circa un milione che han sentito nella vita la vocazione a farsi
prete, religioso o suora); di questi, sempre secondo l’indagine, il 20%
vi ha riflettuto per più di 3 anni e senza alcuna provocazione o aiuto
da parte di educatori vari (ovvero circa 200mila giovani han coltivato
questa idea in una cultura che certamente non va in questa direzione).1
I passi
dell’animazione vocazionale
Occorre anche qui molta intelligenza, quella che riesce a
coniugare saggezza spirituale e abilità pedagogica. Dovrebb’esser ormai
del tutto tramontata l’immagine dell’animatore vocazionale che va
ingenuamente subito al dunque, e parla di vocazione come ci fosse solo
quella religiosa e sacerdotale, rischiando alla fine di bruciare la
proposta stessa. Proprio per questo abbiamo indicato nella prima parte
il senso autentico della vocazione cristiana, perché una genuina
animazione vocazionale dovrebbe partire proprio da lì, da quella che
abbiamo definito “catechesi essenziale sul senso elementare della vita”.
Catechesi semplice e subito comprensibile che indica i punti centrali
come un kerigma vocazionale, o annuncio che si rivolge a tutti
senza escludere nessuno: una semina vocazionale che arriva
ovunque, come nella parabola evangelica. Se si rispetta questa
intelligente gradualità o se passano certi valori (come il nesso tra
bene ricevuto e quello donato) poi si possono fare le proposte le più
radicali ed esplicite, con speranza d’ascolto e adesione.
Lo stile
dell’animazione vocazionale
È uno stile duplice, individuale e comunitario. Da
un lato richiede attenzione alla singola persona, ascolto paziente,
cammino su misura del giovane, considerazione del suo vissuto,
provocazioni ben ponderate, tempo dedicato…, tutti atteggiamenti non
così scontati e che suppongono la presenza d’un fratello o sorella
maggiore, che si pone al fianco del fratello/sorella minore per fare
assieme un tratto di cammino, o per aiutare a riconoscere la voce del
Dio che-chiama e rispondergli.
D’altro canto oggi chi fa animazione vocazionale o chi ha
richiamo e suscita interesse, specie se parliamo di vocazione
consacrata, è la comunità più che il singolo. Una comunità di
consacrati/e è molto più segno vocazionale rispetto all’individuo che
vive la sua propria vocazione di consacrato; il fascino esercitato da
una fraternità composta da diverse persone che non si sono scelte tra
loro, ma che vivono unite nella condivisione dei beni materiali e
spirituali, che crescono assieme nella santità, ciascuno facendosi
carico dell’altro, del suo limite e del suo peccato, che si fanno dono
reciproco della stessa misericordia che viene dall’alto, che assieme
annunciano l’evangelo della salvezza per tutti, che sono ospitali e
accolgono chiunque alla loro tavola e alla loro preghiera, e fan parte
con tutti della gioia dello stare e del lavorare insieme…, ebbene questa
comunità di santi e di peccatori ha un fascino vocazionale enorme sul
giovane, mai come oggi alla ricerca di spazi vitali, ove la relazione
con l’altro diventi via per ritrovare se stessi e Dio, la propria
chiamata e l’Eternamente chiamante.
1 Cf F. GARELLI (a cura di), Chiamati a scegliere. I
giovani italiani di fronte alla vocazione, Cinisello Balsamo 2006.
59
Amedeo Cencini
Docente
all’Università Pontificia Salesiana
Via
S. Bakhita, 1 - 37030 Poiano (Verona)
|