n. 4 aprile 2008

 

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La gioia e la bellezza di appartenere solo a Dio

 

 

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Le lettrici e i lettori che prendono in mano questo numero di Consacrazione e Servizio certamente si domanderanno chi sono i personaggi raffigurati in copertina. Mi sembra interessante riferire quanto narrano le ricerche storiche. L’immagine rimanda al ciclo pittorico della cappella eretta all’interno dell’abbazia di Novalesa tra 1229 e il 1265 per volontà di Giacomo delle Scale, priore in quel tempo. Novalesa è il nome di un Comune in provincia di Torino e della celebre abbazia, posta allo sbocco della Valle di Susa nel Moncenisio. La cappella intitolata al santo monaco Eldrado è fra le opere d’arte più significative del Piemonte, di evidente derivazione bizantina, con all’interno un ciclo pittorico di anonimo artista, che rappresenta varie fasi della vita di s. Eldrado. Egli è raffigurato prima come agricoltore, intento a tagliare con la scure un cespuglio, immerso nelle acque di un fiume; poi lo si vede come pellegrino davanti ad un sacerdote; poi è alla porta del monastero di Novalesa, dove l’abate Arnulfo, accompagnato da un monaco, aiuta Eldrado ad indossare l’abito monastico. A quest’ultima raffigurazione si riferisce l’immagine della nostra copertina.

Eldrado, chi è costui? Dalle poche notizie pervenuteci sappiamo che nacque a Lambesc, in Provenza, nella seconda metà dell'VIII secolo da una famiglia dell'aristocrazia guerriera franca e lasciò tutto per andare pellegrino a San Giacomo di Compostela, in Spagna. Poi si diresse sul versante italiano del Moncenisio, in Piemonte, dove è stato accolto nell'abbazia benedettina di Novalesa. Questa, nel IX secolo, conobbe l'apice del suo splendore. Due documenti certi, dell’825 e dell’827, accennano esplicitamente ad Eldrado chiamandolo abate di Novalesa. Di lui come abate si ricorda in particolare un’iniziativa liturgica e culturale che avrà effetti importanti anche fuori dall’abbazia e dall’Ordine benedettino.

Preoccupano Eldrado le imprecisioni e gli errori che trova disseminati nel libro dei Salmi, usato nel culto, a opera di copisti ignoranti che generano altra ignoranza: decide di offrire ai celebranti e ai fedeli i testi biblici nella purezza della loro versione latina e si rivolge per questo compito a Floro, un dottissimo diacono di origine spagnola, che vive e insegna a Lione. Floro s’impegna in un lungo lavoro di controllo e di correzione, anche attraverso il confronto con il testo ebraico: così Eldrado e l’abbazia di Novalesa offrono ai cristiani d’Europa un Salterio riveduto «secondo la regola della verità».Veicoli importanti di questa conoscenza sono i pellegrini, che di anno in anno sostano all’abbazia, partecipano alla sua preghiera liturgica e diffondono poi nei loro Paesi la versione corretta dei Salmi.

Anche la data della morte del santo è incerta: verso l’anno 840, si ritiene. Pochi decenni dopo, l’abbazia è devastata e saccheggiata da bande saracene. I monaci fuggono a Torino salvando i libri e le cose più preziose. E fanno poi ritorno alla Novalesa verso l’anno Mille, costituendo un priorato che dipende dall’abbazia di Breme (Pavia). Nel Duecento vi “ritorna” anche Eldrado, proclamato santo per voce popolare e onorato con la dedicazione della cappella che racconterà la sua vita pure alla gente del XXI secolo. Una comunità di benedettini, oggi, dopo traversie secolari, vive nell’antica abbazia, dedicandosi alla preghiera e ancora ai libri, al restauro di preziosi volumi.

La scelta della nostra immagine di copertina ha lo scopo di orientare al tema del Dossier di questo numero, formulato con le parole d’Isaia: «Eccomi, manda me!», e specificato con quelle del sottotitolo: «Giovani e vita consacrata». Su questo argomento la bibliografia si va ogni giorno più arricchendo. Tra i molteplici studi segnaliamo solo il n. 1/2007 del periodico Sequela Christi dedicato a Giovani e vocazione, dove si mette a confronto la riflessione e l’esperienza intorno all’avvenimento vocazione, inteso come risposta di uomini e donne alla chiamata di Cristo, alla sua sequela. Qui invece vogliamo soffermarci sul Messaggio di Benedetto XVI per la 45a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, il 13 aprile 2008. Tra l’altro dice il Papa: «Da sempre nella Chiesa ci sono non pochi uomini e donne che, mossi dall'azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radicale, professando i voti di castità, povertà ed obbedienza. Questa schiera di religiosi e di religiose,appartenenti a innumerevoli Istituti di vita contemplativa ed attiva, ha “tuttora una parte importantissima nell’evangelizzazione del mondo” (Ad gentes, 40).

Con la loro preghiera continua e comunitaria, i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per tutta l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa, recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio».

Benedetto XVI rievoca poi le parole del Servo di Dio Paolo VI: «Grazie alla consacrazione religiosa, dice papa Montini - i religiosi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve molto a loro» (Evangelii nuntiandi, 69)».

Queste parole non possono lasciarci indifferenti, anzi siamo indotti all’approfondimento e a porci interrogativi. Facciamo nostri i quesiti che Nico Dal Molin, Direttore del Centro Nazionale Vocazioni, ha espresso nel suo volume intitolato: Il mistero di una scelta. Giovani e vita consacrata (Paoline 2006): «La vita consacrata è in grado di donare ai giovani del nostro tempo una proposta che si pone controcorrente rispetto a stili di vita e di pensiero impregnati di autorealizzazione e segnati da profondo individualismo? Come aiutare i giovani ad affrontare il difficile cammino della “scelta di vita”, nella consapevolezza che sempre più, oggi, le scelte radicali fanno paura? E i consacrati sono testimoni gioiosi di una vocazione che mette al centro quotidianamente la freschezza e la novità del “primo amore” e il fascino del volto di Cristo?».

La risposta a queste domande è data da Cristo stesso con i suoi discepoli: porsi accanto ai giovani come «prossimità e compagnia», per aiutarli a discernere, in maniera realistica, tra i sogni e le attese della propria esistenza. La vita consacrata diventa allora capace di provocare alla scelta, così da vivere e gustare «un cielo nuovo e una terra nuova».

Provocatori anche i risultati della ricerca promossa da Cism-Usmi su come i giovani del Nordest d’Italia vedono i consacrati e le consacrate. Dai dati risulta che in questi anni gli Istituti sembrano aver perso la capacità di individuare luoghi o canali di comunicazione con le nuove generazioni. Le testimonianze riportate nel volume evidenziano la non visibilità delle persone consacrate. Emerge un’accentuata distanza generazionale, rafforzata anche in ragione del ridursi sul territorio delle presenze religiose. Ai giovani non sono familiari le persone consacrate, con esse non ci si relaziona in modo significativo. Ritornare «visibili» vuol dire allora trovare i «luoghi» relazionali per comunicare, e non solo ai giovani, la gioia e la bellezza dell’incontro con Dio.

Oggi il segno che rende credibile e attraente la vita consacrata è la gioia. Ai giovani che sognano una vita bella e felice, la profezia dei voti religiosi annuncia con «fatti di Vangelo» che la vita è bella non solo nell’al di là; la vita è bella già al di qua, se è condotta con «gli stessi senti menti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). «Non è vero che la gioia si compra con il denaro, né che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più, perché mi distacca dalla frenesia e dall’ingordigia: è l’ingordigia che sciupa le cose e le guasta, rendendo infelici. Non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di possedere e di usare l’altro. Non è vero che l’obbedienza mi rende più dipendente: al contrario mi rende più libero, perché mi fa ottenere la libertà più preziosa e più rara, che non è quella dagli altri, ma dal proprio io per gli altri» (F. Lambiasi). I giovani ci guardano con occhi benevoli e nello stesso tempo con stupore. Intuiscono che il nostro compito non sta principalmente in un fare dal quale possono trarre un qualche vantaggio o utilità immediata, ma nell’invitare «gli uomini e le donne del nostro tempo a guardare in alto, a non farsi travolgere dalle cose di ogni giorno, ma a lasciarsi affascinare da Dio e dal Vangelo del suo Figlio» (Vita consecrata, 109).

Amiche lettrici e cari lettori, il discorso appena abbozzato viene ripreso nel Dossier a più voci: ad ognuno la gioia di cogliere dai vari contributi quello che maggiormente tocca il profondo del cuore. Che ognuno possa sottoscrivere in tutta verità e con gioiosa gratitudine questa preghiera di un grande mistico, Angelo Silesio: «Voglio amarti, mio Dio / voglio amarti senza ricompensa / anche nella più grande miseria / voglio amarti / luce e bellezza / finché tu non mi spezzi il mio povero cuore».

Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici
m.pedico@smr.it