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Le
lettrici e i lettori che prendono in mano questo numero di
Consacrazione e Servizio certamente si
domanderanno chi sono i personaggi raffigurati in copertina. Mi sembra
interessante riferire quanto narrano le ricerche storiche. L’immagine rimanda al
ciclo pittorico della cappella eretta all’interno dell’abbazia di Novalesa tra
1229 e il 1265 per volontà di Giacomo delle Scale, priore in quel tempo.
Novalesa è il nome di un Comune in provincia di Torino e della celebre abbazia,
posta allo sbocco della Valle di Susa nel Moncenisio. La cappella intitolata al
santo monaco Eldrado è fra le opere d’arte più significative del Piemonte, di
evidente derivazione bizantina, con all’interno un ciclo pittorico di anonimo
artista, che rappresenta varie fasi della vita di s. Eldrado. Egli è raffigurato
prima come agricoltore, intento a tagliare con la scure un cespuglio, immerso
nelle acque di un fiume; poi lo si vede come pellegrino davanti ad un sacerdote;
poi è alla porta del monastero di Novalesa, dove l’abate Arnulfo, accompagnato
da un monaco, aiuta Eldrado ad indossare l’abito monastico. A quest’ultima
raffigurazione si riferisce l’immagine della nostra copertina.
Eldrado, chi è costui? Dalle poche notizie
pervenuteci sappiamo che nacque a Lambesc, in Provenza, nella seconda metà dell'VIII
secolo da una famiglia dell'aristocrazia guerriera franca e lasciò tutto per
andare pellegrino a San Giacomo di Compostela, in Spagna. Poi si diresse sul
versante italiano del Moncenisio, in Piemonte, dove è stato accolto nell'abbazia
benedettina di Novalesa. Questa, nel IX secolo, conobbe l'apice del suo
splendore. Due documenti certi, dell’825 e dell’827, accennano esplicitamente ad
Eldrado chiamandolo abate di Novalesa. Di lui come abate si ricorda in
particolare un’iniziativa liturgica e culturale che avrà effetti importanti
anche fuori dall’abbazia e dall’Ordine benedettino.
Preoccupano Eldrado le imprecisioni e gli
errori che trova disseminati nel libro dei Salmi, usato nel culto, a opera di
copisti ignoranti che generano altra ignoranza: decide di offrire ai celebranti
e ai fedeli i testi biblici nella purezza della loro versione latina e si
rivolge per questo compito a Floro, un dottissimo diacono di origine spagnola,
che vive e insegna a Lione. Floro s’impegna in un lungo lavoro di controllo e di
correzione, anche attraverso il confronto con il testo ebraico: così Eldrado e
l’abbazia di Novalesa offrono ai cristiani d’Europa un Salterio riveduto
«secondo la regola della verità».Veicoli importanti di questa conoscenza sono i
pellegrini, che di anno in anno sostano all’abbazia, partecipano alla sua
preghiera liturgica e diffondono poi nei loro Paesi la versione corretta dei
Salmi.
Anche la data della morte del santo è
incerta: verso l’anno 840, si ritiene. Pochi decenni dopo, l’abbazia è devastata
e saccheggiata da bande saracene. I monaci fuggono a Torino salvando i libri e
le cose più preziose. E fanno poi ritorno alla Novalesa verso l’anno Mille,
costituendo un priorato che dipende dall’abbazia di Breme (Pavia). Nel Duecento
vi “ritorna” anche Eldrado, proclamato santo per voce popolare e onorato con la
dedicazione della cappella che racconterà la sua vita pure alla gente del XXI
secolo. Una comunità di benedettini, oggi, dopo traversie secolari, vive
nell’antica abbazia, dedicandosi alla preghiera e ancora ai libri, al restauro
di preziosi volumi.
La scelta della nostra immagine di copertina
ha lo scopo di orientare al tema del
Dossier di questo numero, formulato con le
parole d’Isaia: «Eccomi, manda me!», e specificato con quelle del sottotitolo:
«Giovani e vita consacrata». Su questo argomento la bibliografia si va ogni
giorno più arricchendo. Tra i molteplici studi segnaliamo solo il n. 1/2007 del
periodico Sequela Christi dedicato a Giovani e vocazione, dove si
mette a confronto la riflessione e l’esperienza intorno all’avvenimento
vocazione, inteso come risposta di uomini e donne alla chiamata di Cristo, alla
sua sequela. Qui invece vogliamo soffermarci sul Messaggio di Benedetto
XVI per la 45a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, il 13 aprile
2008. Tra l’altro dice il Papa: «Da sempre nella Chiesa ci sono non pochi uomini
e donne che, mossi dall'azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il
Vangelo in modo radicale, professando i voti di castità, povertà ed obbedienza.
Questa schiera di religiosi e di religiose,appartenenti a innumerevoli Istituti
di vita contemplativa ed attiva, ha “tuttora una parte importantissima
nell’evangelizzazione del mondo” (Ad gentes, 40).
Con la loro preghiera continua e comunitaria,
i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per tutta
l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa,
recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio».
Benedetto XVI rievoca poi le parole del Servo
di Dio Paolo VI: «Grazie alla consacrazione religiosa, dice papa Montini - i
religiosi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare
ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e
il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che
costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti
della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro
stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve molto a loro» (Evangelii
nuntiandi, 69)».
Queste parole non possono lasciarci
indifferenti, anzi siamo indotti all’approfondimento e a porci interrogativi.
Facciamo nostri i quesiti che Nico Dal Molin, Direttore del Centro Nazionale
Vocazioni, ha espresso nel suo volume intitolato:
Il mistero di una scelta. Giovani e vita
consacrata (Paoline 2006): «La vita consacrata è in grado di donare ai
giovani del nostro tempo una proposta che si pone controcorrente rispetto a
stili di vita e di pensiero impregnati di autorealizzazione e segnati da
profondo individualismo? Come aiutare i giovani ad affrontare il difficile
cammino della “scelta di vita”, nella consapevolezza che sempre più, oggi, le
scelte radicali fanno paura? E i consacrati sono testimoni gioiosi di una
vocazione che mette al centro quotidianamente la freschezza e la novità del
“primo amore” e il fascino del volto di Cristo?».
La risposta a queste domande è data da Cristo
stesso con i suoi discepoli: porsi accanto ai giovani come «prossimità e
compagnia», per aiutarli a discernere, in maniera realistica, tra i sogni e le
attese della propria esistenza. La vita consacrata diventa allora capace di
provocare alla scelta, così da vivere e gustare «un cielo nuovo e una terra
nuova».
Provocatori anche i risultati della ricerca
promossa da Cism-Usmi su come i
giovani del Nordest d’Italia vedono i consacrati e le consacrate. Dai dati
risulta che in questi anni gli Istituti sembrano aver perso la capacità di
individuare luoghi o canali di comunicazione con le nuove generazioni. Le
testimonianze riportate nel volume evidenziano la non visibilità delle persone
consacrate. Emerge un’accentuata distanza generazionale, rafforzata anche in
ragione del ridursi sul territorio delle presenze religiose. Ai giovani non sono
familiari le persone consacrate, con esse non ci si relaziona in modo
significativo. Ritornare «visibili» vuol dire allora trovare i «luoghi»
relazionali per comunicare, e non solo ai giovani, la gioia e la bellezza
dell’incontro con Dio.
Oggi il segno che rende credibile e attraente
la vita consacrata è la gioia. Ai giovani che sognano una vita bella e felice,
la profezia dei voti religiosi annuncia con «fatti di Vangelo» che la vita è
bella non solo nell’al di là; la vita è bella già al di qua, se è condotta con
«gli stessi senti menti che
furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). «Non è vero che la gioia si compra con il
denaro, né che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più, perché
mi distacca dalla frenesia e dall’ingordigia: è l’ingordigia che sciupa le cose
e le guasta, rendendo infelici. Non è vero che la castità ti fa amare di meno,
semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di
possedere e di usare l’altro. Non è vero che l’obbedienza mi rende più
dipendente: al contrario mi rende più libero, perché mi fa ottenere la libertà
più preziosa e più rara, che non è quella dagli altri, ma dal proprio io per gli
altri» (F. Lambiasi). I giovani ci guardano con occhi benevoli e nello stesso
tempo con stupore. Intuiscono che il nostro compito non sta principalmente in un
fare dal quale possono trarre un qualche vantaggio o utilità immediata, ma
nell’invitare «gli uomini e le donne del nostro tempo a guardare in alto, a non
farsi travolgere dalle cose di ogni giorno, ma a lasciarsi affascinare da Dio e
dal Vangelo del suo Figlio» (Vita consecrata, 109).
Amiche lettrici e cari lettori, il discorso
appena abbozzato viene ripreso nel
Dossier a più voci: ad ognuno la gioia di
cogliere dai vari contributi quello che maggiormente tocca il profondo del
cuore. Che ognuno possa sottoscrivere in tutta verità e con gioiosa gratitudine
questa preghiera di un grande mistico, Angelo Silesio: «Voglio amarti, mio Dio /
voglio amarti senza ricompensa / anche nella più grande miseria / voglio amarti
/ luce e bellezza / finché tu non mi spezzi il mio povero cuore».
Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici
m.pedico@smr.it
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