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«Or
dunque,- parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni,
con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, perché egli è
misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza» (Gl 2,12-13).
Questo grido del profeta Gioele siamo abituati ad ascoltarlo in Quaresima, col
rischio di relegare a quel periodo – e magari solo a quello – il richiamo
all’autenticità davanti a Dio. Sempre è tempo di riconciliazione e di
misericordia, di rinnovamento interiore. Il messaggio dell’autore sacro
probabilmente è stato pronunciato dopo l’esilio, nel tempio di Gerusalemme:
un’invasione di cavallette e una siccità sono i fatti da cui prende avvio la
riflessione-profezia di Gioele. Simili flagelli hanno devastato le campagne
portando carestia e fame (cf Gl 1,2-2,10); di conseguenza anche il culto
sacrificale del tempio è cessato (cf Gl1,13.16). C’è da osservare con il
biblista Antonio Bonora che «il profeta si fa voce dell’intelligenza che cerca
di capire, del coraggio che non cede alla stanca rassegnazione rinunciataria,
della volontà di vivere che è disposta a lottare contro ogni ostacolo. Egli è la
voce del desiderio di vivere e della speranza. Ma occorre rispondere alla
temibile domanda: che cosa significa una tale sventura? La risposta più semplice
è questa: la sventura è un castigo di Dio; il popolo l’ha meritato». Il profeta
sa leggere i segni dei tempi, perciò parte dalla disgrazia collettiva per
incitare tutto il popolo ad una conversione interiore, e invitandolo al digiuno,
alla supplica, alla penitenza (Gl 2,12.15-17).
Fare penitenza secondo la
Bibbia non significa riparare un danno, ma ricominciare daccapo, partendo da
zero. Il nuovo inizio deve partire dal cuore con una trasformazione radicale del
modo di sentire e di pensare. Penitenza e pentimento non sono sinonimi di
abbattimento, tristezza, frustrazione; costituiscono invece una modalità per
aprirsi alla luce che sola può fendere le tenebre interiori, donarci la
coscienza di noi stessi nella verità e farci gustare l’esperienza della
misericordia di Dio. Da sempre egli vede e conosce le meschinità e le brutture
che ci abitano, eppure com’è diverso il suo giudizio dal nostro! Il popolo,
dunque, che si trova in una condizione di desolazione, è invitato a tornare al
Signore, come altre volte si legge nella Bibbia, specie nei profeti e nel
Deuteronomio. Il nostro brano, redatto come una liturgia penitenziale, usa per
ben dieci volte l’imperativo: «ritornate», «laceratevi»,… per sottolineare
l’urgenza dell’appello.
Il Signore, è vero, richiede
«digiuni», «pianto», «lamenti», ma prima di tutto sollecita ad agire «con tutto
il cuore», per dire che se non nascono da un cuore retto, tali gesti sono
ipocrisie e non valgono nulla. La vera conversione porta a mutare interiormente
il cuore indurito e stretto, quasi a lacerarlo e a dilatarlo, perché accolga ciò
che a Dio piace: questo porterà infatti alla salvezza. Altrimenti, digiunare,
piangere, fare lamento, mentre il cuore conserva la primitiva intenzione di
peccare, non è convertirsi al Signore. Con Dio non si può fingere, né prendersi
gioco di lui. Il profeta perciò denuncia apertamente coloro che fanno mostra di
una conversione fatta soltanto di segni esteriori, ricordando che non ne avranno
alcun vantaggio: è necessaria una seria e sincera lacerazione del cuore.
Al riguardo, il nostro brano
precisa: «Laceratevi il cuore, non le vesti». «Lacerate», cioè «aprite,
manifestate», e anche «aprite il vostro cuore per essere accoglienti». Questo
comando si trova solo qui nell’Antico Testamento. Secondo gli studiosi forse si
vuole invitare contemporaneamente alla sincera comunione con Dio, alla
disponibilità a mostrarsi come veramente si è, con mancanze e peccati che
riempiono il cuore; e anche a lacerare il cuore per accogliere intimamente la
volontà di Dio. Tutta la letteratura profetica con estrema decisione si è
scagliata contro ogni tentativo di esteriorizzare l’esperienza religiosa. Su
tutti basti richiamare un testo di Isaia: «“Che m’importa dei vostri sacrifici
senza numero?”,dice il Signore.“Quando venite a presentarvi a me, chi richiede
da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte
inutili […]. Anche se moltiplicate le preghiere io non ascolto […]. Cessate di
fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete
l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”» (Is
1,11a.12-13a.15-17).
Stupisce inoltre l’esigenza di
digiuno, ripetuta due volte (vv.13 e 15) in una situazione in cui manca tutto,
dove c’è devastazione delle campagne e del bestiame (cf Gl 4,11.16). Il Signore
sembra dire che è possibile tornare a lui da ogni condizione in cui ci si
trova,anche disastrosa, presentandogli la nostra grande impotenza, le nostre
scarsità o assenze di bene, le nostre mancanze e miseri, pronti a ricominciare
con l’aiuto del suo intervento. Se è possibile cambiare e quindi sperare in un
futuro nuovo non è a causa di quello che sappiamo fare noi, ma perché il Signore
«è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si
impietosisce riguardo alla sventura» (Gl 2,13).
La
Liturgia delle Ore
del venerdì della XXI settimana
del Tempo Ordinario ci offre una pagina di san Girolamo che commenta Gioele
2,13-14 e che qui mi piace riportare: «Ritornate a me con tutto il vostro cuore
e mostrate la penitenza dell'anima con digiuni, pianti e battendovi il petto:
affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate;
battendovi ora il petto,dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed
avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo,
il sommo Sacerdote per rendere più grave l'accusa contro il Signore, nostro
Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all'udire parole blasfeme. Ebbene, Gioele
dice: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio,
perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza” (Gl
2, 13)».
«Ritornate dunque al Signore
vostro Dio, - continua san Girolamo – da cui vi siete allontanati per il male
che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe,
perché l'infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore
infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del
peccatore. È paziente e ricco di compassione e non imita l'impazienza degli
uomini, perché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore è
pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che
aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto
di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male
che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch'egli cambierà la
sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male,
certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi
ha mancato. Gioele dopo aver rivelato la misericordia di Dio verso chi si pente,
soggiunge: “Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una
benedizione” (Gl 2, 13-14). Il profeta intende dire: Io assolvo il mio mandato,
vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava
anche dalla preghiera di David: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua
misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato (Sal 50, 1.3)”»
(San Girolamo,Commento
su Gioele).
Amiche lettrici e cari
lettori, il presente numero di
Consacrazione e Servizio
che avete tra mano si apre
con la nuova rubrica
«Speciale Anno Paolino »
che riporta un originale
approfondimento della biblista Elena Borsetti su san Paolo e la presenza delle
donne – apostole e diaconesse - nelle prime comunità cristiane.
Cristina Caracciolo, che ci
accompagna da tempo a riconoscere la “vicinanza della Parola”, nella sua breve
riflessione biblica, attira la nostra attenzione di consacrate sulla necessità
di ravvivare il dono di Dio che è in noi, per farlo risplendere di rinnovata
luminosità, e riconoscere la totale gratuità della divina chiamata.
Il patrologo Mario Maritano che
nella rubrica
«Sapienza dei Padri»
ha illustrato lungo l’anno alcune grandi figure: Ignazio d’Antiochia, Giustino,
Ireneo di Lione, Origene, Atanasio, Basilio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo,
delinea nel presente fascicolo la figura del sommo esegeta Girolamo,
qualificandolo come l’«umanista» cristiano.
La rubrica
«Orizzonti»
arricchisce il fascicolo con
due differenti testi su argomenti di viva attualità: l’intervista a Pascual
Chávez,Rettor Maggiore dei Salesiani, sul documento
Il servizio dell’autorità e
l’obbedienza, già
riferito nel precedente numero (n. 9/2008, 27-32); e una presentazione, da parte
della teologa moralista Lilia Sebastiani, del documento della Pontificia
Commissione Biblica sul rapporto
Bibbia e morale. Radici
bibliche dell’agire cristiano,
che ha visto la luce in data 11 maggio 2008.
Una parola particolare per il
«Dossier».
Sotto il titolo: «Ritornate a me con tutto il cuore», espressione tratta dal
profeta Gioele (2,12), sono raccolti cinque studi sulla
riconciliazione-penitenza, tema oggi quanto mai importante per una rinnovata
vita spirituale. Gli argomenti sono stati pensati ed elaborati tenendo presente
la prospettiva psicologica (Lucio Pinkus), teologale-liturgica-ecclesiale
(Fernando Millán Romeral), antropologica (Antonietta Augruso),
comunitaria-esistenziale (Bruno Secondin, Mons. Angelo Amato). Le riflessioni
del presente
Editoriale, prendendo
avvio da un conosciuto imperativo del profeta Gioele, intendono attirare
l’attenzione su un serio cammino di conversione a Dio e di riconciliazione con i
fratelli.
La ricchezza biblica di questo
numero ci mette in sintonia con i lavori del Sinodo dei vescovi, riuniti in
assemblea dal 5 al 26 ottobre per riflettere su
La Parola di Dio nella vita e
nella missione della Chiesa,
argomento da noi trattato più volte, anche di recente nel n. 6/2008.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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