n. 10
ottobre 2008

 

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"Bibbia e morale"
Il nuovo documento della Pontificia Commissione Biblica

di Lilia Sebastiani

 

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È stato pubblicato l’11 maggio 2008 nella solennità di Pentecoste questo documento della Pontificia Commissione Biblica che ha per sottotitolo: “Le radici bibliche dell’agire cristiano”.

Una tale riflessione appare certo opportunissima in senso teologico e pastorale. È noto che attraverso i secoli il popolo cristiano è stato sottoposto dai suoi pastori, a ogni livello (può valere per il più umile parroco di campagna come per le voci ufficiali del magistero della Chiesa) a un vero e proprio bombardamento di raccomandazioni e divieti di ordine morale, fino a dar l’impressione che nel ‘comportarsi bene’ consistesse l’intera sostanza dell’essere cristiani; e a una morale individuale, anzi individualistica, spiccatamente esigente e severa almeno in linea di principio, e perciò anche molto dettagliata, si accompagnava una morale sociale vaga e approssimativa e forse troppo accomodante. Come conseguenza di questa ipertrofia della morale prescrittiva, ancora oggi, e anche tra fedeli ben disposti, vige quasi irriflessa la convinzione che essere cristiani sia innanzitutto un fatto morale; invece la morale (come felicemente afferma il documento di cui ci occupiamo) è una realtà seconda. Da questo equivoco deriva anche la tendenza ad accostare le Scritture in un modo ‘moralistico’, inevitabilmente decontestualizzato e perciò poco significativo, quando non addirittura fuorviante: molti fedeli di buona volontà, quando meditano una pagina biblica, vi ricercano in primo luogo indicazioni morali, spesso in negativo (domanda classica, espressa in parole oppure implicita:“Dov’è che sbaglio io? Quali comportamenti dovrei correggere?”), dimenticando che la prima cosa da ricercarvi, anche per trarne conseguenze di ordine morale, è il nuovo di Dio; e che non si può comprendere il‘dono’ affrontandolo come un contratto o come un codice. Nel Medio Evo si ritrova spesso la tendenza a usare la Scrittura come supporto a convinzioni teologiche ed etiche già affermate per via filosofica o consuetudinaria o disciplinare. In altri termini, si enuncia l’idea o la prescrizione, già ben definita e indiscutibile, e solo ‘dopo’ si va a ricercare un versetto ad hoc (il quale spesso non si trova proprio, e questo è ancora il male minore; più spesso si trova qualcosa che sembra adatto, mentre per contenuti e contesto tende ad altro). Quanto più ci si avvicina alla nostra epoca, tanto più ci si rende conto che questo sistema è insufficiente e controproducente: talvolta significa forzare la Scrittura all’interno di categorie filosofiche che le sono estranee. D’altra parte, la poca simpatia dei nostri contemporanei per un’etica normativa, e la crescente consapevolezza dei vari condizionamenti che influiscono sull’agire dell’essere umano - insieme all’accresciuta consapevolezza del carattere storico e contingente di certe prescrizioni bibliche -, hanno reso difficile in pratica, più che in linea di principio, la ricerca dei fondamenti biblici della morale cristiana.

Il lavoro della Pontificia Commissione Biblica

Il tema era stato affidato alla Commissione nel 2002 da Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non è forse inutile ricordare che la Pontificia Commissione Biblica (d’ora in avanti PCB) è un organismo vaticano a carattere consultivo: fondata da Leone XIII nel 1902 quasi con finalità di difesa, cioè per contrastare quella che era ritenuta la perniciosa influenza dei ‘novatori’, fu riordinato nel 1971 da Paolo VI allo scopo di promuovere lo studio della Bibbia secondo quanto auspicato dal Concilio, di contrastare con mezzi scientifici le opinioni errate in materia di Sacra Scrittura, più in generale di studiare e illuminare le questioni dibattute in campo biblico, di offrire insomma il suo contributo specialistico al magistero della Chiesa.

Un dettaglio significativo è che la PCB non sia presieduta da un biblista: presidente di diritto è sempre il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tuttavia è il segretario a presiedere tecnicamente le sessioni (attuale segretario è il p. Klemens Stock, gesuita).

I 19 membri della Commissione si sono riuniti in Vaticano per l’annuale assemblea plenaria dal 16 al 20 aprile 2007, allo scopo di discutere la bozza del documento e approfondire i contenuti. Dopo due distinte votazioni (una sulle singole parti e una sul documento nel suo insieme), il documento è passato attraverso una fase di correzione-integrazione e, sorprendentemente, per un’ulteriore revisione della correttezza formale dell’italiano; infine è stato affidato al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. William Joseph Levada.

Uno sguardo panoramico

Il documento è di estensione più che considerevole, un vero e proprio volumetto di 238 pagine a stampa; e presenta, sovrapposta all’abituale scansione in numeri, una struttura estremamente precisa e dettagliata, fino a 4/5 livelli di suddivisione di capitoli e paragrafi, che si evidenzia da un esame dell’indice più che dalla semplice lettura corrente.

Dopo la prefazione del card. Levada e dopo l’“Introduzione” (nn. 1-6) che chiarisce ragioni e obiettivi del documento, linee di fondo e destinatari, la prima parte verte su “Una morale rivelata: dono divino e risposta umana” (nn. 7-91), la seconda su “Alcuni criteri biblici per la riflessione morale” (nn. 92-154). Vi è poi una “Conclusione” generale (nn. 155-160) che riprende in prospettiva un po’ diversa alcuni temi enunciati all’inizio, in particolare quello della morale rivelata - vero leitmotiv del documento - sottolineando che si tratta di una morale considerata non dal punto di vista dell’uomo, ma dal punto di vista di Dio. La prima parte ripercorre la storia della salvezza nelle principali tappe attestate dalla Bibbia, secondo lo schema appello di Dio / risposta umana. L’approccio segue l’iter storico-narrativo (che non vuol dire storico-cronologico, anche se si configura come un percorso storico) della successione canonica dei libri biblici, dalla Genesi all’Apocalisse, prescindendo quindi dall’approccio storicocritico indispensabile in sede teologica ed esegetica. Sembra però da sottolineare che il metodo storico-critico, benché non applicato direttamente, rimane per così dire sullo sfondo, e la valutazione che se ne offre risulta implicitamente positiva. La constatazione di fondo che ispira il lavoro della Commissione è che nella Bibbia si trova una dimensione morale --altra cosa dal moralismo -, ma che la morale nella Scrittura appare sempre come una realtà ‘seconda’, che non vuol dire secondaria: la realtà prima è l’iniziativa di Dio che chiede agli esseri umani di vivere in comunione con lui. I singoli precetti morali, le disposizioni e le proibizioni non compaiono mai isolati e non hanno valore in sé, ma vanno sempre contestualizzati nel dono di Dio che si comunica e chiede la risposta umana, in una logica di alleanza. I tre doni di fondo sono la creazione, l’Alleanza nelle sue varie tappe, l’evento di Gesù dono supremo di Dio ed esempio supremo di comportamento morale in rapporto a Dio.

Criteri per il discernimento morale alla luce della Bibbia

Oggi a qualcuno può apparire impossibile e velleitario fondare sulla Scrittura l’etica cristiana (come auspica il Concilio Vaticano II, cf OT 16): infatti l’etica si appoggia da un lato sulla Rivelazione di Dio - realtà ‘teandrica’ perenne, ma in continuo divenire quanto alla comprensione e all’espressione da parte degli esseri umani -, dall’altro lato sull’antropologia e le scienze umane in genere, che giustamente sono in continua evoluzione, anche sotto la spinta di accadimenti storici non prevedibili. Il materiale normativo offerto dalla Scrittura appare spesso inadatto, troppo condizionato culturalmente, inapplicabile in una situazione profondamente mutata; in ogni caso insufficiente, visto che molti ambiti della riflessione etica oggi per noi fondamentali (qualche esempio: politica, lavoro, economia, amore e sessualità, etica biomedica e ricerca scientifica…), nella Scrittura semplicemente non compaiono. Possono derivarne due conseguenze quasi opposte, ugualmente errate e cariche di rischi: quella di ritenere la Bibbia ininfluente o quasi ai fini della vita morale o, al contrario, di ritenere immediatamente e universalmente valido il contenuto etico che è affermato nei vari libri biblici o che sembra di poterne dedurre (non è certo un rischio teorico: il neofondamentalismo infatti è uno dei problemi con cui il nostro tempo deve misurarsi). In realtà la Bibbia ha una portata etica anche nei libri e nelle pagine che in apparenza non hanno nulla di prescrittivo; ma certo non può essere affrontata come una raccolta di indicazioni per l’agire, universalmente valide e pronte all’uso. Vorremmo aggiungere che anche l’approccio, anche il modo di porre la domanda ha una valenza etica. Il documento della PCB enuncia dapprima i due criteri principali che illuminano la soluzione anche di problemi molto moderni (ovviamente non affrontati nella Scrittura): - “la conformità con l’immagine biblica della persona umana” (nn. 95-99); - “la conformità con l’esempio di Gesù” (nn. 100-103). Sono poi enucleati - e costituiscono forse l’aspetto di maggior interesse del documento - altri sei criteri più specifici, che ci sembra giusto enunciare con attenzione e per esteso:

1. In molti casi nella Bibbia si riscontra una certa affinità con regole, leggi e prescrizioni morali di altri popoli, soprattutto del Vicino Oriente antico (criterio di convergenza, nn.105-110). È una constatazione iniziale importante ancora oggi ai fini di una ‘comunicabilità’ del discorso etico quanto più è possibile allargata anche al di fuori della tradizione giudeocristiana e della cerchia dei credenti.

2. Tuttavia dai due Testamenti risulta anche una ‘specificità’ del po-polo dell’Alleanza, una distinzione chiara tra quanto richiesto al popolo di Dio e quello che si verifica al di fuori (criterio di contrapposizione, nn.111-119): ciò equivale a dire che la fedeltà a Dio può richiedere in certi casi il coraggio di agire controcorrente.

3. Passando da una fase all’altra, da certi libri biblici ad altri e dall’Antico al Nuovo Testamento, si osserva anche uno sviluppo delle regole morali in una direzione più esigente, più interiore (criterio di progressione, nn.120-125).

4. La persona a cui il messaggio morale latente ed esplicito si indirizza non è mai un individuo isolato, ma membro di una comunità, che determina anche le regole della convivenza (criterio della dimensione comunitaria, nn.126-135).

5. La vita dell’uomo non si esaurisce nella dimensione terrena (anche se, com’è noto, in certe fasi della riflessione biblica non appare ancora un’idea chiara di vita dopo la morte). In particolare per i cristiani la vita terrena è iscritta in un orizzonte escatologico aperto dalla resurrezione (criterio della finalità, nn.136-149). Questo criterio è sviluppato con particolare ampiezza e mette in luce la centralità della speranza nell’etica cristiana.

6. Quando nella Bibbia si incontrano prescrizioni morali, è necessario valutare correttamente il contesto in cui hanno preso forma: lo stesso discernimento attento e storicizzato è da applicare alle decisioni quotidiane (criterio del discernimento, nn.150-154). Il criterio conclusivo è fondamentale in quanto sottolinea il ruolo dello Spirito e della coscienza nell’agire morale, oltre allo spessore comunitario delle scelte etiche.

Gesù, continuità e compimento

Ricordiamo che anche nell’ultimo documento pubblicato prima di questo dalla PCB, dal titolo Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, il rapporto tra i due Testamenti veniva descritto come rapporto di continuità - discontinuità -progressione. In particolare s’insisteva sul fatto che la nuova alleanza portata da Gesù non cancella, non sostituisce, non svaluta in alcun modo la prima alleanza. L’evento di Gesù è il fatto permanente e decisivo anche dal punto di vista morale, benché il suo messaggio non sia in primo luogo un fatto morale bensì l’annuncio del Regno di Dio vicino. L’elemento nuovo portato da Gesù s’identifica con la sua stessa persona, con il suo esempio, a cui egli stesso in certi casi fa riferimento. Chi accetta il dono della comunione di vita con Dio portato da Gesù non può che accettare la sequela di Gesù, quindi vivere in modo tale da seguire il suo esempio, e in particolare rinunciare all’egoismo e alla chiusura di cuore.

Gesù non si pone in alternativa o in conflitto con la Legge d’Israele: solo, talvolta, con un certo modo di intenderla e di praticarla assolutizzando la precettistica esteriore a scapito dell’interiorità, del cuore. Azioni e intenzioni devono corrispondere al volere di Dio. Gesù dice di se stesso di essere venuto non per abolire la Legge e i Profeti (questi termini designano nel suo ambiente quello che noi chiamiamo il Primo Testamento), ma per completare. Egli si pone quindi sulla linea dell’approfondimento, dell’interiorizzazione, senza rifiutare né la Torah d’Israele né la sua comprensione di fondo dell’Alleanza. Interrogato su quale sia il più grande comandamento della Legge, risponde con il precetto ‘simmetrico’ dell’amore di Dio (Mt 22,37; cf Dt 6,5) e del prossimo (Mt 22,39; cf Lv 19,18), versanti inseparabili dell’unica risposta di amore. Interrogato su chi sia il prossimo (Lc 10,29b), risponde letteralmente sfondando le categorie tradizionali della prossimità (il prossimo è ogni membro del proprio popolo), affermando con la parabola del buon samaritano che il prossimo è qualunque persona bisognosa di aiuto che sia in nostro potere aiutare. La Bibbia è fondamentalmente la testimonianza della Rivelazione: Dio si rivela come amore. Vivere ‘moralmente’, essere capaci di un agire giusto dal punto di vista cristiano significa accogliere in modo consapevole quest’amore, e diventare progressivamente capaci di irradiarlo.

Valutazione complessiva

Il documento, come si diceva, viene incontro a un’esigenza pastorale effettiva; e senza dubbio deve essere considerato come un prodotto di buona qualità teologica e scientifica. Apprezzabile, nell’insieme, anche lo stile espressivo, benché in certi punti qualche lieve prolissità opacizzante possa venir determinata da un’esigenza di completezza dottrinale. È vero che in questo come in molti altri pur apprezzabili documenti dell’autorità ecclesiastica (e anche nei testi del ConcilioVaticano II), possono coesistere senza fondersi due ‘anime’ e due linguaggi ad esse afferenti. In altri termini, sembrano molto riconoscibili nel documento almeno due strati, insieme ad altri apporti più occasionali. Si ha l’impressione di una stesura iniziale ad opera di un autore singolo che, oltre a sicure competenze bibliche quali è ovvio attendersi da un membro della PCB, rivela notevoli qualità di scrittore, oltre a sensibilità pastorale e attitudine comunicativa; in trasparenza però, con effetto polifonico non sempre felice, si distingue anche un altro strato - il lavoro di revisione-correzione? - , spesso con riconoscibile variazione stilistica. Ovviamente non si può sapere se qualche parte della stesura preparatoria sia stata soppressa; ma talvolta si ha l’impressione di qualche parte aggiunta, in ossequio a considerazioni di natura pastorale-disciplinare abbastanza esterne rispetto al documento. Dovrebbe trattarsi, dicevamo sopra, di un’esigenza di completezza dottrinale: della preoccupazione di far rientrare con assoluta chiarezza, in questo lavoro sui fondamenti dell’etica, alcune questioni (quali l’unità del matrimonio o il rispetto della vita umana dal concepimento alla fine naturale) che oggi sono al centro della sollecitudine pastorale del Magistero, ma non sembrano rivestire la stessa centralità nella Bibbia, quantomeno non con la stessa angolazione prospettica. Tra gli aspetti positivi in prospettiva di futuro, si vorrebbe sottolineare ancora l’importanza di quanto affermato in ordine al discernimento, sia personale sia comunitario. “Ogni epoca deve di nuovo, a modo suo, cercare di capire i Libri Sacri”, diceva l’allora card. Ratzinger nella prefazione a un documento precedente della PCB, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Il p. Stock, segretario della PCB, in un’intervista rilasciata all’agenzia Zenit nell’aprile 2007, subito dopo la sessione plenaria da cui è uscito in sostanza il documento, diceva qualcosa di simile: “… Anche le Scritture sono un fenomeno storico. L'Antico Testamento è stato scritto in ebraico, il Nuovo Testamento in greco e già per leggere e capire il testo originale di questi scritti è necessario un impegno storico nell'apprendere queste lingue antiche. Già il semplice studio filologico, come ricerca del reale significato delle parole, risulta non avere fine. Poi le circostanze concrete economiche, sociali, politiche rientrano in una comprensione più adeguata della situazione nella quale Gesù ha svolto il suo ministero. Ma in questo senso lo studio non finisce mai”. Sottolinea però che “ci sono delle costanti che superano tutti i condizionamenti storici”: come il nostro rapporto non accidentale ma costitutivo con Dio e con gli altri esseri umani, o l’appello che Gesù ci rivolge a entrare in comunione con lui. La necessità del discernimento porta in primo piano la necessità dello studio, aggiungeremmo (nella persuasione di esplicitare quanto nel documento è comunque presente). Non si tratta di un fatto intellettuale, ma di un’esigenza di qualità della fede. Lo studio infatti non è un valore assoluto, non è un idolo, è solo uno strumento; essenziale alla riflessione di fede, perlomeno in quanto consente di operare una distinzione quanto mai purificante tra ciò che è essenziale (inerente al piano di salvezza di Dio e alla logica dell’Alleanza) e ciò che è accessorio (portato dalla cultura e da circostanze storiche contingenti). Non ci sembra arrischiato affermare che una persona a digiuno delle più elementari questioni di storia e teologia biblica, e dei princìpi fondamentali del metodo storico-critico, difficilmente potrà operare in modo limpido i dovuti discernimenti alla luce della parola di Dio nelle situazioni concrete: sempre più si comprende che anche il fatto di acquisire una qualche seria competenza biblica, oggi che la cultura non è più un privilegio, rientra fra le responsabilità dei credenti.

Lilia Sebastiani
Articolista e conferenziera in materia teologica
Via Isonzo, 9 – 05100 Terni

 

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