Custodisco
nella memoria la visita a Nazaret, città non così piccola come l’avevo
immaginata, attraverso i racconti di nonna Betta sull’Annunciazione.
Non è facile farne una descrizione dettagliata.
Vicino alle stradine che portano dalle piccole sorelle di Charles de
Foucauld c’è un grande emporio di prodotti per l’estetica, dove le
ragazze palestinesi vestono esattamente come commesse europee,
trasmettendo il comune messaggio del consumismo globale. Ma la ricerca
del mistero ti spinge necessariamente altrove.
È il paese di Maria, allora gli echi dell’infanzia
riaffiorano! Nazaret ha ospitato silenzi e inquietudini, ma soprattutto
sogni. Quello di Maria, che nell’ascolto accoglieva secoli di memoria
biblica. Il sogno di Giuseppe, il giovane falegname che ha provato a
fidarsi di un angelo e, come i fanciulli, ha lasciato da parte ogni
calcolo. «Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. […]. Oh! Come
volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e
sublime scuola di Nazaret. Quanto ardentemente desidereremmo
ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e
la superiore sapienza delle realtà divine!».1
In qualche forma è una tappa obbligatoria, un viaggio
a ritroso verso l’infanzia: l’invito a ripensare alla vita dei bambini
che vedranno sorgere giardini incantati. Un viaggio dove il gioco
dell’infanzia va riscoperto.
Nazaret si allontana dalla vita, quando la dimensione
ludica si affievolisce, il gioco ci sembra ormai inutile e poco fecondo,
e cediamo il posto ad una adultità monotematica, dove autarchia,
rampantismo e indifferenza ci appaiono i veri pilastri della maturità. È
una maturità programmata e chiusa alla speranza, dove la minaccia che si
avverte è la propria stessa umanità.
A Nazaret si percepiscono attese e speranze. Si
colgono nel volto del bambino palestinese che ha negli occhi tanta
paura, ma per il suo futuro sogna di diventare ingegnere. Così come nel
sorriso di Noemi, che incarna bene il significato del suo nome ("colei
che è dolce"), e attende che i grandi della storia provino, come lei, il
desiderio di giocare con i bam-bini dell’altro popolo.
La visita nei luoghi della Tradizione, il pozzo
dell’Annunciazione, la casa di Giuseppe, invitano a meditare il dono
dell’Incarnazione, grande e complesso: lo stupore di Miriam ancora
adolescente, i giochi di suo figlio. Una storia umana e divina: «Nazaret
è come una scuola, qui tutto ha una voce, un significato, dove si può
apprendere la vera scienza della vita e la superiore scienza delle
verità divine!».2
Nell’epoca delle canizie
La scienza della vita può ripartire dal ritornare
piccoli, non in una fanciullezza robotizzata e virtuale, ma nell’impegno
profondo alla conversione, nel desiderio di guardare alle vicende della
storia con la coscienza di chi si affida: «Come bimbo svezzato in
braccio a sua madre» (Sl 131): è l’infanzia che dura anche nell’epoca
delle canizie.
Si può fare delle nostre mani due bianche colombe:
un atteggiamento interiore, che muta radicalmente la relazione con la
realtà. Significa riprendere quella caparbietà di desiderare le
dimensioni belle della vita, pensando che ha senso non cedere al
cinismo del potere, tipico degli adulti.
Dopo la sua permanenza a Nazaret, più volte Gesù
invita a non abbandonare lo spirito dei piccoli: «Se non diventerete
come bambini non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3). Parla così
soprattutto quando qualcuno non ha ben chiaro il senso della sequela e
si interroga su eventuali posti di prestigio (Mt 18,1). Un’indicazione
un po’ inquietante per chi è abituato a pensare ai risultati immediati,
a giudicare se un paese è degno di sopravvivere partendo dal suo
prodotto interno lordo (il famoso PIL).
Ritornare fanciulli non è il rifiuto di accettare le
stagioni della vita, fingendo di essere eterni adolescenti. Si tratta di
rinnovare la propria visione del mondo, caparbiamente impegnati a
sperare che sia ancora possibile non valutare ogni aspetto della storia
unicamente attraverso uno sguardo utilitarista e funzionale. Lasciare le
porte aperte e rimanere stupiti da un’idea o da un progetto che
nell’immediato potrebbe apparire poco pragmatico. Continuare a vedere
oltre, perché: «Tutto ciò che non inizia con un abbagliamento non ha
futuro».3
Non è corretto guardare al passato con i se, ma
sarebbe difficile immaginare il seguito degli eventi, se Maria non fosse
stata così fanciulla, nonostante il suo turbamento e la sua domanda di
capire il senso del saluto (Lc 1,22). E se anche Giuseppe si fosse
chiuso nel suo ragionamento? O fosse stato ligio semplicemente a ciò che
prevedeva la Legge in casi come il suo? Gli schemi di pensiero più in
voga non valuterebbero produttivo il loro atteggiamento. Generalmente si
fanno i conti unicamente con il presente: ma è la storia della salvezza!
Recuperare la fanciullezza
Uno sguardo ai quotidiani ci mostra la sensibilità
del panorama globale: è raro che non si parli dell’indice della borsa e
della sua altalena pazzesca, che manda in crisi sistemi economici
robusti; o di qualche interessante esperimento che vorrebbe giungere ad
afferrare il segreto dell’universo, con costi spaventosi e risultati
incomprensibili alle comuni intelligenze. Pare che anche le paure che
proviamo siano calcolate in giri di profitto.
Si rimane ancora più perplessi quando i media
trasmettono notizie sulle politiche dell’accoglienza: ma è ancora
possibile chiamarle così? È in voga l’espressione: tolleranza zero,
indice di chiusura e di rifiuto. Eppure sappiamo che non si può
eliminare chiunque o tutto ciò che ci minaccia: sarebbe una deriva
nell’idealismo infantile e fanatico. Si ha l’impressione che i grandi
della storia si adoperino a rendere asfittiche le situazioni di
mediazione, così che alla fine ognuno finisce per giocare da solo.
Proprio il contrario di ciò che fanno invece i
bambini sani: si annoiano a giocare da soli, così pur di trovare un
compagno di giochi, a volte un bambino mostra un’incredibile
disposizione alla ragionevolezza. Attoniti assistiamo ai meetings
e ai vertici dei vari ministri e, dopo giorni di flash e
sorrisi studiati, tornano a casa senza nessun accordo sulle grandi
questioni del futuro dell’uomo. Dotati di strumenti tecnici infallibili,
con razionalità cinica limitano i sogni di chiunque: è vero che se ci
impegniamo si possono mantenere le città più pulite, ma tanto questo non
fermerà il surriscaldamento, affermano!
In contatto con l’interiorità
«Ma che genere di libertà è quella che frustra
l'immaginazione e tollera l'impotenza delle persone libere nelle
questioni che le riguardano?».4 Una sorta di
terrorismo psicologico caratterizza anche i testi degli economisti.
Tutti sono molto preoccupati dell’avanzata della Cina e del crollo delle
borse, ma pochi ricordano i paesi poveri strangolati dagli interessi sul
"debito esterno".
In un quadro simile cosa significa recuperare la
fanciullezza? «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,
nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15). I testi
biblici con chiarezza indicano la conversione come un dono gratuito.
L’uomo, però, conservi il desiderio di guardare alla storia senza
considerarsi l’unico protagonista, l’arbitro assoluto, che cavalca su
destrieri veloci (cf Is 30,16). La Parola invita a riconoscere la
propria creaturalità senza abbandonarsi a deliri di onnipotenza, che
fanno sembrare quasi ingenuo il paradigma della fanciullezza.
Non si tratta di banale semplificazione o di uno
stato psicologico; è piuttosto la strada per vivere un contatto profondo
con l‘interiorità, è un esercizio di humilitas, di
riconciliazione con la propria umanità: «È dal sentimento della propria
debolezza che il bambino ricava umilmente il principio stesso della
gioia».5 Rimanere piccoli comporta anche non
fuggire nascondendosi per paura (come in Gn 3,10), coltivando un
rapporto realistico con se stessi. L’ostinazione nel nascondere la
precarietà e la fragilità a cui si è esposti, porta spesso anche alla
perdita dell’umorismo dimenticando che: «I concetti fondamentali
dell’umorismo: libertà, misura, completezza, gioco, sono nel contempo
istanze intime dell’uomo religioso».6
I giullari invece sono come fanciulli: saltano, sdrammatizzano e
cantano la verità!
1. Dai Discorsi di Paolo
VI a Nazaret, 5 gennaio 1964, in Liturgia delle Ore, I, 419-420.