n. 1
gennaio 2009

 

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Semplicità

di ANTONIETTA AUGRUSO

 

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Bambino, / se trovi l'aquilone della tua fantasia/ legalo con l'intelligenza del cuore. / Vedrai sorgere giardini incantati / e tua madre diventerà una pianta / che ti coprirà con le sue foglie. / Fa’ delle tue mani due bianche colombe / e portino la pace ovunque / e l'ordine delle cose. / Ma prima di imparare a scrivere/ guardati nell'acqua del sentimento» (ALDA MERINI)

A Nazaret

Custodisco nella memoria la visita a Nazaret, città non così piccola come l’avevo immaginata, attraverso i racconti di nonna Betta sull’Annunciazione.

Non è facile farne una descrizione dettagliata. Vicino alle stradine che portano dalle piccole sorelle di Charles de Foucauld c’è un grande emporio di prodotti per l’estetica, dove le ragazze palestinesi vestono esattamente come commesse europee, trasmettendo il comune messaggio del consumismo globale. Ma la ricerca del mistero ti spinge necessariamente altrove.

È il paese di Maria, allora gli echi dell’infanzia riaffiorano! Nazaret ha ospitato silenzi e inquietudini, ma soprattutto sogni. Quello di Maria, che nell’ascolto accoglieva secoli di memoria biblica. Il sogno di Giuseppe, il giovane falegname che ha provato a fidarsi di un angelo e, come i fanciulli, ha lasciato da parte ogni calcolo. «Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. […]. Oh! Come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazaret. Quanto ardentemente desidereremmo ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle realtà divine!».1

In qualche forma è una tappa obbligatoria, un viaggio a ritroso verso l’infanzia: l’invito a ripensare alla vita dei bambini che vedranno sorgere giardini incantati. Un viaggio dove il gioco dell’infanzia va riscoperto.

Nazaret si allontana dalla vita, quando la dimensione ludica si affievolisce, il gioco ci sembra ormai inutile e poco fecondo, e cediamo il posto ad una adultità monotematica, dove autarchia, rampantismo e indifferenza ci appaiono i veri pilastri della maturità. È una maturità programmata e chiusa alla speranza, dove la minaccia che si avverte è la propria stessa umanità.

A Nazaret si percepiscono attese e speranze. Si colgono nel volto del bambino palestinese che ha negli occhi tanta paura, ma per il suo futuro sogna di diventare ingegnere. Così come nel sorriso di Noemi, che incarna bene il significato del suo nome ("colei che è dolce"), e attende che i grandi della storia provino, come lei, il desiderio di giocare con i bam-bini dell’altro popolo.

La visita nei luoghi della Tradizione, il pozzo dell’Annunciazione, la casa di Giuseppe, invitano a meditare il dono dell’Incarnazione, grande e complesso: lo stupore di Miriam ancora adolescente, i giochi di suo figlio. Una storia umana e divina: «Nazaret è come una scuola, qui tutto ha una voce, un significato, dove si può apprendere la vera scienza della vita e la superiore scienza delle verità divine!».2

Nell’epoca delle canizie

La scienza della vita può ripartire dal ritornare piccoli, non in una fanciullezza robotizzata e virtuale, ma nell’impegno profondo alla conversione, nel desiderio di guardare alle vicende della storia con la coscienza di chi si affida: «Come bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Sl 131): è l’infanzia che dura anche nell’epoca delle canizie.

Si può fare delle nostre mani due bianche colombe: un atteggiamento interiore, che muta radicalmente la relazione con la realtà. Significa riprendere quella caparbietà di desiderare le dimensioni belle della vita, pensando che ha senso non cedere al cinismo del potere, tipico degli adulti.

Dopo la sua permanenza a Nazaret, più volte Gesù invita a non abbandonare lo spirito dei piccoli: «Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3). Parla così soprattutto quando qualcuno non ha ben chiaro il senso della sequela e si interroga su eventuali posti di prestigio (Mt 18,1). Un’indicazione un po’ inquietante per chi è abituato a pensare ai risultati immediati, a giudicare se un paese è degno di sopravvivere partendo dal suo prodotto interno lordo (il famoso PIL).

Ritornare fanciulli non è il rifiuto di accettare le stagioni della vita, fingendo di essere eterni adolescenti. Si tratta di rinnovare la propria visione del mondo, caparbiamente impegnati a sperare che sia ancora possibile non valutare ogni aspetto della storia unicamente attraverso uno sguardo utilitarista e funzionale. Lasciare le porte aperte e rimanere stupiti da un’idea o da un progetto che nell’immediato potrebbe apparire poco pragmatico. Continuare a vedere oltre, perché: «Tutto ciò che non inizia con un abbagliamento non ha futuro».3

Non è corretto guardare al passato con i se, ma sarebbe difficile immaginare il seguito degli eventi, se Maria non fosse stata così fanciulla, nonostante il suo turbamento e la sua domanda di capire il senso del saluto (Lc 1,22). E se anche Giuseppe si fosse chiuso nel suo ragionamento? O fosse stato ligio semplicemente a ciò che prevedeva la Legge in casi come il suo? Gli schemi di pensiero più in voga non valuterebbero produttivo il loro atteggiamento. Generalmente si fanno i conti unicamente con il presente: ma è la storia della salvezza!

Recuperare la fanciullezza

Uno sguardo ai quotidiani ci mostra la sensibilità del panorama globale: è raro che non si parli dell’indice della borsa e della sua altalena pazzesca, che manda in crisi sistemi economici robusti; o di qualche interessante esperimento che vorrebbe giungere ad afferrare il segreto dell’universo, con costi spaventosi e risultati incomprensibili alle comuni intelligenze. Pare che anche le paure che proviamo siano calcolate in giri di profitto.

Si rimane ancora più perplessi quando i media trasmettono notizie sulle politiche dell’accoglienza: ma è ancora possibile chiamarle così? È in voga l’espressione: tolleranza zero, indice di chiusura e di rifiuto. Eppure sappiamo che non si può eliminare chiunque o tutto ciò che ci minaccia: sarebbe una deriva nell’idealismo infantile e fanatico. Si ha l’impressione che i grandi della storia si adoperino a rendere asfittiche le situazioni di mediazione, così che alla fine ognuno finisce per giocare da solo.

Proprio il contrario di ciò che fanno invece i bambini sani: si annoiano a giocare da soli, così pur di trovare un compagno di giochi, a volte un bambino mostra un’incredibile disposizione alla ragionevolezza. Attoniti assistiamo ai meetings e ai vertici dei vari ministri e, dopo giorni di flash e sorrisi studiati, tornano a casa senza nessun accordo sulle grandi questioni del futuro dell’uomo. Dotati di strumenti tecnici infallibili, con razionalità cinica limitano i sogni di chiunque: è vero che se ci impegniamo si possono mantenere le città più pulite, ma tanto questo non fermerà il surriscaldamento, affermano!

In contatto con l’interiorità

«Ma che genere di libertà è quella che frustra l'immaginazione e tollera l'impotenza delle persone libere nelle questioni che le riguardano?».4 Una sorta di terrorismo psicologico caratterizza anche i testi degli economisti. Tutti sono molto preoccupati dell’avanzata della Cina e del crollo delle borse, ma pochi ricordano i paesi poveri strangolati dagli interessi sul "debito esterno".

In un quadro simile cosa significa recuperare la fanciullezza? «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15). I testi biblici con chiarezza indicano la conversione come un dono gratuito. L’uomo, però, conservi il desiderio di guardare alla storia senza considerarsi l’unico protagonista, l’arbitro assoluto, che cavalca su destrieri veloci (cf Is 30,16). La Parola invita a riconoscere la propria creaturalità senza abbandonarsi a deliri di onnipotenza, che fanno sembrare quasi ingenuo il paradigma della fanciullezza.

Non si tratta di banale semplificazione o di uno stato psicologico; è piuttosto la strada per vivere un contatto profondo con l‘interiorità, è un esercizio di humilitas, di riconciliazione con la propria umanità: «È dal sentimento della propria debolezza che il bambino ricava umilmente il principio stesso della gioia».5 Rimanere piccoli comporta anche non fuggire nascondendosi per paura (come in Gn 3,10), coltivando un rapporto realistico con se stessi. L’ostinazione nel nascondere la precarietà e la fragilità a cui si è esposti, porta spesso anche alla perdita dell’umorismo dimenticando che: «I concetti fondamentali dell’umorismo: libertà, misura, completezza, gioco, sono nel contempo istanze intime dell’uomo religioso».6

I giullari invece sono come fanciulli: saltano, sdrammatizzano e cantano la verità!


1. Dai Discorsi di Paolo VI a Nazaret, 5 gennaio 1964, in Liturgia delle Ore, I, 419-420.

2. Cf Dai Discorsi di Paolo VI a Nazaret, 420-421. 3 C. SINGER, Non dimenticare i cavalli schiumanti del passato, Servitium, Troina 2007, 28.

3. C. SINGER, Non dimenticare i cavalli schiumanti del passato, Servitium, Troina, 2007, 28.

4. Z. BAUMAN, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, 9.

5. G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna, Mondadori, Milano 2007, 17.

6. A. GRÜN-M. DUFNER, Spiritualità dal basso, Queriniana, Brescia 2005, 110.

Antonietta Augruso
Docente di Religione
Via Eurialo, 91 - 00181 Roma

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