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«L'apostolo
Paolo, nella sua seconda lettera al discepolo Timoteo, scrive: “La parola di Dio
non è incatenata” (2Tm 2,9). Al suo successore nella Chiesa di Efeso ricorda la
sua condizione personale: si trova in catene a causa dell’annuncio del Vangelo
che compie. […]. Il discepolo può soffrire e morire, ma la parola di Dio permane
con la sua forza e con la sua efficacia che la rendono libera e operante senza
conoscere alcun confine o limite che gli uomini possono opporre. Non può essere
fermata da niente e da nessuno, non può rimanere inoperosa o inefficace per la
ignavia dei discepoli dinanzi alla persecuzione o per la violenza di quanti ne
vorrebbero contrastare la ricchezza».
Queste significative affermazioni di mons.
Rino Fisichella trovano conferma nella vita della Chiesa. Di fatto, dopo la
promulgazione della costituzione conciliare
Dei Verbum (18 novembre 1965) si è
sperimentato come la parola di Dio sia libera e liberatrice, non incatenata; sia
Parola viva ed efficace (cf Eb 4,12), che agisce e trasforma (cf 1Ts
2,13). La Parola divina è la fonte della vita della Chiesa (cf DV 9);
è la rivelazione del Padre che in Gesù chiama tutti ad una vita di comunione
nello Spirito Santo (cf DV 2); è Parola che narra, evoca, impegna.
Citando la seconda lettera di Paolo ai
Tessalonicesi, nella Dei Verbum
i padri conciliari avevano espresso questo voto: «… con la lettura e lo studio
dei sacri Libri, “la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata” (2Ts
3,1)» (n. 26). La “parola di Dio” appare nella costituzione come
personificata sotto l’immagine di chi deve compiere una corsa, sottolineando la
forza intrinseca del Vangelo, la sua carica espan-siva. Esso è per definizione
un messaggio, un annuncio destinato ad essere trasmesso a tutte le genti (cf
Mt 28,19). Ha varcato infatti le mura della città santa, i confini della
Palestina, e ha percorso il mondo intero. San Paolo usa più volte l’immagine
della corsa a proposito della vita cristiana o del lavoro apostolico (Rm
9,16; Gal 2,2; 5,7; Fil 2,16; 3,12). L’esistenza cristiana,
indicata spesso come cammino, la si paragona a una corsa quando si vuol dare
l’idea di una obbedienza sollecita verso una meta oppure quando si vuol
esprimere la tensione del portare a compimento la missione di testimoniare il
Vangelo.
È doveroso allora domandarci: fino a che
punto abbiamo recepito gli insegnamenti della
Dei Verbum? È difficile rispondere.
Tuttavia non si può non riconoscere che le indicazioni della costituzione
conciliare si sono mostrate feconde, dando frutti abbondanti nella vita
ecclesiale. Liturgia, teologia, vita quotidiana dei fedeli sono state
indubbiamente segnate da una maggiore assiduità e frequentazione con la
Scrittura (cf DV 25). In Italia si è avvertito un notevole impulso verso
la Bibbia, come è registrato nel documento della CEI intitolato«La parola
del Signore si diffonda e sia glorificata» (18 novembre 1995), e come
testimoniato dalla crescita continua di gruppi di ascolto o del Vangelo, in
svariate forme. Sul versante dell'evangelizzazione e della catechesi, rilevante
è stato l'incontro con la Scrittura nel cammino di iniziazione cristiana per i
fanciulli e per gli adulti; innegabile è stato pure il servizio offerto dagli
esegeti per una pastorale ancorata alla Bibbia; significativo anche l'interesse
suscitato dal rapporto tra Bibbia e cultura.
Tutto questo è vero. Ma non mancano né sono
poche le ombre. Se consideriamo ad esempio il terreno dell’esperienza sono
evidenti carenze e patologie che impediscono di illudersi. È decisamente
minoritario il numero dei fedeli che sperimentano un effettivo incontro con la
parola di Dio, sia mediante la partecipazione alla Messa domenicale che nelle
altre forme di accostamento alla Sacra Scrittura. Nel recente Sinodo dei Vescovi
(5-26 ottobre) è risuonata con forza la denuncia del cosiddetto «analfabetismo
biblico», dove si intrecciano l’ignoranza di dati elementari circa la Bibbia con
il rischio del fondamentalismo, la confusione di idee sull'identità «divino-umana»
delle Scritture e la loro collocazione al centro della fede della Chiesa,
soprattutto nella celebrazione liturgica. Emerge pure l'impreparazione dei
pastori nel dedicarsi con passione ad alimentare correttamente l’incontro con la
parola di Dio nella pastorale, a partire dall’omelia, specie nella celebrazione
eucaristica domenicale. A questa situazione si aggiungono diversi ostacoli che
impediscono la libertà di Parola: l’indifferenza, il frastuono, la cupidigia,
l’idolatria. Su quest’ultimo impedimento scrive il biblista Claude Wiéner:
«L’idolatria non è un atteggiamento superato una volta per sempre, ma rinasce
sotto forme diverse: non appena si cessa di “servire il Signore”, si diventa
schiavi delle realtà create: denaro (Mt
6,24 par.), vino (Tit 2,3), volontà di dominare il prossimo (Col
3,5; Ef 5,5), piacere, invidia ed odio (Rm 6,19; Tit 3,3),
peccato (Rm 6,6). Tutto ciò porta alla morte (Fil 3,19), mentre il
frutto dello Spirito è vita (Rm 6,21ss.). Dietro questi vizi, che sono
idolatria, si nasconde un disconoscimento del Dio unico che, solo, merita la
nostra fiducia».
La libertà di Parola quali vie può percorrere
in noi per ovviare a tanti freni e ostacoli? Senza assolutizzare mezzi e
strutture, sono indispensabili alcuni ambiti, quali: ascolto, silenzio,
accoglienza, umiltà, conversione, ascesi, preghiera. Alla parola del Signore -
segno del suo gratuito auto-donarsi a noi - occorre corrispondere con
l’accoglienza libera e gioiosa, che è l’ascolto obbediente della fede, come ha
sottolineato la Dei Verbum: «A
Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza delle fede, per la quale l’uomo
si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestando il pieno ossequio
dell’intelletto e della volontà a Dio che si rivela e dando il proprio assenso
volontario alla rivelazione fatta da lui»(n.5). Il Dio che si comunica al nostro
cuore ci chiama ad offrirgli non semplicemente qualcosa di noi, ma noi stessi.
Questo ascolto coinvolgente ha la forza di renderci liberi: «Se rimanete fedeli
alla mia Parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).
Ascoltare e meditare la Parola, gustarla,
amarla, celebrarla, viverla e annunciarla in parole ed opere: è questo
l’itinerario che si apre dinanzi a chi comprende che nella parola di Dio sta la
sorgente della vita cristiana. Chi decide di entrare in rapporto dialogico e
personale con Dio è chiamato ad assumere atteggiamenti che dicano tensione a
crescere, decisione di offrire totalità di attenzione a Dio che parla,
sfrondando via via dal proprio ascolto tutte quelle realtà che, in qualsiasi
maniera, minacciano la priorità dell’ascoltare-praticare la Parola. Questo è il
frutto di una vita convertita e sempre in stato di conversione. Occorre porsi
docilmente alla scuola dell’esegeta della Parola divina, che è lo Spirito Santo,
il quale sussurra al nostro cuore: «Chi ha orecchi per intendere, intenda» (Mc
4,9). La nostra vita consacrata provoca la nostra responsabilità ad essere
maggiormente liberi per ascoltare meglio e praticare meglio la Parola,
lasciandoci trasformare secondo le radicali esigenze della
sequela Christi.
Amiche lettrici e cari lettori, il numero di
Consacrazione e Servizio che
avete tra mano - il primo dell’anno 2009 - si presenta con qualche nuovo
accorgimento grafico, indice dell’attenzione della Redazione per una efficace
accoglienza dei suoi contenuti. Apre il fascicolo la consueta rubrica
«Speciale Anno Paolino», con l’articolo di mons. Francesco Lambiasi su un
argomento fondamentale per la nostra vita: la preghiera in san Paolo.«L’uomo
nascosto in fondo al cuore» è la frase, tratta dalla prima lettera di san
Pietro (1Pt 3,4), che sostituisce la precedente «Vicino a te è la Parola». La
rubrica, affidata alla prof.ssa Antonietta Augruso, si prefigge di rielaborare
lungo l’anno alcuni temi inerenti alla nostra interiorità. In questo numero
accosta il tema della «semplicità».
Continua la rubrica
«Orizzonti», arricchendo il fascicolo con
due contributi. Il primo rievoca l’esperienza singolare della lettura continuata
della Bibbia presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme il 5-6 ottobre
2008 (Silvia Guidi); il secondo presenta il tema raro sulle religiose e gli
emigranti italiani (Raffaella Iadanza).
Una parola particolare per il
«Dossier». Sotto il titolo: «La parola di
Dio nella trama della storia» sono raccolti sei contributi affidati a bibliste (Nuria
Calduch-Benages, Rosanna Virgili), esperti di spiritualità (Bruno Secondin, Elia
Citterio), testimoni di carità (Giovanni Paolo Ramonda), responsabili di
Congregazioni (Madre Viviana Ballarin). Dalla loro angolatura essi trattano il
tema della parola di Dio, a partire dall’esperienza sinodale. Anche le
riflessioni del presente Editoriale intendono arricchire la tematica a
quarant’anni dalla promulgazione della costituzione conciliare Dei Verbum,
con particolare attenzione al vissuto ecclesiale.
Oltre alle consuete rubriche sul film (Teresa
Braccio) e sulle segnalazioni (Luciagnese Cedrone), il numero ospita una nuova
rubrica: «Sorelle in libreria».
In essa di volta in volta la teologa Cettina Militello presenta la vita
religiosa alla luce di alcuni volumi che si occupano di questo filone
letterario.
L’augurio che rivolgo ad ognuna/o desidero
esprimerlo con le parole della proposizione n. 55 che il Sinodo dedica a «Maria,
mater Dei et mater fidei»: «Il Sinodo, che intende anzitutto rinnovare la fede
della Chiesa nella parola di Dio, guarda a Maria, la Vergine madre del Verbo
incarnato, che con il suo sì alla Parola d’alleanza e alla sua missione compie
perfettamente la vocazione divina dell’umanità. […]. I padri sinodali invitano
pastori e fedeli a rivolgere lo sguardo a Maria e domandare allo Spirito Santo
la grazia di una fede viva nella parola di Dio fatta carne».
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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