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Molte
missionarie operarono tra gli emigranti che, si diceva, nell’oceano
perdevano la fede. Prima che le traiettorie dei viaggi cambiassero
rotta, interpellando oggi le religiose in altra direzione, molti
italiani salparono verso gli Stati Uniti in cerca di un futuro più
degno.
Come la Chiesa e le congregazioni
religiose femminili furono attente a questo fenomeno,che fu una reale
emergenza sociale, con il loro impegno di carità? Non si trattava solo
di prestare servizi di assistenza. L’intento di preservare alcuni valori
umani, culturali, religiosi in un contesto così diverso, ebbe dei
risultati? A quali condizioni? Come incise l’attività delle religiose
nell’inserimento dei destinatari in una terra nuova? Facilitarono
l’integrazione o il richiamo all’Italia giocò come fattore estraniante?
E per le missionarie, caratteristiche dell’ambiente provocarono delle
modifiche nella loro mentalità, nei processi decisionali e operativi? E
nell’intera congregazione, nel governo centrale che le aveva inviate? È
noto che in alcuni casi la realtà locale così differente provocò la
separazione di una provincia dalla propria congregazione, facendone
nascere una nuova. Per quali motivi e con quali conseguenze?
Domande avvincenti sia per la storia,
sia per le religiose di ieri e di oggi, interessate a lavorare con gli
occhi aperti, consapevoli del loro apporto al proprio tempo. La natura
istituzionale della vita religiosa, che unisce un gruppo significativo
di persone intorno a un comune progetto di vita, infatti, sottrae
l’operato delle singole persone alla sfera privata e ne fa un’azione
socialmente rilevante. Sebbene l’intraprendenza creativa o la sottomessa
esecutività dipendano dalle persone e dalla formazione ricevuta, appare
nondimeno che alcune condizioni ambientali e necessità sviluppano
qualità che restano latenti in altre situazioni.
Una ricerca
pionieristica
Grazie alla tenacia di alcune
studiose è uscito un anno fa un testo ricco di stimoli:
Sorelle d’oltreoceano. Religiose
italiane ed emigrazione
negli Stati Uniti: una
storia da scoprire, a cura
di Maria Susanna Garroni (Carocci, Roma 2008, 262 p.). Esso è il frutto
di un cammino di collaborazione tra persone dedite alla ricerca e alcune
congregazioni femminili, che hanno reso disponibile la propria
documentazione storica. Così la sensibilità verso tematiche culturali
ampie ha dato il giusto risalto a fonti che, spesso, non sembrano
significative alle naturali depositarie e perciò rischiano di scomparire
nella noncuranza. Sensibilità e risorse attivate in sinergia aprono a
promettenti approfondimenti.
Nell’introduzione la curatrice prende
atto: «Le attività delle suore nelle loro congregazioni e nelle terre di
missioni stanno diventando soggetto storiografico imprescindibile per la
ricomposizione della storia delle donne e di genere» (p. 7). Eppure,
talora non resta traccia archivistica delle missionarie che operarono in
USA. Dunque occorre riscattare dalla dimenticanza il loro operato, per
sondare in particolare quanto «di Europa avessero trasferito in America»
(p. 9), e nel contempo quanto cambiarono le religiose a contatto con la
società americana che si stava formando nella sua connotazione
specifica. Questa prospettiva sottende diverse chiavi interpretative e
livelli di indagine.
La ricerca ha preso avvio con un
gruppo di studiose interessate all’americanistica che, partendo
dall’interesse per i processi intercultualie transnazionali, si sono
imbattute nel contributo delle religiose e hanno colto che la loro
presenza può essere letta su diversi piani. Susanna Garroni ha messo in
evidenza come la Chiesa ebbe bisogno delle religiose negli USA per una
presenza vicina alla gente. Questo chiama in causa gli interventi della
Santa Sede, le richieste e mentalità dei vescovi, l’iniziativa delle
congregazioni, la collaborazione in loco. L’ambiente americano, dove
vigeva un regime di separazione tra Stato e Chiesa, diverso da quello
italiano tra fine Ottocento-inizi Novecento, indusse le missionarie a un
rapporto più stretto col mondo circostante, fino a sviluppare capacità
imprenditoriali. Nel pluralismo religioso, dove la Chiesa doveva
sostenere le proprie iniziative col contributo dei fedeli, esse
dovettero scoprire capacità “finanziarie”, “abilità nel produrre,
individuare e raccogliere risorse economiche per sostenere scuole,
ospedali, parrocchie”. Le religiose contribuirono così “all’intera
impalcatura sociale e istituzionale della Chiesa cattolica negli Stati
Uniti” (p. 12).
L’asimmetria di genere, ossia il
fatto che gli uomini abbandonarono prima la pratica religiosa, mentre le
donne restarono più a lungo fedeli, fu correlata alla capillare azione
delle suore tra le donne, i bambini, i malati, le famiglie.
L’apostolato come
pedina di lancio
Le religiose si caratterizzarono per
l’apostolato nei più diversi ambiti dove scorsero un’esigenza,
innervandosi così nelle pieghe e piaghe sociali spesso trascurate dalle
istituzioni statali. A differenza delle monache, che apparentemente
vivono una vita “a parte”, la loro storia è inscindibile da quella
sociale. La varietà dei carismi si combina con la complessità della
storia statunitense nei primi decenni del Novecento e fa emergere
innanzitutto la curiosità sulla quantità delle religiose distribuite
nelle varie aree, sull’incremento e sulla curva vitale, sulla tipologia
della collaborazione con religiosi, parroci e vescovi, laiche e laici,
cattolici e non.
Non è agevole intrecciare studi su
soggetti diversi e fonti differenti per ricavarne un mosaico unitario,
piuttosto si può partire con spirito pionieristico e modestia da un
saggio di piste pertinenti e percorribili, che incoraggiano a proseguire
l’indagine e a coinvolgere altri protagonisti. Se finora si conosceva
l’esperienza emblematica di santa Francesca Cabrini e diversi studi di
Gianfausto Rosoli, ora si aggiunge qualche tassello.
Nel volume
Sorelle d’oltreoceano,
articolato in otto capitoli e altrettanti studiosi, dopo un saggio
introduttivo di Matteo Sanfilippo sul Vaticano e l’emigrazione, io
presento - con attenzione alla storiografia disponibile - le
trasformazioni generali della vita religiosa femminile, la loro
struttura e alcune componenti di una scelta che valorizza la
soggettività come risposta a una chiamata liberante e
responsabilizzante.
Peter D’Agostino analizza il caso
particolare dello scioglimento delle Apostole del Sacro Cuore. Maria
Susanna Garroni esamina quello delle suore Pallottine, entrando in
alcuni dinamismi relazionali attivati dalla situazione di missione
lontana dall’ambiente originario, dove era necessario saper difendere le
proprie posizioni. Scontri di personalità furono inevitabili, per il
prosieguo di attività intraprese come missione di carità. Essi sono
letti alla luce delle categorie “genere e trasnazionalismo”, intendendo
le missioni come “emigrazione di massa” di congregazioni religiose
italiane in Nord America, segnate da difficili fasi di adattamento (p.
134).
Elisabetta Vezzosi indaga la
professionalità crescente delle “suore immigrate”, per aiutare gli
immigrati a divenire “leali cittadini americani” (p. 151). Con l’uso
della terminologia attuale di
social work,
poco consona alle categorie di identificazione delle religiose del
tempo, sottolinea il tema della preparazione culturale. Da una parte
dovevano adeguarsi alle esigenze della società, d’altronde dovevano
educarle, secondo i valori maturati in alcune esperienze italiane, ad
es. a favore dei disabili. Marie Saccomando Coppola raccoglie
testimonianze di suore italo-americane della parte occidentale di New
York, accennando sia a dati quantitativi, che a conflitti etnici e
personalità di spicco. Analizzando un testo letterario, Leonardo Buonomo
esamina il diario di Sister Blandina Segale, mentre Caterina Ricciardi
si concentra sulle suore irlandesi per i giovani italo-americani.
Ambiti da esplorare
Gli otto saggi del volume
rappresentano dei contributi di storia americana e di storia della
Chiesa da un’ottica particolare: quella delle religiose che, vivendo
l’apostolato in dimensione universalistica, si aprirono al campo immenso
delle missioni. Oltre che segno di generoso distacco, la missione
divenne occasione di straordinarie esperienze che arricchirono le
persone, gli istituti, la società. La composizione sempre più
internazionale delle religiose mise in circolazione modelli,
regolamenti, istituzioni, abitudini su cui si dovette riflettere nei
capitoli generali o nelle visite delle superiore.
Le fonti esplorate hanno posto in
luce soprattutto gli aspetti concreti del lavoro delle religiose, in
risposta alle esigenze caritative, assistenziali, educative dei migranti
emarginati. Affiora così l’apporto dato nello spazio pubblico, in ordine
alla modernizzazione della presenza ecclesiale in USA. Trattandosi però
di religiose e non di semplici operatrici sociali, non solo è lecito, ma
necessario interrogarsi su motivazioni, mentalità religiosa, mondo
interiore che sosteneva le suore nelle missioni. Così pure l’impatto e
l’influsso che esercitarono le loro devozioni tra la gente e tra le
ragazze, come ad esempio quelle al Sacro Cuore e alla Vergine Maria. Che
cosa significarono in ordine all’educazione alla purezza, all’identità
femminile, alle sue responsabilità familiari e sociali? C’è molto da
esplorare.
Una ricca bibliografia italiana e
anglofona aiuta a entrare in un soggetto complesso e affascinante. Le
cultrici di storia delle donne e di storia americana hanno avvicinato le
religiose a quest’orizzonte storiografico, con rispetto e fine interesse
culturale. Ora sarebbe auspicabile attivarsi maggiormente come
religiose, per arricchire questo quadro appena abbozzato, che merita di
essere meglio conosciuto attraverso storie concrete. Non solo le
missionarie eccezionali lasciarono traccia con la loro intraprendenza.
Esse agirono in un tessuto comunitario, con altre sorelle, sia italiane
che autoctone, con la fatica e la gioia di condividere un progetto di
servizio alle persone, partendo da presupposti familiari e culturali
molto differenti. La vita di queste comunità, i processi della
permanenza di alcuni valori originari e al contempo le loro
trasformazioni nella mentalità, possono essere esplorati con maggiore
profondità da chi conosce dall’interno la vita religiosa. Il dialogo tra
religiose e laiche è oltremodo necessario per ricomporre in modo più
articolato questa bellissima storia di amore creativo, tanto attuale in
una società multiculturale come era una volta quella nordamericana e
come è diventata, a suo modo, anche quella italiana.
Grazia Loparco
Docente alla Pontificia
Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”
Via Cremolino, 141- 00166
Roma
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