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«Gli
Istituti di vita consacrata hanno sempre avuto un grande influsso nella
formazione e nella trasmissione della cultura. […]. Ma al di là del
servizio rivolto agli altri, anche all'interno della vita consacrata c'è
bisogno di rinnovato amore per l'impegno culturale, di dedizione allo
studio come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico,
straordinariamente attuale, di fronte alla diversità delle culture.
Diminuire l'impegno per lo studio
può avere pesanti conseguenze anche sull'apostolato, generando un senso
di emarginazione e di inferiorità o favorendo superficialità e
avventatezza nelle iniziative.
Nella diversità dei carismi e
delle reali possibilità dei singoli Istituti, l'impegno dello studio non
si può ridurre alla formazione iniziale o al conseguimento di titoli
accademici e di competenze professionali.
Esso è piuttosto espressione del
mai appagato desiderio di conoscere più a fondo Dio, abisso di luce e
fonte di ogni umana verità.
Per questo, tale impegno non isola
la persona consacrata in un astratto intellettualismo, né la rinchiude
nelle spire di un soffocante narcisismo; è invece sprone al dialogo e
alla condivisione, è formazione alla capacità di giudizio, è stimolo
alla contemplazione e alla preghiera, nella continua ricerca di Dio e
della sua azione nella complessa realtà del mondo contemporaneo.
La persona consacrata, lasciandosi
trasformare dallo Spirito, diventa capace di ampliare gli orizzonti
degli angusti desideri umani e, nello stesso tempo, di cogliere le
dimensioni profonde di ogni individuo e della sua storia, al di là degli
aspetti più vistosi ma spesso marginali.
Innumerevoli sono oggi i campi di
sfida che emergono dalle varie culture: ambiti nuovi o tradizionalmente
frequentati dalla vita consacrata, con i quali urge mantenere fecondi
rapporti, in atteggiamento di vigile senso critico ma anche di fiduciosa
attenzione verso chi affronta le difficoltà tipiche del lavoro
intellettuale, specie quando, in presenza degli inediti problemi del
nostro tempo, occorre tentare analisi e sintesi nuove».
(VITA CONSECRATA 98)
L’acropoli
dell’anima
La tradizione ci consegna, prima con
Cicerone, poi con Tommaso d’Aquino, l’idea dello studio come
applicatio mentis vehemens,
espressione quest’ultima tradotta da Dante nel
Convivio
come l’applicazione dell’animo
innamorato; ma già Platone nel
Repubblica
aveva espresso la necessità
dell’applicazione a tenere l’acropoli dell’anima impegnata: «Altri
appetiti, venuti su di soppiatto, per l'insipienza dell'educazione, si
fanno molti e gagliardi nell’anima umana [...]. E infine, vistala vuota
di dottrina e di nobili studi e veraci ragionamenti - che sono le
migliori sentinelle e guardie nell'animo degli uomini cari agli Dei - si
impadroniscono dell'acropoli dell'anima giovanile».1
Al vuoto dell’anima corrisponde una
passività nella ricerca e nello studio della verità. La verità, definita
aletheia
(colei che non è nascosta), richiede
un vivace movimento di avvicinamento, un cammino spinto dalla
meraviglia, una nostalgia di rivelazione.
Aristotele e Teofrasto hanno plasmato
un’immagine della verità “non nascosta”, ma rivelata come luce che
sempre ci fascia e ci circonda. Le difficoltà nel raggiungimento di essa
non dipendono dalla verità stessa, ma da noi uomini: l’occhio della
nostra intelligenza è come l’occhio delle nottole, non riesce a vedere
quando c’è troppa luce.2 Lo studio della
verità, dunque, richiede un occhio interiore allenato, o meglio, che
l’occhio interiore si alleni nella ricerca e nell’applicazione amorosa
dell’anima in tale “lavoro fascinoso”.
Ancora Platone nel
Fedro
ci ricorda che: «il motivo per cui le
anime mettono tanto impegno per vedere la pianura della verità è che il
nutrimento adatto alla parte migliore dell’anima proviene dal prato che
è là, e la natura dell’ala con cui l’anima può volare si nutre proprio
di questo».3
In un circolo di dedizione amorosa,
dunque, l’uomo dedica se stesso alla ricerca che diventando
ri-velazione, lo spinge a cercare nuovamente.
La sfida dello
studio
Nell’animo vuoto, dunque, e passivo,
c’è posto e dimora per ogni sorta di “appetito”, nel significato più
viscerale del termine. Possiamo traslare e dire per noi, oggi, che
nell’anima trovano dimora, nel tempo della fluidità liquida, moduli
d’immagini in continuum,
frammenti di un puzzle immaginifico, fascinoso e ipnotico.
Ci troviamo a vivere nell’eredità del
post-moderno, nel tempo del sub-umano, orizzonte rammentato e civiltà
complessa, a scacchi, perfettamente aderenti e solitariamente autistici.
Nel tempo planetario, l’illusione della comunicazione virtuale rafforza
la solitudine, alimenta il sogno dell’onnipotenza, accende la
convinzione della visione globale, solidificando la visione di
superficie.
Tutto sembra spiegabile e spiegato,
leggibile e letto. L’effimero assurge a norma e moda, offre il gusto del
momento e si spegne, come meteora nel buio.
Crediamo di vivere nel “nuovo” perché
immagini ininterrotte sul megaschermo - acceso per noi dai network
mondiali – ci tuffano in una fluidità da sogno, ci accarezzano e ci
stimolano senza sosta. Noi siamo quelle immagini
in continuum.
Siamo, in superficie, piccoli schermi su cui scorrono le possibilità
virtuali. Grande è la sfida che la nostra generazione ha da vivere. Una
sfida potente alla vita consacrata sta abitando il millennio della prima
decade. Lo smarrimento è uno scotto inevitabile da pagare: perdita
d’identità e di storia; perdita di unità e di rotta; perdita di
significato e di valori.
Una voglia incontenibile di
ancoraggio ci assale e pertanto l’atto dello
studium
diventa necessità necessitante. Lo
studio, come applicazione d’intelligente passione dedicata ai saperi, è
per le religiose, nel tempo del virtuale, un imperativo d’intelligenza e
d’anima. Necessità di apprendimento e di riflessione lunga, continua e
sistematica per acquisire solidità e profondità; per acquisire
strumentazione critica e capacità di decodificare i linguaggi della
fluidità culturale quotidiana, il senso ultimo dell’andare, gli
interrogativi profondi dell’identità umana. Necessità per ricercare nel
frammento l’immagine ultima, nelle sollecitazioni e nel baluginio delle
verità d’occasione, il rinvio verso la Luce e la Verità.
Per affinare lo
sguardo
«Non ridere, né piangere, né
detestare le azioni degli uomini, ma cerca di capire per scegliere
(sed intelligere)»:
così gli autores
latini. Per leggere a fondo
(intelligere)
nei tratti della storia, in una
civiltà che si proietta sugli schermi, occorre creare legami di
comprensione per scegliere. Vivere, dunque, in attitudine di studio come
conoscenza e discernimento.
Lo studio affina lo sguardo a
riconoscere, al di là delle finzioni, la realtà umana, allenando, in
tale processo ragione e cuore. Una dinamica di passione per l’umanità
che s’impara per mezzo di una lunga familiarità con la storia e le
discipline dell’umanesimo. Uno studio “matto e disperatissimo” - per
dirla con Leopardi - che conduce alla conoscenza dell’uomo e del suo
mistero: le sue scelte etiche, le passioni, le glorie, le virtù e i
vizi; gli scontri titanici, le arti della guerra e le convivenze della
pace; le costruzioni culturali e quelle artistiche; e anche la capacità
di edificarsi nella polis
e nel diritto; di
filosofare tra dubbi,
impasse e slanci verso la
verità; di desiderare l’Infinito e di piegare le ragioni della ragione
nell’umiltà della fede.
Lo studio delle religiose è segnato,
oggi, dalla passione per l’umano e la sua storia? Oppure, scavalcando
tale conoscenza, si accultura per settorialità, in vista di un servizio
immediato? Viviamo in tempi nei quali si corre il rischio di smarrire il
senso dello studio e di vederlo solo in maniera funzionale a un
ministero. Certamente lo studio “serve” l’uomo e lo aiuta a “servire”,
ma si rischia di vivere lo studio in maniera occasionale e funzionale, e
non più come una forte e preziosa esperienza di vita e di umanesimo
cristiano.
Dire che l’eredità, che ci è stata
consegnata dal monachesimo, è segnata dal sigillo dell’humanitas
significa raccontare
storia nota. Suscitare la domanda circa gli studi che i religiosi, anche
delle nuove generazioni, conducono e circa il tempo che dedicano a
scrutare l’humanum
e la sua storia può avviare una
stimolante riflessione.
Soluzioni creative
La Chiesa, Sposa del Verbo incarnato,
è indissolubilmente coniugata alla storia, in un continuo processo, che
relaziona il suo paradigma di valori (assiologia) a strutture e forme
culturali. Noi religiose in occidente siamo toccate dai numerosi
significati dell’humanum
venuti a maturazione e a
successiva frantumazione. In primo piano va fatta memoria
dell'esperienza della pluralità, della discontinuità e della
particolarità come processo di progressiva differenziazione.
Siamo in una condizione di radicale
pluralità.4 In questo nostro secolo il
pluralismo acquista un’accelerazione esplosiva per la differenziazione
dei modi di vivere, dei modelli di pensiero, dei sistemi di
orientamento, delle modalità di azione, della massiccia
marginalizzazione del fatto religioso.
L'attuale cambiamento culturale, come
ha indicato Benedetto XVI, è spesso considerato una sfida al
cristianesimo stesso, piuttosto che un orizzonte sullo sfondo del quale
possono e devono essere trovate soluzioni creative: «La questione
dell'uomo, e quindi della modernità, sfida la Chiesa a escogitare modi
efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del "realismo"
della propria fede nell'opera
salvifica di Cristo. Il cristianesimo non va relegato al mondo del mito
o dell'emozione, ma deve essere rispettato per il suo anelito a fare
luce sulla verità sull'uomo, a essere in grado di trasformare
spiritualmente gli uomini e le donne, e quindi a permettere loro di
realizzare la propria vocazione nel corso della Storia».5
In occidente stiamo vivendo una
mutazione simile a quella avvenuta agli inizi del XIX secolo, che con lo
sviluppo delle congregazioni religiose, così dette di voti semplici,
specie femminili, toccò in modo considerevole l’Europa. Le congregazioni
si inserirono - come fermento spirituale, culturale, caritativo e come
forma storica - nel tessuto sociale del continente antico.
In tale mutazione anche la forma
storico-culturale della vita consacrata è entrata nel processo di
rielaborazione, proprio di ogni realtà che, in grado di riappropriarsi
della propria identità, riesce a diventare soggetto di trasformazione.
Le nostre comunità si muovono su tale orizzonte di riferimento e vivono,
con maggiore o minore consapevolezza tale crisi. L’attitudine allo
studio-discernimento aiuta a prendere coscienza di tale situazione.
Il flusso delle culture; le
evoluzioni antropologiche, sociali, comunicative sono spazi di
rivelazione in cui bisogna entrare per discernere ed iniziare processi
di elaborazione verso nuove sintesi. «Quante volte, anche la vita
religiosa ha mancato a importanti appuntamenti con la storia per un
eccessivo attaccamento all’esistente, ai consueti modi di fare, a una
ripetitività acritica […]», ma anche la superficialità culturale è stata
alla base «di alcune fughe in avanti, talvolta tributarie di una lettura
dei segni dei tempi acriticamente troppo subordinate alla cultura e alle
mode dominanti».6
Lo studio-discernimento collettivo (congregazionale
e intercongregazionale) può essere luogo di accoglienza dello Spirito (cf
Vita consecrata
52-53) come l’umiltà di uno studio
corale, condotto dai religiosi/e, può spingere a confronti e nuove
sintesi esigiti anche da orizzonti ecumenici: «Anche la conoscenza della
storia, della dottrina, della liturgia, dell'attività caritativa e
apostolica degli altri cristiani non mancherà di giovare ad un’azione
ecumenica sempre più incisiva» (ivi
101).
Lo sguardo
femminile
«È doveroso rilevare che la nuova
coscienza femminile aiuta anche gli uomini a rivedere i loro schemi
mentali, il loro modo di autocomprendersi, di collocarsi nella storia e
di interpretarla, di organizzare la vita sociale, politica, economica,
religiosa, ecclesiale» (ivi
57), così
Vita onsecrata,
apriva alla necessità del confronto.
Il maschile e il femminile nella
Chiesa hanno da percorrere vie di reciprocità per fare storia
comunionale (cf ivi
58). Lo sguardo femminile può
alimentare uno studium
come comprensione
“altra”. Alla donna, forse, viene
chiesto un intelletto d’amore; uno sguardo che sappia “covare” le nuove
nascite; che sappia “custodire” l’originaria bellezza; uno sguardo
creativo che conduca la ragione a sapienza; uno sguardo pedagogico che
sappia chinarsi nei cammini quotidiani e noti per accendere vita. Per
scrutare la storia e per annunciare la resurrezione.
Nella
Mulieris dignitatem,
Giovanni Paolo II ricorda: «Nella nostra epoca i successi della scienza
e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un
benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri
all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può
comportare anche una graduale
scomparsa della sensibilità per
l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano.
In questo senso, soprattutto i nostri
giorni attendono la
manifestazione di quel
“genio” della donna che assicuri la sensibilità per l'uomo in ogni
circostanza» (n. 30).
La saggezza nel
servizio d’autorità
Negli andamenti critici delle
culture, nei processi di mutazione, e di rifusione, che stanno
ridisegnando l’umano, anche la tensione delle religiose che servono in
autorità assume la valenza di
studium.
Studium
come sguardo teso, in primo luogo
alla persona consacrata,
familiaris et soror: per
dirigerla verso l’attitudine sapienziale di vita; per allenarla alla
cultura dell’umano, condotto a pienezza cristiana; per permetterle
l’esercizio della riflessione valoriale. E anche per aiutarla a
custodire la sacralità dell’essere, affinché non si spenda in eccesso
secondo i valori dell’adoperabilità e dell’utilità; per evitare che
trasformi il “sapere cristiano” in una costellazione d’interventi
efficaci.
Studium
come incoraggiamento alla persona
consacrata affinché s’impegni a cercare i fondamenti metafisici della
condizione umana, laddove il Verbo, prendendo dimora, fa risplendere la
sua Luce. La Chiesa esorta: «Una solida formazione intellettuale, che
risponda alle finalità della vocazione e missione del proprio Istituto,
è pure a base di una equilibrata e ricca vita di preghiera e di
contemplazione. Perciò lo studio e l’aggiornamento sono raccomandati
come fattori di un sano rinnovamento della vita religiosa, nella Chiesa
e per la società dei nostri tempi (PC 2,c-d; ES II, 16): «Gli studi
siano programmati non quasi fossero una male intesa realizzazione di sé,
per raggiungere finalità individuali, ma affinché valgano a rispondere
alle esigenze di progetti apostolici della stessa Famiglia religiosa in
armonia con le necessità della Chiesa» (MR 26).7
Infine,
studium
come cura della “saggezza” nella
propria persona, mentre si spende nel servizio d’autorità. Esperienza
offerta come consiglio: «Se vorrai star bene, cura soprattutto la salute
dell’anima, e poi quella del corpo, la la saggezza. Affido agli scritti
consigli salutari, come se fossero ricette di medicine utili; ne ho
sperimentato l’efficacia sulle mie ferite, che pur non essendo
completamente guarite, tuttavia hanno cessato di estendersi».8
In dialogo con la
vita e le culture
Da ultimo, riflettere sulla necessità
di un «rinnovato amore per l'impegno culturale, di dedizione allo studio
come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico,
straordinariamente attuale, di fronte alla diversità delle culture» (Vita
consecrata 98), significa
necessariamente provocare a
rinnovamento le comunità e l’intera Famiglia religiosa in ordine
all’identità, alla vitalità carismatica e alle dinamiche formative poste
in atto quotidianamente. Il carisma, qualsiasi sia la sua specificità
spirituale e apostolica, per esprimersi in modo adeguato e vivo, ha
sempre bisogno di far dialogare momento formativo e momento
intellettuale, così come ha sempre bisogno di mantenere entrambi in
dialogo con la vita e le culture del tempo.
Per sollecitare e favorire tale
dinamica non è sufficiente un gesto sporadico; qualche decisione o
scelta operativa. Si tratta di avviare e sostenere un evento permanente
che ha rapporto e incidenza sull’intera vita comunitaria e personale.
Per questo motivo, si deve mettere a fuoco, con paziente attenzione, uno
stile di vita che consenta di perseguire l’intento: dare forma ad un
ambiente il cui clima abituale sia quello dello sguardo sapienziale,
attento, amoroso alla vita, alle persone, sguardo volto a scoprire e a
vivere le opportunità di crescita umana e spirituale.
Il respiro dell’intelletto, e del suo
indagare amoroso e umile, potrà essere sostenuto: dall’approccio
sapienziale alla Parola; dal senso dell’ascolto e del silenzio; dal
senso del limite e dell’umiltà di fronte alla vastità del sapere; dalla
condivisione semplice del frutto della propria fatica; dall’abitare il
proprio spazio interiore; dal vivere la dimensione dello scavo e del
discernimento; dalla passione per l’umano con le sue domande di senso e
di sofferenza.
Dunque un insieme di attitudini, di
scelte e di azioni da curare perché si edifichi un ambiente
significativo e si testimoni lo stile carismatico dell’Istituto.
Conclusione
Lo studio come sapienza dello
sguardo. Simone Weil ha un saggio di notevole spessore: «Riflessioni
sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio» che in
verità andrebbe riletto per spunti utili. Lo studio, fine illuminazione
dell’intelletto, viene vissuto come propedeutica all’intelletto d’amore.
È il passaggio che può accadere per noi religiose, assaporando con
umiltà il mistero divino scritto nella ricerca umana della verità.
Onorando l’intelligenza, alimentiamo
con lo studio la sapienza del nostro sguardo per acquistare coscienza
della preziosità e della dignità della persona umana e della sua
vocazione alla vita: «Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a
Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore» (Sal 8).
Vivere lo studio come attitudine
contemplativa. Vivere lo studio come abilità alla elaborazione
comunitaria ed ecclesiale dei dati storici. Vivere lo studio come
pedagogia conviviale, aprendo le nostre comunità all’incontro, laddove
uomini e culture possono riconoscere la propria identità di cercatori di
Dio. Vivere lo studio come accoglienza della libera creatività dello
Spirito Santo. Vivere lo studio con occhi di donna. Nella civiltà del
frammento e della solitudine collettiva può significare tessere un filo
rosso.
1 PLATONE,
Repubblica,
560b.
2 Cf ARISTOTELE,
Metafisica,
II, 993° 30-b12.
3 PLATONE,
Fedro,
127° 12-c 46.
4 Cf W.
WELSCH, «Hegel und die analytische Philosophie», in
Information Philosophie,
1 (2000).
5 BENEDETTO XVI,
Discorso ai partecipanti
all’incontro dei rettori e docenti delle Università Europee. Un nuovo
umanesimo per l’Europa,
Città del Vaticano 2007, 25 giugno.
6 P. G. CABRA,
«Uomini dello Spirito, generatori di santità e cultura», in CISM (ed.),
Santità, Cultura, Impegno.
I religiosi nel terzo millennio,
Rogate, Roma 1996, 50-51.
7 CIVCSVA,
La dimensione contemplativa della
vita religiosa, Libreria
Editrice Vaticana 2002, 19. Cf
Vita consecrata
71.
8 SENECA,
Lettere a Lucilio,
8, 2.
Nicla Spezzati
Responsabile della rivista
Sequela Christi
CIVCSVA
Piazza Pio XII, 3 - 00193 Roma
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