 |
 |
 |
 |
Senza
dubbio l’insegnamento di Benedetto XVI, intenso e coinvolgente, suscita
curiosità e stupore, provoca e interpella. Soprattutto esige un sostare calmo e
meditativo su parole cariche di essenzialità e di forza evocativa. Si rileggano
ad esempio le venti «catechesi» su san Paolo, pronunciate dal Papa durante
l’anno dedicato al grande Apostolo (2 luglio 2008-4 febbraio 2009). Come gli
ascoltatori raccolti nell’aula Paolo VI o in piazza San Pietro siamo
interpellati a trovare opportune risposte agli interrogativi circa la nostra
personale adesione a Cristo e al Vangelo. Di fatto, a mano a mano che
riscopriamo Paolo attraverso le profonde lezioni del Santo Padre, riconosciamo
in pari tempo i tratti inconfondibili che ci devono caratterizzare, sapendo di
essere posti tra l’istanza dell’annuncio e l’urgenza della testimonianza. Uno di
questi aspetti riguarda “il culto spirituale”, argomento svolto da Benedetto XVI
nella catechesi di mercoledì 7 gennaio 2009. Riproporne alla nostra attenzione
alcuni brani vuole essere un modo per ridare importanza, in questo anno
sacerdotale, alla lezione liturgica che Paolo rilancia a tutta la Chiesa.
Premesso che oggi si comprende meglio che l’Apostolo vede nella croce di Cristo
una svolta storica, che trasforma e rinnova in modo radicale la realtà del
culto, il Papa propone alla riflessione tre testi della
Lettera ai Romani,
dove appare la nuova visione del culto.
Nella
Lettera ai Romani
3,25, dopo aver parlato della “redenzione
realizzata da Cristo Gesù”, Paolo continua con una formula per noi misteriosa,
precisa il Santo Padre: Dio lo «ha prestabilito a servire come strumento di
espiazione per mezzo della fede nel suo sangue». Con questa espressione -
strumento di espiazione - Paolo accenna al cosiddetto “propiziatorio”, cioè il
coperchio dell'arca dell'alleanza custodita nel tempio. Era un oggetto
intoccabile perché su di esso dimorava la Gloria di Dio ed era pensato come
punto di contatto tra Dio e l’uomo. Un giorno all’anno il sommo sacerdote
compiva il rito solenne di espiazione dei peccati del popolo, spargendo su di
esso il sangue di un agnello. In tal modo veniva ristabilita la relazione piena
tra Dio e Israele. San Paolo accenna a questo rito, espressione del desiderio
che si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell'abisso della
misericordia divina e così farle scomparire. Ma con il sangue di animali non si
realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana
ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo,
Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in sé tutta la nostra colpa.
Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel
suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall'umanità, e si
rinnova la vita. Rivelando questo cambiamento, san Paolo afferma:Con la croce di
Cristo - l'atto supremo dell'amore divino divenuto amore umano - il vecchio
culto simbolico e provvisorio è finito. Esso è sostituito dal culto reale:
l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte
sulla croce. Già prima della distruzione esterna del tempio, per Paolo l'era del
tempio e del suo culto è finita. Paolo si trova qui in perfetta consonanza con
le parole di Gesù, che aveva annunciato la fine del tempio ed annunciato un
altro tempio “non fatto da mani d'uomo”, il tempio del suo corpo risuscitato (cf
Mc 14,58;Gv 2,19ss).
«Vi esorto dunque, fratelli, per la
misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e
gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale». In queste parole della
Lettera ai Romani
12,1 si verifica,sottolinea Benedetto XVI, un
apparente paradosso: mentre il sacrificio esige di norma la morte della vittima,
Paolo ne parla invece in rapporto alla vita del cristiano. L'espressione
“presentare i vostri corpi”, stante il successivo concetto di sacrificio, assume
la sfumatura cultuale di “dare in oblazione, offrire”. L'esortazione a “offrire
i corpi” si riferisce alla persona concreta, nella sua interezza. Si tratta
dunque di un culto che coinvolge l’uomo intero – non semplicemente il suo
spirito, la sua interiorità – e attraverso l’uomo il mondo. Del resto,
l'esplicito riferimento alla dimensione fisica del cristiano coincide con
l'invito a “glorificare Dio nel vostro corpo” (1Cor 6,20): si tratta cioè di
onorare Dio nella più concreta esistenza quotidiana, fatta di visibilità
relazionale e percepibile.
Un comportamento del genere viene da Paolo
qualificato come “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio”. È qui che
incontriamo appunto il vocabolo “sacrificio”. Nell'uso corrente questo termine
fa parte di un contesto sacrale e serve a designare lo sgozzamento di un
animale, di cui una parte può essere consumata dagli offerenti in un banchetto.
Paolo lo applica invece alla vita del cristiano. Infatti egli qualifica un tale
sacrificio servendosi di tre aggettivi. Il primo -
vivente
- esprime una vitalità. Il secondo -
santo
- ricorda l'idea paolina di una santità
legata non a luoghi o ad oggetti, ma alla persona stessa dei cristiani. Il terzo
– gradito a Dio
- richiama la frequente espressione biblica
del sacrificio “in odore di soavità” (cf Lev 1,13.17; 23,18). Un tale olocausto
vivo non può che essere santo,
e gradito a Dio
infinitamente di più che gli animali offerti
da Israele. Questo culto è definito da Paolo culto spirituale.
Paolo ripete così quanto aveva già indicato
nel capitolo 3. Il tempo dei sacrifici di animali, sacrifici di sostituzione, è
finito. È venuto il tempo del vero culto. Cristo, nella sua donazione al Padre e
a noi porta realmente in sé l'essere umano, le nostre colpe ed il nostro
desiderio; ci rappresenta realmente, ci assume in sé. Nella comunione con
Cristo, realizzata nella fede e nei sacramenti, diventiamo, nonostante tutte le
nostre insufficienze, sacrificio vivente: si realizza il “culto vero”.
«La grazia che mi è stata concessa da
parte di Dio di essere “liturgo” di Cristo Gesù per i pagani, di essere
sacerdote del vangelo di Dio perché i pagani divengano un’oblazione gradita,
santificata nello Spirito Santo » (Rm 15,16). Benedetto XVI in questo terzo
brano della Lettera ai Romani
sottolinea due aspetti.
«Innanzitutto, san Paolo interpreta la sua azione missionaria tra i popoli del
mondo per costruire la Chiesa universale come azione sacerdotale. Annunciare il
Vangelo per unire i popoli nella comunione del Cristo risorto è un’azione
“sacerdotale”. L'apostolo del Vangelo è un vero sacerdote, fa ciò che è il
centro del sacerdozio:prepara il vero sacrificio. E poi il secondo aspetto: la
meta dell'azione missionaria è la liturgia cosmica: che i popoli uniti in Cristo
- il mondo - diventino gloria di Dio, “oblazione gradita, santificata nello
Spirito Santo”. Qui appare l'aspetto dinamico, l'aspetto della speranza nel
concetto paolino del culto: l'autodonazione di Cristo implica la tendenza di
attirare tutti alla comunione del suo Corpo, di unire il mondo. Solo in
comunione con Cristo, il mondo diventa specchio dell'amore divino. Questo
dinamismo è presente sempre nell'Eucaristia; questo dinamismo deve ispirare e
formare la nostra vita».
Amiche lettrici e cari lettori, il terzo
numero del 2010 di Consacrazione e
Servizio che avete tra mano si apre
con la rubrica: «Figlie della
promessa», affidata al biblista
Tiziano Lorenzin, in sintonia con il tema annuale della Presidenza dell’USMI.
Continua la riflessione sul cammino di Abramo che è invitato ad attendere con
pazienza piena di fede che la parola di Dio si realizzi.
«Anno sacerdotale»
e
«Orizzonti».
Nella prima rubrica Paola Bignardi intervista il diacono Davide Arcangeli -
diventerà prete tra qualche mese - della diocesi di Rimini. È entrato in
seminario dopo la laurea in ingegneria e dopo essere stato per due anni
Presidente Nazionale della FUCI. La seconda rubrica arricchisce il numero con
due contributi di genere diverso: il primo, della salesiana Bernadette Sangma,
intende dare una risposta all’interrogativo: «A che punto sono i diritti delle
donne?». Una domanda particolarmente pertinente quest’anno in cui si commemorano
i 15 anni della Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna svoltasi a Beijing nel
1995. Il secondo contributo, di Grazia Loparco, docente a Roma alla Pontificia
Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, presenta in maniera interrogativa
un tema singolare: Le religiose italiane sono un mondo a parte in rapporto alla
ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia? La documentazione al riguardo le
presenta come tessitrici di unità nazionale e in prima fila nelle emergenze.
Purtroppo nulla di tutto questo appare nel Museo dell’Emigrazione italiana
allestito presso il Vittoriano a Roma.
Una parola particolare per il
«Dossier».
Sotto il titolo: «Il frutto dello Spirito è fedeltà», espressione tratta dalla
Lettera ai Galati
5,22, sono raccolti sei studi come contributo
della rivista in occasione dell’anno sacerdotale annunciato da Benedetto XVI il
16 marzo 2009, ed esplicitato nella frase: «Fedeltà di Cristo, fedeltà del
sacerdote». Il Dossier
si apre con essenziali proposte e
provocazioni per la Chiesa da parte del direttore del Centro Nazionale Vocazioni
(Nico dal Molin); prosegue con efficaci sottolineature sul perché il presbitero
– mistero insondabile - è dono del Signore per la Chiesa (Corrado Maggioni);
indugia in ambito liturgico sul sacerdozio di Cristo, dei ministri e del popolo
cristiano (Pietro Sorci); individua lo specifico proprio della vita consacrata
in rapporto alla ministerialità liturgica, in ragione della chiamata alla
radicalità evangelica: quella di formare, di aiutare fratelli e sorelle a
crescere nella competenza celebrativa (Antonella Meneghetti); prosegue con il
presentare le svolte fondamentali nel rapporto sacerdoti e suore, svolte legate
a mutamenti socio-culturali e socio-religiosi complessi e molteplici che toccano
i singoli e la collettività (Marcella Farina). Chiudono il
Dossier
le riflessioni-risposte ad una domanda
importante e inconsueta: Cosa chiedono i fedeli ai sacerdoti? Marina Corradi,
inviato e editorialista di
Avvenire, a questa domanda tanto
complessa dà una sua personale risposta. Anche il presente
Editoriale
contribuisce ad ampliare il tema sull’anno
sacerdotale.
Oltre alle consuete esplorazioni sui film
(Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Rita Bonfrate), va accennata la
rubrica: «Facce di preti»,
affidata alla teologa Cettina Militello, che rilegge in maniera critica i
romanzi classici sui preti. Dopo il celebre
Diario di un curato di campagna
del romanziere Georges Bernanos e il
Don Camillo
di Giova
ni Guareschi, in questo numero
viene presentato Il potere e la
gloria dello scrittore Graham
Greene.
La ricchezza dei contenuti con la varietà
degli articoli, e la grafica accurata del fascicolo, fanno della rivista uno
strumento formativo di piacevole lettura, come tanti ci hanno scritto o espresso
a voce. L’augurio è allora: buona lettura.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
|