Come
tutti i doni di Dio, anche il sacerdote è un mistero insondabile. È dono
del Signore per la vitalità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa.
Impossibile dire chi è il prete senza riferirsi al Cristo vivente nella
Chiesa. Lo ricorda così il Vaticano II: «La funzione dei presbiteri, in
quanto vincolata all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la
quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo» (Presbyterorum
ordinis
2).
Ogni sacerdote è un dono
Il presbiterato è
un dono sempre da riscoprire da parte di chi lo ha ricevuto
immeritatamente. Ogni prete lo sa bene: non è la carne e il sangue che
hanno prodotto il mistero che palpita nella sua persona, che passa
attraverso le sue parole ed azioni, bensì la grazia che sgorga dal
costato del Redentore. Nessuno diventa prete perché lo vuole lui! Lo
ricorda nel rito di ordinazione la
chiamata
del Vescovo:
ad essa chi è chiamato risponde
eccomi,
rendendosi disponibile a lasciarsi fare dal Cristo, docile al suo
Spirito. Che sia un dono lo ricorda in particolare l’imposizione delle
mani da parte del Vescovo, gesto con il quale il sacerdote viene
“creato”. Nessuno se lo può dare questo dono, ma si può soltanto
riceverlo con umiltà e
rendimento di
grazie. L’imposizione delle mani per un prete è un po’ come l’adombrazione
che avvenne per Maria a Nazaret: lo Spirito Santo effuso su di lei ha
fatto davvero grandi cose nella sua piccola realtà umana.
Anche per i fedeli
laici il sacerdote è un dono sempre da riscoprire, dal momento che la
loro comunione con Cristo passa e si costruisce grazie al suo ministero.
Chi può presumere di sentirsi unito a Cristo senza attingere tale
comunione dai sacramenti, specialmente dall’Eucaristia? Ma non è data
Eucaristia senza sacerdote: insieme sono stati voluti da Gesù la vigilia
della sua Passione. Perciò nella messa vespertina del Giovedì Santo
commemoriamo sia l’istituzione dell’Eucaristia sia quella dell’Ordine
sacro. Il vincolo tra Eucaristia e sacerdote lo ha ricordato così
Giovanni Paolo II: «L’assemblea che si riunisce per la celebrazione
dell’Eucaristia necessita assolutamente di un sacerdote ordinato che la
presieda per poter essere veramente assemblea eucaristica. D’altra
parte, la comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato.
Questi è un dono che essa riceve attraverso la successione episcopale
risalente agli Apostoli» (Enciclica
Ecclesia de
Eucharistia
29).
Collaboratori di unità
Il presbiterato
riguarda sì una persona concreta, senza tuttavia fermarsi soltanto ad
essa. È un dono innestato in un flusso vitale che discende dal Cristo,
passa per il ministero del Vescovo restando ad esso ancorato, ed ha come
destinatario l’intero popolo di Dio, in ogni sua componente e stato di
vita.
Che sia un dono
elargito “nella” Chiesa e non al di fuori di essa né contro di essa, lo
attesta il fatto che i presbiteri non si pongono in maniera autonoma in
ciò che fanno e dicono, essendo i collaboratori dell’ordine episcopale:
«Nelle singole comunità locali di fedeli essi rendono, per così dire,
presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e aperto,
condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le
esercitano con dedizione quotidiana » (Lumen
Gentium
28). Il riscontro
evidente di tale relatività è il fatto che nella Preghiera eucaristica
il presbitero nomina, dopo il Papa, il nome del Vescovo, segno che il
suo ministero eucaristico-ecclesiale, necessario alla vita della Chiesa,
è relativo a chi costituisce il fondamento della Chiesa. In effetti, «i
sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza
dal Vescovo e in comunione con lui» (Catechismo
della Chiesa Cattolica
1567).
Che il presbitero
respiri “nella Chiesa” lo attesta ancora il vincolo sacramentale con gli
altri presbiteri, ragione del
collegio
presbiterale
appunto: «I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante
l'ordinazione, sono tutti legati tra loro da un'intima fraternità
sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio
nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo.
[…]. Tutti lavorano per la stessa causa, cioè l’edificazione del Corpo
di Cristo» (Presbyterorum
Ordinis
8). Ciò è
sottolineato nel rito di ordinazione dal fatto che anche i presbiteri
presenti – dopo il Vescovo – impongono le mani sul capo dell’eletto.
Così il presbitero
nasce ed opera nella Chiesa. Agisce in persona di Cristo Capo, ma opera
anche a
nome della Chiesa.
Lo richiama il
Catechismo della
Chiesa Cattolica
spiegando che «ciò
non significa che i sacerdoti siano delegati della comunità. La
preghiera e l'offerta della Chiesa sono inseparabili dalla preghiera e
dall'offerta di Cristo, suo Capo. È sempre il culto di Cristo nella e
per mezzo della sua Chiesa. È tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, che
prega e si offre, “per ipsum et cum ipso et in ipso” - per lui, con lui
e in lui - nell'unità dello Spirito Santo, a Dio Padre. Tutto il Corpo,
“caput et membra” – capo e membra - prega e si offre; per questo coloro
che, nel Corpo, sono i ministri in senso proprio, vengono chiamati
ministri non solo di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché
rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale può rappresentare la
Chiesa» (n. 1553).
Una vita donata
Come il Vescovo,
anche i preti sono ministri
(servi)
del Cristo
vivente nelle membra del suo
Corpo. «Perciò i
presbiteri nello svolgimento della propria funzione di presiedere la
comunità devono agire in modo tale che, non mirando ai propri interessi
ma solo al servizio di Gesù Cristo uniscano la loro opera a quella dei
fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro secondo l’esempio del
Maestro, il quale fra gli uomini “non è venuto per essere servito, ma
per servire e dare la propria vita per la redenzione della moltitudine”
(Mt 20,28). I presbiteri riconoscano e promuovano lealmente la dignità
dei laici e il ruolo specifico che i laici ricoprono nella missione
della Chiesa » (Presbyterorum
ordinis
9).
Coinvolti al
servizio del Cristo, maestro, sacerdote e pastore, i presbiteri ne
prolungano dunque la missione. Volto a edificare l’unità dei credenti in
un solo Corpo, il ministero presbiterale chiama in causa l’annuncio
del Vangelo, la celebrazione dei sacramenti, la preghiera.
Sono queste le istanze che risuonano ripetutamente nel rito di
ordinazione, sia nell’omelia proposta, sia nell’assunzione degli impegni
da parte degli eletti, sia nella preghiera di ordinazione. In questa il
Vescovo chiede a Dio che «siano insieme a noi fedeli dispensatori dei
tuoi misteri, perché il tuo popolo sia rinnovato con il lavacro di
rigenerazione e nutrito alla mensa del tuo altare; siano riconciliati i
peccatori e i malati ricevano sollievo. Siano uniti a noi, o Signore,
nell’implorare la tua misericordia per il popolo a loro affidato e per
il mondo intero».
Il sacerdozio è un
dono di
Dio che
implica un’oblazione sincera a Dio, cioè ai suoi disegni di salvezza a
beneficio dell’umanità, adesso e qui. In questo senso il darsi a Dio
coincide con il donarsi agli altri, per gli altri, senza interessi
particolari, ma con libertà e gratuità. E viceversa, spendendosi per il
bene altrui, il prete dimostra la verità del suo amore per Dio.
Sull’esempio di Cristo Gesù! In effetti il prete si dona a Dio non
perché Dio ne abbia bisogno per sé, ma perché Dio
vuole
aver bisogno del
sacerdote per elargire se stesso a tutti coloro che desiderano
incontrarlo. Lo ha rammentato il Papa Benedetto XVI nell’omelia del
Giovedì Santo del 2009: «Il sacerdote viene sottratto alle connessioni
del mondo e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio, deve essere
disponibile per gli altri, per tutti». Ecco perché nel ministero
sacerdotale si incrociano la direzione verticale e quella orizzontale,
lo sguardo al cielo e alla terra, la dedizione a Dio e all’uomo.
Il sacerdote è
chiamato ad assomigliare al pane che consacra sull’altare per la vita
della Chiesa:
pane consacrato
perché sacrificato.
Pane
spezzato per creare comunione.
Pane
donato per suscitare oblazioni.
È difficile corrispondere degnamente a questa vocazione
cristologico-ecclesiale, ogni giorno, tra incomprensioni di altri e
proprie miserie. Perciò il prete ha bisogno della preghiera, del
sostegno, dell’amicizia, della consolazione, della correzione, del
perdono del suo popolo. Ogni giorno.
Corrado Maggioni
cmm
Docente
alla Pontificia Facoltà
Teologica Marianum
Via
Romagna 44 - 00187 Roma