Al
numero 41 della
Gaudium et spes
troviamo espresso un pensiero particolarmente pregnante sul valore che
ha per ogni uomo e per ogni donna della terra l'annuncio che la Chiesa
compie di Gesù quale Salvatore del mondo. Vi si legge: «L’uomo [...]
avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il
significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la
Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente
questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e
che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta
pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione
compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo. Chiunque segue
Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (GS 41).
È
questa, infatti, la convinzione che guida la comunità dei credenti nel
suo cammino nel tempo: il dovere di accompagnare ogni credente ad un
incontro personale con Gesù, proprio perché in lui è dato accesso a
quella vita buona, la cui ricerca pulsa nel cuore di ciascuno. Nella sua
piena, perfetta, umanità vi è, infatti, la possibilità, per ognuno, di
scorgere i lineamenti originali e originanti della verità dell’umano,
spesso divenuti opachi nella cultura contemporanea.
La piena umanità
di Gesù
Questo è il punto di attrazione del Vangelo: l’annuncio di un Dio che
visita la nostra storia non attraverso i segni di una gloria potente ed
irresistibile, ma nella forza disarmante di un bambino, di un giovane e
di un adulto che, inserendosi nelle vicende travagliate di un piccolo
popolo soggiogato dall’impero romano, insegna la verità dell’umano.
Proprio in questa
umanità
di
Gesù i cristiani – più in verità ogni uomo e ogni donna – sono invitati
a scoprire un modello felice per la loro esistenza. Quell’umanità è un
modello
felice,
perché non è mai stata una cosa da poco vivere
bene,
cioè in modo da non sentirsi insoddisfatti, tristi e depressi.
Quando, del resto, siamo attraversati da domande del tipo: «E ora che
faccio?», «Cosa sta orientando la mia vita?», «Che cosa dico?», «Ora
come mi comporto?», proprio tali interrogativi confermano la necessità
di avere un modello, un riferimento, un metro di misura su cui poter
giudicare le nostre decisioni ed azioni. E il cristianesimo scommette
esattamente nell’assumere Gesù quale modello di esistenza, quale guida
per la vita quotidiana ed insuperabile interprete della sempre
affascinante e faticosa avventura della libertà. Perciò invita a
diventare
umani
come
Gesù.
Nessuno ha vissuto più interamente, intensamente e consapevolmente di
lui l’avventura dell’umano che siamo e nessuno più di lui può svelarcene
la grammatica. Ma come dire in modo più preciso questa pienezza di
umanità
in
e
di
Gesù? Particolarmente affascinante risulta quanto da alcuni anni propone
il teologo gesuita Christoph Theobald e che ha trovato nella sua
imponente opera
Il
cristianesimo come
stile. Una maniera di fare teologia
nella postmodernità
(2
volumi, Dehoniane, Bologna 2009-2010) una compiuta espressione. Egli
ravvisa in Gesù una speciale forma di santità: una «santità ospitale».
Con questa espressione intende segnalare una singolare concordanza in
Gesù tra i suoi gesti e le sue parole, tra ciò che vive nella sua anima
e il suo stile di presenza agli altri, un’unità elementare e semplice
del suo essere, una concordanza piena
di
e
con
sé
che si apre di volta in volta a coloro che gli si fanno incontro, nella
sua missione di profeta itinerante. Egli appare perciò maestro buono,
maestro che ha parole di vita eterna, proprio perché in lui si manifesta
una presenza al mondo riconciliata, sanata e sanante. Questo splendore
di vita perciò non diventa qualcosa che lo isoli dagli altri (è appunto
santità
ospitale):
al contrario diventa un elemento di irradiazione, in quanto avalla la
possibilità che altri possano conquistare un simile posizionamento nei
confronti dell’esistenza stessa: possano, appunto, diventare «più
uomini».
Nel segno della
benedizione divina
La
santità e la pienezza di umanità di Gesù non lo isolano dagli altri,
anzi sono promessa e premessa perché anche altri possano riconciliarsi
con loro stessi e con il mondo, e sono promessa e premessa che trovano
nella compagnia benedetta e benedicente dell’Abbà il loro fulcro. Al
cuore della vita e del messaggio di Gesù si incontrano in verità un Dio
desideroso di servire l’umano e un uomo bisognoso dell’amore di Dio per
non smarrirsi nei sentieri dell’esistenza. La religione che egli
inaugura non vuole imbrigliare o mortificare l’energia vitale dell’uomo,
non si lascia rinchiudere in un passato remoto da replicare, non illude
nessuno con promesse di benessere a buon mercato. Invita ognuno di noi a
conquistare il mondo senza perdere l’anima, invita ad amare la vita e ad
una vita d'amore.
L’intera vicenda pubblica di Gesù, dal battesimo di Giovanni sino al
processo che lo destina alla morte in croce, può essere pertanto riletta
alla luce del suo tentativo di riattivare l’autorizzazione ad amarsi in
coloro che ha incontrato. E non ha lasciato fuori nessuna possibilità
dell’umano: il peccatore, il malato, il ricco, il povero, il potente, il
ferito, l’uomo in ricerca, lo straniero. Nessun umano è troppo lontano o
irrimediabilmente strappato da quella benedizione di Dio Padre che
autorizza la benedizione di sé.
Incontrare Gesù significa, allora, ieri come oggi, risvegliare in noi
quel desiderio di pienezza e quella pienezza del desiderio, quel
desiderio di riconciliazione e quella riconciliazione del desiderio,
quell’anelito a una vita buona che ci portiamo inscritto nelle fibre più
intime della nostra carne, pur in mezzo ad ogni fallimento o peccato.
E
chi incontra veramente Gesù incontra più precisamente la verità della
propria esistenza: cioè quell’annuncio di una presenza benedetta e
benedicente di Dio su di sé - il Dio che Gesù invita a nominare come
Padre
- la
quale autorizza ad un nostro pieno dispiegamento nel mondo, a un
“traffico generoso” dei talenti che abbiamo ricevuto, in quanto egli ci
riconcilia con quel sentimento di paura e di terrore legati
all’esperienza della finitezza e della morte.
Theobald insiste molto su questo punto, perché ciò che Gesù suscita e
desta in coloro che incontra è in definitiva «un nuovo rapporto con la
morte», reso possibile dall’annuncio della rivelazione di Dio come
Abbà,
che riesce a disarmare la morte – egli scrive – «come ultimo nemico
della vita e la trasforma in messaggero (o messaggera) capace di
convincere ciascun individuo del valore inestimabile della sua
esistenza: se non ha che una sola vita, questo “una volta per tutte” è
la garanzia della sua unicità. Soltanto un’origine “paterna” – Dio padre
– può portare il peso di questa buona novella. Colui che la intende
percepisce immediatamente la singolare novità che è il suo semplice
esistere tra la nascita e la morte».
È
questo il “miracolo” dell’incontro con il Signore Gesù: la possibilità
di un rapporto nuovo con se stessi, che implica un inedito rapporto con
la creazione e la dimensione finale dell’esistere, e apre ad una maniera
nuova di abitare il mondo, nella corrispondenza libera all’unicità di
ciascuno.
Forza magnetica di
Gesù
In
tempi come i nostri – segnati da una perdita sempre più vistosa della
fede di incidere sull'economia dell'anima e del vissuto di molte
persone, anche in territori di antica tradizione cristiana - la comunità
dei credenti è invitata a riscoprire e a rilanciare la forza magnetica
di Gesù, la provocazione inscritta nella sua
santità,
nel suo modo compiuto di abitare il mondo e di rapportarsi con gli
altri, che diventa premessa perché ciascuno possa riconciliarsi con la
vita.
È
invitata, dunque, la comunità dei credenti, a mettere più in evidenza
l'umanità sanante, corroborante, elevante, di Gesù, che riconcilia con
la vita. In una parola: la sua santità ospitale. Egli è la misura felice
della vita. Sí, egli è - richiamando una parola di san Benedetto - la
porta attraverso la quale vedere giorni felici.
Armando Matteo
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