Nel
cuore della vita cristiana risplende il dono della santità come atto
gratuito di amore di Dio che ci chiama ad entrare in intimità con il suo
mistero trinitario,a divenire, in un processo di trasformazione
continua, immagine di Gesù, suo Figlio. Realizzare questo grandioso
progetto è lo scopo dell’esistenza, finalità che mentre va
realizzandosi, libera, avvalora, perfeziona e impreziosisce la vita fino
a trasformarla in un capolavoro di bellezza, in un canto di gioia.
I
cristiani di tutti i tempi sono stati consapevoli di tale chiamata e di
ciò fa fede l’immensa schiera di santi e sante, canonizzati o no, che
come partitura dalle mille note, realizza una magnifica sinfonia che si
sprigiona dal cuore della Chiesa. Tuttavia, un grande apporto, nella
presa di coscienza di tale indeclinabile appello, è venuto dal Concilio
Vaticano II quando ha ricordato con forza a tutto il popolo di Dio la
sua chiamata alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della
carità (LG 40). Tale sollecitazione, come ventata di aria primaverile,
ha orientato il processo di rinnovamento postconciliare innervando di
tale prospettiva i cammini formativi ed educativi di tutte le comunità
cristiane e religiose.
All’inizio del terzo millennio dell’era cristiana questo richiamo è
stato riproposto dal Beato Giovanni Paolo II che, nella
Novo
millennio ineunte,
ha invitato le comunità ecclesiali e le famiglie cristiane a sentire
personalmente l’invito ad impegnarsi nel cammino della santità inteso
come la «misura alta della vita cristiana ordinaria» (n. 31). Così anche
i recenti
Orientamenti pastorali per il
decennio 2010-2020
dei
vescovi italiani sottolineano la necessità di promuovere in tutti i
cristiani un’autentica vita spirituale, cioè un’esistenza secondo lo
Spirito, non come frutto di sforzo volontaristico, ma come «cammino
attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla
comprensione del mistero di Dio e dell’uomo» (n. 22).
In
tempi di passioni tristi e di ideali ridimensionati, se non addirittura
cancellati, parlare di santità ed educare alla santità non solo non è
discorso riservato agli iniziati, ma è una sfida che prima di tutto
interpella personalmente ciascuno a verificare la qualità della sua vita
cristiana, e poi provoca coloro che sono adulti nella fede a sentire
come proprio il compito di condurre le nuove generazioni nel cammino
della santità facendosi per loro
pedagoghi,
ovvero
accompagnatori
esperti in questo indispensabile itinerario.
La
santità: innamorarsi di Cristo
Se
vuoi costruire una nave, non radunare gli uomini per raccogliere il
legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare
ampio e infinito» (Antoine de Saint-Exupéry).
La
sentenza del poeta non è fuori luogo se pensiamo al rischio sempre in
agguato di trascurare quello che rende la santità ciò che deve essere,
cioè di perdere di vista l’orizzonte affascinante che solo ha il potere
di attivare le energie della mente e del cuore verso l’ideale. Tale
orizzonte è l’amore. I santi, lo sappiamo, non erano perfetti, ma
amavano Dio alla follia e, frequentandolo nell’intimità di una preghiera
trasfigurata in esperienza mistica d’amore, hanno permesso alla grazia
di trasformare la loro vita, di santificarla.
Secondo l’insegnamento di Benedetto XVI innamorarsi di Dio e del suo
Figlio Gesù Cristo significa aver fatto di lui e del suo Vangelo la
realtà performativa della propria esistenza, ritenerlo come la Persona
che dà alla propria vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione
decisiva. Nel processo di innamoramento vi è una componente di spontanea
e reciproca attrazione che, coltivata attraverso la frequentazione e la
mutua conoscenza, si converte in modo progressivo in amore, cioè in dono
di sé all’altro in una totalità sempre maggiore, fino a desiderare di
“esserci per” l’altro. Di tale amore è intessuta la santità la quale,
pertanto, non può che essere dinamica, così come lo è un rapporto tra
due amanti che dal reciproco incontro traggono sempre nuovo alimento per
il loro amore.
L’innamoramento, dunque, non è solo l’evento che ha dato inizio alla
vita del cristiano, ma la linfa che ne sostiene il cammino secondo una
logica che va dal meno al più, da un dono parziale alla consegna totale
di se stessi a Cristo nell’abbandono fiducioso e confidente al suo
amore.
Due
azioni possono orientare questo compito sublime:
rivestirsi
e
riempirsi
di
Cristo. La prima, il
rivestirsi,
di squisito sapore battesimale, evoca l’abbandono dell’uomo vecchio per
acquisire i tratti dell’uomo nuovo, santo e giusto, mirabilmente
incarnato in Gesù Cristo. Secondo l’accezione tomista il termine
habitus
rimanda a quegli schemi comportamentali che si sono fusi in armonia
nella personalità di chi compie determinate azioni. L’abito cessa così
di essere un accessorio esterno per divenire uno “stile” di vita che
procede dall’interno. Come avvenne in Paolo, rivestirsi di Cristo
significa aver penetrato di lui i propri gesti e comportamenti, rendendo
tale operazione naturale e spontanea.
Il
riempirsi
di
Cristo evoca il pane eucaristico di cui ci si nutre costantemente e che
poco a poco ci trasforma in Gesù, colui che in quel pane si nasconde e
si fa dono totale; rimanda alla Parola di cui il discepolo innamorato
sempre si alimenta perché sia luce degli occhi e fuoco nel cuore. In
tempi nei quali le “cisterne sono screpolate” e le “giare vuote”, i
santi ci ricordano che una sola cosa è necessaria: lasciare che l’acqua
della giara - metafora della nostra vita - sia trasformata in Cristo,
vino della nuova alleanza, attraverso la potente azione dello Spirito
Santo, vero e unico pedagogo della santità.
Prima conseguenza della nostra riflessione, pertanto, è che la santità
non si conquista né si raggiunge, ma la si accoglie esprimendo un
atteggiamento che solo apparentemente è passivo in quanto, nella
dinamica dell’amore, il “farsi da parte” per fare spazio all’Altro, è
l’unico presupposto di fecondità e di nuova vita.
Una
santità semplice e simpatica
«Un
santo triste è un triste santo», affermava san Francesco di Sales. In
effetti, il fascino della santità non è solo legato all’amore, ma anche
alla gioia, come dono che procede dalla vita di colui o colei che ha
trovato il suo significato in Dio. Essendo all’origine di ogni vita come
suo senso primo ed ultimo, Dio zampilla gioia, è in sé stesso pura gioia
di esistere. Allo stesso modo i santi,
rivestiti
e
riempiti
di
Dio, partecipano della sua gioia e ne diventano sorgente inesauribile.
A
questo punto viene spontaneo chiedersi: Come può succedere che
l’annuncio della Chiesa sia pervaso a volte di morte e di tristezza
anziché di gioia e di vita? Il rischio è di somigliare ai discepoli di
Emmaus i quali «narrano la loro frustrazione e la loro perdita di
speranza. Essi dicono la possibilità, per la Chiesa di sempre, di un
annuncio che non dà vita, ma tiene chiusi nella morte il Cristo
annunciato, gli annunciatori e i destinatari dell’annuncio».
Forse la gioia, che sicuramente abita i figli e le figlie di Dio, ha
bisogno di essere risvegliata, comunicata, annunciata. Lo esigono le
nostre società intristite dalle preoccupazioni e dalle insicurezze. Di
fronte a tale grido non ci è lecito rinchiudersi nelle retrovie per
calcolo o paura. Urge perciò recuperare coraggio e autorevolezza ben
consapevoli di avere tra le mani un tesoro che non ci è permesso né di
nascondere, né di sperperare. San Giovanni Bosco, esperto educatore e
conoscitore dell’animo giovanile, aveva trovato le parole convincenti
per annunciare una santità semplice e simpatica, alla quale i giovani
non sapevano resistere: «Miei cari giovani - diceva - io voglio
insegnarvi un metodo di vita cristiana, che sia nel tempo stesso allegro
e contento, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri
piaceri, cosicché voi possiate dire col santo profeta Davide: serviamo
al Signore in santa allegria».
Il
messaggio di gioia e di vita che viene dalla santità è ciò di cui più
hanno bisogno gli uomini e le donne del terzo millennio. Ne sono
affamati e assetati in particolare i giovani e le giovani, naturali
“cacciatori” di gioia ai quali troppo spesso le nostre società opulente
hanno risposto con dei surrogati deludenti.
Al
contrario, la gioia del Vangelo, umile e potente, ha in sé un potere
guaritore, liberante e santificante:
scioglie
le
catene che tengono schiavi delle cose e delle apparenze;
affranca
gli
ideali dalle proposte di corto respiro mediate dalla pubblicità e dal
consumismo;
dilata
la
ragione imprigionata dal relativismo e dal pessimismo antropologico con
la luce della verità;
restituisce
al
cuore ridotto alle sue emozioni nuova grandezza svelandogli il vero
significato dell’amore.
Una
vera pedagogia della santità altro non è che un autentico processo di
umanizzazione, itinerario che, se compiuto, si trasforma in pedagogia
della persona e per la persona, nella quale risplende con sempre maggior
trasparenza e verità l’immagine di colui che l’ha creata e da sempre la
sogna santa e perfetta nell’amore, a immagine del suo Figlio.
1
Cf SINODO
DEI
VESCOVI.
XIII ASSEMBLEA
GENERALE
ORDINARIA,
La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Lineamenta,
Libreria Editrice Vaticana 2011, n. 2.
Piera Ruffinatto fma
Docente all’Auxilium
Via dei Fòlaggella, 27 - 00165 Roma