Premessa
La «visita
canonica» classica era un evento che, fino agli anni immediatamente
post-conciliari, riceveva nella mentalità e prassi della vita
consacrata una indubbia considerazione disturbata anche da una certa
apprensione: non poche volte, in quell’occasione, si ponevano le
premesse di futuri trasferimenti. Successivamente è sorto un certo
imbarazzo anche nell’utilizzo lessicale dell’attribuzione «canonica».
Tende quasi a scomparire. Si coniano nuove varianti: da «visita
fraterna» a «visita pastorale» [sic!] o più semplicemente subentra
la diffusa parola «verifica» i cui contorni rimangono indefiniti
quanto la rispettiva finalità e le modalità di realizzazione. Questa
incertezza segna ancor oggi la prassi di non pochi istituti maschili e
femminili. In particolare chi non può vantare una tradizione secolare.
Gli Ordini dei Mendicanti e dei Chierici Regolari hanno prodotto una
normativa che ne definiva con rigore anche le più minute procedure. Si
tratta, dunque, di recuperare il valore che tradizionalmente ha espresso
questa antica disciplina regolare e ri-significarlo nell’attuale
contesto della situazione socio-ecclesiale della Vita Consacrata.
Si presentano, dunque, alcune indicazioni
di metodo - senza pretesa di potersi contestualizzare per ogni
situazione - ma rivolte in particolare a istituti centralizzati con «struttura
a rete» delle comunità a livello nazionale o regionale. Dopo aver
richiamato brevemente la legislazione codiciale (can. 628 §1), si
puntualizzano gli obiettivi istituzionali ed ecclesiali della visita
canonica. Infine si suggeriscono alcune linee programmatiche per dare
senso e un minimo di efficacia a una prassi che investe la
responsabilità di governo dei Superiori Maggiori.
1. Indicazioni di Metodo
«I Superiori […] visitino con la
frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi
alle norme dello stesso diritto proprio». La portata del can. 628 § 1
consiste nel ricordare l’obbligo di questa visita ("visitent")
. Il diritto proprio (Costituzioni-Direttorio o analoghi) "deve
prevedere visite periodiche determinate ("statis temporibus")1.
Visite che aprono un dialogo personale e comunitario. Fatta salva la
libertà di ognuna di esprimersi o meno con la Superiora. Tuttavia è
indubbio il diritto della medesima di informarsi - secondo prudenza e
discrezione - delle situazioni personali e comunitarie. La Superiora «ha
il diritto di conoscere, e i religiosi hanno il dovere di manifestare,
tutto ciò che riguarda la vita e la disciplina religiosa tanto nell’insieme
quanto per ciò che si riferisce ai singoli religiosi, particolarmente
ai superiori, secondo lo spirito e la natura di ciascun istituto. Per
esempio, non sono legittime, e i religiosi non sono tenuti a rispondere,
le domande riguardanti il foro interno o la vita strettamente intima sia
propria o degli altri, oppure le faccende di parenti"2.
Non viene imposto ai singoli religiosi l’obbligo di presentarsi alla
Superiora, "però l’obbligo nasce se il visitatore lo impone»3.
Dopo aver accennato alla normativa
codiciale sulla visita canonica prendiamo spunto da un passo di D.
Bonhoeffer per esplicitare quello che ho convenuto chiamare obiettivo
istituzionale ed ecclesiale della visita canonica: «[...] i carismi,
dati ai singoli dallo Spirito santo, sono rigorosamente disciplinati
dalla diaconia alla comunità, poiché Dio non è Dio del disordine, ma
della pace (1Cor 14,32ss.). Lo Spirito santo si rende visibile [n.s.] (phanér?sis
1Cor 12,7) appunto che tutto si compie per il vantaggio della comunità
[…] Così la comunità è senz’altro libera nel dar forma ai propri
ordinamenti secondo la necessità; ma se il suo ordinamento viene
intaccato dall’esterno, allora si intacca la forma visibile dello
stesso corpo di Cristo»4.
In altri termini si può configurare l’obiettivo
di una visita canonica in due dimensioni strettamente complementari:
-
una verifica della visibilità del
quadro valoriale (Regola) della comunità ("forma visibile
dello stesso corpo" = obiettivo istituzionale)
-
e se quest’ultima interagisce
ecclesialmente secondo un progetto d’Istituto ("diaconia alla
comunità" = obiettivo ecclesiale).
Presentiamo, ora, alcuni spunti di
riflessione inerenti ai suddetti obiettivi.
1.1. Obiettivo
istituzionale: visibilità della Regola
L’efficacia di norme e regolamenti
richiama di riflesso l’effettiva conformità alle nostre regole di
vita. In periodi di crisi delle regole si invocano e si pretendono
regole. Tutti venerano le regole e chiedono comunque che tutti, cioè
gli altri, le rispettino. Si parla di regole soprattutto quando le
esistenti sono incerte o insoddisfacenti per molti, quando si avverte l’esigenza
di nuove. E’ difficile sostenere la centralità delle regole nell’attuale
panorama della Vita Consacrata. Ciò dicendo non si vuol sminuire la
loro indubbia rilevanza per l’identità istituzionale ecclesiale di
una famiglia religiosa e anche per lo stesso orientamento vocazionale
alla vita consacrata. Per secoli, infatti, vita regolare è stata
sinonimo di vita religiosa. Si tratta di prendere atto con umiltà e
lucidità che l’autocomprensione del gruppo - intesa come
interpretazione condivisa dei valori di una identità consacrata -
sembra non avere più nelle regole il suo riferimento d’obbligo. Non
è qui il caso di aprire una riflessione su di una problematica assai
complessa.
Si vuol semplicemente recuperare -
attraverso la modalità della visita canonica - un esercizio di
ri-coesione della comunità a un quadro valoriale assunto
tradizionalmente dalla Regola nella consapevolezza che la conformità
alle regole non è vissuta da noi perché ciascuno si aspetta che tutti
gli altri si conformino5.
Se la personale adesione si fondasse sull’aspettativa di una
conformità quasi universale, significa che si preferisce osservare una
norma a condizione che quasi tutti la osservino. La conformità di cui
si vuol discorrere è in stretta connessione all’interpretazione delle
regole come risorsa di coesione (spirituale, istituzionale, ecclesiale e
disciplinare…) a disposizione della comunità per una verifica di
coerenza su due aspetti strettamente complementari:
- di analisi della rilevanza delle regole
per determinati problemi legati all’interazione comunitaria;
- e se le regole facilitano la soluzione
di problemi per accrescere il benessere di tutti i componenti della
comunità.
Per estrema sintesi: se le regole
continuano a ricevere senso dalla condivisione comunitaria o, forse caso
più frequente, se alimentano un conformismo di routine che rischia di
renderle carenti di senso. «Le regole ci incoraggiano a considerare noi
stessi come fondamentalmente simili agli altri, anziché come
fondamentalmente diversi. Ognuno di noi è una collezione unica di
particolari, e l’unicità è un concetto centrale dell’individualismo.
Nella misura in cui un metodo per pensare o per prendere decisioni
sottolinea e dà rilievo a questa unicità, a ciò che ci rende diversi
da altri, a ciò che vogliamo, al perché il mio caso è speciale,
questo stesso metodo opera come filtro e impedisce di vedere l’agente
individuale come parte di un gruppo. Distogliendo la nostra attenzione
dall’unicità e dalla diversità, le regole possono incoraggiarci a
vedere il nostro benessere come inestricabilmente legato e dipendente da
quello del gruppo e ci scoraggiano dall’invocare l’unicità di una
situazione o pretendere l’unicità di trattamento. Le regole possono
quindi svolgere un ruolo centrale nel funzionamento di ogni azione di
gruppo concepita secondo linee fortemente comunitarie. Esse giocano un
ruolo persino nelle attività comunitarie che coinvolgono membri egoisti
di un gruppo concepito egoisticamente: più specificamente, è
importante fare un’analisi della rilevanza delle regole per un certo
numero di problemi legati all’azione collettiva, e vedere se
facilitano la soluzione dei quei problemi e quindi accrescono il
benessere di tutti i membri del gruppo che seguono le regole»6.
Si accennava sopra che la visita canonica
può essere l’occasione propizia per un esercizio di ri-coesione della
comunità. Il motivo si contestualizza nel fenomeno di quello che Z.
Bauman ha configurato come crisi delle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza
della comunità». La crisi investe in modo particolare le società
industrializzate. «Si sarebbe tentati di dire - osserva il noto
studioso - ‘di una comunità coesa’, se questa espressione così
spesso usata non fosse pleonastica: nessuna aggregazione di essere umani
viene vissuta come una ‘comunità’ a meno che non sia resa ‘coesa’
da profili saldati da una lunga storia e da una ancor più lunga
aspettativa di frequente e intensa interazione. E’ questa esperienza
che oggi viene a mancare, ed è la sua assenza che viene interpretata
come ‘declino’, ‘scomparsa’ o ‘eclissi’ della comunità»7.
La Regola appartiene alle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza
della comunità» nella Vita Consacrata e s’intesse nella comune
narrazione di un istituto e di una comunità. L’evento della visita
canonica dovrebbe verificare - nella struttura a rete delle nostre
comunità - se la visibilità della regola è vissuta come risorsa di
coesione che dà coerenza alla comune narrazione8.
1.2. Obiettivo
ecclesiale: progetto d’istituto
Il secondo obiettivo - complementare al
precedente - è la verifica della condivisione di un progetto d’Istituto.
Il senso di una progettazione - all’interno dell’esperienza
storico-ecclesiale della Vita Consacrata - si coglie dentro un processo
di discernimento istituzionale ed ecclesiale avviato a partire da
criteri derivati dal carisma fondazionale9.
Progettazione che inscrive una necessaria premessa: la consapevolezza
che l’unico disegno adeguato sulla realtà e sulla propria comunità
è quello di Dio. Esso si manifesta concretamente attraverso le
circostanze e i segni dei tempi. La forza del carisma particolare, in
nesso costitutivo con la Chiesa, consiste nel saper leggere e cogliere
questi ‘segni’ come momento favorevole per l’edificazione di tutta
la realtà ecclesiale.
L’adesione a un progetto d’Istituto
diventa significativo per una comunità - e per i singoli - nella misura
in cui esso diventa segno concreto della rinuncia a progettarsi la vita
da se stessi; rinuncia originata da una chiamata alla libertà che si
riconosce nella adesione al disegno di Dio, misteriosamente comunicatoci
nella persona di Cristo, morto e risorto e datore dello Spirito senza
misura. Aderire a quanto viene indicato autorevolmente - mediante un
progetto - come atto di libertà, diviene manifestazione (= visibilità)
di una appartenenza a una comunità concreta, a sua volta espressiva
dell’appartenenza alla Chiesa, in cui la persona è resa a se stessa
nella concretezza della sequela interpretata da un carisma fondazionale10.
Quest’ultimo ‘funziona’ anche a
partire dalla sua capacità di fornire uno schema di correttezza
interpretativa (= paradigma) per l’individuazione sia di problemi ‘fuori’
(problemi di annuncio, di missione, di organizzazione dei servizi, di
progettazione pastorale, scolastica, sanitaria, di servizi sociali) sia
di situazioni ‘dentro’ (problemi di regolazione della vita comune,
di progettazione formativa, di gestione delle risorse, ecc.). Il
paradigma assunto dal carisma ci pone anzitutto nella condizione di
discernimento comunitario: cioè un pensare e un agire dal punto di
vista della Chiesa e non immediatamente dal ‘nostro’ punto di vista.
In questo senso il carisma fondazionale elabora anzitutto un paradigma
ecclesiale e - in stretta correlazione - un paradigma istituzionale. Si
tratta, beninteso, del medesimo paradigma letto nella sua
differenziazione relazionale (Chiesa-Istituto) all’interno della
communio Ecclesiarum11.
In quest’ottica il campo d’intervento
della visita canonica non è rinchiuso all’interno del ristretto
orizzonte dell’Istituto, ma apre la comunità a una prospettiva di «comunione
ecclesiale [che] promuove un modo di pensare, parlare e agire che fa
crescere in profondità e in estensione la Chiesa» (VC n. 46). «Il
discernimento compiuto alla luce della rivelazione - scrive mons. R.
Fisichella - possiede, alla fine, un unico soggetto: la Chiesa. È
evidente la presenza e la realtà del discernimento personale e di uno
comunitario a seconda delle diverse situazioni, ma alla fine il vero
discernimento è quello che viene compiuto alla luce dell’ecclesialità
[n.s.]. Più, infatti, cresce la coscienza ecclesiale di ognuno, più ci
si sentirà parte di un mistero che, incarnandosi nella storia, raduna
tutti come un unico popolo raccolto intorno alla legge della carità»12.
Dopo aver abbozzato l’obiettivo
istituzionale ed ecclesiale di una visita canonica, si suggeriscono
alcune linee programmatiche intese a coinvolgere direttamente le
comunità in questo evento per non ridurle a ruolo di comparsa lasciando
l’onere del protagonista al solo Superiore Maggiore.
2. Linee Programmatiche
Una discreta percentuale degli Istituti
di Vita Consacrata religiosa - a direzione centralizzata - residenti sul
territorio italiano si configurano a marcata composizione regionale o
interregionale13.
Questi Istituti richiedono in via preferenziale un intervento di
settore: formazione, scuola, assistenza, pastorale parrocchiale ecc…;
in altri termini l’obiettivo/i della visita canonica investono
primariamente la verifica di un settore-dimensione istituzionale.
Diversamente in una situazione regionalizzata la visita canonica
tradizionale non produrrebbe risultati particolarmente significativi. In
concreto la composizione dell’Istituto postula una s-composizione dei
settori. Le istituzioni regionalizzate creano - nel tempo - una rete
interdipendente di distribuzione di risorse, ovvero chi è nel circuito
assistenza minori e handicap difficilmente ne esce solo dopo qualche
anno; così pure chi è nel mondo della scuola. Pertanto la visita
canonica si sintonizza con il circuito delle risorse di settore per
attivare in simultanea anche la verifica del medesimo.
2.1. La comunità e/o
settore
Il campo d’intervento (comunità e/o
settore) è evidenziato mediante un incontro comunitario: le sorelle
redigono una griglia di lettura del vissuto
-
secondo lo schema delle Costituzioni
(identità-missione carismatica, vita fraterna in comunità,
professione comunitaria dei voti, servizio dell’autorità,
amministrazione dei beni ecc.) richiamando anzitutto gli aspetti
positivi della situazione e successivamente i problemi. In quest’ultimo
contesto la comunità è chiamata a definire una priorità d’intervento,
ovvero sottolinea un’urgenza (= aspettativa diffusa) di cui viene
investita la responsabilità di discernimento dell’autorità;
Non si tratta di ‘scaricare’ addosso
alla Superiora la soluzione di/del problema/i - la visita canonica non
è il pronto intervento di un problem solving - ma di presentare in
termini di correttezza e appropriatezza il quadro di una situazione
mediante la quale il gruppo richiede un supplemento di discernimento. La
prospettiva di analisi sopra menzionata ha a cuore che la comunità si
assuma in prima istanza la responsabilità di capire la sua situazione (autodiagnosi)
prima di invocare dall’alto interventi risolutivi che la comunità
potrebbe da sola assumerne il carico. Senza questo previo processo di
mentalizzazione il successivo apporto della visita canonica ne
risulterebbe inficiato. Vale a questo proposito il richiamo dell’ex-Maestro
Generale dei PP. Domencani, p. T. Radcliffe: «Una delle ragioni per cui
sfuggiamo alla responsabilità è che, benché chiamati alla libertà,
la libertà ci spaventa e la responsabilità è gravosa, perciò siamo
tentati di evitarla. Abbiamo parecchi livelli di responsabilità nell’Ordine,
e spesso ci piace immaginarla a un livello diverso da quello in cui deve
essere esercitata. ‘Si deve fare qualcosa’, ma di solito deve farla
qualcun altro, il superiore, o il Capitolo, o addirittura il maestro
dell’Ordine". ‘Deve agire la provincia’, ma cosa è la
provincia se non noi stessi? […] dobbiamo identificare la
responsabilità che è propriamente nostra, e farcene carico»15.
2.2. Il supplemento di
discernimento: l’apporto della Superiora generale e suo Consiglio
La comunità e/o settore redige per
iscritto l’autodiagnosi - un testo sobrio e sintetico - in cui
letteralmente enumera (1.2.3…) le situazioni di possibile intervento
della Superiora sottolineando la priorità condivisa da tutte. E’
superfluo rilevare che anche altri aspetti di urgenza potrebbero
emergere, tuttavia si rimanga nella determinazione di un orientamento
supportato dall’unanime consenso.
Da questa premessa la Superiora Generale
e suo Consiglio valutano attentamente il report della comunità e/o
settore e concordano una linea comune d’intervento a partire dalla
priorità condivisa. La direzione generale non si limita a prendere atto
di quanto è stato sottoposto alla sua attenzione, ma individua anche un
orientamento di convergenza, ovvero un obiettivo a cui la comunità è
(sarebbe, oggi il condizionale è d’obbligo) invitata a prendere in
seria considerazione per un suo cammino di conversione nel reciproco
ascolto. L’orientamento di convergenza è suggerito dopo la visita
personale della Superiora alla comunità ed è il risultato di una
condivisione con il Consiglio.
2.3. Visita canonica:
ovvero del reciproco ascolto
Una strategia collaudata prevede prima l’ascolto
delle singole sorelle. Ciò comporta che i tempi di programmazione della
visita possano essere flessibili. Concretamente si potrebbe concordare
con la comunità e/o settore quale sia il momento del colloquio
personale e il successivo incontro comunitario. Quest’ultimo - ripeto
- deve essere preceduto dal colloquio personale ‘in situ’.
Dopo il colloquio personale - gestito con
la più ampia libertà da entrambe le parti - la Superiora redige un suo
‘report’ personale. Il testo rimane riservato. Il Consiglio è
informato solo degli esiti a risvolto comunitario (dinamiche
relazionali, comunicative e gestionali). Il contributo fornito dagli
incontri personali della Superiora e l’apporto redatto dalla comunità
e/o settore, sono il contesto dal quale si enucleano criteri di
discernimento che orientano il confronto comunitario guidato dalla
medesima Superiora.
In questo contesto s’intendono per
criteri di discernimento gli indicatori valoriali - desunti dal
patrimonio fondazionale o dal paradigma progettuale - che in situ
rispecchiano la situazione reale della comunità. Per es., se in un
settore si constatasse una problematica relazione interpersonale che
produce riflessi negativi anche a livello di organizzazione dei servizi,
gli indicatori valoriali interpretano il campo d’intervento di cui è
investita la responsabilità della Superiora ed in stretta relazione la
corresponsabilità della comunità. Il risultato di quest’incontro
dovrebbe produrre l’orientamento di convergenza successivamente
comunicato per iscritto dalla direzione generale unitamente anche a
delle indicazioni pratiche che investono la regolazione-programmazione
comunitaria (orari, servizi, relazioni esterne, impegni pastorali ecc…)
2.4. Percorsi di
programmazione
1. La Superiora generale [e suo
Consiglio] indicono la visita canonica mediante lettera circolare in cui
viene enucleato l’obiettivo della medesima e il cronogramma
programmatico (calendario visite). La serietà esige che venga
rispettato. Solo per casi eccezionali si potrebbe modificare.
2. I colloqui personali possono avvenire
in situ in tempi distanziati, ma non eccessivamente dilazionati. Se una
sorella per motivi personali non se la sentisse di affrontare il
colloquio gli si dia la possibilità di mettere per iscritto quanto vuol
comunicare.
3. Il contesto meglio indicato per l’incontro
comunitario con la Superiora potrebbe essere la giornata di ritiro
mensile.
4. La scaletta dei criteri di
discernimento è presentata alla comunità solo in occasione della
visita e funge anche da o.d.g.
5. Una sorella redige i verbali dell’incontro
successivamente letti e approvati dalla comunità e inviati alla
direzione generale. Copia dei medesimi è conservata dalla comunità.
6. La lettera mediante la quale la
Superiora comunica gli esiti della visita e formula l’orientamento di
convergenza (oltre alle indicazioni pratiche) è inviata preferibilmente
in simultanea a tutte le comunità e/o settori.
7. Se la direzione generale lo giudica
opportuno i risultati globali della verifica-valutazione del cammino
dell’Istituto, desunti dalla visita canonica, possono essere
comunicati mediante lettera circolare in concomitanza ad una particolare
festa o solennità propria dell’Istituto.
Conclusione
Rivalutare la funzione della visita
canonica non è in ossequio formale a un dettato di legge: «La
comunità, che è separata dal mondo, deve applicare al suo interno la
disciplina comunitaria. La disciplina comunitaria non serve a costituire
una comunità di perfetti, ma solo all’edificazione di una comunità
di persone che vivono veramente della misericordia di Dio a caro prezzo»16
. Non solo. Si tratta di un esercizio, realizzato insieme, di grammatica
del consenso sui valori dell’identità consacrata per elaborare un
linguaggio ecclesiale, spirituale e un orientamento progettuale - in
senso ampio - realmente condiviso che dia senso al nostro stare insieme
di fronte al Signore.
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