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Nel titolo figurano due
termini caratteristici nella catena relazionale, quello di «figlia» e
l’altro di «sorella». Essi sono rivolti a Maria che è considerata
nel suo essere figlia in rapporto al Padre, radice fontale di ogni
relazione; e nel suo essere sorella in rapporto a noi, appartenendo
all’unica famiglia umana.
Indugiare a riflettere
su questi titoli riferiti alla Vergine Madre è motivo di intensa gioia
e di grande interesse per noi. Ci aiutano a capire meglio chi è Dio
Padre e chi è la persona umana, e quale rapporto s’intreccia tra
loro. Si tratta in fondo di prendere maggiore consapevolezza della
nostra esistenza filiale e fraterna.
1.
La qualifica di «figlia» in Maria
Come i tanti pellegrini
che affollano i santuari mariani siamo abituati a invocare Maria con i
titoli che si riferiscono alla sua divina maternità (Madre di Dio,
Madre della Chiesa, Madre della divina grazia...), oppure alla sua
verginità (Vergine potente, Vergine clemente, Vergine fedele...), o
ancora alla sua regalità (Regina degli angeli, Regina dei patriarchi,
Regina dei profeti..). Siamo meno familiarizzati e quasi dimentichi
invece di attribuirle il titolo di «figlia». Nondimeno la Lumen
gentium riferisce a Maria tre appellativi che la qualificano per la sua
filialità: «figlia prediletta del Padre» (n. 53), «figlia di Sion»
(n. 55), «figlia di Adamo» (n. 56). Anche la lettera apostolica Tertio
millennio adveniente di
Giovanni Paolo II ribadisce il titolo «figlia prescelta del Padre» (n.
54). In verità, la qualifica di «figlia» riferita alla Vergine non è
di secondaria importanza per comprenderne appieno il mistero.
Maria di Nazaret è una
donna storicamente situata nel mondo palestinese al tempo
dell’occupazione romana. I Vangeli ricordano la sua casa, i suoi
parenti, il suo matrimonio con Giuseppe, la sua partecipazione alla vita
religiosa del popolo d’Israele (Lc 1-2; Mt 1,16; Mc 6,2-3). Non
estranea al mondo, ella visse sulla terra «una vita comune a tutti,
piena di sollecitudini familiari e di lavoro», secondo l’affermazione
del decreto conciliare sull’apostolato dei laici (AA 4).
Tuttavia, i Vangeli non
riferiscono nulla sul periodo della vita di Maria precedente al mistero
dell’Annunciazione. Da essi non sappiamo il nome dei suoi genitori.
Eppure Maria, come ognuno di noi, ha un padre e una madre che l’hanno
generata alla vita, l’hanno educata e preparata a corrispondere al
disegno di Dio1.
Gli Apocrifi del Nuovo
Testamento hanno tentato in qualche modo di colmare questo spazio di
silenzio2.
Seguendo i loro racconti veniamo a conoscere che i genitori di Maria si
chiamano Gioacchino e Anna. Si tratta di due sposi attempati e
osservanti che hanno vissuto lungamente il dramma del non avere figli.
Una volta però avuto da Dio il dono di una figlia, senza indugio
decidono di offrirla a lui.
Nel Protovangelo di
Giacomo si racconta che, dopo la presentazione di Maria al tempio
all’età di tre anni, rimanendovi fino ai dodici anni, «i suoi
genitori ritornarono pieni di stupore, lodando e glorificando il Signore
Iddio perché la bambina non si era voltata indietro, verso di loro. Ora
Maria dimorava nel tempio del Signore nutrita come una colomba e il cibo
lo riceveva dalla mano di un angelo»3.
Lo Pseudo Matteo invece
si diffonde nel descrivere lo svolgersi della giornata di Maria,
soffermandosi in particolare sulla sua fedeltà alla preghiera,
sull’assidua meditazione della Legge, sull’amore per i poveri e i
malati, sui lavori manuali, specie di tessitura, ai quali era solita
dedicarsi.
Questa tradizione
apocrifa, che vede Maria nel segno del privilegio e del prodigio,
s’intreccia durante il Medio Evo con le testimonianze iconografiche,
che la raffigurano nel segno di una vita normale. Infatti tanta
iconografia lungo i secoli insiste sulla presenza attiva di Anna e
sull’attitudine filiale di Maria verso di lei4.
Anna viene rappresentata mentre istruisce la figlia e la guida alla
lettura delle Scritture, mentre Maria l’ascolta, lasciandosi
introdurre dalla madre nella tradizione del suo popolo. Addirittura Anna
viene raffigurata come una nonna orgogliosa e tenera, quasi in posa
insieme alla figlia e al piccolo Gesù. Si pensi al Masaccio (1401-1428)
che ritrae Anna con la mano sollevata sul capo del Bambino tenuto in
braccio da Maria seduta in trono.
In realtà, non
sappiamo come Maria abbia vissuto la sua condizione filiale. Una cosa
però è certa: la statura umana di Maria proposta dai Vangeli può
suggerire una crescita piena, armoniosa, di cui Maria è debitrice -
come ognuno di noi - ai suoi genitori.
Ma il titolo di «figlia»
riferito a Maria non può essere legato al solo rapporto parentale. Esso
va pure letto in prospettiva storico-salvifica, che l’ha applicato
allo stesso Israele, al popolo eletto, al «resto d’Israele» fedele
all’alleanza, personificato dalla figura femminile di una vergine: la
«Figlia di Sion».
Il titolo «figlia di
Sion» manifesta le profonde radici anticotestamentarie della Madre del
Signore, la sua intensa solidarietà con il popolo d’Israele. Al pari
dei suoi connazionali, Maria si colloca all’interno della storia del
suo popolo, una storia d’elezione e perciò di salvezza, una storia
tuttavia di peccato, di risposta mancata al disegno di Dio. In quanto
figlia del suo popolo, ella ne condivide le attese e le speranze e si
inserisce in quella catena femminile che vede presenti e protagoniste le
donne nella storia d’Israele: Maria, sorella di Mosè; Anna, madre di
Samuele; Giuditta, Debora... In continuità con le donne del passato e
alla loro stessa maniera, ella sa discernere il manifestarsi di Dio, sa
accogliere e cantare la sua salvezza.
L’immagine della
figlia di Sion da cui Dio, secondo la promessa, avrebbe fatto nascere il
Messia (cf Ger 6,2; Mi 1,13; 8,8. 10.13; Zac 9,9; Mt 21,5) si addice
perfettamente a Maria. Il Concilio ha fatto ricorso a tale titolo nella
più solenne delle sue costituzioni, la Lumen gentium: «Con lei,
eccelsa figlia di Sion, dopo una lunga attesa della promessa, si
compiono i tempi e si instaura la nuova economia» (LG 55). In Maria
giunge al suo culmine la santità dell’antico Israele: è la santa
figlia di Sion che prolunga nella Chiesa la sua missione esemplare.
Maria inoltre congiunge la sua supplica al gemito dei Patriarchi
imploranti la venuta del Messia: è l’orante figlia di Sion in attesa
del Messia. Maria è ancora la vergine intatta e la madre generosa
chiamata a cooperare al disegno salvifico di Dio: è la sposa figlia di
Sion che presenta il Messia al Tempio.
Maria dunque
personifica la figlia di Sion di cui hanno parlato i profeti. Tale
titolo fa di lei il punto dove si concentra il «sì» dell’umanità e
il frutto più maturo della storia salvifica. Non a caso il «rallegrati»
di Gabriele rivolto a Maria tradisce l’eco degli annunci profetici di
salvezza indirizzati alla figlia di Sion (cf Sof 3,14-15; Gl 2,21-27; Zc
2,14; 9,9). E questo annuncio di gioia messianica è diretto ora a Maria,
nella cui figura storica trova compiutezza l’immagine simbolica della
figlia di Sion, della vergine Israele5.
2.
Maria «figlia prediletta del Padre»
La vocazione del
cristiano è di diventare e di vivere da figlio di Dio. Questo significa
che non siamo all’origine di noi stessi, ma siamo «originati», «generati»,
e quindi siamo chiamati ad accettare di vivere sentimenti di dipendenza,
di gratitudine, di obbedienza. Essere figlio non è altro che la
risposta gioiosa e piena di amore a un Amore che ci precede. Dentro
questa prospettiva di grazia, essere cristiano significa allora
accogliere un dono, secondo il dettato evangelico: «Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). La grazia infatti mentre ci fa
sentire amati, ci rende capaci di amare.
Maria per prima vive
quest’esperienza filiale, abbandonandosi nella fede all’amore del
Padre6.
Ella accoglie con serenità la sua povertà/piccolezza. Anzi, scopre
proprio nel suo essere «povera» il motivo della predilezione del Padre
e risponde a tale amore gratuito con sentimenti di lode e di gratitudine
cantati nel Magnificat. La certezza che Dio Padre l’aveva pensata con
amore dall’eternità e che aveva scritto il suo nome sul palmo delle
sue mani (cf Is 49,16) suscita in lei quella fiducia/abbandono filiale
che le consente di rispondere «sì» all’annuncio angelico.
Proprio in quanto
pienamente «figlia», piena di fiducia e di confidenza nel progetto di
Dio, Maria ha meritato di diventare Madre. Il Concilio precisa con
l’aggettivo «prediletta» la qualifica di Maria come «figlia» del
Padre, e lo fa nel contesto della sua elezione eterna alla divina
maternità: Maria è «insignita del sommo ufficio e dignità di Madre
del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello
Spirito Santo» (LG 53). Assunta a «Genitrice del Figlio di Dio»
equivale pertanto all’essere assunta a una comunione unica con Cristo,
che prende da lei la sua umanità. «Perciò è la figlia prediletta del
Padre»: chi infatti accoglie il Figlio, da lui riceve il potere di
diventare «figlio di Dio» (Gv 1,13).
E il primo dono che il
Figlio comunica alla Madre - dono iniziato come anticipazione
nell’Immacolata Concezione e compiuto interamente al momento
dell’Incarnazione - è quello di renderla «figlia» di Dio, la prima
fra tutti, la pre-amata, la pre-diletta. Predestinando Maria di Nazaret
quale sua «figlia prediletta», Dio prepara l’evento della pienezza
dei tempi, ovvero l’Incarnazione, nel quale chiama ogni essere umano a
divenire figlio «nel Figlio nato da donna» (Gal 4,4).
Sul volto di Maria,
figlia prediletta del Padre, si scorge dunque il riflesso del misterioso
volto del Padre, colui che da sempre gratuitamente ha iniziato ad amare,
colui che è al principio e al compimento di ogni vero amore gratuito e
fecondo nel tempo. L’infinita tenerezza di Dio-Amore si rivela nei
lineamenti della Madre di Gesù.
Nella giovane donna di
Nazaret, figlia prediletta del Padre, oltre all’immagine rivelante di
Dio, si riscontra l’alta dignità della creatura umana, chiamata a
rispondere nella libertà della fede all’appello divino. Maria quale
donna libera e responsabile nel rispondere prontamente al momento
dell’annunciazione, rivela la vocazione ultima della persona umana: la
comunione dialogante e amante con Dio Padre, per mezzo del Figlio nello
Spirito.
Giovanni Paolo II nella
lettera apostolica Tertio millennio adveniente al n. 54 usa
l’espressione «figlia prescelta del Padre» (TMA 54), un appellativo
poco presente nel suo insegnamento. Istintivamente, ogni conoscitore del
magistero ecclesiale farebbe riferimento piuttosto alla dicitura «figlia
prediletta del Padre», assunta dalla Lumen gentium, su cui sopra ci
siamo soffermati. L’aggettivo «prescelta», anche nel magistero di
Giovanni Paolo II viene ordinariamente rapportato alla maternità
divina. Tale attributo congiunto con «figlia» («figlia prescelta»)
è interpretato dal Papa alla luce della Lettera agli Efesini e
applicato alla figura di Maria.
Nell’ottica del
pensiero paolino il Papa nella Redemptoris Mater così scrive: «Se la
scelta eterna in Cristo e la destinazione alla dignità di figli
adottivi riguardano tutti gli uomini, l’elezione di Maria è del tutto
eccezionale ed unica. Di qui anche la singolarità e unicità del suo
posto nel mistero di Cristo» (RM 9).
In Maria, la prima
della comunità ecclesiale sulla quale si sono riversate con
straordinaria abbondanza tante benedizioni, il progetto del Padre si
realizza in pienezza: ella è la pura lode della grazia di Dio. Con le
labbra e con la sua vita «santa e immacolata», Maria «benedice» e «glorifica»
il Padre che l’ha benedetta e attua la vocazione di tutta la Chiesa a
divenire sposa senza macchia e senza ruga del suo Signore (cf Ef 5,27),
a lode e gloria dell’amore del Padre7.
3.
Maria «sorella nostra»
Il titolo «sorella
nostra» applicato a Maria è antico, se pure non frequente. Nei primi
secoli esprimeva soprattutto venerazione. Oggi configura la Vergine di
Nazaret in una prospettiva più esistenziale ed esperienziale. Figlia di
Adamo come noi, appartenente alla stirpe di Abramo, padre della fede,
Maria è sorella a tutti gli uomini e agli ebrei. Ella non è infatti «fuori»
dalle nostre situazioni, ma da esse interamente avvolta. È sorella
nostra per vincoli di natura e di grazia: la sua fede è la nostra fede,
la sua speranza è la nostra speranza, il suo servizio al Signore è
quello cui ognuno di noi è chiamato a esercitare.
Tale titolo oggi,
tornato all’attenzione degli studiosi8,
focalizza un’immagine emergente di Maria che la àncora alle donne e
agli uomini del nostro tempo, partecipe come creatura e come discepola
delle vicende liete e tristi del popolo peregrinante. In quanto sorella,
Maria si è fatta vicina ai suoi: a Giuseppe, a Elisabetta, a Gesù; e
si è fatta compagna di tutti noi. Eletta da Dio per essere madre del
Verbo incarnato, è sì una donna d’Israele, ma anche una sorella del
popolo redento da Cristo suo Figlio. Di conseguenza, il vincolo di
sororità che la lega alla stirpe di Adamo e la rende solidale con ogni
persona, si approfondisce con la sua condizione discepolare nei riguardi
di Gesù unico Maestro.
La Vergine è dunque
nostra sorella. I teologi ne elencano le ragioni con ordinata
successione:
¨
È creatura, parte
del cosmo, ha la stessa origine, tende alla stessa meta delle altre
creature.
¨
È vera figlia di
Adamo privilegiata: condivide quindi con noi la natura umana, sottomessa
all’esperienza del dolore e al mistero della morte, ma protesa verso
la pienezza della vita, della verità, dell’amore.
¨
È figlia di Abramo: appartiene pertanto alla discendenza del
popolo eletto e con noi riconosce in Abramo il «nostro padre nella fede».
È il più eccelso frutto della redenzione (SC 103): come noi, quindi,
è stata redenta da Cristo, anche se «in modo sublime» (LG 53) e
diverso.
¨
È membro sovreminente della Chiesa (LG 53): con noi e come noi
vive nello spazio comunionale creato dallo Spirito.
Nel nostro tempo il
titolo mariano di «sorella» compare con una certa frequenza nella
letteratura della vita consacrata. Esso dice vicinanza e comunione di
esperienze di vita. Le persone consacrate sentono Maria vicina nel loro
cammino di fede, nelle modalità esistenziali della sequela di Cristo,
nella determinazione a vivere in modo stabile il comandamento
dell’amore fraterno. In Maria sorella scoprono la creatura in cui
tutto è opera della grazia; l’umile serva in cui si manifesta in modo
eminente lo stile di Dio, che sceglie gli ultimi e si rivela ai piccoli
(cf Mt 11,25); l’icona perfetta del discepolo che accoglie la Parola,
è aperto allo Spirito che lo anima con una fede piena di stupore, di
riconoscenza, di gioia.
Una particolare
accentuazione della figura di Maria come sorella è riscontrabile
nell’Ordine del Carmelo, a partire dal secolo XIV. Ciò ha costituito
motivo di rinnovato impegno e di rapporto sempre più familiare con la
Madre di Gesù. Per i Carmelitani ricuperare questa figura di sorella
con «impulso creativo», al dire della Marialis cultus (n. 25), vuol
dire riconsiderare Maria come pellegrina nella fede, serva del Signore
che sa giudicare la storia, donna che si lascia trasformare fin nelle
viscere dalla fecondità dello Spirito, donna forte nella prova,
premurosa con tutti, madre-discepola riplasmata dal Figlio che aveva
generato9.
Il titolo «sorella
nostra» è stato particolarmente caro a Paolo VI. Si trova solo nei
suoi scritti appartenenti ai quindici anni di pontificato (1963-1978).
Esso appare per ben cinque volte nel 1968, l’anno in cui Paolo VI
compie lo sforzo maggiore di applicazione dei decreti conciliari. Si
rivolge soprattutto al popolo di Dio. L’affermazione più autorevole e
chiara è «vera sorella nostra» inserita nella Marialis cultus del
1974. La più solenne è quella del 1975, nel decimo anniversario della
chiusura del Concilio. L’ultima volta viene usata nell’omelia
dell’Assunta del 1976. Lo sguardo del Papa ancora una volta passa da
noi naufraghi del male, a lei piena di grazia. Da lei «creatura che
porta in sé lo Spirito Santo», a noi «esseri minimi, microscopici».
Tra Dio e noi c’è lei, sorella e madre, umile e potente, grande
presso Dio, ma vicina a noi.
Per Paolo VI più che
un titolo l’espressione «sorella nostra» indica una realtà che pone
Maria direttamente in relazione con noi. Realtà che esprime e presenta
la persona umana di Maria, il suo essere donna inserita in una comunità
di uomini e donne, solidale con ogni fratello e ogni sorella con cui
condivide gioie, speranze, paure, difficoltà. È una sorella unica,
eccezionale, ma sempre sorella vera.
Riascoltando le parole
con cui Paolo VI presenta Maria «sorella nostra» e la prega, appare
con chiarezza il suo desiderio di aiutare la Chiesa a cogliere il
messaggio di fraternità che il concetto di sorella richiama, e come
questa fraternità vada vissuta e proclamata nelle vicende del nostro
tempo. Per Paolo VI Maria «sorella nostra» è lì per aiutare i
fratelli e i fratelli sono invitati a riconoscere e a farla conoscere.
Conclusione
Al termine del nostro
itinerario ci sembra utile fare due osservazioni.
1.
Il titolo «figlia» rende Maria agli occhi del singolo credente
un modello familiare e imitabile, più di quanto non faccia la sua
maternità, la quale è, sì, dono preziosissimo, ma assolutamente
unico. Come «figlia prediletta e prescelta» del Padre, Maria
restituisce alla persona umana la sua vera identità di figlio di Dio,
creato a sua immagine e somiglianza, e ricreato suo figlio adottivo in
Cristo. Non solo. Maria restituisce alla persona anche la sua identità
di fratello tra i fratelli, figli tutti di un solo Padre, impegnati
dunque a rivendicare a nome di Dio i diritti di uguaglianza, di
giustizia, di libertà.
2.
In Maria «nostra sorella» si svela un volto nuovo e diverso da
quelli tradizionali, un volto finora poco delineato, quello dell’umile
creatura di fede e di amore che cammina accanto a ciascuno per educarlo
al Vangelo. Lo sguardo a Maria nostra sorella diviene appello a vivere
la fraternità infranta oggi da molteplici cause. È motivo di onore, di
gioia e di speranza vivere con lei e come lei il precetto dell’amore
del prossimo e tradurlo in amore fraterno.
Sia il titolo che il
modello etico-esistenziale insiti nell’attributo sorella,
particolarmente graditi anche ai non cattolici, specie ai protestanti10,
possono aiutare il credente a entrare in una nuova prospettiva, quella
ecumenica. E questo è un compito ineludibile per la Chiesa che ama
dirsi «cattolica».
Ognuno perciò può
vedere in Maria sia la «figlia prediletta e prescelta del Padre», e
cioè colei che lo aiuta a sentirsi e essere figlio di Dio per opera di
Gesù Cristo (cf Ef 1,5); sia la «sorella maggiore» che lo guida nel
pellegrinaggio della fede fino a raggiungere la «piena maturità di
Cristo» (Ef 4,13).
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