Non sono un religioso né un monaco - almeno
nel senso tradizionale. Sono un semplice sacerdote diocesano o
“secolare”, come si dice [… ma] la nostalgia di scelte di vita
tanto radicali e il bisogno di confrontarsi con esse fanno parte
dell’esperienza di ogni autentico credente. Non può che essere
così. Altrimenti monachesimo e vita religiosa si ridurrebbero a
situazioni privilegiate, elitarie, per pochi “addetti ai lavori”,
e non conserverebbero la loro efficacia provocatoria per la vita
della chiesa e del mondo (G. Piana, Per continuare a sperare, in «Servitium»
III 14 [1980/12].
Premessa
Il presente articolo non ha la pretesa di voler
essere una riflessione compiuta ed esaustiva sui valori della vita
consacrata; infatti numerosi sono gli autori e le autrici che,
sicuramente, a maggior titolo e competenza rispetto a chi scrive,
possono ben evidenziare gli aspetti propri e costitutivi della vita
consacrata.
Qual è, allora, il punto di vista, la prospettiva
dalla quale si muove il nostro contributo?
Avendo avuto modo di studiare le nuove forme di
vita monastica sorte in Italia nella seconda metà del secolo appena
trascorso1, desideriamo evidenziare il contributo, lo
sprone che alcune scelte di queste nuove comunità possono apportare, a
nostro modesto avviso, alla riflessione sulla vita consacrata e
all’impostazione concreta di vita degli Istituti di vita consacrata.
Gli aspetti che andremo ad evidenziare intendono
essere, pertanto, solo dei brevi spunti pratici di riflessione che
nascono proprio dal vissuto di queste nuove comunità, oltreché da alcune
nostre idee personali.
Sarà, pertanto, cura di chi legge farsi
interrogare - ovviamente, se vuole e crede - in ordine all’una o
all’altra dimensione presente in esse, qualora venga ritenuta veramente
significativa per una riflessione sulla vita consacrata. Infine sarà
sempre del lettore la libertà di discernere se quanto andremo a
descrivere in queste pagine può anche interpellare la modalità concreta
attraverso la quale il proprio Istituto di appartenenza vive, nel qui ed
ora, la sequela Christi propria della vita consacrata
Prima di addentrarci nell’argomento, solo due
righe sui motivi che hanno portato alla nascita di queste nuove forme di
vita monastica.
Le nuove comunità si situano all’interno del
rinnovamento della vita consacrata, e monastica in specie, avutosi in
Europa e nel nostro Paese grazie anche alla riflessione di uomini
(monaci e non) che con i loro studi hanno “smosso” la terra di un campo
da lungo tempo poco arata, all’ultimo evento conciliare celebratosi e a
quanti hanno realizzato concretamente altre forme di dire la vita
consacrata e la vita monastica nella società occidentale contemporanea2.
Ma… quali valori?
Esponiamo ora alcuni dei valori e delle
caratteristiche della vita consacrata così come emergono dalle nuove
comunità.
Un primo valore è dato
dalla centralità dell’ascolto della Parola di Dio.
Nate in pieno rinnovamento ecclesiale, grazie alla
novità conciliare, queste nuove forme non hanno avuto alcuna difficoltà
a fondare la propria vita spirituale e liturgica non tanto su devozioni
e spiritualità di altri tempi e culture quanto sulla Parola.
Il recupero della centralità della Scrittura -
opera tra le più importanti e meritorie del Vaticano II - ha trovato
queste comunità abbastanza consapevoli del posto da accordare alla
Parola nella vita spirituale comunitaria e nella formazione dei propri
membri.
Uno dei messaggi che esse dicono oggi all’intera
vita consacrata, in special modo agli Istituti che presentano un numero
considerevole di anni di vita, e che, a volte, si presentano un po’
restii ai cambiamenti, è che deve essere la Parola il nutrimento
essenziale della vita spirituale.
Affermare questo significa conseguentemente
comprendere nella prassi quotidiana che, ciò di cui fino ad
alcuni decenni fa non si poteva fare a meno - recita di coroncine e
giaculatorie, letture agiografiche edificanti ma a volte oleografiche e,
dal punto di vista liturgico, atti di devozione e pietà sganciati
sovente dalla Parola - oggi necessita un maggiore discernimento.
Da qui, allora, anche la centralità della recita
dei salmi, della lectio divina nella preghiera personale perché, anche
quando si è soli nella propria stanza, sia sempre la Parola a nutrire il
religioso.
Un’altra caratteristica
ben accentuata delle nuove comunità è la qualità dei rapporti
personali, il largo spazio dato ai rapporti fraterni.
Sarà, certo, anche per la giovane età di esse e
dei loro membri, ma è innegabile lo stile accogliente che esiste tra gli
appartenenti a queste nuove forme di vita monastica. La vita comunitaria
è volutamente contraddistinta da una reale comunione tra i membri. E ciò
diventa anche una delle forme di apostolato maggiormente comprese da chi
trascorre dei giorni come ospite presso di loro. È il “guardate come si
vogliono bene”, di lucana memoria, che interroga positivamente non solo
il non credente ma anche colui che crede. A volte, infatti, la
percezione che si riceve dagli Istituti tradizionali è quella di una
vita comunitaria caratterizzata da sospetti, piccinerie, silenzi
soffocanti; in una parola, da asfissia della comunione che, invece,
dovrebbe esistere tra uomini e donne che hanno deciso di spendere tutta
quanta la loro esistenza per il Signore e i fratelli.
La qualità e lo stile comunionale è anche una
delle motivazioni che attraggono i giovani in discernimento vocazionale
a scegliere queste nuove comunità per vivere
la sequela Christi.
La vita di comunione si nutre anche del tempo,
qualitativamente buono, che i fratelli trascorrono insieme. E qui si
apre il capitolo del lavoro apostolico, delle tante opere pastorali.
La precisa suddivisione dei tempi della giornata
che troviamo in queste comunità è un ottimo stimolo di riflessione sul
rischio che l’assolutizzazione del lavoro apostolico può far correre
alla vita comunitaria. Quando un fratello/una sorella o la comunità
stessa è totalmente assorbita dal lavoro apostolico, ristretti possono
rimanere i margini di tempo per vivere tra confratelli/consorelle
l’incontro interpersonale, la preghiera, e quant’altro costituisce la
vita religiosa comunitaria. E’ infatti necessario che il lavoro
apostolico ad extra non costituisca un alibi, una maschera per non
impegnarsi e, meno che mai, disinteressarsi della vita comunitaria.
Altro valore che vi
ritroviamo è il riandare alle fonti della vita consacrata. Questo ha
fatto sì che queste nuove forme di vita monastica non presentino il
problema - che ritroviamo invece sovente negli altri Istituti -
dell’osservanza di tante tradizioni, anche se ormai svuotate di
senso, ma riproposte solo perché “si è fatto sempre così”. Oggi
specialmente è venuto meno il tempo in cui aveva una certa forza la
suddetta affermazione. Non si tratta di ribadire la validità delle cose
da sempre fatte solo perché, appunto, “da sempre fatte”. Si tratta
invece di saper contestualizzare, e quindi relativizzare, e a volte
anche sbarazzarsi, di tutte quelle tradizioni con la “t” minuscola
frutto solo dell’epoca storico-culturale in cui sono nate ma che non
ineriscono allo spirito e all’essenza della vita consacrata.
Questo comporta la fatica della mediazione
culturale dei valori della vita consacrata, sapendo discernere quelle
cose che sono realmente essenziali e fondanti e quelle che invece sono
frutto solo di un sentire ormai passato. Ma è una fatica che, pur con la
sofferenza che comporta, snellisce da tante sovrastrutture, rendendo la
vita consacrata maggiormente povera e, quindi, pronta per vivere sempre
più in profondità l’avventura evangelica.
Altra caratteristica
presente invero solo in alcune nuove comunità, è la possibilità che
viene data ai singoli membri di far fruttificare i doni,
intellettuali e non, ricevuti dallo Spirito.
Secondo queste nuove forme di vita monastica, la
vita comunitaria, infatti, non deve mortificare i carismi che la persona
reca, ma anzi, deve diventare il luogo dove questi doni vengono spesi
per il maggiore giovamento della comunità stessa e della chiesa tutta.
La comunità ha sempre da guadagnare ogni qualvolta
un proprio membro può arricchirla con quanto è capace di realizzare.
Ecco perché deve essere attenta a non spegnere il carisma, l’originalità
precipua, la competenza specifica in un campo di studio o di lavoro che
il soggetto porta con sé, ma anzi, a sempre valorizzarli. Ne va,
innanzitutto, del bene e dell’equilibrio della persona, ma altrettanto
preziosa è la ricaduta comunitaria.
La stragrande maggioranza di queste nuove forme è
costituita da uomini e donne che, pur nella diversità dei luoghi,
vivono insieme, intessendo dei rapporti che desiderano essere improntati
alla più vera e autentica fraternità.
In una società quale l’attuale in cui, fin dai
primissimi anni di vita, uomini e donne vivono gomito a gomito, queste
comunità affermano, con il loro essere monaci e monache insieme, la
bellezza di una vita comunitaria nella quale la presenza di ambedue i
sessi va a sicuro vantaggio della qualità di vita umana e religiosa.
Certo, ciò esige una continua e vigile attenzione
e discrezione nei rapporti interpersonali, come anche un cammino
formativo che rispetti la precipua identità sessuale dei membri della
comunità, accomunati da un unico desiderio: vivere radicalmente la
medesima vita evangelica.
Altre connotazioni
Un’altra caratteristica che ritroviamo in alcune
nuove comunità è l’accoglienza nei riguardi di tanti uomini e
donne alla ricerca del Signore o, quantomeno, desiderosi di trovare un
senso per la propria vita.
Costoro trovano nella vita semplice, sobria nel
“linguaggio umano” un ambiente capace di ascoltare, dialogare e, solo
alla fine, pronto ad offrire una parola a questa ricerca di senso. La
scelta di queste nuove forme di vita monastica è quella di essere
continuamente attente al sentire della società contemporanea, con le sue
mille contraddizioni, a percepire, e quindi accogliere, la complessità
del vivere umano e i tanti interrogativi di fondo presenti nei nostri
contemporanei; ciò senza avere la benché minima pretesa di fornire
risposte preconfezionate, ricette pronte, esatte nella loro verità
oggettiva, ma incapaci di parlare in profondità al cuore dell’uomo.
Inoltre, largo spazio viene dato alla dimensione
del silenzio esteriore. È questo, certamente, uno dei più
importanti valori umani e cristiani, ma sovente assente in tante
comunità religiose. La fatica di trovare, però, un clima di silenzio
personale e comunitario, deve essere una delle priorità della vita
consacrata per custodire e nutrire la vita interiore dei suoi membri.
Non è possibile proferire una parola salutare per il fratello/la sorella
se non si vive all’interno di un clima che permette l’ascolto interiore
di Dio e di se stessi. E la custodia del silenzio esteriore è certamente
di aiuto per vivere questo ascolto interiore.
In ordine alla preghiera, ci sembra
interessante il primato che questa detiene nelle nuove comunità, i cui
membri, per regola, devono essere fedeli alla preghiera personale in
camera, per ritrovare l’unità profonda in tutto ciò che fanno durante la
giornata e imparare sempre più, grazie all’esperienza quotidiana, l’arte
di stare alla presenza del Signore.
Difficilmente, poi, ci si esonera dalla preghiera
comunitaria, durante la quale, solo per fare un esempio molto attuale,
nessuno si alza per rispondere al telefono che squilla, meno che mai si
esce dalla cappella, interrompendo la preghiera, per rispondere al
proprio cellulare che vibra in tasca.
Tutto questo è segno reale, nella concretezza
della vita quotidiana, del primato che l’incontro con Dio, del quale la
preghiera rappresenta il mezzo privilegiato, deve avere nella vita del
religioso.
Un capitolo a parte riguarda l’uso della
televisione.
In quasi tutte le nuove forme di vita monastica
l’apparecchio televisivo è bandito. I loro membri, infatti, hanno scelto
di trascorrere il tempo serale vivendo l’incontro interpersonale, il
giusto riposo e lo scambio epistolare.
Notevole spazio viene assicurato anche al semplice
ritirarsi nella propria camera per stare nel silenzio con se stessi a
conclusione di una giornata in cui il religioso si è ritrovato ad essere
sempre accanto a tante persone.
Qualche breve notazione, ancora, riguardo alle
case e alle strutture abitate dai membri di queste nuove
comunità.
La loro scelta di fondo è quella della sobrietà e
della povertà dei luoghi. Certo, come già abbiamo avuto modo di dire,
questo dipende dalla loro giovane età: non hanno avuto nessuna realtà
alle spalle come, d’altra parte, è avvenuto agli inizi della storia di
ogni Istituto di vita consacrata. Ciononostante, questo può
rappresentare uno stimolo per gli Istituti, spesse volte proprietari di
tanti e immensi edifici la cui sola manutenzione, tra l’altro, necessita
di cospicue risorse economiche.
Certo anche in noi vi è la consapevolezza che
questi immobili sono frutto di “sacrificio” delle precedenti generazioni
di confratelli/consorelle e che questo implica difficoltà nel
disfarsene, ma ci sembrerebbe un segnale chiaro di testimonianza, sia
nei confronti del voto di povertà che dei fratelli bisognosi, quello di
lasciare alcune proprietà, tenendo anche conto dell’avvenuta diminuzione
del numero di membri in parecchi Istituti.
Un’altra caratteristica di queste comunità è il
cercare di essere un “luogo” dove si vive la ricerca di Dio,
tralasciando tutto ciò che non le inerisce strettamente e privilegiando,
anzi, l’arte della conoscenza divina e quant’altro si presenti
strettamente connesso alla vita spirituale.
Crediamo che, in questo campo, la testimonianza di
queste nuove forme di vita monastica si mostri alquanto netta perché
dicono con estrema evidenza l’unum necessarium della vita
consacrata. E le numerose persone che si recano presso di esse per
imparare a pregare, conoscere il Signore nutrendosi della Scrittura,
lottare spiritualmente, ecc. sono un’ulteriore conferma di quello che
una buona fetta di credenti desidera e si aspetta dalla vita consacrata.
Infine, una riflessione sull’opzione di fondo che
le nuove comunità hanno fatto in ordine alla loro collocazione
ecclesiale.
Esse hanno scelto di rimanere all’interno del
tessuto ecclesiale diocesano - da qui la scelta di configurarsi
canonicamente come “associazioni pubbliche/private di fedeli” -
consapevoli della riscoperta della centralità della Chiesa locale
operata dal Vaticano II.
Volutamente radicate nella compagine ecclesiale di
un determinato luogo, le nuove comunità invitano le Chiese particolari a
riappropriarsi della vita consacrata. Per tutto il primo millennio,
d’altronde, in Occidente questa era un carisma vissuto nella Chiesa
locale, senza alcuna esenzione.
La scelta delle nuove comunità può essere di
stimolo, allora, per i nuovi Istituti di vita consacrata perché
riscoprano la piena appartenenza alla Chiesa particolare che li ha
generati, non aspettando il numero necessario di professioni perpetue
per essere riconosciuti di diritto pontificio, ma restando parte
integrante della suddetta Chiesa locale nella quale lo Spirito li ha
suscitati, insieme a tutte le altre vocazioni - presbiterali,
matrimoniali, ecc. - che impreziosiscono una comunità diocesana.
Considerazioni conclusive
Siamo arrivati al termine di questa carrellata di
spunti riguardanti aspetti diversi, ma volutamente concreti e
interrogatori, della vita consacrata (dalla preghiera, all’uso della
televisione, dai rapporti fraterni alla centralità della Parola, ecc.)
che le nuove comunità, a nostro avviso, possono offrire per la prassi
quotidiana degli Istituti.
Certo, il fatto che nell’attuale panorama
ecclesiale fioriscano sempre più numerose nuove forme di vita consacrata
- anche se siamo consapevoli che saranno gli anni a venire che
opereranno il necessario discernimento - ci fa beneficiare della
continua presenza dello Spirito.
Di sicuro, molti Istituti cesseranno per assenza
di vocazioni e, forse, anche per incapacità di riscrivere/attualizzare
il carisma del fondatore nelle mutate esigenze socio-culturali3.
Altri, però, prenderanno il loro posto, con modalità nuove, capaci di
parlare il linguaggio ecclesiale e culturale contemporaneo. La vita
consacrata, al di là delle forme concrete di inveramento, resta sempre,
infatti, uno dei doni essenziali che il Signore elargisce e che non farà
mai mancare per la santità della sua Chiesa.
A nostro avviso, gli Istituti di vita consacrata
dovrebbero cogliere quanto di buono proviene dalla vita delle nuove
comunità per scrostare quanto può essersi aggiunto alle iniziali
intuizioni del fondatore e che ha appesantito, a volte, la testimonianza
di radicalità evangelica presente agli inizi.
D’altra parte le nuove comunità devono potere
attingere dagli Istituti di vita consacrata quella sapienza che proviene
dalla loro plurisecolare storia, che ha attraversato diverse stagioni ma
che testimonia l’assistenza della forza dello Spirito. Ed è proprio la
loro esistenza che permette di poter dire una sempre viva ed attuale
parola evangelica alla Chiesa e alla società contemporanea.
1. Cf il nostro:
Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Piemme, Casale
Monferrato 2001.
2. Per una più
approfondita presentazione di ciò che ha portato alla nascita delle NC,
rimandiamo alle prime due pagine del nostro articolo: Verso un nuovo
monachesimo, in «Testimoni» 23 (54) (2000/8) 23-29.
3. Al riguardo, ci
permettiamo di ricordare come la morte è parte della parabola umana. E
come un organismo umano nasce, cresce, diventa adulto, invecchia e,
infine, muore, così anche un Istituto di vita consacrata vive tutte
queste fasi. Per questo, bisogna prepararsi anche a saper sparire, con
sapienza evangelica, dalla scena ecclesiale.
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