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"La lampada di Dio
non si era ancora spenta, mentre Salomone dormiva nel tempio del
Signore" (1Sam 3,3). "A Gabaon il Signore apparve di
notte in sogno a Salomone e gli disse: ‘Chiedimi ciò che devo darti’"
(1Re 3,5). "In quella stessa regione si trovavano dei
pastori: vegliavano all’aperto e di notte facevano la guardia al loro
gregge. L’angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del
Signore li avvolse di luce" (Lc 2,8-9). "Dopo il
boccone, entrò in lui (Giuda) Satana… Così, preso il boccone, quello
uscì subito. Era notte" (Gv 13,26).
Sono soltanto alcune
delle frasi della Scrittura, colte qua e là in cui si parla della
notte, nelle sue positività e nelle sue negatività. Essa, infatti, è
una realtà ambivalente. Temibile come l’incognito o la stessa morte o
augurabile come il tempo dell’ispirazione poetica, del riposo, della
quiete, dell’intimità. A volte è il Signore stesso che nel silenzio
della notte e del sonno irrompe nella vita dell’uomo, lo scuote con le
sue richieste o le sue proposte o le sue offerte. Illumina l’oscurità
con lo splendore della sua presenza. Altre è simbolo dell’agonia dell’anima,
del terrore, del peccato, dell’odio, del tradimento. "Questa
notte, prima che il gallo canti…" anticipa Gesù a Pietro.
La descrizione dell’origine
del cosmo, riportata dal biblista Roberto Vignolo citando
la Gn al capitolo primo e nei primi versetti è, effettivamente, di una
gustosa e quasi pragmatica semplicità. La notte, la tenebra non sono
infinite, atemporali. Con il loro alternarsi scandiscono il susseguirsi
e il variare del tempo. Ogni notte al suo dissolversi, pur lentamente
seguendo il suo corso, ti butta in una novità. Ogni giorno non è mai
come il precedente. Anche se impercettibilmente, non è più quello di
ieri, è diverso; le nuvole sono altre; i fiori non hanno più la stessa
freschezza di ieri; il calendario segna un altro numero: ieri tre oggi
quattro; ieri ventisei, oggi ventisette. Oppure ieri trentuno, oggi uno
e cambia anche il mese.
Bruno Secondin
si
sofferma soprattutto sull’interpretazione del pensiero di san Giovanni
della Croce e parla della noche oscura descritta dall’autore
spagnolo. Del resto siamo tutti pellegrini nella notte, che è
necessario vivere nella doppia lettura: come pianto e come canto.
Anche Emilio Grasso
scandisce la diversità tra il giorno e la notte; e, partendo dalla
delucidazione del termine notte, ne descrive le significanze per il
momento attuale della vita consacrata; e invita i consacrati a cercare e
a vivere il proprium della loro vita: la dimensione profetica e
la dimensione escatologica. "Se la notte, egli scrive, è il tempo
che intercorre tra il principio e la fine, al consacrato compete, in
forza del suo ruolo di segno escatologico, interpretare il tempo e porsi
come sentinella cui ci si rivolge per domandare quanto manca all’alba".
Maria Pia Giudici
si
rifà alla narrazione biblica in cui Giacobbe, nottetempo, si ritrova
obbligato a lottare con un uomo, che terminata la lotta, lo benedice e
gli cambia il nome. Ne tesse una Lectio: contestualizza, approfondisce,
attualizza e accompagna verso la preghiera, perché "solo
trasformando il quotidiano in una vita con Dio, si può davvero
esse utile anche ai fratelli".
Renata Bozzetto
riporta un altro momento dell’esistenza di Giacobbe: la sua visione
della scala verso il cielo. E invita a leggere l’icona della scala
del Paradiso. Concretamente: nella notte contemplare la luce. Per
vivere nella Luce e nella Pace.
Salvador Dalì, nato in
uno dei paesi più tipici della "costa brava" della Catalogna
in Spagna - dove è facile trovare uomini e donne con il loro cavalletto
di pittore, cercare punti strategici, ispirativi - artista di una
personalità e una capacità artistica poliedriche, le cui opere sono
state esposte per lunghi mesi a Roma, dipinse vari disegni nei quali
figura un orologio. In tre di essi l’ago piccolo è fermo sulle
cinque. L’ora del risveglio, dell’albeggiare, della creatività, del
fuggire della notte.
E allora:
Sei libero
davanti al sole del giorno,
sei libero
davanti alle stelle della notte;
e sei libero
quando non c’è sole
né luna
né stelle.
Kahlil Gibran
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