Quanto sono amabili le tue
dimore,
Signore degli eserciti!
Beato chi abita la tua
casa:
sempre canta le tue lodi!
Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio.
Passando per la valle del
pianto
la cambia in una sorgente,
anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni.
Cresce lungo il cammino il
suo vigore,
finché compare davanti a Dio in Sion.
(Salmo 83)
Ogni cambio epocale impone
a persone e istituzioni di decidere l’avventura di un nuovo viaggio
verso il futuro. E’ capitato così in passato e capita anche
oggi: il nostro tempo sfida la Chiesa e la vita consacrata a trovare in
Dio la forza per decidere il santo viaggio.
La sfida è venuta
innanzitutto dal Concilio Vaticano II, che ha offerto il fondamento,
l’orizzonte, le prospettive e le indicazioni di percorso per cogliere
e interpretare i “segni dei tempi” e ha generato iniziative
coraggiose e inedite di ripensamento e di progettazione dentro la Chiesa
e di conseguenza anche dentro la vita consacrata.
Per quanto riguarda
quest’ultima, il cammino percorso negli anni postconciliari ha portato
alla revisione delle Costituzioni, alla nascita di nuove forme di vita
consacrata, al ripensamento dell’impegno formativo, al confronto con
la società e la cultura, ecc…, nell’alternarsi di momenti di crisi
e di vitalità. Recentemente, sotto le stimolazioni del Sinodo sulla
Vita Consacrata, il cammino avviato dal Concilio ha avuto un nuovo
impulso non esente da problemi e difficoltà.
Domandiamoci: che cosa sta
avvenendo nella vita consacrata femminile? Quali modelli di vita
consacrata vengono proposti alle nuove generazioni di donne?
La domanda è impegnativa e
vasta. Non sono in grado di rispondervi, perché
un parere onesto richiede, a mio avviso, almeno una riflessione
interdisciplinare. Posso tentare di offrire delle stimolazioni -
riferendomi in particolare alla vita religiosa -, frutto della
prospettiva di studio che coltivo (quella sociologica) e della mia
esperienza di vita.
Sono innanzitutto
consapevole che quanto è stato scritto e detto sulla vita consacrata
femminile rappresenta più l’ideale che il vissuto, che il cambiamento
di mentalità e di strutture è lento e faticoso, che molti cambiamenti,
inoltre, riguardano la vita consacrata tout court e non si riferiscono
specificamente all’aspetto femminile. Devo precisare inoltre che, pur
cercando di sviluppare il tema affidatomi, trovo infruttuoso riferirmi a
macromodelli di vita consacrata femminile (è quasi impossibile parlare
di modelli in un momento di cambio, anzi, è solo osservando le cose da
lontano che si cominciano a vedere le cose che non si sono viste da
vicino!) e pertanto preferisco puntare l’attenzione su alcuni punti
significativi del cambiamento che costituiscono il “filo rosso” che,
in maniera più o meno evidente, più o meno esplicita e condivisa, lega
il passato al futuro e possono essere la trama dei nuovi modelli che si
stanno costruendo.
Mi sembra importante
sottolineare infine che è finita l’epoca dei modelli della
contrapposizione delle differenze – “tra” e “dentro” le forme
di vita consacrata: il nostro tempo è caratterizzato da una situazione
di “complessità a sfondo comune”. Le diverse forme di vita
consacrata, infatti, non sono mai sganciate dalla cultura nella quale
nascono e crescono e il nostro tempo, complesso e in continuo
cambiamento, non fa eccezione. La vita consacrata femminile porta dunque
in sé il gaudio e il peso di una socio-cultura in fermento e dei
problemi a essa connessi, compresi quelli relativi alla questione
femminile.
Questo premesso, entro nel
vivo del tema.
Convivono oggi in Italia
numerosi e più che centenari Istituti religiosi che stanno affrontando
lo sforzo del ridimensionamento, piccoli Istituti di antica fondazione
che si stanno lentamente spegnendo, nuove forme di vita consacrata che
si stanno espandendo e vanno moltiplicandosi. L’Esortazione apostolica
Vita consecrata ne presenta una tipologia significativa e rinvia alla
molteplicità delle esperienze che essa racchiude.
Orbene, qual è - a mio
avviso - il “filo rosso” che lega queste esperienze e che trova le
sue radici nella “memoria”, la sua gestazione nel “presente”, la
sua fecondità nel “futuro”?
Lo esprimo con cautela,
senza paura di essere contraddetta (i punti di vista con cui osservare
una realtà sono molti e tutti hanno una propria cittadinanza;
ovviamente ci sono punti di vista - per esempio quello teologico - più
radicali rispetto ad altri): si tratta dello stretto legame esistente
tra la vita consacrata femminile e la questione femminile, un legame di
cui le consacrate vanno sempre più prendendo coscienza, tanto che si
potrebbe affermare che proprio questa “presa di coscienza” è uno
dei più importanti segni del cambio
epocale che stiamo vivendo. Non solo, ma si può anche ipotizzare che
questo legame diventerà sempre più stretto e significativo e
contribuirà a modellare la vita consacrata femminile del terzo
millennio.
1. Dirsi e pensarsi al
femminile
Leggendo i rapporti o gli
Atti dei Capitoli Generali, e altri opuscoli che circolano sulla vita
consacrata femminile, emerge con chiarezza che le consacrate rileggono
la propria identità e il proprio impegno missionario e apostolico con
occhi e cuore di donna.
Nella semplicità
dell’espressione e del linguaggio di questa rilettura si ritrovano le
indicazioni del Magistero, soprattutto quelle di Giovanni Paolo II,
assunte nell’ottica del carisma proprio dell’Istituto di
appartenenza. La Mulieris dignitatem, la Lettera alle donne, la Vita
consecrata sono conosciute, apprezzate, fatte oggetto di riflessione, di
discernimento, di progettazione e costituiscono il parametro per
coniugare “femminilità” e “consacrazione femminile”, una
coniugazione che per ogni consacrata passa attraverso la fedeltà
creativa al carisma del proprio Istituto.
Quali allora le conseguenze
e le implicanze di questa presa di coscienza?
Le consacrate riscoprono se
stesse come donne, “osano dirsi e pensarsi al femminile” e
contribuiscono così a dare un volto peculiare alla propria
consacrazione e ad arricchire la riflessione e l’esperienza sulla
dignità della donna in risposta all’invito del Sinodo sulla vita
consacrata: “C’è motivo di sperare che da un più profondo
riconoscimento della missione della donna, la vita consacrata femminile
tragga una sempre maggior consapevolezza del proprio ruolo e
un’accresciuta dedizione alla causa del regno di Dio” (VC 58).
Osano proporre un concetto
e un’esperienza di maternità “oltre lo stereotipo”, una maternità
affettiva, culturale, spirituale che incide profondamente sul loro
sviluppo personale e sulla costruzione della stessa società. Osano
proporre la simbologia della maternità come paradigma per leggere in
profondità e tradurre in impegno il rapporto con la natura, con gli
altri, con Dio. E questo “osare” prende anche una forza maggiore
quando viene portato avanti insieme alle donne laiche.
Tra donne laiche e
consacrate si instaura un filo diretto di reciproca comprensione, di
sostegno, di iniziative, che in alcune occasioni viene sottolineato
(stranamente, ma vero!) anche dalla stampa laica. A titolo
esemplificativo cito l’incontro promosso dall’USMI, l’8 marzo
1996, sul tema: “Cosa vuol dire una suora? Apertura di un dialogo tra
le suore italiane e il movimento delle donne” contrassegnato dal
confronto semplice e franco tra due esponenti del movimento femminista
laico e tre religiose.
Nell’incontro, da parte
delle religiose, emergono alcune indicazioni provocatorie e allo stesso
tempo indicative di percorsi che esse stanno già attuando (è a partire
da queste indicazioni che si possono ipotizzare i modelli del futuro):
• l’approfondimento
dell’identità femminile per una ricomprensione dell’umanità
declinata “a due voci” (maschile e femminile);
• l’approfondimento
delle implicanze della reciprocità in tutti i suoi aspetti (reciprocità
tra uomo e donna; tra donne, tra generazioni, tra razze e culture);
• l’impegno per
una formazione culturale delle consacrate, soprattutto delle giovani,
per poter partecipare attivamente all’elaborazione della cultura;
• il recupero della
contemplazione amorosa del Signore che è condizione
imprescindibile per il servizio all’umanità.
Le laiche rispondono alle
religiose con proposte concrete, dopo aver messo in evidenza che
l’incontro ha favorito la messa in crisi degli stereotipi sulle
consacrate:
• la richiesta di
lavorare insieme per costruire nei fatti un’autentica cultura della
vita;
• l’impegno a
rivalutare l’attività di cura e di educazione perché siano
riconosciute e valorizzate nella società, a fare della maternità la
misura della società, ad assumere il potere come servizio
sull’esempio delle grandi donne che hanno fatto “bella” la vita
consacrata senza lasciarsi innamorare del potere.
Questo è solo un esempio,
è vero, ma ogni consacrata potrebbe documentare che in tante altre
occasioni - nelle scuole, nelle parrocchie, negli ospedali, nelle
famiglie, nei circoli culturali, nelle conversazioni informali - si
rinnova la fecondità di questo incontro-confronto, non come esperienza
episodica, ma come momento di amicizia e collaborazione. Il ponte è
gettato ed è percorribile nelle due direzioni. Lo percorre abitualmente
anche Gesù.
Sempre riguardo a questa
sottolineatura dell’identità femminile delle consacrate, mi piace
anche mettere in evidenza che al Sinodo sulla vita consacrata le donne
presenti hanno posto l’accento non tanto sui ruoli da giocare nella
Chiesa quanto sul valore testimoniante della vita consacrata femminile:
l’amore per Cristo con cuore indiviso e la testimonianza della sua
misericordia e tenerezza per tutti, con una predilezione per i più
poveri e deboli.
Tra tutte le testimonianze
ne riporto una, quella di Madre Teresa di Calcutta, che oggi è sapida
di eternità. “ La nostra vita come religiose, e soprattutto come
donne, deve essere quella di aver sete con Gesù e di assumere su noi
stesse la sete della nostra gente e di tutti quelli affidati alle nostre
cure del cui amore Gesù stesso continua ad aver sete […]. Per essere
in grado di divenire vere donne consacrate dobbiamo innamorarci sempre
più di Gesù […]. Dobbiamo mettere l’amore al primo posto nella
nostra vita”.
Questo amore vuol farsi
testimonianza luminosa attraverso l’educazione, la carità, il
servizio ai più poveri, l’animazione parrocchiale, il mondo della
cultura. Sottolineo quest’ultima frontiera sempre più aperta, sempre
più carica di significato e di fecondità, che vede le consacrate
impegnate in uno sforzo di preparazione umana e spirituale, che mentre
le costruisce come persone le abilita a operare con competenza e
saggezza (quante consacrate insegnano oggi a livello universitario,
fanno direzione spirituale, predicano esercizi spirituali, lavorano per
le Conferenze episcopali, nei Consigli pastorali e in altri luoghi di
grande responsabilità!).
Ho letto recentemente, in
un opuscolo, questa frase: “Si può diventare estranei alla vita di
Dio non solo per la durezza del cuore, ma anche per l’ignoranza”. Mi
ha colpito profondamente e mi ha convinta ancora di più che la strada
dell’impegno culturale delle consacrate è oggi prioritaria per il
futuro della vita consacrata stessa (anche se ovviamente non è
l’unica). In questo momento di cambio epocale è infatti importante
possedere autentiche competenze che aiutino a “rendere ragione della
speranza che è in noi” e a metterci in dialogo umile e sincero con il
mondo della cultura, per collaborare fattivamente a costruire un mondo
di pace nello spirito dell’invito che Giovanni Paolo II rivolse a
tutte le donne nella Giornata mondiale della pace del 1995.
2. Impegnarsi sulle
frontiere dell’essere e del coinvolgersi
Essere e coinvolgersi.
Anche su queste frontiere - a mio avviso - si giocano passi importanti
del cammino futuro della vita consacrata.
La frontiera dell’essere
“donne” consacrate, innanzitutto. Si tratta del cammino del
confronto con se stesse, con la propria realtà di donne -
contemporaneamente ricche e povere di doni - che si lavorano per
conoscere nel profondo le proprie risorse di “persona umana donna”,
che maturano consapevolmente la propria interiorità, che percorrono con
costanza il cammino umile della propria verità.
Tornando alle radici della
propria identità di donne consacrate, in risposta alle stimolazioni dei
Capitoli generali e guidate da donne semplici e sapienti, le consacrate
fanno vedere che la loro scelta di vita, con ciò che significa e i
compiti a cui rimanda, è una via originale per la piena realizzazione
della donna. Non solo, ma è cooperazione feconda e intelligente
a quel riscatto della persona umana che è a fondamento della
pace, della democrazia, dello sviluppo tra i popoli.
Nella società, soprattutto
la nostra che va diventando sempre più multiculturale e multirazziale,
infatti, è soltanto mettendo al centro la persona che si arriva a
valorizzare la comunione tra singoli e popoli, al di sopra di ogni
sistema o idea o ideologia; a scoprire il vero significato della
relazione e ciò che l’altro - non più nemico o concorrente - può
offrire; a sviluppare il paradigma di una casa comune e nel contempo
plurale; a salvaguardare le istanze universalistiche di ogni espressione
culturale in uno spirito aperto alle differenze e alla molteplicità.
A questa nostra società,
le donne laiche e consacrate offrono il dono della propria dignità
personale mediante la parola e la testimonianza di vita e le ricchezze
connesse con la propria vocazione femminile. In essa portano il ricco
patrimonio di esperienza accumulato da tante donne lungo la storia,
troppo spesso carico di pesi che le hanno relegate ai margini del vivere
sociale ed ecclesiale, e quei valori che contribuiscono a salvare
l’umano: la coscienza del limite, l’accoglienza, l’attenzione, la
cura, la compassione. Sono i valori legati a quel “genio materno”
che nel Giubileo dell’Incarnazione del 2000 ha svelato, attraverso il
volto di ogni donna e il suo operare sui diversi fronti del quotidiano,
il volto della Bellissima, la dolce Madre del Signore.
Simone Weil ripeteva più
volte a se stessa: “Non passare dinanzi a una cosa grande senza
vederla”.
Non si può non vedere che
le donne e le donne consacrate semplici e dotte, anziane e giovani,
chiamate a ruoli di responsabilità o prostrate dalla malattia stanno
interiorizzando un nuovo modello di maternità per consegnarlo alle
generazioni future. E’ un modello fondato
• sulla relazionalità
(che richiama il mistero di comunione/libertà tra madre e figlio);
• sul senso del
limite (che richiama i periodi di fecondità/sterilità che vive ogni
donna),
• sulla capacità di
coniugare dolore e gioia (che richiama l’allegrezza di aver dato al
mondo un figlio attraverso le doglie del parto).
Un’altra frontiera di
grande importanza per il futuro dell’umanità tutta, che
contraddistingue oggi la riflessione delle donne, sia consacrate sia
laiche, è il ripensamento e l’approfondimento dell’antropologia
cristiana come antropologia solidale che rimanda alla realtà della
persona umana creata a immagine
di Dio, Trinità di Persone in comunione. Fa parte di questo
ripensamento l’accento posto dalle consacrate sul nesso che intercorre
tra la donna e il senso della vita, a lei tipicamente proprio,
soprattutto nel tratto relazionale interpersonale che è il sigillo
impresso dalla Trinità nella persona umana. Non solo, ma l’impegno a
collaborare per costruire una nuova cultura, quella cultura che trova
fecondità nel mistero della reciprocità che ci costruisce in quanto
persone e ci è modello in ogni esperienza di vita, per il suo radicarsi
nel mistero ineffabile della reciprocità delle Divine Persone.
Molto si è detto,
discusso, condiviso al riguardo - anche se c’è ancora molto cammino
da fare perché le consacrate prendano coscienza che possono essere,
umilmente ma veramente, una presenza promotrice di un umanesimo fedele
al progetto di Dio, rispettoso della dignità di ciascuno (uomo o donna)
e di tutte le dimensioni della persona - in vista dei risvolti concreti
che tali riflessioni comportano a livello di vissuto.
Si tratta di risvolti che
incidono su tutti gli aspetti della vita consacrata: dall’identità ai
ruoli, alla vita comunitaria, ai voti, al rapporto tra donne e tra donne
e uomini, alla convivenza intergenerazionale e multiculturale,
all’esercizio dell’autorità, alla formazione.
E’ urgente fare un
discorso a “due voci”, “a più voci”, dando piena cittadinanza
alle donne e alle donne consacrate, perché solo “insieme” - uomini
e donne di ogni razza e lingua, giovani e adulti, gente di ogni regione
e Stato - si potrà elaborare quella cultura della persona umana che si
oppone alla logica dell’egocentrismo e dell’autoaffermazione, per
dare cittadinanza alla logica dell’amore e della solidarietà. E’
questa la sola strada per opporre a modelli di sfruttamento e di potere
modelli di gratuità dialogica e conviviale.
I voti di castità, povertà,
obbedienza, riscoperti e vissuti in quella chiave relazionale, che mette
al primo posto l’amore per il Signore, sono una strada maestra per
costruire questa società sana, a misura di persona umana.
L’obbedienza diventa
“libertà liberata con l’ethos dell’amore”, capacità di
decisione sana e autonoma, ecologia della mente, scuola di vita comune
che fa a ciascuno il giusto spazio, coscienza del proprio limite che
accoglie il dono dell’altro nella consapevolezza che ciascuno ha un
talento da offrire e trafficare.
La povertà si fa sobrietà
umanizzante, dipendenza responsabile dalla comunità secondo uno stile
di vita adulta, ecologia della vita che porta ad accontentarsi del
necessario, a condividere i bene materiali e spirituali, a lottare per
vincere le strutture di peccato e di morte, a testimoniare la lotta
contro lo spreco delle cose, della natura, dei pensieri, del linguaggio,
dell’amore.
La castità, nella
donazione totale a Cristo, diventa ecologia del cuore, lotta gioiosa e
trasparente contro la prostituzione del corpo e dello spirito, maternità
spirituale aperta a ricevere, a donare, a far crescere la vita.
La frontiera del
“coinvolgersi”. E’ il cammino dell’immergersi nella concretezza
dei problemi per acquistare la sapienza di prevenirli - quando è
possibile - e di inventarne le risposte nel vivo dell’azione. E’ il
farsi carico dei problemi portando in essi tutto il peso della propria
vita affettiva, intellettuale, volitiva incorporata in quella saggezza
che è l’arte-virtù del giusto momento. E’ il prendersi cura della
vita e della morte, delle situazioni che richiedono rispetto e
accoglienza delle differenze mosse da atteggiamenti dignitosi e sereni
di compassione.
“Prendersi cura”, vale
a dire diventare sempre più consapevoli del dono che ciascuna può
rappresentare per gli altri, per la gente, per il mondo… Prendersi
cura dei poveri come Teresa di Calcutta, delle riforme come Teresa d’Avila,
della pace come Brigida di
Svezia, dell’Amore come Teresa di Gesù Bambino, del Papa come
Caterina da Siena, della verità come Teresa Benedetta della Croce,
dell’educazione come Maria Mazzarello, del mondo della comunicazione
sociale come Tecla Merlo.
“Essere”,
“coinvolgersi” per trasformare la valle del pianto in una sorgente (Sl
83) esprimendo innanzitutto quello che è “il cuore” del “genio
femminile”, la cifra dell’essere donna e donna consacrata: il genio
del proprio rapporto con il Signore, fonte e ragione di ogni amore. Quel
genio che non deve mai spegnersi per condurre la vita consacrata
“oltre la porta del terzo millennio”, così che l’umile e
coraggioso servizio di tutte coloro che hanno scelto il Signore possano
essere non solo “seme nella terra”, ma “lampada sul moggio”.
Quali modelli, allora, per
il futuro? Quelli, a mio avviso, che saranno aperti a declinare la
profezia del “dirsi e pensarsi” al femminile nell’impegno
quotidiano sulle frontiere “dell’essere e del coinvolgersi”.
|