n. 6
giugno 2003

 

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Una missione di quelle che...
nelle parole di Suor Silvana Santurini

a cura di Rita Salerno

 

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Una missione di quelle che ti cambiano. Da cui la fede esce più forte, temprata dal dolore e dalla sofferenza delle persone che hanno perduto i loro cari in un soffio, improvvisamente. Uomini e donne scoraggiati dalla perdita degli affetti più cari e della casa. Un’esperienza non facile per le cinque suore che dal mese di gennaio di quest’anno condividono la vita spezzata della gente di San Giuliano. Ognuna con lo spirito del suo carisma in un cammino di tristezza e di buio. Nella quotidianità sono una maestra, un’educatrice, un’infermiera, una catechista e l’ultima assiste gli anziani in una comunità. Da poco meno di sei mesi sono gli “angeli” di San Giuliano, le custodi silenziose di un buco nero che si è aperto nella popolazione locale da quel giorno di ottobre scorso, quando la terra ha cominciato a tremare.

Come Suor Silvana Santurini, delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, la congregazione fondata a Parma da Agostino Chieppi, che per la prima volta sperimenta questo apostolato particolare, forte per l’eccezionalità della situazione. La Santurini fa parte di un piccolo gruppo composto da Suor Teresa Petrosino salesiana, da Suor Gabriella Moroni delle Nazarene di Torino, da Suor Vincenza Gigante della congregazione della Purificazione di Savona e da Suor Alfina Di Pietro della Divina Provvidenza.

Suor Silvana è veneta, di Belluno, quarant’anni di consacrazione nel segno di Gesù e di Maria. Alle spalle, il dolore immenso della perdita della mamma, mancata ad ottobre scorso dopo una malattia che ha costretto Suor Silvana ad allontanarsi dalla sua comunità di appartenenza, quella di Limana, per assisterla. Una perdita affrontata con tanta serenità, consapevole che il distacco non è per sempre.

Ogni mattina da Campomarino, frazione distante un centinaio di chilometri da San Giuliano, raggiungono con la corriera la comunità colpita dal sisma che nell’ottobre scorso ha stravolto la tranquilla vita di diverse località del Molise. Sono ospiti per un anno in un’abitazione messa a disposizione dalla Caritas locale su richiesta del vescovo di Termoli-Larino, monsignor Tommaso Valentinetti. Il presule si è rivolto a diverse congregazioni femminili per chiedere la presenza di alcune religiose per un periodo di tempo a fianco della comunità molisana dolorosamente provata dal terremoto. Il tutto è avvenuto anche con l'intervento sapiente del Consiglio di Presidenza dell'USMI nazionale. Ed è Suor Silvana a raccontare, anche a nome delle altre quattro religiose, l’esperienza fin qui vissuta vicino a chi si trova a sperimentare una prova così dura come quella del terremoto che ha strappato affetti e privato di ogni bene materiale tante persone.

 

Come è organizzata la vostra giornata?

 «Al mattino le Lodi alle sette, poi la meditazione e infine la colazione. Dopodiché si pulisce il piccolo appartamento che ci hanno messo a disposizione. Poi di corsa alla fermata della corriera che alle otto in punto ci porta a San Giuliano. Ci dividiamo a due a due per seguire, chi, gli anziani che stanno nelle case di riposo, chi, i più giovani che stanno al Melody, all’Aloha, i residences dove sono alloggiate le famiglie che non hanno più un tetto. Una giornata scandita da alcuni momenti comunitari ai quali siamo sempre presenti come la preghiera insieme dopo pranzo e la Santa Messa. Ma gran parte del nostro tempo è dedicato a loro, alla comunità di San Giuliano con la quale dividiamo momenti belli e momenti brutti, spesso alla stessa tavola. Adesso condividiamo la stessa vita delle cinquanta famiglie che hanno deciso di rimanere in paese. Tutti gli altri hanno accettato di andare a vivere in residences. Poi si fa rientro per i Vespri».

 

Portare serenità e speranza a chi è nella morsa del dramma: è questa la vostra missione?

 «Gli anziani, specialmente, hanno molto bisogno del nostro conforto. Molti, di fronte a questo oceano di dolore, si sono chiusi nella loro tristezza. Mi ricordo in particolare di uno di questi vecchi che una volta mi disse: ‘Sono stato per tanti anni in Svizzera a lavorare. Poi, grazie ai risparmi di una vita, mi sono costruito una casa per la mia famiglia. Ad un certo punto, in due secondi il Signore mi ha portato via tutto. Le scosse hanno fatto crollare la casa. Non sono riuscito a metterci piede, perché me lo hanno impedito i vigili del fuoco. Anche gli uomini della Protezione Civile hanno negato il permesso per accedere all’abitazione. Non ho potuto prendere anche un solo oggetto che mi ricordi i momenti felici della mia esistenza’. Quali parole di consolazione usare in queste circostanze? Non è facile. Io penso che è meglio pregare per loro e stare in silenzio ad ascoltare esperienze così drammatiche. Ma quell’uomo si è ricreduto. Ha capito che non è stata una punizione, come le sue parole facevano pensare. La seconda volta che sono andata a trovarlo, mi ha accolto con calore. Ricordo le sue parole: ‘Venga a trovarmi più spesso, perché la sua presenza mi è di sostegno nell’affrontare questa situazione. La preghiera, il silenzio e il vostro sostegno è per noi tutti di grande conforto».

 

Anche le famiglie della prima classe delle elementari che è scomparsa per il crollo della scuola trae giovamento dalla presenza sua e delle altre religiose?

 «Ho appena visitato la scuola di San Giuliano insieme a Suor Gabriella. È una pena vedere la prima classe, i banchi vuoti, un mazzo di fiori poggiato sulla cattedra, la maestra e tutti i bambini che non ci sono più. Un’insegnante ci ha detto: ‘io non posso ammettere che il Signore sia capace di questo’. Quanta delusione e sconforto dalle sue parole. In questo caso cosa possiamo dire? Il nostro compito è portare speranza dove ci sono gli afflitti e ricordare che non è Dio a fare tutto questo, ma è la forza della natura. Può capitare in ogni parte del mondo. Non è soltanto la zona di San Giuliano ad esserne colpita. Abbiamo accennato ad altre vicende analoghe che hanno seminato morte e distruzione in altri angoli del pianeta. Alla fine, l’insegnante ha ammesso di aver sbagliato a parlare in quel modo. Ma se ci verrete a trovare più spesso, ha aggiunto, chissà che qualcuno di noi possa capire e superare questo grande momento di disperazione. La fede può smarrirsi, a volte, e sembrare più oscura».

 

Una situazione che può far credere al silenzio di Dio davanti ad una tragedia di notevoli proporzioni, ma la vostra presenza è la chiara dimostrazione del contrario?

 «Certo. Parlando con la vice preside della scuola ho ricordato che troppo spesso siamo portati a leggere gli eventi sulla base del nostro metro di giudizio. Ma non è giusto agire così, soprattutto perché colpiti dal buio e dalla sofferenza, non riusciamo a capire. In questo senso, la nostra preghiera può contribuire ad alleviare un dolore indicibile. Abbiamo dedicato ore ed ore all’adorazione eucaristica nell’appartamento che ci è stato messo a disposizione. Anche nella parrocchia più colpita, ci siamo raccolte in preghiera per invocare Dio di dare conforto alla popolazione duramente provata. Perché le parole non possono niente di fronte alla disperazione di chi è stato separato dalle persone più care. Da parte loro, c’è grande cordialità e stima. Quando ci vedono in strada, ci salutano con calore e ci chiedono di non trascurarli e di venire spesso a trovarli. Sanno che stiamo facendo questa esperienza di condivisione. Fianco a fianco con il loro dolore. Sanno che resteremo a lungo. Con il sorriso e con l’armonia che regna tra noi suore siamo una testimonianza positiva per loro. Una donna mi ha detto: “La vostra unità mi dà sicurezza e mi fa sentire meno sola”».

 

Ha vissuto momenti difficili, all’inizio. Anche per integrarsi con la comunità?

 “Sì. Qualcuno ci ha mandato via temendo di essere in presenza di testimoni di Geova. Poi ha capito di aver fatto uno sbaglio. A chi ho avvicinato, ho sempre detto che la mia presenza è solo una scelta dettata dalla volontà di portare la Parola di Cristo a fratelli soli e sofferenti. Nient’altro. Il mio vestito, il sorriso, la preghiera del Rosario possono aiutare nella tristezza. Rispetto ai primi tempi, la situazione è migliorata. L’ha notato anche il parroco che ha raccontato di aver apprezzato molto la nostra presenza, dopo un primo momento di incertezza per la situazione tesa dei momenti successivi alle scosse. Una sorta di camminare con i tempi, come lui ha detto. Il futuro è ripartire da Cristo con la gente di oggi. Un apostolato arduo, che richiede doti di pazienza e di comprensione nei confronti dei possibili sfoghi di chi soffre. Che ha bisogno di competenza e di preparazione. A dire il vero, spesso mi sono sentita inadeguata. Anche perché mi hanno dato la responsabilità della comunità e non è per niente facile».

 

Non ha avuto tempo per prepararsi a un’esperienza del genere?

 «No. Se è per questo non ho una formazione adeguata. Ma con l’aiuto dello Spirito Santo, ho potuto constatare che è possibile portare conforto a chi è disperato. Sono partita con questo pensiero nel cuore. Ho potuto fare qualche giorno di aggiornamento presso la nostra casa generalizia a Parma. Posso dire di aver veramente sentito la chiamata di Giona ‘Va in nome mio’. Mi ha dato forza e sono partita. Vivo questa esperienza quasi come una seconda chiamata da parte del Signore. E credo che anche le altre suore che vivono con me questa esperienza, la pensino come me. Per quello che ci siamo unite e insieme abbiamo capito cosa fare. Questa è davvero terra di missione».

 

Lei tornerà indietro con uno spirito nuovo, avendo preso coscienza di un dolore immenso, oscuro e duro da gettarsi alle spalle.

 «Certo. Mi ha fatto più ricca di prima, visto che ho potuto amare l’altro senza esserne ricompensata. Mi sono distaccata dalle mie origini per entrare in quelle della comunità dove opero. Loro sono molto affettuosi, quando ci incontrano ci abbracciano e ci baciano. Fa parte del loro dna. Dalle mie parti siamo un po’ più freddi, più distaccati per natura. Siamo venuti incontro reciprocamente sulla strada che ci ha indicato Cristo».

 

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