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Una
missione di quelle che ti cambiano. Da cui la fede esce più forte,
temprata dal dolore e dalla sofferenza delle persone che hanno perduto i
loro cari in un soffio, improvvisamente. Uomini e donne scoraggiati
dalla perdita degli affetti più cari e della casa. Un’esperienza non
facile per le cinque suore che dal mese di gennaio di quest’anno
condividono la vita spezzata della gente di San Giuliano. Ognuna con lo
spirito del suo carisma in un cammino di tristezza e di buio. Nella
quotidianità sono una maestra, un’educatrice, un’infermiera, una
catechista e l’ultima assiste gli anziani in una comunità. Da poco meno
di sei mesi sono gli “angeli” di San Giuliano, le custodi silenziose di
un buco nero che si è aperto nella popolazione locale da quel giorno di
ottobre scorso, quando la terra ha cominciato a tremare.
Come
Suor Silvana Santurini, delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e
di Maria, la congregazione fondata a Parma da Agostino Chieppi, che per
la prima volta sperimenta questo apostolato particolare, forte per
l’eccezionalità della situazione. La Santurini fa parte di un piccolo
gruppo composto da Suor Teresa Petrosino salesiana, da Suor Gabriella
Moroni delle Nazarene di Torino, da Suor Vincenza Gigante della
congregazione della Purificazione di Savona e da Suor Alfina Di Pietro
della Divina Provvidenza.
Suor
Silvana è veneta, di Belluno, quarant’anni di consacrazione nel segno di
Gesù e di Maria. Alle spalle, il dolore immenso della perdita della
mamma, mancata ad ottobre scorso dopo una malattia che ha costretto Suor
Silvana ad allontanarsi dalla sua comunità di appartenenza, quella di
Limana, per assisterla. Una perdita affrontata con tanta serenità,
consapevole che il distacco non è per sempre.
Ogni
mattina da Campomarino, frazione distante un centinaio di chilometri da
San Giuliano, raggiungono con la corriera la comunità colpita dal sisma
che nell’ottobre scorso ha stravolto la tranquilla vita di diverse
località del Molise. Sono ospiti per un anno in un’abitazione messa a
disposizione dalla Caritas locale su richiesta del vescovo di
Termoli-Larino, monsignor Tommaso Valentinetti. Il presule si è rivolto
a diverse congregazioni femminili per chiedere la presenza di alcune
religiose per un periodo di tempo a fianco della comunità molisana
dolorosamente provata dal terremoto. Il tutto è avvenuto anche con
l'intervento sapiente del Consiglio di Presidenza dell'USMI nazionale.
Ed è Suor Silvana a raccontare, anche a nome delle altre quattro
religiose, l’esperienza fin qui vissuta vicino a chi si trova a
sperimentare una prova così dura come quella del terremoto che ha
strappato affetti e privato di ogni bene materiale tante persone.
Come è organizzata la vostra giornata?
«Al mattino le Lodi alle sette,
poi la meditazione e infine la colazione. Dopodiché si pulisce il
piccolo appartamento che ci hanno messo a disposizione. Poi di corsa
alla fermata della corriera che alle otto in punto ci porta a San
Giuliano. Ci dividiamo a due a due per seguire, chi, gli anziani che
stanno nelle case di riposo, chi, i più giovani che stanno al Melody,
all’Aloha, i residences dove sono alloggiate le famiglie che non hanno
più un tetto. Una giornata scandita da alcuni momenti comunitari ai
quali siamo sempre presenti come la preghiera insieme dopo pranzo e la
Santa Messa. Ma gran parte del nostro tempo è dedicato a loro, alla
comunità di San Giuliano con la quale dividiamo momenti belli e momenti
brutti, spesso alla stessa tavola. Adesso condividiamo la stessa vita
delle cinquanta famiglie che hanno deciso di rimanere in paese. Tutti
gli altri hanno accettato di andare a vivere in residences. Poi si fa
rientro per i Vespri».
Portare serenità e speranza a chi è nella
morsa del dramma: è questa la vostra missione?
«Gli anziani, specialmente,
hanno molto bisogno del nostro conforto. Molti, di fronte a questo
oceano di dolore, si sono chiusi nella loro tristezza. Mi ricordo in
particolare di uno di questi vecchi che una volta mi disse: ‘Sono stato
per tanti anni in Svizzera a lavorare. Poi, grazie ai risparmi di una
vita, mi sono costruito una casa per la mia famiglia. Ad un certo punto,
in due secondi il Signore mi ha portato via tutto. Le scosse hanno fatto
crollare la casa. Non sono riuscito a metterci piede, perché me lo hanno
impedito i vigili del fuoco. Anche gli uomini della Protezione Civile
hanno negato il permesso per accedere all’abitazione. Non ho potuto
prendere anche un solo oggetto che mi ricordi i momenti felici della mia
esistenza’. Quali parole di consolazione usare in queste circostanze?
Non è facile. Io penso che è meglio pregare per loro e stare in silenzio
ad ascoltare esperienze così drammatiche. Ma quell’uomo si è ricreduto.
Ha capito che non è stata una punizione, come le sue parole facevano
pensare. La seconda volta che sono andata a trovarlo, mi ha accolto con
calore. Ricordo le sue parole: ‘Venga a trovarmi più spesso, perché la
sua presenza mi è di sostegno nell’affrontare questa situazione. La
preghiera, il silenzio e il vostro sostegno è per noi tutti di grande
conforto».
Anche le famiglie della prima classe delle
elementari che è scomparsa per il crollo della scuola trae giovamento
dalla presenza sua e delle altre religiose?
«Ho
appena visitato la scuola di San Giuliano insieme a Suor Gabriella. È
una pena vedere la prima classe, i banchi vuoti, un mazzo di fiori
poggiato sulla cattedra, la maestra e tutti i bambini che non ci sono
più. Un’insegnante ci ha detto: ‘io non posso ammettere che il Signore
sia capace di questo’. Quanta delusione e sconforto dalle sue parole. In
questo caso cosa possiamo dire? Il nostro compito è portare speranza
dove ci sono gli afflitti e ricordare che non è Dio a fare tutto questo,
ma è la forza della natura. Può capitare in ogni parte del mondo. Non è
soltanto la zona di San Giuliano ad esserne colpita. Abbiamo accennato
ad altre vicende analoghe che hanno seminato morte e distruzione in
altri angoli del pianeta. Alla fine, l’insegnante ha ammesso di aver
sbagliato a parlare in quel modo. Ma se ci verrete a trovare più spesso,
ha aggiunto, chissà che qualcuno di noi possa capire e superare questo
grande momento di disperazione. La fede può smarrirsi, a volte, e
sembrare più oscura».
Una situazione che può far credere al
silenzio di Dio davanti ad una tragedia di notevoli proporzioni, ma la
vostra presenza è la chiara dimostrazione del contrario?
«Certo.
Parlando con la vice preside della scuola ho ricordato che troppo spesso
siamo portati a leggere gli eventi sulla base del nostro metro di
giudizio. Ma non è giusto agire così, soprattutto perché colpiti dal
buio e dalla sofferenza, non riusciamo a capire. In questo senso, la
nostra preghiera può contribuire ad alleviare un dolore indicibile.
Abbiamo dedicato ore ed ore all’adorazione eucaristica nell’appartamento
che ci è stato messo a disposizione. Anche nella parrocchia più colpita,
ci siamo raccolte in preghiera per invocare Dio di dare conforto alla
popolazione duramente provata. Perché le parole non possono niente di
fronte alla disperazione di chi è stato separato dalle persone più care.
Da parte loro, c’è grande cordialità e stima. Quando ci vedono in
strada, ci salutano con calore e ci chiedono di non trascurarli e di
venire spesso a trovarli. Sanno che stiamo facendo questa esperienza di
condivisione. Fianco a fianco con il loro dolore. Sanno che resteremo a
lungo. Con il sorriso e con l’armonia che regna tra noi suore siamo una
testimonianza positiva per loro. Una donna mi ha detto: “La vostra unità
mi dà sicurezza e mi fa sentire meno sola”».
Ha vissuto momenti difficili, all’inizio.
Anche per integrarsi con la comunità?
“Sì. Qualcuno ci ha mandato via
temendo di essere in presenza di testimoni di Geova. Poi ha capito di
aver fatto uno sbaglio. A chi ho avvicinato, ho sempre detto che la mia
presenza è solo una scelta dettata dalla volontà di portare la Parola di
Cristo a fratelli soli e sofferenti. Nient’altro. Il mio vestito, il
sorriso, la preghiera del Rosario possono aiutare nella tristezza.
Rispetto ai primi tempi, la situazione è migliorata. L’ha notato anche
il parroco che ha raccontato di aver apprezzato molto la nostra
presenza, dopo un primo momento di incertezza per la situazione tesa dei
momenti successivi alle scosse. Una sorta di camminare con i tempi, come
lui ha detto. Il futuro è ripartire da Cristo con la gente di oggi. Un
apostolato arduo, che richiede doti di pazienza e di comprensione nei
confronti dei possibili sfoghi di chi soffre. Che ha bisogno di
competenza e di preparazione. A dire il vero, spesso mi sono sentita
inadeguata. Anche perché mi hanno dato la responsabilità della comunità
e non è per niente facile».
Non ha avuto tempo per prepararsi a
un’esperienza del genere?
«No. Se è per questo non ho una
formazione adeguata. Ma con l’aiuto dello Spirito Santo, ho potuto
constatare che è possibile portare conforto a chi è disperato. Sono
partita con questo pensiero nel cuore. Ho potuto fare qualche giorno di
aggiornamento presso la nostra casa generalizia a Parma. Posso dire di
aver veramente sentito la chiamata di Giona ‘Va in nome mio’. Mi ha dato
forza e sono partita. Vivo questa esperienza quasi come una seconda
chiamata da parte del Signore. E credo che anche le altre suore che
vivono con me questa esperienza, la pensino come me. Per quello che ci
siamo unite e insieme abbiamo capito cosa fare. Questa è davvero terra
di missione».
Lei tornerà indietro con uno spirito nuovo,
avendo preso coscienza di un dolore immenso, oscuro e duro da gettarsi
alle spalle.
«Certo. Mi ha fatto più ricca di
prima, visto che ho potuto amare l’altro senza esserne ricompensata. Mi
sono distaccata dalle mie origini per entrare in quelle della comunità
dove opero. Loro sono molto affettuosi, quando ci incontrano ci
abbracciano e ci baciano. Fa parte del loro dna. Dalle mie parti siamo
un po’ più freddi, più distaccati per natura. Siamo venuti incontro
reciprocamente sulla strada che ci ha indicato Cristo».
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