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Mi
trovo un po’ a disagio. Avevo preparato un discorso, ma entrando qui in
sala la prima cosa che mi è venuta in mente, e forse è quello che farò,
è di dimenticare ciò che avevo preparato.
Ed è questo il problema
di convegni e tavole rotonde: devi preparare qualcosa da dire a un volto
che non vedi, e bisogna poi avere il coraggio e l’umiltà, una volta
visto il volto, almeno al primo impatto, di dire a te stesso che quello
che hai preparato non è quello che puoi desiderare di dire qui.
Sapevo di partecipare a
una tavola rotonda per le Madri generali e provinciali, ma un conto è
immaginare un pubblico variegato e un altro è vedere i loro volti.
L’altra difficoltà è che io sono africano e, quindi, non c’è bisogno che
vi dica cosa rappresenti una madre per noi africani. Terza difficoltà è
il fatto che mi trovo qui, davanti a voi, a dover parlare, invece di
essere colui che deve ascoltare. Forse il mondo sta andando un po’ alla
rovescia, non lo so, però… l’unica cosa che posso fare prima di prendere
la parola, e lo dico sinceramente poiché io vengo da una formazione
filosofica e, normalmente, lo sapete, si tende a provocare tanto, e poi,
se si proviene dai Gesuiti, ancora peggio.
Avrei voluto, difatti,
prima di tutto versare un po’ di acqua a favore dei miei antenati,
chiedendo loro che mi proteggano dal dire qualche cosa di sbagliato,
perché di solito la mia formazione mi porta a dire troppe cose che,
forse, non dovrei dire, poiché ho davanti a me le Madri generali e
provinciali. Comunque, grazie di questa opportunità.
Essendo qui presenti le
Madri, vorrei improvvisare con loro un discorso da questo punto di
vista: mi è stato chiesto di dire come vedo questa Europa, e io avevo
improntato il discorso sul contributo che l’Africa ha dato per la pace
mondiale, soprattutto tenendo presente il modo come ha affrontato la
questione della schiavitù fino all’indipendenza, dove l’idea non fu mai
quella di dire andatevene a casa vostra, ciascuno per conto proprio, ma
di dire semplicemente che la nostra lotta doveva essere contro il
sistema, non contro qualcuno, né contro i bianchi, né i gialli, ecc.
Così hanno imparato quelli come me, che nacquero dopo l’indipendenza.
Da quando sono nato ne
ho visti di tutti i colori, quindi il problema etnico me lo sono posto,
non nel mio Paese, ma in Europa. Questo è un riconoscimento all’Africa,
che quando ha dovuto risolvere dei problemi importanti, lo ha sempre
fatto in modo positivo, senza odio né razzismo. In questo modo ha dato
all’umanità una lezione. Il problema però è che dal periodo
dell’indipendenza in poi, non si è mai dato a quest’Africa l’aiuto che
merita per rispondere a domande esistenziali, tipo: che cos’è che questa
libertà, duramente conquistata, implica in termini di responsabilità
sociale? Questo era il mio discorso, ma adesso preferisco lasciarlo lì,
perché ve l’ho dato e potete leggerlo. E passo, allora, ad un altro
discorso. Se mi si chiede come vedo questa Europa, è come se mi si
chiedesse adesso di parlare della mia realtà di figlio illegittimo. Cosa
intendo dire con questo? Perché illegittimo? Voglio dire che parto da un
dato di fatto: guardando i certificati di nascita di tutti i miei
fratelli più grandi di me, vedo in tutti, e anche nel mio, che noi siamo
figli di… e di… , oppure figli illegittimi di Siare, di Jata, ecc.,
ecc., comunque figli illegittimi.
Allora la domanda è
questa: perché illegittimi? Chi è allora il legittimo? Insomma, se
illegalità, illegittimità, indicano uno spazio fisico, ma anche
relazionale, quindi umano, allora voglio sapere: chi è il proprietario
legittimo, il genitore legittimo di questo spazio fisico e temporale in
cui i miei genitori, illegalmente, hanno osato di far venire me al
mondo? La risposta è, forse, da ricercare nella conferenza di Berlino,
là c’erano un po’ tutti: c’erano i miei padri portoghesi, c’erano anche
gli italiani, c’erano i francesi, c’erano gli inglesi, gli spagnoli,
ecc. Prima credevo che il mio essere extracomunitario fosse in rapporto
all’Europa, invece mi scopro adesso, pensandoci bene, che già
all’interno del mio stesso Paese ero nato extracomunitario. E ora mi si
chiede di dire come vedo questa Europa. Allora capite che mi state
chiedendo di parlarvi di mio padre legittimo, che non ha mai voluto
riconoscermi. Se voi andate poi alle definizioni di che cosa è l’Africa,
vedrete Libia, Lubin, Lubu, Faraka, ecc., tutte queste etimologie che
alla fine però vi portano a un unico punto, cioè che nessuna di queste
parole ha un significato indigeno, cioè non furono i miei bisnonni a
chiamarle così. L’Africa, che poi è una donna, vuol dire quella donna
che i primi, i nuovi arrivati, per usare un’espressione comune, decisero
di chiamare così, e l’hanno deciso a Berlino, ecc., ecc.; Quando mi si
chiede… mi domando: ma dove si trova?
Questa è l’ironia della
sorte, perché di fatto dovrei essere io a chiederlo, perché i miei
bisnonni non hanno la cultura del mappamondo. Questo è quello disegnato
da Berlino, quindi sono loro che dovrebbero saperlo, non io. In fondo,
che cos’è quest’Africa che voi tutti servite e per la quale cercate di
rinnovare le idee, pensando al futuro? Ecco, ho la sensazione allora…
chiedendomi di parlare di quest’Europa, che mi chiediate di parlarvi un
po’ di quella danza indanzabile che i Babanamu, una popolazione del
Mani, chiama, appunto, la danza indanzabile, perché se faccio un passo
indietro, muore mio padre, se faccio un passo in avanti, muore mia
madre, se faccio un passo sulla mia sinistra, muore mio fratello, se a
destra, muore mia sorella; se non vado né avanti, né indietro, né ai
lati, muoio io.
E che facciamo? Voglio
dire semplicemente che l’Africa, di fatto, è una creazione
dell’Occidente e, quindi, se i portoghesi erano europei, non potete dire
che io non sono europeo, magari il mio bisnonno non lo era, ma mio padre
mise sulla bocca di mia madre queste parole: dal momento in cui i nuovi
arrivati sono qui, l’unica speranza che abbiamo ora di poter preservare
la nostra identità culturale è di avere il coraggio di inviare i nostri
figli alla scuola dei nuovi arrivati, perché da ora in poi è la loro
scuola la nostra sfida. Il problema però è che questo padre legale,
forse, non aveva mai pensato che anche per se stesso, da quel preciso
momento, la scuola degli altri diventava una sfida e che quindi, dal
momento in cui i conquistatori erano giunti nei nostri porti, l’epoca
della preservazione pura di se stessi era compiuta. Da quel momento non
c’era più il retaggio dei miei nonni, non c’era più la preservazione
delle nostre tradizioni e della nostra cultura, ma nasceva la nuova
generazione ibrida, perché la nuova generazione, che doveva andare alla
scuola dei nuovi arrivati, era la nuova Africa, ovvero un essere ibrido.
Non ero più come i miei bisnonni, ma non sono neanche uguale a chi
legalmente mi ha partorito, anche se non vuol riconoscere la sua
paternità.
Sta di fatto che tutti
quelli che sono andati a scuola, me compreso, hanno imparato le stesse
cose che tutti voi avete imparato qui. Se questo è ciò che s’impara in
Europa, e l’Europa vuol dire Occidente, perché l’Occidente in sé non
esiste, è una cultura, la stessa cultura che ho avuto io l’avete anche
voi, allora come fate a dire che non sono europeo, occidentale, ecc.,
ecc.? A meno che non abbiate il coraggio di tirare fuori la parte
peggiore di voi; cioè quello che è problematico e razzista, e asserire
che la diversità tra me e voi sta nel colore della mia pelle, come di
fatto i politici non esitarono a fare nella conferenza di Darwan, dove
non si volle neanche minimamente riconoscere che la schiavitù è un
crimine contro l’umanità.
Ora, forse, potrete
comprendere perché vi dico che mi chiedete di danzare una danza
indanzabile, perché sarebbe, di fatto, andare alla ricerca di che cosa
sono realmente: un figlio illegittimo. Quando sai di essere nessuno,
però, ti devi inventare. E meno male che hai davanti la mamma, anche se
lei adesso è quella vecchia donna sola. Questo è il punto dove volevo
arrivare e concludo: il fatto che voi siete tutte quante madri,
significa che dopo duemila anni di storia bisognerà avere il coraggio di
ricominciare da capo: non cercare le riforme, ma passi intermedi, che
significa metanoia. Per fare questo bisogna prima conoscere bene
gli esseri umani a cominciare dal bambino appena nato, che si apre come
un fiore davanti a noi, non è né Josè, né Maria, né angolano, né tutsi,
è semplicemente un bambino, una bimba, e di fatto quando qualcuno nasce,
si dice: è nata una bella bimba, o un bel bambino. Questo significa che
ciò che a priori Dio dona come vita, è la vita che si concretizza in un
essere umano, tutto il resto arriverà dopo: il nome, dov’è nato, ecc.
ecc. Il guaio però è che io vedo un’Europa arroccata a voler continuare
in questa disarmonia drammatica, cioè, a far sì che nel mondo di oggi ci
si consideri più per quello che si fa piuttosto che per quello che
realmente si è, ossia come lettere di amore di Dio inviate in questo
mondo per significare qualcosa.
Poi non voglio dire che
non è bello essere italiano, africano, ecc., ma semplicemente asserire
che essere africano o italiano è l’unico modo che abbiamo di
storicizzare noi stessi. I popoli, come storia, infatti, sono un po’
come i fiumi a sé stanti: il fiume Nilo non è il Giordano, il Giordano
non è il Gange, il Gange non è il Tevere e non è neanche sicuro che le
loro acque s’incontrino nell’oceano, ma c’è un punto dove si trovano di
sicuro e cioè nel cielo, non più come acqua pura, ma come vapore, ed è
come vapore che di nuovo, in sintonia, cantano un inno alla vita sotto
forma di pioggia, per bagnare questo mondo con la loro nuova linfa
vitale.
Ed è una questione di
natura; io credo che i popoli siano questo, allora quello che oggi
dobbiamo fare è proprio di coltivare questa coscienza. Bisogna trovare
altri meccanismi che portino fuori da questa realtà dell’essere umano
che rischia di diventare catastrofica: noi siamo le nostre carte
d’identità e non le nostre carte di credito. Chi pensa il contrario,
codifica l’uomo. Il problema di venire fuori dalla mia illegalità è
proprio questo, io non ho una carta d’identità pesante né una carta di
credito, però sono una creatura di Dio e valgo come ogni altra persona,
e con me valgono tutte le altre persone del mondo, al di là della razza,
della religione e del ceto sociale.
Grazie a tutti.
* Giornalista di
Radio Vaticana.
** Il testo non è stato rivisto
dall’autore
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