n. 12
dicembre 2002

 

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di Biancarosa Magliano
 

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Dicembre...

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Il Natale per il cristiano è festa: è fare memoria del mistero del Verbo del Padre che si rivela in umana carne per opera dello Spirito Santo e nasce dal grembo di una Vergine di nome Maria. “Il nome della vergine era Maria”, scrive concisamente, quasi stringatamente, l’evangelista Luca. E mistici come il beato Timoteo Giaccardo sapevano trarre anche da questo solo versetto delle meditazioni splendide.

C’è un verbo, e derivati, che fa da cornice o, meglio, accompagna tutto l’evento racchiuso nella parola Natale.

Zaccaria, che diventerà padre del precursore che nascerà sei mesi prima, mentre esercitava le sue funzioni sacerdotali davanti a Dio nel tempio, quindi in un contesto spazio-temporale sacro, riceve l’annuncio della nascita di un figlio e nel dialogo-dibattito con l’angelo si attarda. Fuori il popolo lo attende e “si meravigliava per il fatto che egli indugiava troppo nel santuario”.

Dopo la nascita del figlio, ancora Zaccaria è occasione e motivo dello stesso sentimento. Si discute sul nome da imporre al neonato. Narra il Vangelo che egli, presa una tavoletta, vi scrive: “il suo nome è Giovanni” e che “tutti ne furono meravigliati”. Lo stesso cantico di Maria, pronunciato dopo aver ascoltato il saluto della cugina Elisabetta, è un procedere in un inno di esaltazione e di meraviglia per le ‘meraviglie’, operate dal Dio degli uomini e della storia. Ella “celebra le gesta misericordiose di Dio lungo l’arco della storia della salvezza che ora, nella pienezza dei tempi, trovano la loro definitiva realizzazione” ed esalta “la fedeltà di Dio alle sue promesse”.

A Betlemme, i pastori ascoltano l’annuncio angelico, e in fretta – come già Maria dopo aver accolto nel proprio grembo di donna il Figlio di Dio nel viaggio verso la montagna – vanno a Betlemme. Trovano, come era stato loro detto dai messaggeri di Dio, “Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva in una mangiatoia”. Tornati riferiscono e, assicura il vangelo, “tutti quelli che udivano si meravigliavano delle cose che i pastori dicevano loro”.

Più tardi Maria e Giuseppe portano il Bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Simeone e Anna profetizzano gioie e dolori su di lei e sul Figlio. Commenta ancora l’evangelista “suo padre e sua madre rimasero meravigliati di quanto era stato loro detto di lui”.

Anni più tardi ancora a Gerusalemme, Gesù dodicenne si ferma nel tempio tra i dottori: ascolta, interroga, risponde. La conclusione è semplicemente questa: “tutti quelli che lo udivano restavano meravigliati della sua intelligenza e delle sue risposte”. L’acutezza delle domande, l’esattezza delle risposte, la conoscenza della legge del ragazzo li stupisce.

I soggetti sono persone diverse. Nel caso di Zaccaria è il popolo che attende impaziente. E’ un popolo che non ha nessuna peculiare distinzione socioculturale. Per esso quanto sta succedendo è anomalo. L’anziano sacerdote indugia troppo. Di fatto uscirà con una menomazione sorprendente: impossibilitato a parlare.

Elisabetta, certo ricolma di Spirito Santo, come narra Luca, che la rende capace di comprendere e di interpretare il significato profondo di quanto sta avvenendo, ma attonita per quanto si è compiuto nella cugina pronuncia il ‘suo’ Benedictus: “Benedetta tu che hai creduto…”. Ella ha constatato, con meraviglia, la rivelazione sconvolgente della benevolenza di un Dio che ha reso feconda la cugina.

Poi è ancora una donna, Maria, - la piena di grazia, ossia di santità, ossia di giustizia e di amore - che ha atteso nella speranza e nella fede il compimento della parola dei profeti. Con uno sguardo sulla storia trae luce per il futuro e, carica di meraviglia per il presente e il passato nel quale scopre il filo purpureo di un tessuto lavorato da chi governa il mondo e gli uomini, preannuncia il futuro: “l’anima mia rende grande il Signore… ha dispiegato la potenza che è nel suo braccio… A partire da ora tutte le generazioni mi proclameranno beata…”.

Nelle vicinanze di Betlemme, è ancora gente del popolo, compagni di lavoro e di fatica, che ascolta avida la notizia dei pastori, i quali si fanno narratori dell’evento costatato, messaggeri a loro volta del lieto annunzio ricevuto. Hanno capito che Dio è arrivato nella storia dell’uomo, quindi che Dio deve entrare nel recinto dei propri pensieri e del proprio cuore. E chi ascolta si meraviglia di quanto viene narrato. Probabilmente essi vivevano quanto secoli, molti secoli più tardi, consiglierà Paolo VI: “Non fermiamoci alla cornice; guardiamo al quadro; e nel quadro vediamo il mistero”.

Nel tempio sono i dottori, quindi uomini di scienza e di sapienza, navigati in questioni di ricerca e di studio, ferrati in esegesi e nell’interpretazione delle promesse profetiche.

Tornano spontaneamente alla memoria le parole del cantore dal cui cuore affascinato è sbocciato il Salmo 8: “O Signore, nostro Dio, quanto mirabile è il tuo nome su tutta la terra…” con quel che segue. E l’esclamazione innamorata ed estasiata di Paolo nella Lettera ai cristiani di Roma: “O profondità della ricchezza, sapienza e conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e incomprensibili le sue vie!”.

Ripetiamo: sono persone diverse in situazioni diverse. La capacità di meraviglia non è privilegio di nessuno. Non è prerogativa di nessuno. Nessuno la può ipotecare o riservare a sé. E’ sufficiente avere l’animo del bambino del vangelo. Avere orecchi e occhi, e mente e cuore che sanno andare oltre il proprio isolotto… Che sanno vedere e ascoltare, accogliere e apprezzare. Perché lo Spirito produce, questo sì, le sue meraviglie quando vuole e in chi vuole, senza la pur minima esclusività di persone.

Del resto il Vangelo, che inizia a camminare lungo i secoli proprio con gli eventi natalizi, è una gioiosa notizia.

E le notizie belle, come le cose belle, sono, o debbono essere, sempre oggetto di uno sguardo, di un ascolto carico di meraviglia.

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