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L’autunno della vita letto con
gli occhi e il cuore di una religiosa. Fase della vita da non sprecare
in sterili rimpianti ma da dedicare, attimo per attimo, a cogliere il
senso della vita e raggiungere la “sapienza del cuore”. Se è vero che la
vecchiaia si propone come “tempo favorevole” per il compimento
dell’umana avventura, non c’è persona al mondo in grado di incarnare,
meglio di suor Luisa Gamba, questa straordinaria lezione. Non fosse
altro che per i suoi ottantaquattro anni d’età. Suor Luisa ti colpisce
subito. Energica, solida come una quercia, la religiosa appartenente
all’ordine delle Francescane Missionarie di Maria non si perde in
chiacchiere e va dritto al sodo. Non si cura degli acciacchi della terza
età, non si lascia andare alle malinconie, ma guarda al tempo che Dio le
ha concesso come a una grazia e una benedizione.
“La mia giornata si divide tra
preghiera, lavoro e animazione spirituale ai nostri ottantacinque
ospiti, per la maggior parte donne” – racconta con semplicità –. “Non
perdo tempo dietro alla televisione, perché mi dà fastidio. Preferisco,
quando posso farlo, dedicarmi alla lettura. Leggo sempre L’Osservatore
Romano, ascolto la Radio Vaticana e i titoli dei telegiornali. Occorre
tenere presente che non meno di quattro ore della mia giornata sono
dedicate alla messa, all’adorazione, al rosario e alla meditazione. Poi
c’è il mio lavoro in farmacia. E non dimentichiamo gli ospiti della casa
di riposo privata dove presto la mia opera da cinque anni”.
“Più di venti hanno superato i
novant’anni. È appena mancata una di centodue. Tempo fa ci ha lasciato
un’altra di centocinque. Due hanno raggiunto i novant’anni. Tra i
sessanta e i settanta ce ne sono appena due. Il resto sono tutte più
anziane”.
“Sono ministro straordinario,
quindi porto loro la Comunione. Mi offro di aiutare per andare a Messa.
È nato un bel gruppo in questa casa, composto da una quarantina di
persone, che non manca mai in chiesa la mattina. Ma per fare questo,
occorre accompagnarle, portarle. Soprattutto, sostenerle e ascoltarle.
Poi, qualcuna ha bisogno di essere imboccata. È un’assistenza concreta,
la mia, fatta di piccole cose. Perché verifico anche che non manchi
niente, che siano state servite bene. Testimoniare Cristo significa dare
amore sempre, in ogni circostanza”.
“Ho cercato di far capire, ma
non è facile, il valore della sofferenza. Capita spesso, infatti, che si
lamentino per questo o per quel motivo. Non sono mai soddisfatte. È raro
trovarne una disposta ad aiutare le altre persone, a interessarsi del
prossimo. Per me tutto questo è motivo di ringraziamento al Signore per
i doni che mi ha fatto”.
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Lei ha raggiunto
l’invidiabile età d’ottantaquattro anni. Una vetta che, immagino, lei
guarda con distacco ed emozione al tempo stesso. Come legge questo
traguardo all’interno di un cammino vissuto in Cristo?
“Con riconoscenza e amore.
Perché considero la mia vita un grande dono di cui ho scoperto, man
mano, nuove grazie. Non le ho scoperte tutte insieme, ma poco alla
volta. Il Signore mi ha aperto piano piano nuovi orizzonti. L’immenso
amore di Dio, questo lo devo dire dal profondo del cuore, mi ha
circondato, mi ha guidato”.
“In certi momenti si sente di
più. In altri di meno. Ho imparato a non fare conto su quello che si
sente. Si va avanti, fidandoci. E dopo, il Signore fa il resto. È
difficile poter ricordare, in base alla mia esperienza, i momenti più
intensi e vivi di questo amore. Vado a memoria: uno, ad esempio, risale
all’epoca della seconda guerra mondiale, era appena concluso un ritiro,
mi trovavo in missione a Shanghai. Di quel momento ricordo proprio che
ho pensato da subito che si trattasse di una grazia specialissima. Le
bombe cadevano, insieme a un gruppo di suore andai in ospedale per
cercare di prestare soccorso ai malati e ai feriti. Erano tanti. Chi
senza braccia, chi senza gambe. Malgrado questo, la pace che c’era nel
cuore era un dono speciale del Signore. Mi commuovo ancora. Nei momenti
più difficili, questo lo posso testimoniare, c’è sempre una grazia
meravigliosa. Penso, che chi si trova in difficoltà deve sentire in modo
speciale questa corrente d’amore. Io, per prima, l’ho sperimentata. Dio
è grande per tutti. Mica solo per me”.
“Io ero a Roma quel venti
ottobre, in cui la Chiesa ricorda la giornata missionaria mondiale. Ho
gioito per la nostra fondatrice, Marie Heléne de Chappotin, che ha tanto
sofferto in vita. È stata denigrata e destituita dalle autorità
ecclesiastiche. Finalmente, ha trionfato la verità. Ora è stata
riconosciuta dalla Chiesa. Tutto questo proprio grazie al Papa. Il suo è
l’esempio lampante di una testimonianza di fedeltà al Vangelo anche
nella sofferenza. Ho gioito per averla sentita così vicina per le sue
intuizioni, per le sue aperture così straordinariamente attuali.
Abbandono e fiducia totale in Dio, l’obbedienza, l’essenzialità e la
missione: queste le coordinate dell’opera della nostra Madre. Mi sono
sentita talmente piccola di fronte a tante meraviglie, di fronte a
queste opere di Dio, di cui avrei potuto approfittare più in profondità.
Mi ha fatto piacere anche incontrare, dopo tantissimi anni, tante
sorelle. Insieme siamo andate a pranzo al Gianicolo”.
“Sin da piccola Dio mi ha
guidato. A mia insaputa. Ho avuto modo di conoscere diverse consorelle
che hanno visto crescere la loro vocazione nella sofferenza. A me è
stato risparmiato. Provengo da una famiglia esemplare, dieci fratelli,
tutti educati nell’Azione cattolica. Ricordo le scuole di propaganda,
poi le letture missionarie. Mi sono trovata senza fatica, al momento di
scegliere la facoltà da frequentare, a indirizzare la mia volontà in una
sola decisione. Papà ci voleva tutti laureati. Ho optato per Farmacia,
anche se mi sarebbe piaciuto scegliere medicina, ma era troppo lunga. Il
mio direttore spirituale mi propose di leggere una nota sulle
Francescane Missionarie di Maria. In quelle righe ho trovato tutto
quello che cercavo e desideravo. Mi sono laureata a giugno, a dicembre
sono entrata in istituto a ventitré anni, alla fine del ‘40. Un percorso
naturale e semplice, se si vuole. Ha fatto tutto il Signore, io sono
stata trasportata”.
A distanza di tutti questi
anni, come vede questo percorso?
“Sento di dover dire grazie a
Dio per il bene che mi ha dato. Ho ricevuto più di quanto potessi
pensare od osare chiedere. Certo, spesso ho constatato la mia pochezza,
la mia miseria. Però Dio è più grande e infinitamente misericordioso,
specie nelle difficoltà l’ho sentito davvero molto vicino”.
“Certo. In particolare, il
periodo trascorso in Cina non è stato facile. Ho vissuto lì dal giugno
del 1947 al luglio del 1954, poi sono stata a Macao fino al giugno del
1962. Posso dire che è stata un’esperienza di missione e di comunione
nella Chiesa davvero profonda. Il vescovo ci aveva definito ‘i
parafulmini della diocesi’. Ho vissuto accanto a sacerdoti, suore e
laici impegnati totalmente nell’evangelizzazione, consapevoli di una
persecuzione imminente. Difficoltà immense, compensate da grazia
spirituale incommensurabile. Anni fecondi che mi hanno dato un’impronta
indelebile. Di fiducia nel Signore, voglio dire. Quanta gente ho visto
soffrire assai più di me, che serenamente pregava offrendo a Dio la
propria paura e l’intera esistenza consacrata alla missione. Mi è
capitato di conoscere un giovane seminarista che mi disse: “So che non
arriverò al sacerdozio, ma intanto offro la mia vita per il Signore”.
Quanti martiri ho conosciuto!”.
“Debbo confessare onestamente
di non averne. L’unico, semmai, è di non amare abbastanza il Signore, le
mie consorelle e tutta la gente. Mi rammarico di non arrivare a fare il
bene che vorrei perché il tempo sfugge a una velocità impressionante. Mi
piacerebbe tanto leggere la Bibbia, i giornali, i testi della Madre
fondatrice. Ma il tempo fugge. Per fortuna, non so cosa vuol dire la
solitudine con ottantacinque ospiti desiderosi di parlare. Con Dio
vicino non si è mai soli. Quel che desidero di più è avere più spazio
per raccogliermi nel silenzio davanti al Signore. Cerco di farlo quando
posso. E più che posso”.
“Io non direi mai di entrare in
istituto e di farsi religiosa. Perché mi sembrerebbe controproducente.
Suggerirei piuttosto di pregare molto e di cercare Dio nel silenzio,
mettendosi in ascolto della sua Parola. Di non aver paura delle
difficoltà. Una volta superate, assumeranno l’aspetto di una luce
gioiosa in un cammino misericordioso. In cui troverà sempre più di
quanto avrà donato. In cui non si pentirà mai di aver dato tutta se
stessa. A patto di pregare sempre. Senza la preghiera, non farai niente.
Se i genitori ostacolano la vocazione, pazienza. Tanto, poi, cambieranno
idea. Sono stata per dieci anni vicino a tante novizie e conosco le
difficoltà iniziali da superare e per esperienza dico che in seguito i
genitori ringraziano Dio per la scelta della propria figlia”.
“Ce ne sono tante. Una, ad
esempio, è legata alla mia mamma morente sul letto e il rosario. Avevo
undici anni. Fuori nevicava. Ricordo che è morta il mercoledì. Le sue
ultime parole sono state: ‘ricordati di obbedire sempre a papà’. Non
l’ho mai dimenticato. Un’altra è legata alla scuola di propaganda. Ma
non è la sola. Mi vengono in mente i consigli del mio direttore, le
persone che ho incontrato lungo il mio cammino. Madre Carla Elena, mia
superiora. Anche i ritiri annuali. Tutto contribuisce a lasciare un
segno indelebile nell’arazzo della vita”.
“Sono tutti uno più grande
dell’altro. Papa Pio XII mi ha benedetta prima di andare in convento.
Durante la guerra sono stata un anno in Vaticano. Ho vissuto da vicino
l’esperienza di un pontefice davvero unico. Di Papa Paolo VI ho goduto
le omelie. Avevo la raccolta e mi tornavano sempre molto utili. Di
Giovanni Paolo II, invece, i ricordi sono molti perché sono stata sei
anni in Vaticano. Quindi ho avuto tante occasioni di incontrarlo.
L’ultima è stata la messa nella cappellina privata insieme a un medico
cinese che ha vissuto tanti anni in prigione. Per me è facile vedere nel
Papa attuale il ‘dolce Cristo in terra’ guidato dallo Spirito nelle
braccia della madre”.
“Il Papa parla dell’autunno
della vita. Dice che in quel periodo le foglie verdi assumono sfumature
rosse. In vecchiaia le cose si vedono con uno sguardo diverso. Che ti
permette di superare tante stupidaggini e aiuta ad andare
all’essenziale. Poi, le foglie cadono e resta il Signore. Sto meditando
in questi giorni il suo ultimo scritto, la lettera apostolica dedicata
al rosario. Mi sta aprendo inediti orizzonti. Quante volte ho recitato
il rosario e mai l’ho fatto, come lo presenta il Papa. Dio ci apre,
davvero, ambiti sempre diversi e ci mostra la nostra miseria e la sua
infinita misericordia. Ricordiamoci di contemplare sempre, come c’invita
Giovanni Paolo II, il volto di Cristo”.
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