n. 6 giugno 2002

 

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di Biancarosa Magliano
 

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Sottovoce

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Sottovoce” è il nome con cui si definisce un’Associazione di volontariato: un supporto di uomini e donne che credono nei valori umani, disponibili a regalare tempo e amore al prossimo, tutti dediti al servizio, soprattutto degli ammalati di cancro. Abbiamo letto la parola e quindi conosciuto il gruppo in uno di questi centri sanitari. E abbiamo avuto la gioiosa fortuna di incontrarne alcuni. La titolatura ha subito fatto breccia sul nostro pensiero e ha portato alla riflessione.

“Sottovoce” è anche il titolo di un periodico e di una trasmissione televisiva, ma a noi questo, almeno per ora, non interessa.

Sottovoce, secondo il dizionario, significa parlare con tonalità smorzata, sommessa, quasi silenziosa. E’ tutto il contrario di rumorosità, chiasso, ostentazione; è l’opposto del baccano, dell’esibizionismo, della chiacchiera, del bailamme.

Abbiamo avuto immediatamente la sensazione che oltre a essere norma di linguaggio è, soprattutto, uno stile di vita, un modo di presentarsi e di offrirsi, quali piccole fiammelle, nell’ascolto, nella partecipazione, nella solidarietà, nel servizio, perché l’altro è nel bisogno, ora fisico, sanitario, ma soprattutto psicologico e spirituale, perché attanagliato da molte ombre, molte incertezze e molte ansie. E’ essere presenti con intensità, ma anche con sobrietà e pacatezza; disposti a scomparire, quando, dove e se necessario.

E tutto ‘sottovoce’, con estrema discrezione, con totale rispetto, con delicato riserbo, quasi in fraternità, che può diventare amicizia, appunto perché il tutto è detto, partecipato, vissuto ‘sottovoce’. Con la speranza – a volte la certezza – di avere “diradato le nubi e riportato la serenità del sorriso”. Qui abbiamo preso a prestito un’immagine cara a Marcel Proust.

Gesù su questo è stato lapidario: “Quando dunque tu fai l’elemosina, non metterti a suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per averne gloria presso gli uomini”. E nella condanna di questi atteggiamenti è tassativo: “In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Poi esorta: “Ma mentre fai l’elemosina non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra”. Egli stesso è stato estremamente tassativo, anche in altra occasione, ormai verso la fine del suo stesso tragittare nel tempo, Uomo-Dio tra gli uomini, chiamati a raggiungere la pienezza dell’identità di figli: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumino e poi trascurate i precetti più gravi della legge, come la giustizia, la pietà, la fede”.

E’ il silenzio o la moderazione o il riserbo che sbocciano dal sapersi “servi inutili”, pur avendo fatto tutto il possibile. Allora si diventa, come sostiene il libro dei Proverbi, “rugiada sopra l’erba”. E’ l’ammaestramento di Gesù: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare!”. Era Legge, la legge del servizio e dell’amore. Null’altro! Stop. Come uno schiavo di fronte al suo signore, come una serva di fronte alla sua padrona siamo, in fondo, tutti servi inutili, nonostante la preziosità di ognuno. Nel possibile variegato mondo delle nostre illusioni di essere ‘qualcuno’ la parola, di Lui, Maestro e Signore, mette un freno ad ambizioni antievangheliche.

Scriveva san Basilio il Grande: “In ogni cosa abbandonerai ostentazione e megalomania, mostrandoti premuroso verso l’amico, mite nei confronti del servo, paziente con gli importuni, generoso con gli umili; consolerai gli afflitti, ti recherai a far visita agli ammalati, sarai dolce nel rivolgerti agli altri, ilare e gioviale nel rispondere; ti dimostrerai facilmente disponibile verso chiunque, senza mai celebrare le proprie lodi”.

E’ operare in modo pacifico, “senz’affanni” come insegna la Sapienza.

‘Sottovoce’ è fare tutto “con senso di modestia” come consiglia il Siracide. La vita e l’amore che soggiacciono a ogni gesto di fraternità autentica, prima o poi esplodono, si rendono visibili, pur senza fare chiasso. Ciascuna, ciascuno è stato creato in maniera meravigliosamente individuale, non raffrontabile con nessun altro. Nessuno è sostituibile, perché nessuno è ripetibile. Siamo tutti, uomini e donne, identità distinte. Nonostante ciò, esiste in ognuno una parte di somiglianza che ci lega agli altri e questo deve aiutare a capire, o, meglio e prima ancora, a percepire le necessità altrui con attenzione somma e delicatezza estrema.

‘Sottovoce’ comporta, anche, offrire una presenza qualificata, agile, fresca, al livello della richiesta o della domanda tacita o espressa. Per questo diventa un valore primario, soprattutto in una civiltà globale dove sembra avere ragione chi grida più forte, chi scivola in atteggiamenti e decisioni egoistiche, di comodo, chi è capace di defilarsi facilmente dagli impegni. In questa nostra realtà mondiale, nazionale e particolare sempre più aggressiva, violenta e indifferente, è tempo di una presenza effettiva ed efficace, ma saggia e discreta. E’ essere “rivestiti di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine”.

Come Maria, che è presente, sottovoce e pronta

rapidamente, nel servizio in casa di Elisabetta. Esulta solo per magnificare il Signore. Non era certamente gridata la sua domanda: “Figlio, perché ci hai fatto questo, ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti andavamo cercando…”. Sottovoce è il suo intervento: “Non hanno più vino…”. Ma è presente, sempre, quando l’Amore lo richiede. E’ presente, silente, ai piedi della croce. E’ presente, silente, nell’attesa dello Spirito a Gerusalemme!

Nella vita relazionale si tratta di prendere coscienza della propria realtà differenziata, sapendo che, se le diversità possono costituire un impedimento, possono anche facilitarla, quando come fondamento esiste quel decoro, quella sobrietà, quel pudore, quell’amore per cui ci si impone una riservatezza che non eccede mai in ostentazione. L’amore e l’amicizia infatti aiutano a capire quelle situazioni, sofferenze, gioie, quei crucci e problemi altrui che la sola intelligenza non raggiungerà mai a cogliere. E si arriva a essere presenze che non disturbano, ma accorrono e soccorrono, come Maria presso Giuseppe e presso Elisabetta. Silenziosamente, sottovoce e in fretta.

“La via della grandezza – è stato scritto da don Angelo Casati nel suo bollettino parrocchiale in Milano – è iscritta sull’albero del primo giardino, l’albero della conoscenza del bene e del male. Non era stato forse detto all’uomo e alla donna: «Se ne mangerete, diventerete come Dio»?… La via della piccolezza è iscritta a caratteri luminosi sull’albero della croce. E’ un albero fiorito, è l’albero dello svelamento di Dio…”. Ecco, la piccolezza del ‘sottovoce’, che può costare fatica e un lento morire per riuscire a dire Dio.

Il Vangelo – e sulla scia del Vangelo, la vita consacrata – non è un’ideologia da accettare o da respingere, ma un progetto da vivere con serietà e concretezza. Da mattina a sera. Da sera a mattina. E la parola ‘sottovoce’ potrebbe diventare una parola paradigmatica del proprio modo di vivere il Vangelo, in questo nostro mondo dove i sofferenti, i delusi, gli assetati di verità, di giustizia, di amore, sono moltitudine.

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