 |
 |
 |
 |
“Sottovoce”
è il nome con cui si definisce un’Associazione di volontariato: un supporto
di uomini e donne che credono nei valori umani, disponibili a regalare tempo e
amore al prossimo, tutti dediti al servizio, soprattutto degli ammalati di
cancro. Abbiamo letto la parola e quindi conosciuto il gruppo in uno di questi
centri sanitari. E abbiamo avuto la gioiosa fortuna di incontrarne alcuni. La
titolatura ha subito fatto breccia sul nostro pensiero e ha portato alla
riflessione.
“Sottovoce” è anche il
titolo di un periodico e di una trasmissione televisiva, ma a noi questo, almeno
per ora, non interessa.
Sottovoce, secondo il
dizionario, significa parlare con tonalità smorzata, sommessa, quasi
silenziosa. E’ tutto il contrario di rumorosità, chiasso, ostentazione; è
l’opposto del baccano, dell’esibizionismo, della chiacchiera, del bailamme.
Abbiamo avuto immediatamente la
sensazione che oltre a essere norma di linguaggio è, soprattutto, uno stile di
vita, un modo di presentarsi e di offrirsi, quali piccole fiammelle,
nell’ascolto, nella partecipazione, nella solidarietà, nel servizio, perché
l’altro è nel bisogno, ora fisico, sanitario, ma soprattutto psicologico e
spirituale, perché attanagliato da molte ombre, molte incertezze e molte ansie.
E’ essere presenti con intensità, ma anche con sobrietà e pacatezza;
disposti a scomparire, quando, dove e se necessario.
E tutto ‘sottovoce’, con
estrema discrezione, con totale rispetto, con delicato riserbo, quasi in
fraternità, che può diventare amicizia, appunto perché il tutto è detto,
partecipato, vissuto ‘sottovoce’. Con la speranza – a volte la certezza
– di avere “diradato le nubi e riportato la serenità del sorriso”. Qui
abbiamo preso a prestito un’immagine cara a Marcel Proust.
Gesù su questo è stato
lapidario: “Quando dunque tu fai l’elemosina, non metterti a suonare la
tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per
averne gloria presso gli uomini”. E nella condanna di questi atteggiamenti è
tassativo: “In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Poi
esorta: “Ma mentre fai l’elemosina non sappia la tua sinistra quello che fa
la tua destra”. Egli stesso è stato estremamente tassativo, anche in altra
occasione, ormai verso la fine del suo stesso tragittare nel tempo, Uomo-Dio tra
gli uomini, chiamati a raggiungere la pienezza dell’identità di figli:
“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta,
sull’aneto e sul cumino e poi trascurate i precetti più gravi della legge,
come la giustizia, la pietà, la fede”.
E’ il silenzio o la
moderazione o il riserbo che sbocciano dal sapersi “servi inutili”, pur
avendo fatto tutto il possibile. Allora si diventa, come sostiene il libro dei
Proverbi, “rugiada sopra l’erba”. E’ l’ammaestramento di Gesù:
“Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi
inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare!”. Era Legge, la legge del
servizio e dell’amore. Null’altro! Stop. Come uno schiavo di fronte al suo
signore, come una serva di fronte alla sua padrona siamo, in fondo, tutti servi
inutili, nonostante la preziosità di ognuno. Nel possibile variegato mondo
delle nostre illusioni di essere ‘qualcuno’ la parola, di Lui, Maestro e
Signore, mette un freno ad ambizioni antievangheliche.
Scriveva san Basilio il Grande:
“In ogni cosa abbandonerai ostentazione e megalomania, mostrandoti premuroso
verso l’amico, mite nei confronti del servo, paziente con gli importuni,
generoso con gli umili; consolerai gli afflitti, ti recherai a far visita agli
ammalati, sarai dolce nel rivolgerti agli altri, ilare e gioviale nel
rispondere; ti dimostrerai facilmente disponibile verso chiunque, senza mai
celebrare le proprie lodi”.
E’ operare in modo pacifico,
“senz’affanni” come insegna la Sapienza.
‘Sottovoce’ è fare tutto
“con senso di modestia” come consiglia il Siracide. La vita e l’amore che
soggiacciono a ogni gesto di fraternità autentica, prima o poi esplodono, si
rendono visibili, pur senza fare chiasso. Ciascuna, ciascuno è stato creato in
maniera meravigliosamente individuale, non raffrontabile con nessun altro.
Nessuno è sostituibile, perché nessuno è ripetibile. Siamo tutti, uomini e
donne, identità distinte. Nonostante ciò, esiste in ognuno una parte di
somiglianza che ci lega agli altri e questo deve aiutare a capire, o, meglio e
prima ancora, a percepire le necessità altrui con attenzione somma e
delicatezza estrema.
‘Sottovoce’ comporta,
anche, offrire una presenza qualificata, agile, fresca, al livello della
richiesta o della domanda tacita o espressa. Per questo diventa un valore
primario, soprattutto in una civiltà
globale dove sembra avere ragione chi grida più forte, chi scivola in
atteggiamenti e decisioni egoistiche, di comodo, chi è capace di defilarsi
facilmente dagli impegni. In questa nostra realtà mondiale, nazionale e
particolare sempre più aggressiva, violenta e indifferente, è tempo di una
presenza effettiva ed efficace, ma saggia e discreta. E’ essere “rivestiti
di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine”.
Come Maria, che è presente,
sottovoce e pronta
rapidamente, nel servizio in
casa di Elisabetta. Esulta solo per magnificare il Signore. Non era certamente
gridata la sua domanda: “Figlio, perché ci hai fatto questo, ecco, tuo padre
ed io, angosciati, ti andavamo cercando…”. Sottovoce è il suo intervento:
“Non hanno più vino…”. Ma è presente, sempre, quando l’Amore lo
richiede. E’ presente, silente, ai piedi della croce. E’ presente, silente,
nell’attesa dello Spirito a Gerusalemme!
Nella vita relazionale si
tratta di prendere coscienza della propria realtà differenziata, sapendo che,
se le diversità possono costituire un impedimento, possono anche facilitarla,
quando come fondamento esiste quel decoro, quella sobrietà, quel pudore,
quell’amore per cui ci si impone una riservatezza che non eccede mai in
ostentazione. L’amore e l’amicizia infatti aiutano a capire quelle
situazioni, sofferenze, gioie, quei crucci e problemi altrui che la sola
intelligenza non raggiungerà mai a cogliere. E si arriva a essere presenze che
non disturbano, ma accorrono e soccorrono, come Maria presso Giuseppe e presso
Elisabetta. Silenziosamente, sottovoce e in fretta.
“La via della grandezza –
è stato scritto da don Angelo Casati nel suo bollettino parrocchiale in Milano
– è iscritta sull’albero del primo giardino, l’albero della conoscenza
del bene e del male. Non era stato forse detto all’uomo e alla donna: «Se ne mangerete, diventerete come Dio»?… La via della
piccolezza è iscritta a caratteri luminosi sull’albero della croce. E’ un
albero fiorito, è l’albero dello svelamento di Dio…”. Ecco, la piccolezza
del ‘sottovoce’, che può costare fatica e un lento morire per riuscire a
dire Dio.
Il Vangelo – e sulla scia del
Vangelo, la vita consacrata – non è un’ideologia da accettare o da
respingere, ma un progetto da vivere con serietà e concretezza. Da mattina a
sera. Da sera a mattina. E la parola ‘sottovoce’ potrebbe diventare una
parola paradigmatica del proprio modo di vivere il Vangelo, in questo nostro
mondo dove i sofferenti, i delusi, gli assetati di verità, di giustizia, di
amore, sono moltitudine.
 |